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L'informalità come mezzo di integrazione: il caso dei migranti albanesi a Corinto.

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Academic year: 2021

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Sono un cittadino, non di Atene o della Grecia, ma del mondo.

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II INDICE Abstract………pag. IV Introduzione……….….pag. 1 CAPITOLO I L’immigrazione………pag. 3 CAPITOLO II L’economia informale……….………pag. 23 L’integrazione………pag. 35 CAPITOLO III Politiche di integrazione…..……….pag. 43 CAPITOLO IV

Integrazione attraverso il lavoro informale……….pag. 55

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III Conclusioni………pag. 72 APPENDICE I Questionario……….pag. 76 APPENDICE II Interviste……….pag. 77 Bibliografia……….pag. 102 Ringraziamenti……….pag. 111

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IV

Abstract

La scelta del tema dell’integrazione degli immigrati albanesi è nata durante il mio tirocinio Erasmus, svolto a Corinto, in Grecia tra Settembre e Dicembre 2016. In questo Paese la popolazione immigrata albanese rappresentava negli anni ‘90 il primo nucleo di immigrati e, nel Dicembre 2014, il 69% del totale della popolazione immigrata regolare.

La maggior parte della popolazione albanese giungeva in Grecia con lo status irregolare e a causa di questa condizione era costretta a trovare impiego nel settore informale.

Attraverso la raccolta di documentazione e la somministrazione di interviste qualitative durante il tirocinio sono riuscita ad indagare su come il lavoro informale possa essere veicolo di integrazione.

L’integrazione attraverso questo settore d’impiego è determinata dalla creazione di legami, dalla conoscenza della lingua e della cultura del Paese ospitante, oltre che dall’ottenimento di un minimo stipendio per soddisfare i bisogni minimi. La combinazione di questi fattori risulta quindi compensare le politiche di integrazione che in Grecia sono spesso risultate deboli o sorpassate.

Attraverso l’integrazione e la relazione con l’altro, gli stereotipi scemeranno a favore dell’accettazione dell’altro.

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V

Abstract

The choice of the theme of integration of Albanian immigrants was born during my Erasmus internship held in Corinth, Greece, between September and December 2016. In this country the Albanian immigrant population represented in the '90s the first group of immigrants and, in December 2014, the 69% of the total immigrant regular population.

Most of Albanian arrived in Greece as irregular migrants in term of status and because of this were forced to find employment in the informal sector.

Through the collection of documentation and qualitative interviews during the internship I was able to address how informal work can be a vehicle of integration.

The integration in this underground sector is determined by the creation of networks, by learning the host country's language and culture, as well as by obtaining of a minimum wage to fulfill the minimum needs. The combination of these factors likely counteracts the integration policies that in Greece are often weak or outdated.

Through the integration and the relationship with each others,

stereotypes will fade away and the acceptance of the others will be more favorable.

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1

Introduzione

La ricerca che presento è stata svolta durante il mio tirocinio Erasmus in Grecia; la tesi che propongo di verificare riguarda la possibilità di riuscire a integrarsi per la popolazione immigrata irregolare albanese, attraverso il lavoro informale.

Durante il tirocinio, svoltosi a Corinto tra Settembre e Dicembre 2016, mi sono occupata, in particolare della popolazione albanese, che ha rappresentato il primo nucleo di immigrati in Grecia negli anni ’90 e che costituiva nel Dicembre 2014 il 69% della popolazione immigrata regolare nel Paese.

L’immigrazione in gran massa degli Albanesi ha risvegliato nella popolazione greca sentimenti xenofobi che sono stati accresciuti dai media e dai discorsi politici.

La maggior parte degli Albanesi arrivava in Grecia in maniera irregolare e questo li costringeva a impieghi informali per ottenere bisogni primari. D’altronde in Grecia il settore informale era già ampiamente sviluppato.

Le politiche di integrazione hanno ritardato ad arrivare, sia in Grecia sia nell’Unione Europea, e sono state spesso inefficienti; dimostrerò quindi come il lavoro informale ha, a suo modo, aperto e contribuito ad aprire la strada verso l’integrazione per molti immigrati irregolari.

Ho raccolto diversa documentazione e somministrato interviste qualitative, affrontando i temi dell’integrazione e del settore informale; attraverso questo lavoro ho cercato di cogliere le diverse problematiche

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2

nell’integrazione dagli Albanesi in Grecia e in particolare il modo in cui il lavoro nero ha contribuito al processo integrativo.

Tramite il materiale raccolto, approfondirò nel primo capitolo il tema dell’immigrazione, passando dalle caratteristiche migratorie del Sud Europa a quelle dell’immigrazione albanese in Grecia.

L’immigrazione, in particolare quella irregolare, è invariabilmente legata al settore informale dell’economia; è questo l’aspetto che approfondirò nel secondo capitolo, cercando di evidenziare l’impiego della manodopera immigrata albanese nel sistema economico informale greco. A seguire esaminerò l’integrazione, rintracciando le conseguenze positive dell’impiego lavorativo degli immigrati, e analizzandone le varie dimensioni.

Nel terzo capitolo affronterò il tema dell’integrazione come strategia politica dell’Europa e della Grecia, per una maggiore coesione sociale e per un maggiore controllo dell’immigrazione.

Infine, nell’ultimo capitolo darò ragione empirica, attraverso il riferimento alle interviste realizzate, di quanto voluto sostenere, cioè dell’acquisizione dell’integrazione tramite il lavoro informale.

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CAPITOLO I

L’Immigrazione

Una delle caratteristiche fondamentali dei comportamenti umani è la mobilità. L’immigrazione non rappresenta un fenomeno recente, ma è interconnessa con la storia della società umana e come fenomeno sociale riflette ed è condizionato dal periodo storico in cui avviene. Da sempre le persone sono migrate per evitare disastri naturali, guerre, povertà, per riunirsi con i membri della loro famiglia, per scambiare idee o beni con le altre popolazioni1.

Tra il 1750 e il 1960 l’Europa è stato il primo continente per il numero di emigrati (circa settanta milioni di persone). Solo negli ultimi '50 anni quasi tutti i Paesi dell’Europa Occidentale sono diventati destinazione di immigrazione internazionale. Nel 2007, quarantadue milioni di persone residenti nell’Unione Europea erano regolari migranti internazionali e degli stessi Paesi Ue; essi rappresentano l’8.3% della popolazione dell’Europa Centrale e Occidentale; di questi, circa 14 milioni provengono dagli stessi Paesi dell’UE2.

Penninx3 distingue tre raggruppamenti nei quali possono essere raccolte le varie origini dei migranti in Europa dal 1980: a) migranti

provenienti dalle ex colonie europee; b) migrazione di rifugiati; c) migranti

1 Hatziprokopiou Panos Arion (2006), Globalisation, Migration and Socio-Economic Change in

Contemporary Greece, Processes of Social Incorporation of Balkan Immigrants in Thessaloniki, IMISCOE

Dissertation, Rotterdam, p. 340.

2 Münz Ranier (2008), Migration, Labor Markets, and Integration of Migrants: An Overview for Europe,

Hamburg Institute of International Economics, Hamburg, p. 56.

3

Penninx Rinus, Berger Maria and Kraal Karen (2006), The Dynamics of International Migration and

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per la manodopera, attraverso la quale sono connessi i paesi di invio con quelli di ricezione.

Queste caratteristiche mostrano come la migrazione sia cambiata con la globalizzazione, che ha permesso la moltiplicazione, la diversificazione e la trans-nazionalizzazione dei flussi migratori.

Non solo cambiano la struttura e gli schemi di movimento, ma diventano cruciali anche le implicazioni politiche, economiche e culturali.

Il Sud Europa

I Paesi dell’Europa Mediterranea (nello specifico Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna), negli ultimi 25-30 anni hanno particolarmente subito la pressione migratoria. Il Sud Europa ha cambiato la sua condizione di migrazione, divenendo destinatario e destinazione permanente per gli immigrati, a differenza dei Paesi dell’Europa Settentrionale che si erano scontrati con il fenomeno migratorio già negli anni precedenti.

