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Suo padre all’inizio lavorava informalmente senza assicurazione Dopo tre anni ha cominciato a lavorare legalmente,

Integrazione attraverso il lavoro informale Metodo, setting e target group

E: Suo padre all’inizio lavorava informalmente senza assicurazione Dopo tre anni ha cominciato a lavorare legalmente,

con l’assicurazione. Sua madre ha sempre lavorato senza assicurazione facendo le pulizie e 4 anni fa ha avuto un brutto incidente con l’auto, ha quasi perso la vita e ora non lavora perché non può.

No [non hanno mai lavorato informalmente], fin dal nostro arrivo in Grecia i miei genitori hanno lavorato legalmente (Ne).

La condizione del lavoro informale è legata soprattutto al loro status di immigrati irregolari in Grecia, come unica opzione di sopravvivenza e integrazione socio-economica nel nuovo Paese. È ben documentato e facilmente spiegabile che gli immigrati presentino un atteggiamento disponibile al lavoro più forte rispetto alla popolazione interna, sia per la loro urgenza di acquisire le necessità primarie e rinnovare i loro permessi di soggiorno, sia che per l'esistenza di un notevole settore informale con una domanda latente di lavoro a bassa retribuzione che consente a un gran numero di clandestini di trovare lavoro153. La condizione di immigrato irregolare rispecchia lo status di più della metà degli intervistati:

Mio padre è venuto a piedi perché non aveva il passaporto

(N);

Era venuto [il padre] dalle montagne a piedi, tutte le volte che è venuto l’ha fatto a piedi; poi hanno trovato un cugino che gli ha dato documenti falsi per venire (E e M).

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Aveva bisogno [il padre] del visto ma era costoso, allora trovò un passaporto falso che usò per arrivare in Grecia e poi a Corinto (C).

Inoltre emerge, da gran parte delle interviste, l’esigenza di un lavoro come fonte necessaria di sopravvivenza. Gli immigrati accettano di eseguire qualsiasi lavoro, anche informale, per sopravvivere o per sostenere la loro famiglia, sacrificando il presente per ottenere condizioni migliori nel futuro:

L’unico motivo per cui i genitori sono venuti è per lavorare, per avere soldi. Non si preoccupavano di integrarsi, ma solo di sopravvivere (C);

lo stesso vale per Erik:

sono venuti [i suoi genitori] qui solo per lavorare, per sopravvivere, non per divertirsi;

anche Katerina esprime lo stesso concetto:

All’inizio lavoravano [i suoi genitori] informalmente, devi farlo all’inizio per sopravvivere.

Nella maggior parte dei casi presi in esame, le reti sociali sono state fondamentali nella scelta della Grecia come destinazione, perché sono state di sostegno nella ricerca di un lavoro e di un alloggio154, almeno nel periodo iniziale:

I miei genitori hanno scelto la Grecia perché avevamo parenti qui, sai, le reti sociali (K).

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Il ruolo delle reti sociali, nella ricerca di un lavoro e nel facilitare i flussi migratori verso la Grecia, è specificato, tra gli altri, nel testo di Cavounidis (2004).

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Anche i genitori di Mario ed Erik hanno scelto la Grecia perché era vicina e conoscevano parenti che vivevano già nel Paese:

Era più facile venire in Grecia (M),

Nostro padre lavorava informalmente grazie a gente che conosceva che gli ha procurato il lavoro e qualche volta ha lavorato formalmente tramite amici […] grazie ai “greci buoni” (E).

Anche Nerissa (Ne) è immigrata in Grecia per lo stesso motivo: Loro [i genitori] avevano deciso di venire qui perché abbiamo molti parenti e ci

avrebbero potuto aiutare all’inizio.

I problemi nel Paese ospitante

I problemi riscontrati nel nuovo Paese hanno riguardato principalmente la lingua; per gli intervistati, arrivati in Grecia in età infantile, è stato relativamente facile apprendere il greco nelle scuole, mentre è stato più difficile per i genitori:

Da parte mia i problemi non sono stati così grossi perché sono cresciuta qui, ho imparato la lingua come lingua madre. Ma i miei genitori hanno avuto dei problemi, sai […] quando non conosci la lingua […] (K).

