2. INTERNAZIONALIZZAZIONE NEI PASI IN VIA DI SVILUPPO: OPPORTUNITÀ E MINACCE
2.1. I paesi in via di sviluppo e i vuoti istituzionali
Il contesto di riferimento di questa tesi è costituito dai paesi in via di sviluppo. Nella nostra ricerca ipotizziamo che i risultati contraddittori ottenuti dai ricercatori riguardo al rapporto internazionalizzazione-‐performance dipendano dall’attività delocalizzata, dalle caratteristiche dell’impresa e dalle caratteristiche dell’host country. È quindi fondamentale conoscere le caratteristiche dei paesi in via di sviluppo e capire in che modo essi si distinguono da quelli sviluppati. Le economie emergenti possono presentare delle ottime opportunità di crescita per le aziende multinazionali. Global Intelligence Alliance (2012) ha condotto un sondaggio online con il quale sono stati intervistati 431 manager di grandi e medie imprese multinazionali, fornendo risultati molto interessanti per quanto riguarda le prospettive future delle aziende che operano nei paesi in via di sviluppo. L’indagine di Global Intelligence Alliance (2012) mira ad analizzare le aspettative delle aziende globali per il periodo 2012-‐2017. Metà dei manager che hanno risposto al questionario di Global Intelligence Alliance (2012) ritiene che entro il 2017 almeno il 30% delle entrate delle proprie aziende proverrà dai paesi emergenti. Secondo il report stilato dalla società di consulenza, la maggior parte delle aziende attribuiscono la definizione di mercati emergenti ai paesi appartenenti ai BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) o ai BRIICS (Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina, Sudafrica), o basandosi sulla fase dello sviluppo economico o sulla crescita dello sviluppo economico di un paese; nel classificare un paese come emergente, ciascuna azienda parte dal proprio punto di vista, perché entrano in gioco anche fattori quali la dimensione del mercato, la posizione e le opportunità specifiche in ciascun settore in un determinato paese. I BRIC sono comunque ancora considerati i primi quattro mercati emergenti per il periodo 2012-‐2017, con una leggera perdita d’interesse per la Russia rispetto agli altri tre paesi. La maggior parte dei mercati emergenti non appartenenti ai BRIC ai quali le aziende internazionali prevedono di mirare tra 2012 e 2017, si trovano in Asia o in America Latina. Oltre un quarto delle aziende intervistate ritiene che l'Indonesia sia il più importante mercato emergente dopo i BRIC (seguono Sud Africa, Vietnam, Messico e Turchia). Le società asiatiche, europee e latino-‐americane sono tutte
molto positive sui ricavi attesi dai mercati emergenti (stimando rispettivamente che costituiranno il 38%, il 37% e il 36% delle entrate totali per il 2017), seguite dalle società statunitensi (che stimano che i ricavi si aggireranno intorno al 34% delle entrate totali). Secondo la ricerca condotta da Global Intelligence Alliance (2012), la maggior parte delle aziende globali investe nelle economie emergenti cercando di conquistare guadagni di lungo termine. Le motivazioni più indicate per investire nei mercati emergenti sono le seguenti:
Ø per costruire nuovi mercati e guadagnare quote di mercato globale (solo il 17% lo fa per ottenere minori costi di produzione);
Ø per mirare al successo a lungo termine (la metà degli intervistati affermano di essere alla ricerca di una maggiore quota di mercato globale);
Ø quattro su dieci hanno seguito i loro clienti nei mercati emergenti;
Ø un terzo sono stati spinti verso i mercati emergenti dalla mancanza di crescita o di profitto in mercati più stabili;
Ø un quarto mira ai mercati emergenti per diversificare i rischi, e lo stesso numero lo fa cercando di ottenere profitti e crescita nel breve-‐medio termine.
Tra le principali preoccupazioni riguardanti i mercati emergenti lo studio di Global Intelligence Alliance (2012) indica che:
Ø quasi tutte le aziende (91%) sostengono che avrebbero potuto fare qualcosa di meglio nella loro strategia nei mercati emergenti;
Ø i principali rimpianti consistono nel non essersi adattati di più alle condizioni locali, nel non essere entrati presto e nel non avere acquisito una migliore conoscenza del mercato;
Ø oltre la metà dei manager intervistati affermano che le informazioni sui mercati emergenti non sono facilmente reperibili nelle loro aziende, con tre su quattro che dubitano dell'accuratezza e della completezza delle informazioni a disposizione.