Gli elementi che possono spiegare il cambiamento da Paesi di invio a Paesi di ricezione sono diversi: l’integrazione nell’UE di diversi Stati del Sud Europa e la rapida trasformazione delle loro economie, l’espansione del settore terziario e la conseguente domanda di lavoro flessibile. Il Sud Europa costituisce un “caso speciale” di capitalismo europeo, caratterizzato da ritardo nell’industrializzazione, ampio settore agricolo e turistico, sviluppo urbano speculativo e una vasta economia informale basata sull’apporto familiare; inoltre, la natura fluida delle economie meridionali, basata sul turismo, il commercio e il trasporto, ha spesso

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permesso l'ingresso legale dei migranti (come turisti e visitatori) che hanno poi continuato a rimanere illegalmente dopo che i loro visti erano scaduti; coste estese e confini facilmente attraversabili hanno facilitato ulteriormente l'ingresso dei migranti4.

Queste caratteristiche hanno permesso di chiamare questa struttura “modello di migrazione del Sud Europa”, che si distingue dal modello del Nord Europa per: la sua ampia illegalità connessa alle politiche restrittive e ai controlli migratori imposti dall’UE; la molteplicità e l’eterogeneità delle popolazioni migranti; l’asimmetria della composizione di genere (prevalentemente maschile); la differenziazione della provenienza geografica, culturale e sociale dei migranti; la coesistenza di migrazione con un alto tasso di disoccupazione e sottoccupazione nei Paesi riceventi5.

A confronto con il resto dell’Europa, nel Sud i giovani hanno possibilità più scarse di ottenere un lavoro; il buon livello di istruzione dei giovani e i legami familiari creano grandi aspettative e pospongono la possibilità di un collocamento nel mercato occupazionale. Inoltre la ristrutturazione dell’economia e l’ingresso nel mondo del lavoro da parte delle donne hanno portato al rifiuto di alcuni posti di impiego da parte della popolazione locale. L’aspirazione verso professioni sicure e dignitose della popolazione indigena ha causato una mancanza di volontà

4

Busquin Philippe, Vitorino Antonio, Diamantopoulou Anna, (2003), Migration and social Integration of

Migrants, Office for Official Publications of the European Communities, Luxemburg, p. 84.

5

Kasimis Charalambos and Papadopoulos G. Apostolos (2007), The multifunctional role of migrants in

the Greek countryside: implications for the rural economy and society, Ed. Routledge, Brighton, pp.

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nell’accettare lavori meno pagati e impegnativi, lasciando aperto lo spazio per i migranti in arrivo6.

La maggior parte degli immigrati che è arrivata nell’Europa Mediterranea non ha un permesso di soggiorno, ma è riuscita a ottenerlo in seguito grazie ai percorsi di regolarizzazione avviati in diversi periodi dagli Stati (dal 1986 cinque in Italia, quattro in Spagna, tre in Portogallo e uno in Grecia). Tenendo conto di tutte le domande presentate per la legalizzazione, Reyneri ha stimato quanti migranti vivevano senza autorizzazione fino al 2002: tre su quattro persone in Italia, più della metà in Spagna, oltre il 30% in Portogallo e in Grecia una su dieci persone7.

Tabella 1: Immigrati non autorizzati che si sono avvalsi dei sistemi di regolarizzazione (migliaia) Fonte:Reyneri E., Illegal immigration and the underground economy, in: National Europe Centre Paper No. 68, 2003

6 Triandafyllidou Anna, Maroufof Michaela, Nikolova Marina (2009), Greece: Immigration towards

Greece at the Eve of the 21st Century. A Critical Assessment, IDEA working Paper, Athens, p. 81.

7

Reyneri Emilio (2003), Illegal immigration and the underground economy, National Europe Centre Paper No. 68, University of Milan Bicocca, p. 21.

Anno Italia Spagna Francia Portogallo Grecia

Popolazione 57,000 39,000 58,000 9,000 10,000 1981-82 1985-86 1986-87 1990 1991 1992-93 1995-96 1996 1998-99 2000 2001 2002 1118,7 217.7 238.2 193.2 695.0 43.8 108.3 21.3 200.0 121.1 80.6 39.2 21.8 147.5 373.0

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Stime più recenti sviluppate da Maourikis8 calcolano che a Dicembre 2011 gli immigrati irregolari in Grecia raggiungevano un picco di 390,000 persone.

In tutti i Paesi dell’Europa Meridionale è proibito, ai cittadini di uno Stato non UE, senza un permesso di soggiorno per lavoro, ottenere un’occupazione regolarmente registrata. Per entrare legalmente in un Paese è necessario avere un permesso di lavoro in anticipo; al contrario, le persone con visti differenti (studenti, turisti, per motivi di salute o per visitare i parenti) non sono autorizzati a lavorare9.

Reyneri (2003) individua quattro percorsi seguiti dai lavoratori immigrati, non appartenenti all’Unione Europea, per vivere in Grecia, Italia, Portogallo o Spagna:

1. Attraversando illegalmente i confini (nascosti in treno, autobus o camion) o dal mare;

2. Entrando con un permesso di breve durata e trattenendosi dopo la sua scadenza;

3. Utilizzando documenti falsi procuratisi nel Paese d’origine; 4. Arrivando come richiedenti asilo, e non lasciando il Paese

ospitante se l’autorizzazione è negata.

Il primo percorso è utilizzato prevalentemente dai migranti che entrano in Grecia e in Italia.

8 Maroukis Thanos (2009), Undocumented Migration: Counting the Uncountable. Data and Trends across

Europe, Research Fellow, Hellenic Foundation for European & Foreign Policy, European Commission,

Athens, p. 94.

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Dalla metà del 1990 sono stati intensificati i controlli alle frontiere marittime e terrestri; così, anche grazie agli accordi di riammissione stipulati con i Paesi di origine, il numero dei migranti clandestini non ammessi al confine è aumentato notevolmente, allo stesso modo sono aumentati i migranti deportati, senza permesso di soggiorno. I Paesi dell’Europa Meridionale rimangono comunque caratterizzati dalla loro bassa capacità governativa nel regolare la migrazione internazionale.

Il caso della Grecia

Prendendo in esame, in modo particolare la Grecia, è possibile affermare che per gran parte della sua storia, dall’indipendenza dall’Impero Ottomano nel 1820, ha provveduto a “dispensare” lavoratori migranti; è soltanto dall’inizio degli anni ’90 che la «Grecia moderna è diventata recipiente di immigrazione»10.

La prima ondata massiccia di emigrati dalla Grecia ha avuto luogo nel periodo tra la fine del 1890 e l’inizio del ventesimo secolo, innescata dalla crisi finanziaria dovuta alla rapida caduta del prezzo dell’uva sultanina, di cui la Grecia era il massimo esportatore. È stato stimato che in questo periodo circa mezzo milione di persone emigrò verso gli Stati Uniti11.

Un’altra imponente emigrazione dalla Grecia è stata associata con le conseguenze della guerra civile (1946-1949) e con il periodo di dittatura

10 Danopoulos C Andrew and Danopoulos P. Constantine (2004), Albanian Migration into Greece: The

Economic, Sociological, and Security Implications, Mediterranean Quarterly Vol. 15 Iss. 4, Duke University Press, Durham, pp. 100-114.

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militare (1967-1974): al finire della guerra civile del 1949, conclusasi con l’occupazione tedesca, migliaia di persone, che avevano combattuto per difendere il comunismo, emigrarono verso l’Unione Sovietica e gli altri Stati del Blocco; oltre alle 130,000 persone costrette a chiedere asilo in altri Paesi come rifugiate politiche12.

A partire dal 1955, ingenti flussi di immigrati partivano dalla Grecia per raggiungere gli Stati Uniti, l’Australia, il Canada e l’Europa Occidentale (in modo particolare la Germania); tra il 1955 e il 1975 più di un milione di persone aveva lasciato la Grecia. I Greci emigravano per fuggire alla povertà, alla disoccupazione e alla repressione politica; rappresentavano l’«esercito di riserva del lavoro per le industrie dell’Europa del Nord e per il bisogno di manodopera in altri settori a basso stato di occupazione»13.