Non conoscevo il greco, nulla, nemmeno buongiorno, nulla! Non potevo parlare con le insegnanti o con gli studenti ed ero molto triste (N).

L’unico problema che ho avuto da bambina è stata la lingua, ma ho imparato in pochi mesi (Ne).

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Un altro dei problemi principali è risultato essere l’acquisizione dei documenti, seguito dal razzismo e dal trovare un lavoro; questi tre elementi sembrano essere in stretta correlazione tra loro. Lo status di immigrato illegale, connesso al razzismo, non permette agli immigrati di trovare un impiego, costringendoli alla scelta di lavorare informalmente, spesso in condizioni di sfruttamento e sottopagati:

Il primo problema era avere documenti per essere legali [il] che era molto difficile, poi trovare casa e lavoro (dovevano lavorare molte ore) e poi il razzismo che era peggio rispetto ad ora (M).

..Gli albanesi che arrivavano in Grecia non avevano [...] l’opportunità di avere la Green Card o stare legalmente fino al 1997- 98 [...] Loro [i politici greci] non ci danno la carta d’identità greca, io ho dovuto aspettare più di cinque anni per averla e questa è una cosa veramente brutta, perché non potevo fare alcune cose, ero cittadino europeo ma allo stesso tempo non lo ero (P).

Razzismo! Nel primo periodo il problema era conoscere la lingua, trovare un lavoro, trovare una buona casa e tutt’ora il razzismo (E); sempre Erik, riferendosi al suo ultimo impiego nell’economia sommersa, rivolgendosi direttamente a me in inglese, afferma: “Allora cosa sono? Sono uno schiavo! [...] mi ha licenziato [il datore di lavoro] e ha assunto un ragazzo greco”.

[...] Quando ho finito l’università e sono entrata nel mondo del

lavoro ho affrontato il primo problema [problema riguardante la sua

condizione di immigrata albanese] perché i datori di lavoro erano

riluttanti ad assumere immigrati (Ne).

Il lavoro informale, l’interazione e l’integrazione

L’apprendimento della lingua del Paese ospitante, da parte degli immigrati può essere una delle condizioni minime per riuscire a guadagnare lo status regolare e superare alcuni svantaggi nel mercato del

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lavoro155. La familiarità con la lingua principale e la cultura del Paese sono anche fattori particolarmente rilevanti di un’integrazione riuscita156. L’apprendimento della lingua è sicuramente favorito dalle relazioni che gli immigrati riescono a creare con la popolazione autoctona, attraverso i rapporti informali che si stabiliscono nella sfera privata e negli ambienti di lavoro tra colleghi, in particolare nel lavoro sommerso per gli immigrati irregolari:

[…] Il lavoro informale può mettere in relazione i Greci con gli

immigrati, come mio padre: quando è venuto qui lavorava informalmente con gente greca e ha avuto l’opportunità di imparare il greco, di pensare come un Greco, questo sì. Perché doveva farlo, per far sentire il capo più in confidenza con sé e cercare di far parte di questa società e di questa comunità (K).

[...] Il lavoro informale può aiutarti a imparare la lingua, la

cultura..ma può aiutarti solo in questo, non in tutto. Penso che il lavoro li abbia aiutati molto, per prima cosa hanno cominciato a parlare con la gente, imparare le tradizioni qui in Grecia […] il lavoro ti aiuta a mangiare, ad avere una casa e tutte queste cose [...] (N).

Quando lavori devi stare molte ore in un posto, quindi devi comunicare con la gente. Avere un lavoro è molto, molto importante, se non la prima cosa da avere per essere integrato […] in Grecia devi imparare tutto da solo [...] Il lavoro ha aiutato perché lavorando hai l’opportunità di capire la gente e su 10 persone forse 5 sono razziste, ma le altre 5 ti aiuteranno (P).

Attraverso il tuo lavoro ti puoi integrare un po’ di più, perché conosci gente (M).

Se vuole lasciare la Grecia ha bisogno di un lavoro, anche informale. Il lavoro informale ha aiutato un po’ i suoi genitori a integrarsi e a imparare la lingua (E).

155

Diop (2010) p. 324.

