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La pace e lo sviluppo materiale: dalla frenesia all’apertura

meccanica nella società aperta

3. La pace e lo sviluppo materiale: dalla frenesia all’apertura

L’idea di apertura rende pensabile la pace anche nell’ambito di una morale essenzialmente biologica. L’istinto guerriero di cui la tecnica è l’accessorio più importante potrà dunque essere trasceso nell’aspirazione verso l’apertura. Mettendo in relazione la legge storico-biologica di duplice frenesia con la dualità (anch’essa radicata nella vita) di apertura e chiusura, Bergson trova una chiave per approfondire il significato dell’industrialismo dal quale trarrà

anche una serie di prescrizioni di carattere economico-polico per il tempo presente. Nell’ultimo capitolo delle Due fonti, dopo aver riassunto il contenu- to dei tre capitoli precedenti sulle società chiusa e aperta e sulle religioni stati- ca e dinamica, egli lascia irrompere il presente nell’opera: «Ora, la distinzione fra società chiusa e società aperta, necessaria per risolvere i problemi teorici, può servirci in pratica?» (DS, 209; 288, corsivo mio). Ciò rappresenta un atto inedito nell’opera di Bergson che, se ha sempre diffidato dell’applicazione dei principi dell’utile all’ambito metafisico, si aspetta ora viceversa di risolvere problemi pratici dell’umanità su presupposti metafisici.

La storia dell’uomo, come si è anticipato nel capitolo precedente, sembra aperta a due alternative: o si abbasserà ad assecondare il funzionamento delle macchine che ha montato o sarà in grado di fare lo sforzo di volontà, generosità e intelligenza per dirigere quelle forze verso ideali che sono sembrati fino ad ora inaccessibili, come Bergson afferma nella celebre frase che chiude l’opera:

L’umanità geme, semischiacciata dal peso del progresso compiuto. Non sa con sufficiente chiarezza che il suo avvenire dipende da lei. Spetta a lei vedere prima di tutto se vuole continuare a vivere; spetta a lei domandarsi in seguito se vuole soltanto vivere, o fornire anche lo sforzo necessario perché si compia, persino sul nostro pianeta re- frattario, la funzione essenziale dell’universo, che è una macchina per produrre dèi. (DS, 243; 338).

Per evitare la catastrofe della distruzione dell’umanità sotto il peso del suo im- menso corpo meccanico, è necessario secondo Bergson un grande idealismo capace di costruire una società moralmente ispirata e guidata dagli ideali di uguaglianza e libertà. La morale dell’aspirazione e la religione dinamica svol- gono dunque un ruolo essenziale anche nell’ambito della tecnica e dell’indu- strialismo: «Non ci limitiamo a dire […] che la mistica chiama la meccanica. Aggiungiamo che il corpo ingrandito attende un supplemento d’anima, e che la meccanica esigerebbe una mistica.» (DS, 238; 330). Sebbene la tec- nica possa prestarsi anche alle peggiori distruzioni, essa non viene intesa da Bergson come autonoma, indipendente, come un potere a cui occorra porre limiti morali, spirituali o religiosi; meccanica e mistica non sono veri e propri

contrari, ma polarità che sorgono da un’alleanza e da una complementarità

aiutare a risalire «al di là della svolta», alla fonte della divergenza orginaria dove si rivela il vero senso della tecnica. La meccanica mostra allora di non essere né negativa né neutra:

Un impulso spirituale era forse stato impresso all’inizio: l’estensione si era compiuta automaticamente, servita dall’accidentale colpo di pic- cone che urtò sotto terra un tesoro miracoloso. Ora, in questo corpo smisuratamente ingrandito, l’anima resta ciò che era, ormai troppo piccola per riempirlo, troppo debole per guidarlo. […] Le origini di questa meccanica sono forse più mistiche di quanto si ritenga; essa ritrove- rà la sua vera direzione, renderà servigi proporzionati alla sua potenza, solo se l’umanità, che essa ha ancor più piegato verso terra, riuscirà per mezzo suo a raddrizzarsi e a guardare il cielo. (DS, 237-238; 330, corsivo mio).

Al contrario dei primi discorsi di guerra, nei quali Bergson applicava il dualismo intelligenza-intuizione alla vicenda politica per sostenere l’opposizione nazionalistica tra Francia e Germania, traducendolo in termini di forza bruta e forza spirituale, di meccanica e morale, e poi, a partire dalle conferenze di Madrid del 1916, in meccanica e mistica, ora egli vede nella dualità meccanica/mistica una semplice tensione tra due tendenze che si svolge sul terreno misto dell’esistenza dell’umanità. Non si tratta di un’opposizione tra due nazioni o tra l’intelligenza e l’intuizione, ma di una