Le crisi petrolifere del 1973 e del 1980 hanno causato un declino economico generale e hanno fatto diminuire la richiesta di manodopera lavorativa. Questo ha portato all’introduzione di politiche immigratorie restrittive e al ritorno della migrazione; i flussi migratori di rientro in Grecia in questo periodo hanno sovrastato i flussi in uscita, tanto che il Servizio Nazionale Greco di Statistica ha smesso dal 1977 di raccogliere i dati sull’emigrazione dalla Grecia14.

12 Triandafyllidou, Maroufof, Nikolova (2009) p. 81. 13

King Russell (2000), Southern Europe and the Changing Global Map of Migration, in Eldorado or

Fortress? Migration in Southern Europe, ed. Russell King, New York, pp. 3-26.

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Grafico 1: Media annuale del numero di emigrati e immigrati di ritorno per mille residenti. Fonte: Papadakis (1990) pp. 63-64

La migrazione di ritorno è solitamente innescata da una serie di fattori economici, politici e sociali, sia del paese ospitante che del paese di invio15.

In conformità a quanto affermato da Maria Vergeti (2003) e ripreso nel lavoro di Triandafyllidou, Maroufof e Nikolova (2009), la motivazione principale per il rientro dei Greci in patria dagli Stati Uniti e dal Canada era la nostalgia, mentre per coloro che ritornavano dal centro e sud Africa era l’instabilità politica, i conflitti razziali e civili. Inoltre i Paesi dell’Europa Occidentale dopo il 1973, avevano fermato l’arrivo di nuovi lavoratori stranieri e la nuova politica restrittiva, connessa con la depressione economica, forzò a un ritorno della migrazione, soprattutto dalla

15

Kasimati (1984) in Triandafyllidou, Maroufof, Nikolova (2009) p. 81. 0 2 4 6 8 10 12 1955-1959 1960-1966 1968-1997 1969-1972 1973-1977 Emigrazione Migrazione di ritorno

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Germania16. In aggiunta in Grecia nel 1974 fu instaurata la democrazia e si erano create nuove prospettive di crescita economica dovute all’entrata nella Comunità Economica Europea avvenuta nel 1981.

Nel 1980 le circostanze socio-economiche in Grecia non erano delle migliori: il tasso di disoccupazione per i migranti rientrati era più alto rispetto a quello dei locali a causa dell’incongruenza delle capacità degli stessi migranti e la richiesta del lavoro; inoltre, coloro che ritornavano erano più selettivi nella ricerca dell’occupazione. A causa di questi fattori molti migranti in rientro decidevano di diventare lavoratori autonomi17.

Le politiche statali greche si dotarono di strumenti in modo tale da affrontare i problemi degli immigrati di ritorno, ma erano volte principalmente a risolvere problemi immediati, senza una prospettiva per il futuro18.

Con la migrazione di rientro il bilancio migratorio in Grecia cominciò a essere positivo dal 1970 e l’immigrazione cominciò a crescere agli inizi del 1980, grazie ad un ristretto numero di Africani, Asiatici e Polacchi che si insediarono in Grecia e cominciarono a lavorare nel settore edile, nell’agricoltura e nei servizi domestici. Il censimento del 1991 registrò 167,000 stranieri, leggermente al di sopra dell’1% della popolazione residente in Grecia.

L’immigrazione verso la Grecia crebbe drasticamente dopo il collasso dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est e la caduta della Cortina

16

Triandafyllidou, Maroufof, Nikolova (2009) p. 81.

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Triandafyllidou, Maroufof, Nikolova (2009) p. 81.

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di Ferro nel 1989, soprattutto grazie all’insediamento della popolazione dei Paesi vicini, in particolare Albania e Bulgaria19.

La causa del cambiamento della situazione migratoria in Grecia è attribuita ad alcuni fattori fondamentali: trasformazioni geopolitiche in Europa e nelle regioni dei Balcani; il collasso del Comunismo; la scomposizione del mercato del lavoro e del welfare nell’Europa del centro e del sud-est; la sua particolare posizione geografica, il suo accesso alla Comunità Economica Europea (EEC) nel 1981 e infine la crescita del livello di vita e dell’educazione dei giovani nativi greci, i quali cominciarono a rifiutare lavori stagionali e nell’economia informale, cercando occupazioni secondo il loro livello di qualificazioni, con retribuzioni più alte. La somma di questi elementi ebbe come risultato la crescita massiva dell’immigrazione in Grecia; inoltre, il rifiuto da parte della popolazione locale di alcuni impieghi lavorativi all’estremità più bassa della scala occupazionale, creò una riserva di lavoro disponibile per gli immigrati. Oltre a questo gli immigrati risposero a un deficit demografico, vissuto nella zona rurale e dovuto all’emigrazione da queste aree20.

Il censimento del 200121 registrava 797,091 stranieri residenti in Grecia, di questi 750,000 erano provenienti dai Paesi non compresi nell’EU-15 (in questa cifra non è compresa la popolazione greca rimpatriata in Grecia dai paesi dell’Unione Sovietica). Secondo le rilevazioni statistiche, gli anni del 1992 e 1993 sono quelli in cui è stato

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Hatziprokopiou (2006) p. 340.

20 Kasimis Charalambos, Papadopoulos G. Apostolos and Zacopoulou Ersi (2003), Migrants in Rural

Greece, Sociologia Ruralis, Department of Social Science Wageningen University, Amsterdam, pp. 167-184.

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registrato il più alto influsso di immigrati. La popolazione immigrata, tra il 1983 e il 2005, compresi i ritorni di co-etnici e di irregolari, ha raggiunto la cifra di 1,138,021 persone.

Grafico 2: Evoluzione della popolazione immigrata Fonte: Servizio Nazionale Statistico della Grecia

Una parte dei nuovi arrivati era composta da persone di origine greca, provenienti dall’ex Unione Sovietica e dai Paesi dell’Est europeo; la maggior parte arrivava dai Paesi vicini, nello specifico più della metà della popolazione straniera proveniva dall’Albania: nel 2001 i cittadini albanesi rappresentavano approssimativamente il 60% del totale della popolazione immigrata (non c’è in Europa altro paese nel quale una singola comunità copra più del 50% della presenza straniera complessiva22; equivalente ad un sesto della popolazione in Albania nello stesso anno: 3,145,000) per un totale generale di immigrati di 797,091. Nel 2008 gli Albanesi

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Cortese Antonio (2006), L’immigrazione nei paesi dell’Europa mediterranea: il caso della Grecia, Rivista italiana di economia demografia e statistica, Roma, pp. 79-98.

0 100000 200000 300000 400000 500000 600000 700000 800000 1951 1961 1971 1981 1991 2001

Evoluzione della popolazione immigrata

Evoluzione della popolazione immigrata

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rappresentavano più del 70% della popolazione straniera legalmente residente in Grecia.

Il grafico soprastante mostra l’evoluzione della popolazione immigrata tra il 1951 e il 2001; il piccolo declino nell’immigrazione tra il 1981 e il 1991 è attribuito alla considerevole proporzione di immigrati non registrati, che non compaiono nel censimento del 1991.

Sempre secondo il censimento del Servizio Statistico Nazionale della Grecia, nel 2001 la ragione principale di immigrazione era la ricerca di un lavoro, seguita dalla riunificazione familiare, mentre la percentuale dei richiedenti asilo e dei rifugiati era piuttosto bassa (vedi Grafico 3, sottostante).

Grafico 3: Ragioni di insediamento della popolazione immigrata.

Fonte: Servizio Statistico Nazionale della Grecia, Censimento 2001

Ragioni di insediamento

Lavoro Rimpatrio Riunificazione familiare Studio Richiesta Asilo Rifugiati Altro

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Gran parte della popolazione immigrata è irregolare, cioè senza nessuno status legale nel Paese in cui risiede e per questo soggetta all’ordine di lasciare il Paese o all’espulsione dallo stesso. Il paesaggio della politica di migrazione si intreccia con le strategie dei migranti nel particolare ambiente economico della Grecia, creando un contesto particolare per la produzione di irregolarità.

Maorukis23 distingue quattro tipi di immigrati irregolari:  clandestini;

 coloro a cui è scaduto il visto;  richiedenti asilo respinti;

 migranti regolarizzati che ricadono nella illegalità.