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Ovviamente il lavoro, nel nostro caso il lavoro informale, non solo può favorire l’integrazione attraverso l’apprendimento della lingua, ma tramite l’interazione con la popolazione locale è possibile superare le barriere culturali e i pregiudizi. A volte, i legami che si creano, si muovono oltre il livello di una semplice relazione interpersonale, e diventano le reti “miste” di assistenza nel collocamento, l'insegnamento della lingua greca e l'aiuto materiale157, quelli che Erik chiama, durante l’intervista, i “greci

buoni” e come afferma anche Panos: “ i miei genitori hanno trovato aiuto nei Greci qui a Corinto”.

Gradualmente, con il passare del tempo, il lavoratore immigrato acquisisce competenze e con esse la possibilità di negoziazione con i datori di lavoro o l’occasione di lasciare un lavoro di cui non è soddisfatto158. Come risulta dalle interviste, soprattutto per gli uomini piuttosto che per le donne, l’impiego nel lavoro informale è solo una condizione iniziale:

Ora mio padre è sempre ingegnere meccanico nella solita compagnia da 17 anni ed è un capo meccanico in questa industria e mia madre da 12 anni è proprietaria di un minimarket (P).

Mio padre sempre come muratore ma formalmente, mia madre sempre informalmente (N).

Mia mamma lavora sempre nelle pulizie per una banca, mentre mio padre è idraulico (K).

157

Hatziprokopiou Panos (2004), Balkan immigrants in the Greek city of Thessaloniki. Local processes of

incorporation in an international perspective, University of Sussex, London, pp. 321-338.

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Secondo quando affermato da Triandafyllidou et al. (2009), diversi studi suggeriscono che l'immigrazione albanese in gran parte ha superato la condizione di illegittimità occupazionale; la partecipazione degli immigrati ai sistemi di assistenza sociale è aumentata e hanno raggiunto mobilità socio-economica e professionale verso l'alto. Questo è particolarmente vero per gli uomini albanesi, mentre le donne albanesi appaiono intrappolate nel settore dei servizi (pulizia, ristorazione e assistenziale), con condizioni prevalentemente informali di lavoro159.

L’integrazione riguarda diverse dimensioni e non sempre a un’integrazione socio-economica corrispondono anche un’integrazione legale-politica e socio-culturale. La strada per l'integrazione completa può durare tutta la vita. Ad ogni passo del cammino, ogni dimensione incide sull’altra, in una rotazione ciclica, attraverso aggiustamenti graduali e reciproci degli immigrati e della popolazione nativa.

Gli immigrati acquisiscono una migliore comprensione della lingua, della cultura e delle abitudini greche. D'altra parte, sono i greci a imparare ad accettare gli “Altri” nelle loro differenze, riconoscendone il valore e il beneficio della diversità culturale per la società greca160.

La strada per l’integrazione è particolarmente ardua per gli immigrati di seconda generazione e per coloro che sono cresciuti in Grecia, ma sono nati ufficialmente in Albania: sono riconosciuti come albanesi, ma il loro punto di riferimento è la Grecia, è lì che sono cresciuti,

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Triandafyllidou, Maroufof, Nikolova (2009) p. 81.

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hanno studiato e hanno socializzato161; per questo, alla mia domanda se si sentono integrati, alcuni degli intervistati hanno risposto:

No, non mi sento integrata, perché per i Greci sono la ragazza albanese e quando vado in Albania sono la ragazza greca. Mi sento come senza […] nel mezzo […] (N).

Si sente integrato a metà, non si sente molto greco, è albanese e non può cambiare, ma accetta il modo di vivere in Grecia, le condizioni di vita. Gli piace vivere qui perché ha imparato tutto in Grecia, tutto quello che conosce è in Grecia [...](M).

Si sente un po’ integrato, una piccola parte di lui è greca ma vorrebbe essere più greco, avere la carta d’identità. E’ in Grecia da venti anni ma il Paese non gli dà la carta d’identità, solo un permesso simile alla “Green Card”, può vivere in Grecia liberamente ma deve sempre tornare alla polizia per rinnovare il permesso e pagare (E).

