• Non ci sono risultati.

1.4 Il quadro normativo e legislativo

2.1.4 L’Ottocento e il Novecento

A Venezia con la fine della Repubblica, il passaggio all’Austria e, infine, al nuovo Stato Italiano, si determina una metamorfosi dei contenitori teatra- li, che imprime una svolta direzionale e amministrativa di grande portata. Infatti, la propriet`a dei teatri viene trasferita dai nobili ai borghesi, che di- ventano la nuova classe dirigente32

, sostituendo la vecchia nobilt`a che fino a quel momento aveva il monopolio degli interessi economici - e non - della citt`a lagunare. Nel 1806 un decreto di Napoleone I, imperatore di Francia e re d’Italia, ordina la chiusura di alcuni teatri veneziani, ad eccezione di quelli che sono destinati alla messa in scena del melodramma (ad esempio La Fenice). Questa imposizione segna il declino della Commedia e nemmeno il rientro al governo degli Austriaci consente la riapertura del “Sant’Ange- lo”, del “San Samuele” e del “San Cassiano”, che erano da sempre adibiti agli spettacoli di prosa. Sembra che le antiche glorie repubblicane siano de- stinate ad essere sepolte per sempre, insieme al teatro dialettale33

. Studi recenti rilevano che quasi l’80% delle produzioni del XIX secolo siano opere liriche34

, la forma teatrale pi`u rappresentata nel corso di questo periodo. Tuttavia, la tradizione secolare del teatro vernacolare gioca un ruolo fon- damentale nello sviluppo del teatro italiano; dalla seconda met`a del Di- ciannovesimo secolo fino ai primi anni del Ventesimo, il teatro dialettale di Piemonte, Lombardia e Veneto costituisce, paradossalmente, uno tra i pi`u significativi capitoli della storia teatrale della neonata Italia35

. In particolare in Veneto, dove la tradizione della commedia `e molto sentita, incominciano a formarsi le prime compagnie della nuova Italia Unita. Tra queste va ricorda- ta quella che Angelo Moro-Lin e sua moglie fondano nel 1868; dopo un inizio difficile, la compagnia debutta al nuovo teatro Camploy (l’ex San Samuele dei tempi di Gozzi e Goldoni). Successivamente si trasferiscono all’Apollo

31

Zorzi, Il teatro e la citt`a pag. 276.

32

Storia di Venezia.

33

de Cesco, Breve storia del teatro veneto pag. 10.

34

Joseph Farrell, A History of Italian Theatre pag. 2.

35

(ex San Luca) che diventer`a poi l’attuale teatro Goldoni. Qui vanno in scena autori come Riccardo Selvatico e Giacinto Gallina, i quali contribuiscono a garantire una continuazione della permanenza del teatro veneto sulle scene nazionali36

.

A partire dagli anni Venti del Novecento la scena teatrale veneta pu`o vantare la presenza di attori importanti come Carlo Micheluzzi, Gianfranco Giac- chetti, Gino Cavalieri e Cesco Baseggio, figure di rilievo che hanno fatto s`ı che il teatro in lingua veneta comparisse ancora in tutti i teatri nazionali. In questo periodo viene scritta anche la commedia che rappresenta la prima opera messa in scena dai produttori del Progetto, ovvero “Nina, non far la stupida! ” di Arturo Rossato e Gian Capo, una delle pi`u rappresentante del Ventesimo secolo.

In questo periodo si inserisce il lavoro di Eugenio Ferdinando Palmieri, con- siderato uno dei primi storici del teatro veneto e critico teatrale fra i pi`u importanti.

Nel Secondo Dopoguerra l’affermarsi della Biennale di Venezia contribuisce in maniera fondamentale allo sviluppo moderno del teatro in Veneto e il pi`u tradizionale teatro dialettale viene “adottato” dalle compagnie amatoriali, la cui presenza in Regione `e tra le pi`u significative in Italia. Sono loro, poi, che nel bene e nel male continuano a portare in scena autori come Rocca, Gallina o Rossato, mentre i teatri pubblici preferiscono, per tradizione o per minor rischio economico, continuare con produzioni pi`u conosciute e, quindi, pi`u remunerative.

Fatto sta che l’Italia, a differenza di altri paesi europei, pu`o vantare una secolare tradizione di teatro dialettale, ma non un’altrettanto antica tradi- zione di “teatro nazionale”37

.

La funzione storica di Venezia nel campo teatrale si esaurisce con la seconda met`a del Novecento, cos`ı come l’uso del dialetto come strumento primo di comunicazione normalmente sentito e seguito; il veneziano diventa un dialet- to di citt`a, mentre quelli degli altri centri veneti si liberano dal predominio del capoluogo regionale, aspirando, almeno artisticamente, a una propria autonomia. La citt`a si chiude in se stessa, in un isolamento che non per- mette quel ricambio generazionale di attori, autori ecc. che forse ne avrebbe

36

Joseph Farrell, A History of Italian Theatre pag. 239.

37

permesso la sopravvivenza38

. La lingua veneta si `e uniformata gradualmente alla lingua centrale dello Stato, indice questo che un teatro in lingua veneta “puro” non ha pi`u una sua ragion d’essere. Ma, nonostante tutto, il Veneto ha ancora degli autori degni di nota: forse tra tutti si deve ricordare, in cam- po drammaturgico, Renato Simoni: stimato e indiscusso critico teatrale per il Corriere della Sera di Milano, diventa l’opinion-maker del teatro veneto a lui contemporaneo. Per quanto riguarda il linguaggio usato da Simoni, diventa parte integrante della messa in scena, come se l’autore avesse creato un dialetto “tutto suo”, una “ quasi lingua”.

L’autore, invece, che porta avanti la tradizione della commedia, quella mu- sicale in particolare, `e Arturo Rossato, che con la sua Nina conosce un successo inaspettato, non solo in Veneto.

Si arriva cos`ı a Gino Rocca che, con il suo “Se no i xe mati, no li volemo”, affronta una commedia dal sapore amaro, capace di far sorridere, ma che alla fine lascia lo spettatore con la stessa angoscia e insicurezza dei personaggi in scena. Finisce con Rocca quel mito della provincia ingenua e generosa, semplice e bonaria, mentre viene presentata allo spettatore una realt`a pi`u aspra e dura39

.

Il teatro veneto chiude la sua storia gloriosa con “Quando al paese mezogior- no sona”, opera di Palmieri gi`a apprezzato critico e qui in veste d’autore. Inizia una fase di lento declino, che non impedisce, per`o, alle compagnie di portare in scena per i teatri italiani gli spettacoli tradizionali. Semplicemen- te, vengono meno le ragioni che giustificano e autorizzano l’esistenza di un teatro contemporaneo in lingua veneta40

.