Queste tipologie derivano dall’azione combinata delle strategie dei migranti con il malfunzionamento delle leggi sull’immigrazione nel Paese ospitante, che non lasciano alcuna opzione per un soggiorno legale in Grecia.

Nel 1990 la maggior parte degli immigrati irregolari proveniva dall’Albania.

L’immigrazione albanese in Grecia

La popolazione albanese è quella che maggiormente si è spostata verso la Grecia: durante il regime di Enver Hoxha l’Albania è stata ampiamente tagliata fuori dai contatti con il resto del mondo, tranne che

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con la Cina e l’Unione Sovietica. Insieme alla Corea del Nord, l’Albania era uno dei regimi più chiusi e xenofobi nel mondo: viaggiare era proibito, come pure possedere un’auto privata, la religione era dichiarata illegale; Hoxha e i suoi colleghi scoraggiavano il commercio e avevano dichiarato illegale il possesso di valuta estera; qualsiasi opposizione era severamente punita e i campi di lavoro forzato erano comuni. L’Albania è stato l’ultimo regime comunista a cadere; nel 1992 pochi anni dopo, solo il 5% degli albanesi possedeva un telefono e il reddito procapite annuo era di seicento dollari24.

Così, dopo la caduta del regime, è cresciuto lo stimolo a emigrare, dovuta a una curiosità a lungo repressa, al desiderio di viaggiare in un mondo conosciuto solo attraverso la televisione25. Il primo luogo di emigrazione è stato la Grecia, per la sua prossimità geografica. Il principale motivo di immigrazione risultava essere per ragioni economiche: in generale lo stipendio guadagnato in Grecia era di circa quattro/sei volte più alto di quello guadagnato in Albania.

Gli albanesi erano soliti migrare verso la Grecia anche prima del regime dittatoriale comunista: nel diciannovesimo secolo viaggiavano a piedi attraverso le montagne greche per lavorare stagionalmente nelle attività agricole e tessili, una pratica secolare della migrazione di manodopera nell’area dell’impero Ottomano, conosciuta come kurbet, una tradizione che è fortemente rappresentata nel folklore e nella musica albanese. La prima ondata di Albanesi arrivò in Grecia nel 1912, dopo la Guerra dei Balcani e continuò fino al 1945, quando il nuovo regime prese il

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Danopoulos, Danopoulos (2004) pp. 100-114.

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potere e proibì l’emigrazione; riprese quindi con ingenti flussi dopo la caduta della dittatura comunista nel 198526.

Nel 1991 decine di migliaia di Albanesi percorsero a piedi le montagne al confine con la Grecia, mentre altri attraversavano il Mar Ionio al confine nord-ovest o entravano clandestinamente con le barche nell’isola di Corfù; l’immediata risposta greca, impreparata all’arrivo di notevoli afflussi di immigrati, fu quasi folle: gli albanesi venivano accusanti di criminalità terribili e si cercavano di proteggere i confini contro di loro. L’ingente flusso di Albanesi fu così accompagnato da leggi repressive e dall’espulsione di centinaia di migliaia di immigrati ogni anno27. Le deportazioni sono state l’unica misura politica rivolta alla migrazione durante gli anni ’90, contribuendo alla criminalizzazione della migrazione irregolare e all’albanizzazione28 di quest’ultima.

Fin dal loro primo arrivo in Grecia, gli Albanesi sono stati stigmatizzati come “criminali” dai media greci e stereotipati come “Albanesi pericolosi”. Dal 1990 la questione della criminalità albanese è diventata il maggior problema nella vita di tutti giorni e un elemento inscindibile dal discorso sociale e politico greco. Nello specifico, alla fine del secolo, la polizia, il governo e i media iniziarono a correlare l’aumento della criminalità all’immigrazione albanese, grazie anche ai reports di alcune statistiche che mostravano un aumento del numero di stranieri con precedenti penali che avevano commesso, o partecipato a, reati

26

Vermeulen Hans, Baldwin-Edwards Martin (2015), Migration in the Southern Balkans. From Ottoman

Territory to Globalized. Nation States, Ed. SpringerOpen, Amsterdam, Athens, Volos, p. 219.

27

Baldwin-Edwards Martin (2004), Albanian Emigration and the Greek Labor Market: economic

symbiosis and social ambiguity, South east Europe review, Ed. NOMOS, Glashütte, pp. 51-65.

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denunciati. Inoltre, durante il periodo compreso tra il 1990 e il 1995 le statistiche hanno mostrato chiaramente un numero estremamente elevato di crescita nel numero totale di arresti di stranieri e in particolare un aumento del numero di reati commessi dagli Albanesi (nello stesso periodo è stato registrato il maggior arrivo di immigrati dall’Albania). In realtà, secondo alcune fonti, sembra che la percentuale di criminalità legato a immigrati rimanga sempre ad un livello piuttosto basso, rispetto al totale della criminalità in Grecia; è comunque necessario tenere in considerazione che il numero di Albanesi, entrati in Grecia, era molto più alto rispetto al numero degli altri immigrati ed erano più 'visibili' alla polizia a causa del loro passaggio massiccio e illegale dei confini, le loro condizioni di vita e la loro elevata mobilità in tutta la Grecia. Per di più, c'è sempre stato un controllo più intensivo di polizia verso gli Albanesi rispetto ad altri stranieri, che portava a un numero molto più elevato di arresti29.

La parte più importante del processo di criminalizzazione degli Albanesi immigrati in Grecia è stata la loro rappresentazione da parte dei media. Questi ultimi hanno giocato un ruolo di primo piano nella costruzione dello stereotipo dell’Albanese “pericoloso” e “criminale” e nello scatenare l'ostilità del pubblico, il pregiudizio e la paura. Gli articoli che apparivano sui giornali alla fine del 1990 avvisavano la popolazione riguardo a una nuova “minaccia”, derivata proprio dall’arrivo di immigrati

29

Droukas Eugenia (1998, pubblicato online nel 2010), Albanians in the Greek informal economy, Journal of Ethnic and Migration Studies, Brighton, pp. 347-365.

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19

albanesi e per ogni crimine riportato sui giornali, gli Albanesi erano i primi sospettati30.

Dai Paesi con una lunga tradizione di emigrazione, come la Grecia, l'Italia e la Spagna, ci si aspetterebbe più tolleranza nei confronti degli immigrati di paesi senza esperienze simili. I Greci, come gli immigrati, hanno sperimentato una notevole quantità di pregiudizi, discriminazione e persino la violenza, essendo essi stessi vittime del razzismo, ma non sembrano aver interiorizzato le proprie esperienze.

Nel caso degli immigrati albanesi, compresi quelli di origine etnica greca, la xenofobia e il razzismo si sono manifestati in molti modi che vanno dal linguaggio dispregiativo alla segregazione residenziale. Tali tendenze, sono più evidenti se si considerano le condizioni di lavoro degli Albanesi in Grecia, con paghe al di sotto del livello di sussistenza (soprattutto per gli Albanesi senza regolari documenti) o vittime di ricatti da parte dei datori di lavoro che minacciavano di denunciarli alla polizia qualora avessero reclamato sul loro stipendio.

Gli Albanesi hanno così cominciato a cercare modi per dissociarsi dal generico gruppo degli “albanesi”; le pratiche più comuni adottate erano il cambiamento di religione e l’occultamento del nome: tra il 1990 e la metà degli anni 2000 molti Albanesi in Grecia hanno adottato nomi greci, mentre molti Albanesi musulmani hanno apparentemente sconfessato la loro appartenenza religiosa, affermando di essere cristiani ortodossi. Molti si sono battezzati o hanno battezzato i propri figli come ortodossi, a prescindere dalla loro precedente affiliazione religiosa (musulmana o

30

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20

cattolica; l’ateismo imposto da Hoxha può probabilmente spiegare il basso livello di affiliazione religiosa degli Albanesi, anche se spesso il battesimo ortodosso in Grecia, rappresentava per gli immigrati solo un atto pubblico, senza cambiare il sentimento di appartenenza alla propria religione originaria).