Faccio il mio meglio per non essere diversa dagli altri […] sai io so l’albanese, posso leggere, scrivere, parlare in albanese, ma questo è stato un mio compito, nessuno mi ha aiutato a farlo, perché io volevo farlo. L’Albania non mi ha dato nulla […] non mi sento in colpa per questo, ma [piange] la Grecia è il mio Paese! [...] Devo nascondere la mia origine albanese quando sono in Grecia e allo stesso tempo devo considerare la mia cultura greca quando sono in Albania (K).

Il mio particolare problema ora, come per altre 20,000 persone, è che sono albanese, ma tecnicamente nato in Grecia, vissuto in Grecia, sono greco, la mia mentalità è greca, non ho molti legami con la mia origine, con l’Albania (P).

Nonostante le loro percezioni, adesso in Grecia di Albanesi si parla sempre meno, come sostengono gli intervistati stessi:

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71 Ora nel 2016 la comunicazione e l’informazione sono nella nostra vita; la reazione è minore o comunque migliore rispetto ad altre razze, per esempio il problema adesso non è con gli albanesi ma con i Siriani e gli Africani (P).

Le persone sono migliorate dal ’99, perché molte altre persone di diverse nazionalità sono arrivate in Grecia (C).

Il lavoro informale contribuisce ed ha contribuito a compiere per gli immigrati irregolari albanesi in Grecia un primo gradino verso l’integrazione, attraverso la spinta (anche inconscia) all’apprendimento della lingua, dei costumi e della cultura del Paese ospitante, tramite il contatto “forzato” con i colleghi e i datori di lavoro autoctoni e permettendo l’accesso ai beni di prima necessità.

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Conclusioni

Ho lavorato sul tema dell’immigrazione e del lavoro informale durante il mio periodo di tirocinio avvenuto in Grecia, tra Settembre e Dicembre 2016. La scelta del soggetto è avvenuta quasi in maniera naturale, vista la centralità che ha acquisito in questo particolare periodo l’argomento, in particolare l’immigrazione albanese perché in Grecia ha rappresentato un fenomeno di vasta portata negli anni passati. Ho approfondito il tema dell’integrazione di questa popolazione raggiunta attraverso il lavoro informale, cui gli immigrati irregolari sono “costretti”. L’esperienza di lavoro sul campo è stata fondamentale per raccogliere le informazioni, la documentazione e le interviste.

L’immigrazione è un fenomeno sociale che rispecchia il periodo storico e il contesto sociale; in particolare l’immigrazione albanese in Grecia, soprattutto negli anni ’90, riflette i cambiamenti politici avvenuti in Albania dopo la caduta della cortina di ferro e la speranza per condizioni di vita migliore che si profilava con l’emigrazione verso la Grecia.

Una prima considerazione che deriva dalle interviste riguarda la necessità dell’immigrazione come unico strumento, fondamentale per la sopravvivenza e che porta con sé la speranza e l’aspettativa di un futuro migliore.

Secondariamente la scelta della Grecia appare logica, non soltanto per la presenza di reti parentali oltre la frontiera albanese (che rappresentavano un aiuto concreto per i nuovi arrivati), ma anche per la facilità di attraversamento dei confini che avveniva, come risulta dalle

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interviste, a piedi o in bus e spesso con il possesso di documenti illegali. Probabilmente i controlli alle frontiere greche erano i più facili da schivare. La terza riflessione riguarda l’inserimento nel settore informale dell’economia greca: lo status di immigrato irregolare e quindi senza documenti validi, ha costretto la maggior parte degli immigrati in attesa di riconoscimento, alla collocazione in questo settore occupazionale, almeno nel periodo iniziale, come unica condizione per ottenere i mezzi di sostentamento.

D'altronde l’economia informale in Grecia risultava ricoprire già un ampio settore ed ha rappresentato terreno fertile per gli immigrati, che hanno trovato impiego come braccianti nell’agricoltura, come muratori o nel settore della cura alla persona; così è stato anche per i genitori degli intervistati.

Purtroppo però, chi lavora nella sfera informale è spesso sottoposto a condizioni di sfruttamento, senza benefici assistenziali e con paghe molto ridotte. Ed è questo che tendenzialmente è emerso anche tramite le interviste.

