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3.1.3) Osvaldo Licini, Natura di un discorso

Agli interventi di Belli e di Marchiori si unì subito dopo Natura di un discorso di Osvaldo Licini che, per certi versi, è da considerarsi come il proseguimento di un discorso già iniziato nella Lettera aperta al Milione, ma con una nota più amara. Mentre, nell’intervento presente nel Bollettino della sua personale presso la galleria milanese, l’artista marchigiano presentò i punti centrali dell’astrattismo, in questo nuovo testo li riprese in parte, includendo un’interessante denuncia verso coloro che tenevano le fila della cultura italiana.

«Poi sono venuti Ojetti i Marini della terra e l’uomo fu di nuovo incoronato re del mondo. Si tornò a ripetere che l’uomo era il microcosmo dell’universo, che l’uomo era il metro, la misura di tutte

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le cose, che tutto era nel tutto, e che col metro estratto dalla viscere dell’uomo si poteva ricavare la chiave del cosmo. Vecchie più del cucco questo frasi dovevano servire ad estrarre il ragno dal buco: l’Arte»300

Gli aspri toni di Licini furono sintomo del suo totale ed incondizionato rifiuto nei confronti di quella che, al tempo, fu considerata l’ufficialità culturale promossa dal Regime. Molto è già stato detto riguardo alla continua lotta nei confronti della mentalità artistica predominante italiana del tempo ma, in questa occasione, più delle altre, Licini fece fuoriuscire la vena polemica che contraddistinse il suo acceso temperamento. A conferma di ciò, lo stesso Belli, nella lettera indirizzata a Marchiori un mese dopo la pubblicazione dell’articolo, confessò al caro amico come fosse sorpreso di aver visto pubblicato su un giornale fascista un articolo come quello di Licini:

«Una lode speciale va al Corriere Padano, il solo, dico l’unico giornale italiano e fascista che abbia avuto il coraggio di stampare un articolo come quello di Licini»301

Il critico roveretano, giustamente, si stupì di trovare un articolo di questo tipo nel quotidiano ferrarese, vista la schiettezza dell’artista nei confronti di persone che sedevano ai vertici della cultura italiana. Ma la “vera natura” del discorso portato avanti da Licini cominciò a palesarsi qualche riga più in là, dove definì quella che lui stesso considerò «la palla al piede della tradizione»302, che lui, e tutti gli astrattisti, si rifiutarono di trascinare:

«Il guaio è che noi non ascoltiamo i buoni consigli. La soperchieria stupida che l’arte debba essere fatta con norme, misure, canoni, materiale d’obbligo e che l’arte sia la imitazione della natura, o che sia

300 O.Licini, Natura di un discorso, in La pittura astratta. Da Léger a Licini….cit, p.3 301 Lettera di C.Belli del 15 Novembre 1937…cit.

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la riproduzione dell’uomo vestito o ignudo, cioè dell’uomo copiante eternamente la sua immagine esteriore in una specie di narcisismo idiota, noi non la sopporteremo mai»303

Riprendendo un po’ ciò che Belli aveva denunciato già qualche anno prima in Kn, Licini pose alla base del suo discorso la denuncia della rappresentazione della realtà, considerata dagli astrattisti come il limite assoluto dell’arte. Come poteva l’arte essere considerata libera rappresentazione di sé stessa rimanendo legata alla rappresentazione del vero? Su questo quesito può essere individuato il fulcro di una riflessione più grande, la cui stessa pagina dell’astrattismo gravitò attorno. Concetto ribadito più volte nelle varie presentazioni e dichiarazioni presenti nei Bollettini delle personali degli astrattisti presso la Galleria Il Milione, Licini, nel suo articolo, ribadì che l’arte doveva essere scardinata e liberata una volta per tutte dai preconcetti che l’avevano sempre limitata al fine di raggiungere l’assoluto. «Nemici di ogni formula»304, l’artista marchigiano definiva così lui e tutti gli artisti non-figurativi, i quali riconobbero l’impossibilità di conferire all’astrattismo una definizione completa ed esaustiva.

«Siamo astrattisti per la legge psicologica di compensazione, cioè per reazione all’eccessivo naturalismo e materialismo del secolo decimonono. Siamo astrattisti perché riteniamo che classicismo, romanticismo, realismo ecc. siano cicli chiusi ed ozioso è ritornarci sopra. L’arte si trasforma e si rinnova seguendo rigorosamente gli sviluppi irresistibili dello spirito, che non torna indietro»305

Un balzo in avanti, non indietro, rinnovamento e non arretramento, questi sono i punti cardinali secondo cui si mossero questi artisti che, per convenzione, vennero raggruppati sotto la denominazione di “astrattismo”, personaggi dalle più diverse sfumature che condivisero un comune e unico obiettivo: «L’arte non torna

303 Ibidem. 304 Ibidem. 305 Ibidem.

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indietro»306. In modo sintetico e conciso Licini pose nero su bianco quello che può essere considerato uno dei principali comandamenti seguiti dagli astrattisti, grandi sperimentatori bramosi di riallacciare una connessione con gli ambienti avanguardistici europei. Purtroppo, come è già stato detto nelle pagine precedenti, il loro fermento rinnovatore non ebbe vita facile trovandosi a fronteggiare una situazione culturale, che, al contrario di quanto andasse affermando, non fu per nulla incline al cambiamento e rinnovamento.

«Il Fascismo ha detto Mussolini è una rivoluzione. E perché allora l’arte fascista dovrebbe essere conservatrice, tradizionaria, antirivoluzionaria?»307

Concludendo il suo discorso, Licini gettò nel calderone questa provocatoria domanda nella speranza di portare a galla il paradosso della tanto decantata rivoluzione portata avanti dal Regime. Esponendo apertamente il suo punto di vista, l’artista marchigiano sottolineò indirettamente quanto la rivoluzione fascista fosse differente per «contesto rispetto alle altre contemporanee prese di posizione»308 e di come, le idee portate avanti da lui e dagli astrattisti assumessero

significati ben distanti da tutto ciò. L’astrattismo fu un momento cristallino, una sorta di cellula clandestina all’interno di un ventennio che perorò la causa del realismo fascista e della figurazione.

«La nostra sarà l’arte della pittura. Cogliamo l’occasione per ricordare che la pittura è l’arte dei colori e dei segni. I segni esprimono la forza, la volontà, l’idea. I colori la magia. Abbiamo detto segni e non sogni»309

306 Ibidem.

307 Ibidem.

308 Errante Erotico Eretico. Gli scritti letterari e tutte le lettere…cit, p.195

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In modo analogo alla Lettera indirizzata agli amici del Milione, Licini concluse in questo modo il suo intervento sul “Corriere Padano”, che può essere considerato come la sua «ultima dichiarazione di poetica»310. L’artista marchigiano, che non cedette mai alle sirene del Novecento, manifestò in questo testo la sua totale disapprovazione nei confronti della corrente artistica sulla quale si stava plasmando la cultura italiana. Il suo intervento nella terza pagina del “Corriere Padano”, contribuì ad alzare la qualità del progetto promosso e sviluppato da Marchiori. Non va dimenticato che il critico polesano, tra tutti gli astrattisti, incluse, nella rosa delle immagini presenti nella pagina dell’astrattismo, la riproduzione di due opere di Licini. Questo che può sembrare un insignificante dettaglio, acquista notevole importanza e permette di leggere tra le righe, la predilezione dell’intellettuale di Lendinara per l’artista marchigiano. Questa supposizione potrebbe giustificare la presenza della dichiarazione di Licini e di nessun altro astrattista all’interno della terza pagina del “Corriere Padano”.