Inoltre, per aggirare l’uso della parola “albanese”, per indicare la propria provenienza, gli immigrati cominciarono a concentrarsi su espressioni come “Sono di Tirana” o “Vengo dall’Albania”, piuttosto che utilizzare l’aggettivo stesso. Oltre a questo, gli Albanesi cominciarono a dissimulare la propria identità, dichiarando di essere Varioepirotes (una minoranza greca in Albania), ottenendo facilitazioni nel procurarsi i permessi di entrata e lavoro in Grecia31.

Per resistere alla marginalizzazione dalla popolazione greca, molti Albanesi hanno formato delle reti sociali. La costruzione e il rafforzamento di questi reti “sono fondamentali per la sopravvivenza degli individui come immigrati illegali32”. I legami sociali e le strutture della famiglia allargata forniscono agli immigranti albanesi un senso di comunità, con un conseguente aumento di capitale sociale, la riduzione di problemi economici e di salute, e un accesso più facile al lavoro; inoltre, le reti sociali servono come forte protezione da parte della polizia33.

Gradualmente gli Albanesi si sono stabiliti nel territorio e hanno portato la maggior parte dei membri della propria famiglia con sé;

31 Vermeulen, Baldwin-Edwards (2015) p. 219. 32

Iosifides Thoedoras and King Russell (1998) Recent immigration to Southern Europe: the

socio-economic and labor market context, Ed. Routledge, Cambridge, pp. 70-94.

33

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21

secondo il censimento del 2011 del Servizio Statistico Nazionale della Grecia, gli Albanesi residenti nel Paese sono 480,851. Oggi, grazie al continuo contatto tra gli immigrati e la gente del posto, le relazioni interpersonali si sono sviluppate, è cresciuta la fiducia reciproca, la collaborazione e l’amicizia, i sentimenti xenofobi poco a poco sono svaniti e gli atteggiamenti razzisti sono diventati tipici solo di una piccola minoranza della popolazione locale. Dal canto loro, i media ora prendono più seriamente in considerazione le normative anti-discriminatorie, e nelle foto sono ritratte più spesso immagini positive di migranti, mentre alcuni canali TV e radio di Stato hanno incluso programmi multilingue speciali per gli immigrati. Le associazioni difendono i diritti degli immigrati, la politica incoraggia e assiste i gruppi di immigrati nell’organizzarsi in associazioni per acquisire la propria voce istituzionale34.

Con il passare degli anni e la regolarizzazione di molti Albanesi, alla fine del Ventesimo Secolo, altri flussi migratori irregolari stanno attirando l’attenzione pubblica.

Verso la Grecia si è creata una migrazione del lavoro che segue le richieste interne di impiego flessibile e stagionale, che influenza le condizioni della forza lavoro immigrata, in risposta alle caratteristiche dell’economia greca in cui convivono un ampio settore dei servizi e una vasta porzione di lavoro informale35. Nel caso dell’immigrazione irregolare

34 Hatziprokopiou Panos (2005), Immigrants’ integration and social change: Greece as a multicultural

society, LSE, London, p. 20.

35

Psimmenos Iordanis, Georgoulas Stratos (2004), Migration Pathways: A Historic, Demographic and

(27)

22

Albanese verso la Grecia, è ampiamente riconosciuto che è in gran parte legata al lavoro informale36.

36

Gemi Eda (2015), The Incomplete Trajectory of Albanian Migration in Greece, Hellenic Foundation for European and Foreign Policy (ELIAMEP), Athens, p. 48.

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23

CAPITOLO II

L’economia informale

Generalmente l’immigrazione, è influenzata da diversi aspetti del Paese ospitante, uno di questi riguarda il mercato del lavoro, nello specifico, il lavoro informale. Per gli immigrati che entrano illegalmente nel Sud Europa è possibile risiedervi facilmente e accedere agevolmente all’economia sommersa.

Si può parlare di lavoro informale, economia sommersa, lavoro nero ecc., riferendoci all’insieme delle attività reddituali che non sono disciplinate dallo Stato, in ambienti sociali dove invece simili attività sono regolate. L’economia informale comprende le attività di lavoro retribuito, che portano alla produzione di beni e servizi legali, che sono esclusi dalla tutela delle leggi e delle norme amministrative che interessano le licenze commerciali, i contratti di lavoro, la tassazione e i sistemi di sicurezza sociale37. Tuttavia la sua definizione non può essere racchiusa in confini ristretti e deve essere correlata al periodo storico, concepita come un processo più che un oggetto38.

Se un immigrato troverà impiego in un'attività commerciale formale o informale dipende in gran parte dal suo stato giuridico, ma anche, in parte, dalle risorse economiche e dall'accesso alle reti etniche. Le opportunità di partecipazione alle attività informali occorrono a causa

37

Reyneri (2003) p. 21.

38

Portes Alejandro, Castells Manuel, Benton A. Lauren (1989), The Informal Economy. Studies in

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24

della forte domanda di prestazione economica informale di beni e servizi a prezzi competitivi39.

Lavorare nell’economia informale può derivare dal bisogno disperato di ottenere i mezzi di sussistenza per la propria famiglia e, come accade per gli immigrati irregolari, il lavoro in nero rappresenta l’unica possibilità di impiego per ottenere questi mezzi.

L’immigrazione non solo influenza, ma al tempo stesso è influenzata dalla richiesta di lavoro flessibile e a basso costo; l’urgenza di lavoro porta gli immigrati ad accettare qualsiasi tipo di impiego, anche i cosiddetti lavori 3D (Dirty, Dangerous, Difficult; Sporco, Difficile, Pericoloso)40.

Cambiamenti economici, combinati con i trend demografici hanno permesso l’incremento della domanda di lavoro straniera. Come sostengono Dell’Arringa e Lucifora (2012), la trasformazione strutturale economica può essere ricondotta a cinque fattori fondamentali:

 l’invecchiamento della popolazione, con conseguente

aumento di domanda nel settore di cura degli anziani;

 la restrizione delle risorse pubbliche e quindi dell’offerta dei servizi che va a incidere con il settore di cura degli anziani;  la femminilizzazione del mercato del lavoro, che comporta la

minore disponibilità di tempo da parte della donna nella cura della famiglia e della casa;

39

Lazaridis Gabriela, Koumandraki Maria (2003), Survival Ethnic Entrepreneurs in Greece: A Mosaic of

Informal and Formal Business Activities, Sociological Research Online, vol. 8, no. 2, p. 15.

40

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25

 la globalizzazione, con la perdita di segmenti della produzione;

 la crisi immobiliare con ripercussioni nel settore dell’edilizia e in tutti gli altri campi della filiera.

Il settore dei servizi alle famiglie e quello dell’edilizia incidono particolarmente nella struttura dell’offerta di lavoro immigrata41.

A motivo del cambiamento strutturale, ricondotto ai motivi su elencati, molti Paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sono sempre più interessati alla migrazione42. Da notare che molti settori di impiego di immigrati riguardano ambiti, come la cura della casa, difficilmente soggetti a controlli e quindi più suscettibili al lavoro informale.

Il lavoro informale costituisce una delle maggiori caratteristiche strutturali della società (nonostante la sua delegittimazione da parte delle istituzioni), sia nei Paesi industrializzati sia in quelli meno sviluppati, ed è parte della realtà dell’economia di diversi Paesi dell’Europa Occidentale43, tanto che, come sostiene Reyneri (2003), riesce a sopravvivere e a sfuggire a ogni controllo grazie al consenso sociale, che deriva dal suo profondo insediamento nella società44.

L’economia sommersa non è un fenomeno marginale, ma un processo politico ed economico alla base di molte società; possiamo

41

Dell’Arringa Carlo, Lucifora Claudio (2012), Il ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Roma, p. 166.

42 Lyberaki Antigone, Maroukis Thanos (2007), Albanian immigrants in Athens: new survey evidence on

employment and integration, ed. Routledge, Thessaloniki, pp. 21-48.

43

Portes, Castells, Benton (1989) p. 327.

44

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26

trovare assetti simili in Paesi con differenze notevoli a livello di sviluppo economico45.

La novità nel contesto contemporaneo consiste nella crescita del settore informale, anche nelle economie altamente istituzionalizzate, in un ambiente regolato giuridicamente, caratterizzato dall’intervento attivo dello Stato.