Con un ulteriore riflessione, non limitandosi agli aspetti negativi del lavoro informale e approfondendo le interviste, possiamo carpire il lato positivo che deriva dal lavorare nel settore informale: attraverso i legami che si creano con i colleghi ed il datore di lavoro si riesce ad entrare in contatto con la cultura del Paese ospitante, a conoscerne la lingua e a crearsi una nuova rete di aiuto; oltre che, ovviamente, ad ottenere uno stipendio, seppur minimo, per i beni di prima necessità.

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Inoltre il lavoro informale appare essere un primo passo verso l’integrazione, soprattutto per la generazione di immigrati che è arrivata in Grecia in età adulta e non aveva l’appoggio delle istituzioni (come la scuola) per imparare la lingua e creare nuovi legami.

Per gli intervistati, giunti in Grecia in tenera età, le istituzioni, soprattutto il sistema scolastico, appaiono invece fondamentali nell’apprendimento della lingua e nella creazione di relazioni informali.

Una quinta riflessione induce a pensare che, probabilmente non avendone sperimentato in prima persona i benefici, per gli immigrati di seconda generazione o per quelli arrivati in età infantile o adolescenziale (com’è il caso per il mio target group), il lavoro informale non ha, a primo impatto, valore positivo, ma arrivano a riconoscerne il merito nel processo di integrazione solo dopo domande approfondite.

Il creare legami e l’acquisire competenze attraverso il lavoro informale determina la possibilità di riuscire successivamente ad ottenere impieghi più appaganti ed apprezzabili e (allo stesso modo è stato per i genitori degli intervistati), quindi, di compiere un ulteriore passo verso l’integrazione.

La sesta riflessione riguarda le politiche di integrazione e amnistie che nel tempo, sono sorte nel Paese e che hanno favorito l’acquisizione dei documenti da parte degli immigrati, anche se, come lamentano gli intervistati, i tempi di attesa sono infinti e la sensazione che ne sembra risultare è quella di stare in bilico tra il Paese di origine, l’Albania, e il

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Paese dove gli intervistati sono cresciuti, la Grecia, senza avere una forte appartenenza identitaria verso nessuno dei due Paesi.

Il lavoro informale rimane tuttavia solo un piccolo tassello nella costruzione del puzzle verso l’integrazione. Il processo è lungo e tortuoso ed è reso più arduo dalla stessa popolazione autoctona che, come elencano gli intervistati tra i problemi principali riscontarti, discrimina gli immigrati.

In ultima considerazione, rispecchiando le interviste, oggi la principale preoccupazione per la Grecia non sembra essere rappresentata dagli Albanesi, ma riguarda le nuove ondate di immigrati provenienti dal Medio Oriente; la popolazione ospitante sembra aver dimenticato la presenza di immigrati albanesi e fortunatamente le nuove generazioni appaiono agli intervistati di più “larghe vedute”, o forse sono semplicemente più impegnate a “difendersi” dai nuovi arrivati.

Attraverso il lavoro informale, sarà favorita l’integrazione degli immigrati nel Paese ospitante e, attraverso questa, il dissolvimento degli stereotipi che creano spesso paura e diffidenza, con la prospettiva di un mondo più aperto all’accoglienza e all’accettazione dell’altro.

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APPENDICE I

Questionario

1. When and how did you come to Greece? Why did you choose

Greece?

2. Which problems did you face? And which problems do you

face now?

3. How do people react when you say that you come from

Albania?

4. Do you feel integrated?

5. What does it mean to be Albanian in Greece for you?

6. Have you/your parents ever worked informally? If yes, which kind of job?

7. What is your job now? What is the job of your parents now? 8. How did you/your parents get a formal job?

9. In your opinion, can an informal job lead to integration? (I mean social integration, language, culture). How has the work helped you/ your parents in integration?

10. Have you had more difficulties to find a job than the local population?

11. Do you have to use special tricks to integrate yourself?

12. Do you mainly socialize with people from your country or with Greeks?

13. What do you think about the arrivals of new migrants?

14. Have you/your parents ever had trouble with the authorities? 15. Where do you see yourself in the future? Will you move to

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APPENDICE II

Interviste

Alcune delle interviste sono avvenute non in maniera diretta, ma sono state raccolte nel focus group, con la mediazione di una traduttrice; per questo non le ho trascritte in corsivo.

1. When and how did you come to Greece? Why did you choose Greece?

K: Sono venuta qui quando avevo due anni, nel 1996, i miei genitori

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