tensione antropologica tra una forza che tende al ripiegamento identitario e al

conflitto, e un’altra orientata verso l’apertura universale e la pace (Worms6,

272). È importante notare come il dualismo che emerge talvolta dai discorsi di Bergson non sia mai la sua ultima parola: benché le due linee della doppia frenesia siano distinte dal prevalere della tendenza meccanicista o mistica, l’esperienza dell’una o dell’altra non consente mai di separarle. Così la natura della tecnica, pur essendo prevalentemente materiale e costitutiva del cosiddetto polo “corporeo” dell’umanità, è anche legata alla coscienza, che trova nello strumento un modo per liberare l’attività dell’uomo dalla servitù verso alcuni lavori. È per questo che Bergson non considera la tecnica come un elemento completamente neutro, chiuso o aperto a seconda dell’uso che se ne fa: la tecnica è orientata alla società aperta ed è la sua natura ambigua e

ottimistico – benché ricco di inquietudini – nei suoi confronti, tanto da farne la condizione di possibilità per la liberazione dell’umanità nell’apertura. 

Come dunque, in queste condizioni, «l’umanità può volgere al cielo un’at- tenzione essenzialmente fissa sulla terra?» (DS, 180; 249). La possibile strate- gia consiste nella messa in atto successiva o simultanea di due differenti meto- di. Ci soffermeremo ora sul primo:

Il primo [metodo] consiste nell’intensificare il lavoro intellettuale, nel condurre l’intelligenza al di là di ciò a cui l’aveva destinata la natura, in modo tale che il semplice strumento ceda il posto a un immenso siste- ma di macchine, capace di liberare l’attività umana, liberazione del re- sto consolidata da una organizzazione politica e sociale che assicuri alla meccanizzazione la sua autentica destinazione. (DS, 180-181; 249).

L’autentica destinazione del macchinismo è dunque rivolta verso la liberazio- ne dell’azione umana e l’età dell’industrialismo sembra essere la sola in cui tale liberazione sia divenuta possibile e in cui gli uomini possano raggiungere

in massa una forma superiore di umanità(Polin, 39). Questo primo metodo

rappresenta un «Mezzo pericoloso, perché la meccanica, sviluppandosi, potrà ritorcersi contro il misticismo; anzi, è in un’apparente reazione contro di esso che la meccanica si svilupperà nel modo più completo.» (DS, 181; 249-250).

Il momento presente è dunque quello in cui la tecnica è più potente e rappresenta nel contempo il rischio più grande e la più grande occasione per l’umanità. In ultima analisi la tecnica, benché possa dispiegare facilmente la sua potenza nella guerra e nella chiusura, risulta orientata alla società aperta e alla religione dinamica. Meccanica e mistica sono chiamate a completarsi per

accedere all’apertura (Worms6, 275-276).

Il potenziamento delle macchine in cui consiste il primo metodo non è però quello che ha più possibilità di riuscita, come dimostra la crisi dell’industrialismo contemporaneo, viziato da una frenesia che può essere superata solo affidandosi all’intuizione mistica, cioè recuperando la tendenza che è stata storicamente abbandonata a partire dalla modernità. Tale appello non è rivolto a qualcosa di completamente estrinseco rispetto all’industrialismo, ma al recupero di un impulso originario che ha impresso alla tecnica la sua autentica direzione, oggi deviata per «un incidente di manovra» (DS, 237; 329).

La realizzazione di un «immenso sistema di macchine» dovrà essere in ogni caso preceduta e preparata da un’altra strategia:

Si tratta di non sperare per lo slancio mistico una diffusione generale immediata, evidentemente impossibile, ma piuttosto di comunicarlo, sebbene già affievolito, a un piccolo numero di privilegiati, che insieme formerebbero una società spirituale; le società di tal genere potrebbero far sciame; ciascuna di esse, per opera dei suoi membri eccezionalmen- te dotati, darebbe vita a una o a molte altre; così si conserverebbe e si prolungherebbe lo slancio fino al giorno in cui un cambiamento profondo delle condizioni materiali, imposte all’umanità dalla natu- ra, possa permettere, dal lato spirituale, una trasformazione radicale. (DS, 181; 250).

Questo metodo è stato seguito dai grandi mistici i quali, non avendo a disposi- zione gli strumenti materiali contemporanei, si sono limitati a fondare piccole comunità nelle quali mettere in pratica forme di “microeconomia pacifica” che hanno consentito di non esser schiacciati dai bisogni materiali e di tener vivo l’élan fino al momento in cui le condizioni materiali permetteranno un cam- biamento più radicale e diffuso all’intera umanità. «L’umanità – scrive Bergson per introdurre la conclusione delle Due fonti, – si modificherà solo se vuole modificarsi. Ma forse si è già procurata i mezzi per farlo; forse è più vicina allo scopo di quanto supponga.» (DS, 224; 311).

L’umanità potrebbe dunque avere già i mezzi materiali che consentano di passare all’applicazione del primo metodo, ma tali mezzi sono bloccati in un andamento frenetico dal quale occorre uscire, finalizzando il lavoro delle macchine alla liberazione delle forze spirituali dell’umanità e alla diffusione dell’intuizione mistica.