La deregolamentazione istituzionale tipica del lavoro informale può comportare effetti negativi nello status del lavoro: assenza di benefici sociali, paga sotto il livello minimo, o circostanze che le norme societarie non permetterebbero. L’assenza di regolamentazione può anche incidere sulle condizioni di lavoro: l’alterazione dello stato di salute, dell’igiene, pericoli per la sicurezza, ecc. La deregolamentazione può infine affliggere particolari forme di gestione delle aziende, come la frode fiscale o l’omissione della registrazione di pagamenti in contanti46.

L’assenza dello Stato e del sistema giudiziario da questo segmento di mercato implica una fiducia reciproca, sia da parte del datore di lavoro che del lavoratore; la comunità e le reti di parentela o di appartenenza a un gruppo di riferimento sono di solito pre-requisiti per entrare in questo segmento del mercato47.

45

Portes, Castells, Benton (1989) p. 327.

46

Portes, Castells, Benton, (1989) p. 327.

47

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27

Il lavoro informale in Europa

L’impiego nel settore informale da parte degli immigranti fa parte della loro strategia di sopravvivenza, ma come dimostrano alcuni casi di studio48 in Europa, l’economia sommersa non è una conseguenza dell’immigrazione; sono, piuttosto, le economie informali dei Paesi dell’unione Europea che agiscono come fattori di attrazione di immigrati irregolari49. Indubbiamente gli immigrati rappresentano una risorsa per questo genere di lavoro e sono preferiti ai lavoratori domestici per la loro vulnerabilità, ma le cause dell’espansione del lavoro informale vanno bene oltre l’offerta trattabile di lavoro straniero.

L’economia sommersa rappresenta un universo eterogeneo, ma alcuni aspetti sono comuni alla maggior parte delle attività che commerciano in questo settore:

1. La connessione con il lavoro formale: l’ambito informale è parte integrante dell’economia nazionale;

2. Le caratteristiche del lavoro dipendente: impieghi declassati, pochi benefici, redditi bassi, dure condizioni lavorative. La vulnerabilità dei lavoratori permette alle aziende di imporre la loro domanda, e questa caratteristica è tipica degli immigrati, in particolare di quelli senza documenti regolari.

3. L’atteggiamento del governo verso il settore non regolato: nonostante alcune attività siano represse dallo Stato, il settore informale nel suo complesso tende a svilupparsi sotto

48

Ricerche svolte in Italia, Spagna e Gran Bretagna e approfondite nel libro di Portes A., Castells M., Benton A. L. (1989), pp. 11-37.

49

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28

l’auspicio e la tolleranza del governo, che consente le attività informali come sistema di soluzione per i potenziali conflitti sociali o come metodo di promozione del patronato politico50. I governi Europei fanno affidamento sul lavoro informale per ridurre la disoccupazione e per fornire nuovi incentivi alle logorate economie nazionali. Nel contesto dell’Unione Europea, dove la flessibilità del mercato del lavoro è relativamente debole, c’è un’alta probabilità che gli immigrati contribuiscano ad un aumento dei posti di lavoro e a soluzioni di lavoro più efficienti, perché forniscono una grande quantità di lavoro flessibile51.

La struttura occupazionale del Sud Europa è diversa da quella del Nord: c’è un’alta porzione di piccole imprese e di lavoratori autonomi; le opportunità di impiego rimangono orientate verso lavori poco qualificati, corrispondentemente con un basso status sociale, in unità di produzione piccole e non strutturate. Inoltre, una parte significativa delle opportunità di lavoro è richiesta nell'economia sommersa, saldamente radicata e ben diffusa di questi paesi52.

Il lavoro informale in Grecia

Grecia e Italia hanno un’economia sommersa che ricopre circa un terzo del PIL, seguite da Spagna, Portogallo e Belgio53. L’economia

50

Portes, Castells, Benton, (1989) p. 327.

51 Lyberaki, Maroukis (2007) p. 21-48. 52

Bousquin, Vitorino, Diamantopoulou (2003) p. 84.

53

Frey Bruno S., Schneider Friederich (2000), Informal and Underground Economy, International Encyclopedia of Social and Behavioral Science, Amsterdam, p. 16.

(34)

29

informale in Grecia è la più ampia dei Paesi dell’UE, stimata tra il 28 e il 35% e, come nel resto dell’Europa meridionale, i clandestini sono interessanti per la loro manodopera illegale e a basso costo54.

I lavoratori migranti che sono entrati in Grecia, Portogallo e Italia hanno trovato un enorme e fiorente economia sommersa, che ha offerto loro una vasta gamma di posti di lavoro senza richiedere alcun documento.

Un’ampia economia informale in Grecia esisteva prima della comparsa dei pesanti flussi di immigrazione agli inizi degli anni ‘90 (secondo alcuni, circa il 30% dell'economia); mentre gli altri fattori (come i livelli relativamente alti di contributi sociali, la rigidità del mercato del lavoro e la cattiva amministrazione pubblica) hanno contribuito alla crescita del lavoro sommerso55.

Lo stato illegale degli immigrati (senza documenti o irregolari), li rende impotenti contro lo sfruttamento, la violenza, il pregiudizio, e incapaci di acquisire protezione dalla polizia. Coma ha notato Cohen56 «essi fanno parte [...] della classe di iloti [classe di servi nell’antica Grecia, all’ultimo livello della scala sociale, senza cittadinanza o diritto di voto, esclusi dalla vita sociale]” sottoprivilegiati che sta emergendo nella nuova Europa»57.

54

Baldwin-Edwards (2004) pp. 51-65.

55

Covounidis Jennifer (2013), Migration and economic and social landscape of Greece, South-Eastern Europe Journal of Economics, Ed. ASECU, Athens, pp. 59-78.

56

Cohen Robin (1994), Frontiers of Identity: The British and Others, London: Longm, p. 234.

57

Droukas Eugenia (2010), Albanians in the Greek Informal Economy, Journal of Ethnic and Migration Studies, Vol. 24, Iss. 2, Ed. Routledge, Brighton, pp. 347-365.

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30

I posti di lavoro tipici per i migranti includono: lavori domestici (soprattutto per le donne), vendita in strada, agricoltura (impiego dei migranti nella raccolta stagionale; caratteristica del modello di agricoltura mediterranea), settore edile, servizi di basso livello nelle aree metropolitane e piccole produzioni58.

La lunga storia dell'economia informale in Grecia è strettamente connessa alla persistenza della produzione su base familiare su piccola scala. Oggi la migrazione verso l'Europa meridionale è alimentata dalla domanda di lavoro flessibile nei settori economici altamente stagionali che caratterizzano questi paesi, specificamente l’agricoltura, la pesca, il settore edile, e il turismo, nonché dalla domanda di lavoro nei servizi alla persona come il lavoro domestico e la cura delle persone. Si tratta di attività economiche che hanno una "tradizione" di informalità nel Sud, attività nascoste alla vista e sfuggenti alla regolamentazione statale, che rappresentano settori principali per l'impiego illegale di migranti59.

Gli immigrati, in particolare coloro senza documenti, sono di solito

impiegati nell’ampio settore informale dell’economia greca

principalmente in lavori temporanei e con salari più bassi dei lavoratori greci, che hanno qualifiche simili60.

58

Bousquin, Vitorino, Diamantopoulou (2003) p. 84. 59

Cavoudinis Jennifer (2006), Labor Market Impact of Migration: Employment Structures and the Case of

Greece, IMR Vol. 40, Iss. 4, New York, pp. 635-660.

60

Cholezas Ioannis, Tsakloglou Panos (2008), The Economic Impact of Immigration in Greece: Taking

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31

Gli immigrati albanesi nel settore informale greco

L’immigrazione albanese in Grecia può essere spiegata da alcuni fattori principali, uno di questi è la crescente domanda di manodopera a basso costo nel settore informale61. I movimenti irregolari sono stati facilitati da nuovi, insicuri e flessibili modelli di rapporti di lavoro, e causati della pressione esercitata dalla crisi economica nel mercato del lavoro formale.

Nonostante i cambiamenti nello status giuridico e le nuove possibilità di attraversare il confine in maniera regolare, alcune categorie di giovani Albanesi seguono le vie “tradizionali”, che costituivano il modello di immigrazione irregolare nel 1990. Questi gruppi di solito optano per l'immigrazione irregolare, sia perché possono avere questioni in sospeso con lo Stato greco, o perché hanno violato, in passato, le condizioni di ingresso e soggiorno in Grecia. La domanda per lavoratori stagionali (turismo, agricoltura, pesca, edilizia), flessibili e a basso costo, in combinazione con il rischio ridotto di attraversamento delle frontiere greco-albanesi, hanno intensificato la mobilità irregolare nel tempo62, e conseguentemente l’impiego informale.

Tra l’Albania e la Grecia, la forma circolare di immigrazione63 irregolare è stata il più comune modello di attraversamento dei confini per oltre venti anni; una delle principali ragioni di ciò, è stata la forte domanda di lavoro stagionale nel settore edile e in quello agricolo64, caratterizzata

61

Droukas (1998) pp. 347-365.

62 Gemi (2015) p. 48. 63

Modello di immigrazione secondo il quale i migranti, dopo un periodo di lavoro all’estero, tornano nei loro Paesi di origine.

64

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32

da carenza di manodopera, causata non solo da questioni demografiche, ma connesso anche al rifiuto da parte delle giovani generazioni di posti di lavoro di basso status, non qualificati e mal pagati nelle zone rurali.

Il miglioramento del livello di istruzione e del tenore di vita, così come la diffusione di modelli di consumo urbano, hanno portato alla creazione di grandi aspettative da parte delle giovani generazioni, che cercano impieghi al di fuori dell’area rurale. Inoltre, l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro, i cambiamenti nelle strutture familiari e la mancanza di infrastrutture sociali adeguate hanno portato a un aumento della domanda di lavoro di supporto domestico; l’arrivo degli immigrati ha sopperito a questi problemi, offrendo soluzioni a questioni demografiche, sociali e strutturali65.

Gli immigrati di origine albanese sono il gruppo più presente a livello di lavoro stagionale, impiegati in attività di raccolta delle colture, carico e scarico dei prodotti agricoli e in lavori connessi con il bestiame e il supporto domestico66.

Secondo l’ultima statistica del Servizio Nazionale Greco67, nel 2011 la principale occupazione in Grecia era riservata al settore dei servizi con 844.702 impiegati, di cui 68.282 stranieri o senza cittadinanza greca; l’impiego nel settore agricolo rappresenta il quarto posto per livello occupazionale dei cittadini greci, mentre è al terzo posto nell’impiego

65 Kasimis, Papadopuolos (2007) pp. 99-127. 66

Pappas Kostantinos (2009), Migrants in the Greek labor market and the introduction of the new

migration legislation, Ed. ResearchGate, Ioannina, p. 12.

67

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33

degli stranieri. La principale occupazione della popolazione senza cittadinanza è riservata ai lavori elementari. Di seguito la tabella.

Occupazione Totale % Cittadini greci Stranieri, non specificati o senza cittadinanza TOTALE GRECIA 3.727.633 100 3.336.235 391.398 Managers 218.437 5,9 209.833 8.604 Tecnici e professionisti 330.187 8,9 322.302 7.885 Impiegati di ufficio 293.288 7,9 282.174 11.114

Addetti ai servizi e alle vendite 844.702 22,7 776.420 68.282 Lavoratori qualificati in agricoltura, pesca e silvicoltura 316.390 8,5 282.637 33.735 Artigiani e affini 458.183 12,3 370.153 88.030 Operatori di impianti e macchine 234.843 6,3 219.108 15.735 Occupazioni elementari 352.809 9,5 208.438 144.371

Tabella 2:Distribuzione percentuale dei lavoratori dipendenti con cittadinanza greca ed estera.

Fonte: Hellenic Statistical Authority.

La maggior parte degli Albanesi sono lavoratori qualificati, con formazione tecnica, ma a causa del loro status illegale non hanno altra

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34

scelta che eseguire lavori umili, pesanti e talvolta malsani, spesso assunti e pagati al più basso livello di sussistenza68.

Gli uomini albanesi nelle città lavorano per lo più come operai nei cantieri (l’edilizia è il settore di maggior impiego per gli Albanesi69), nei servizi di trasporto e, a volte, come imbianchini. Nelle zone rurali, sia gli uomini che le donne sono impiegati in agricoltura come lavoratori stagionali. Approssimativamente metà delle donne albanesi sono lavoratrici domestiche; in maggioranza occupate in servizi a bassa qualificazione (come le pulizie), caratterizzati da bassa stagionalità, ma noti per il loro carattere informale70. Le ore di lavoro e il salario ricevuti dai lavoratori irregolari albanesi dipendono notevolmente dai datori di lavoro, nonché dal rapporto tra quest’ultimi e gli immigrati stessi.

Il lavoro degli Albanesi in occupazioni di sfruttamento con lunghe ore lavorative, ha permesso l’emergere dello stereotipo del “lavoratore albanese”, colui che è impiegato su base giornaliera, è trasferito in luoghi diversi e ha relazioni effimere; allo stesso modo, “lavorare come un albanese” ha assunto il significato di svolgere il lavoro senza vita pubblica o personale, senza obiettivi o piani, completamente disorientati dal luogo e dall’ appartenenza. Questa reputazione per il duro lavoro non è accompagnata dal rispetto sociale dai Greci ma è esplicitamente collegata con il disprezzo per coloro che hanno un basso status di lavoro71.

68 Droukkas Eugenia (1998, online dal 2010) pp. 347-365. 69

Cavounidis Jennifer (2004), Migration to Greece from the Balkans, Ed. Asecu, Salonicco, pp. 35-59.

70

Cavounidis (2004) pp. 35-59.

71

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35

Va sottolineato che molti immigrati regolari in Grecia dai Balcani lavorano informalmente, nonostante abbiano acquisito il permesso per lavorare legalmente. Questo avviene a causa del rifiuto da parte di molti datori di lavoro di formalizzare il rapporto lavorativo, che comporterebbe l'elaborazione di un contratto e di contributi previdenziali72.

La condizione di immigrati senza documenti costringe questi al lavoro informale, come primo passo obbligato per la sopravvivenza e l’integrazione nel Paese ospitante.

L’integrazione

L’accesso al mercato del lavoro costituisce il nucleo centrale per l’integrazione degli immigrati73.

L’inserimento o l’esclusione degli immigrati, all’interno di un contesto socio-economico, dipendono enormemente dalla loro integrazione nel mercato del lavoro. Altri indicatori della situazione socio-economica degli immigrati nel paese ospitante, come ad esempio le condizioni di vita e la capacità di consumo, sono funzioni della loro posizione nel mercato del lavoro74.

Trovare un impiego è il primo passo per l’integrazione nel mercato del lavoro, per divenire parte della vita economica e sociale del Paese ospitante e per garantire l’accesso a un alloggio e a una vita dignitosi, ma

72 Cavounidis (2004) pp.35-59. 73

Hartmut Esser (2006), Migration, Language and Integration, Ed. AKI, Berlin, p. 130.

74

Hatziprokopiou Panos (2003), Albanian immigrants in Thessaloniki, Greece: processes of economic and

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36

per gli immigrati ottenere una mansione nel settore formale è arduo. Di conseguenza essi accedono all’economia informale o al lavoro autonomo. L’economia sommersa è un’importante sfaccettatura dell’integrazione75.

Con il prolungarsi dell’esperienza degli immigrati nel mercato del lavoro del paese ospitante, migliora anche la loro performance

occupazionale. Questo fenomeno viene definito processo di

“assimilazione” economica. L’assimilazione può dirsi completata quando, a parità di condizioni, il trattamento monetario e non monetario degli immigrati sui posti di lavoro occupati è uguale a quello riservato agli altri lavoratori indigeni. Occorre del tempo perché questo si verifichi e si tratta del tempo necessario per integrarsi, dal punto di vista economico, ma anche sociale76.

Definizione e dimensioni dell’integrazione

Ma che cos’è l’integrazione? Il termine prende piede nel corso degli anni ’60, sostituendo il termine assimilazione, «come aspirazione da parte del potere politico a non “forzare”, sugli abitanti di un paese, specifiche forme di cultura o di identità collettiva (salvo quelle strettamente necessarie alla sopravvivenza dello Stato stesso come entità autonoma)77», come processo di interscambio tra immigrati e autoctoni. Il termine integrazione si riferisce al processo di insediamento, di interazione con la società di accoglienza e di scambio sociale che segue

75 Bousquin, Vitorino, Diamantopoulou (2003) p. 84. 76

Dell’Arringa, Lucifera (2012) p. 166.

77

Sciortino Giuseppe (2015), E’ possibile misurare l’integrazione degli immigrati? Lo stato dell’arte, Quaderno n°63 del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Trento, p. 82.

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37

l’immigrazione. Dal momento in cui gli immigrati arrivano in una società di accoglienza, si devono “garantire un posto”: ottenere una casa, un lavoro e un reddito, la scuola per i figli e l'accesso alle strutture sanitarie. Gli immigrati devono trovare un posto anche in senso sociale e culturale, per instaurare cooperazione e interazione con altri individui e gruppi, per conoscere e utilizzare le istituzioni della società ospitante, ed essere riconosciuti e accettati nella loro specificità.

Tuttavia, questo è un processo a due vie. La società ospitante non rimane inalterata. La dimensione e la composizione del cambiamento della popolazione, e i nuovi accordi istituzionali vengono alla luce per soddisfare le esigenze politiche, sociali e culturali degli immigrati78.

L’integrazione costituisce un processo che avviene nel tempo, che non si acquisisce mai definitivamente ma che deve essere continuamente perseguito. Tale processo è multidimensionale, in quanto si declina in diverse grandezze79:

Legale-politica: processo attraverso il quale gli immigrati

ottengono un titolo di residenza o cittadinanza e l’uso di diritti di partecipazione politica.

Socio-economica: riduzione delle differenze tra lavoratori autoctoni ed immigrati nell’accesso al mercato del lavoro, riduzione progressiva della segregazione occupazionale,

78 Penninx Rinus, Garcés-Mascareñas Blanca (2016), Integration Processes and Policies in Europe

Contexts, Levels and Actors, Ed. SpringerOpen, Barcelona, p. 206.

79

Lombardi Marco (2005), Percorsi di integrazione degli immigrati e politiche attive del lavoro, Ed. FrancoAngeli, Milano, p. 285.

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38

riduzione delle diseguaglianze nell’accesso alle occupazioni più stabili e prestigiose e nella distribuzione dei redditi.  Socio-culturale80: assimilazione della lingua nazionale del

paese ospitante; riconoscimento degli immigrati come portatori di una propria identità culturale, linguistica e valoriale81.

A queste dimensioni Entzinger e Biezeveld82 ne aggiungono una quarta: l’Attitudine del Paese ospitante, che ha la responsabilità di creare un’atmosfera che faccia sentire i migranti benvenuti nel nuovo Stato.

Come sostenuto da Lombardi83 «ciascuna di queste dimensioni può presentare gradi diversi di integrazione. Pertanto può verificarsi, per esempio, un’elevata integrazione economica ma scarsa o nulla integrazione culturale o politica (o viceversa)».

A ciascuna di queste dimensioni è possibile collegare degli indicatori, per misurare il livello di integrazione raggiunto. Nello specifico, l’integrazione socio-economica è misurata attraverso il livello di occupazione, di reddito, di sicurezza economica, di educazione e di qualità dell’alloggio84.

80

Pennix e Garcés-Mascareñas (2016, p. 206) sostituiscono questa dimensione con quella culturale-religiosa, appartenente al dominio delle percezioni e delle pratiche di immigrati e della società di accoglienza, riferendosi alle reazioni reciproche alla diversità. Se i nuovi arrivati si considerano diversi e vengono percepiti dalla società di accoglienza come culturalmente o religiosamente diversi, essi possono aspirare ad acquisire una posizione riconosciuta per questi aspetti. Da parte sua, la società di accoglienza può o non può accettare la diversità culturale o religioso.

81

Sciortino (2015) p. 82.

82 Entzinger Han and Biezeveld Renske (2003), Benchmarking in Immigrant Integration, European

Research Centre on Migration and Ethnic Relations (ERCOMER), Rotterdam, p. 53.

83

Lombardi (2005) p. 285.

84

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39

Modelli europei di integrazione

I modelli di integrazione adottati nel tempo dai diversi Paesi europei, variano a seconda delle esigenze e del contesto storico-politico: fino agli anni ’60 il modello prevalente era quello assimilazionista, esemplificato dal caso francese, che richiedeva la rinuncia a identità particolaristiche nella sfera pubblica, con l’abbandono di comportamenti incompatibili con la modernità, secondo un atteggiamento di superiorità del proprio modello civile e nazionale85.

Il modello britannico più recente è di tipo multiculturalista, fondato sui diritti dell’individuo e del gruppo al quale esso appartiene e basato sui rapporti di negoziazione collettiva, con lo Stato garante degli accordi tra i diversi gruppi; il limite che presenta questo modello è la creazione di comunità non comunicanti, poco interessate all’interazione reciproca, creando una società di cittadinanze parallele che non si incontrano mai86.

La Germania ha invece optato per un modello fondato sul principio dello ius Sanguinis, che considera cittadini i discendenti di altri cittadini, che si presuppongono uniti da un vincolo di comunanza culturale, intesa come insieme di norme, valori, simboli e credenze; questo modello integra gli immigrati esclusivamente sul piano del workfare87 (a livello salariale e di accesso al welfare), considerando la migrazione un fenomeno transitorio (collegato alla richiesta di lavoro) e incoraggiando gli immigrati ad un ritorno nel Paese d’origine; anche questo modello non ha retto, in

85

Guolo Renzo (2009), Modelli di integrazione culturale in Europa, Paper presentato al Convegno di Asolo. Le nuove politiche per l’immigrazione. Sfide e opportunità, p. 9.

86

Guolo (2009) p. 9.

87

Modello alternativo al welfare state, che collega il trattamento previdenziale allo svolgimento di un’attività lavorativa (https://it.wikipedia.org/wiki/Workfare).

(45)

40

gran parte a causa della stabilizzazione degli immigrati per il fabbisogno di manodopera88.

Secondo il Consiglio Europeo del 200389, l’integrazione dei migranti dovrebbe essere un processo bidirezionale che richiede uno sforzo sia dai Paesi di destinazione che dai migranti. Questo implica, da un lato, che è responsabilità della società ospitante garantire che i diritti formali dei migranti siano soddisfatti, in modo tale che l'individuo abbia la possibilità di partecipare alla vita economica, sociale, culturale e civile; esso implica anche, d'altra parte, che i migranti rispettino le norme fondamentali e i valori della società di destinazione e partecipino attivamente al processo di integrazione, pur senza dover rinunciare alla propria identità90.

E’ quando i Paesi prendono atto della condizione stabile degli immigrati nel proprio territorio che la loro integrazione diviene un tema politico rilevante; all’interno dell’Unione Europea l’argomento è diventato di importanza cardinale negli anni 2000, riconoscendo l’importanza dell’integrazione per la coesione sociale e la crescita economica dei Paesi ospitanti91.

88

Guolo (2009) p. 9.

89 La Commissione Europea ha emanato una comunicazione contenente proposte relative

all’immigrazione e al trattamento di cittadini di Stati terzi. La Commissione proponeva un approccio incentrato su sei aree di intervento: partecipazione al mercato del lavoro, inclusione nel sistema scolastico e apprendimento delle lingue, politiche per la casa e gli ambienti urbani, accesso ai servizi sociali e sanitari, promozione dell’ambiente sociale e culturale e temi relativi alla nazionalità/cittadinanza, integrazione civica e rispetto per la diversità.

90 Diop Assane (2010) International labor migration. A rights-based approach, Geneva, ILO, International

labour office, p. 303.

91

Anagnostu Dia (2016), Local government and migrant integration in Europe and in Greece, Hellenic Foundation for European and Foreign Policy (ELIAMEP), Athens, p. 43.

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