Dal sondaggio di Global Intelligence Alliance (2012) si evince quanto i paesi emergenti siano importanti per le aziende che competono su un piano internazionale. Introduciamo a questo punto l’approccio più accademico di Khanna e Palepu (2010), con il quale possiamo definire come paesi in via di sviluppo quelli nei quali sussistono importanti vuoti istituzionali. In particolare, sostengono gli autori, nei paesi in via di
sviluppo gli intermediari specializzati non ci sono, o funzionano male: questo gap nelle infrastrutture di mercato, che può essere anche chiamato “vuoto istituzionale”, definisce i paesi emergenti. Khanna e Palepu (2010) si sono concentrati su questo tipo di definizione dei paesi emergenti perché, spiegano gli autori, la caratteristica più importante in un mercato è la facilità con la quale venditori e compratori s’incontrano per fare affari. Quindi è proprio la presenza di vuoti istituzionali a definire con chiarezza alcuni mercati come “emergenti”, in quanto questi vuoti costituiscono la fonte principale di elevati costi di transazione e difficoltà ad operare liberamente. Nei mercati emergenti domanda e offerta non riescono ad incontrarsi in maniera semplice ed efficiente. La mancanza d’intermediari rappresenta un costo, in quanto essa è fonte di fallimenti di mercato. Come spiegato nello studio di Akerlof (1970), in un mercato nel quale non sono presenti intermediari che garantiscano la qualità di ciò che viene venduto, prevale la presenza di venditori che forniscono prodotti di scarsa qualità. Il problema più importante analizzato da Akerlof (1970) è costituito dalle asimmetrie informative tra chi vende e chi compra, poiché rappresentano uno dei principali fattori che creano conflitti e difficoltà in un mercato. Proprio le asimmetrie informative sono ancora oggi tra i problemi che si possono incontrare nei mercati emergenti. Tuttavia, tramite accordi istituzionali è possibile correggere le asimmetrie informative e mitigare i problemi da esse provocati. Come sostenuto da Khanna e Palepu (2010), la mancanza di intermediari può anche costituire un’opportunità per alcune multinazionali, le quali possono decidere di costruire un’attività volta a colmare gli eventuali vuoti istituzionali di un paese. Essere in grado di individuare i vuoti istituzionali di un paese è di fondamentale importanza per le aziende che vogliono sfruttare al meglio le possibilità offerte dalla delocalizzazione delle attività all’estero.
2.1.1. Individuare i vuoti istituzionali
Secondo Khanna e Palepu (2010) è possibile individuare i vuoti istituzionali analizzando le seguenti aree:
-‐ il mercato dei prodotti; -‐ il mercato del lavoro; -‐ il mercato dei capitali;
Focalizzandosi sul mercato dei prodotti ci si deve chiedere: se esistono grandi catene di distribuzione al dettaglio e qual è la copertura del paese; se i consumatori utilizzano le carte di credito o meno; se esiste un buon network di fornitori. Guardando il mercato del lavoro bisogna capire: se i diritti dei lavoratori sono protetti e quanto forti sono i sindacati; se esiste una buona fonte di management locale e se la cultura locale accetta manager esteri. Riguardo al mercato dei capitali è necessario comprendere: quanto le banche locali sono in grado di raccogliere i risparmi e incanalarli in investimenti; quanto sono affidabili le fonti d’informazioni sulle performance delle aziende. Sul contesto “macro” del paese è importante capire: quanto attivi sono i media; quali restrizioni ci sono sugli investimenti esteri; quanto tempo è necessario ad avviare una nuova impresa nel paese. Grazie alle precedenti domande è possibile fare chiarezza individuando i vuoti istituzionali che aumentano le difficoltà ad operare nel paese relativamente a:
-‐ facilità a raggiungere i clienti;
-‐ facilità di valutare il merito creditizio dei clienti; -‐ facilità a gestire l’inventario;
-‐ vincoli nella gestione del personale; -‐ disponibilità di personale qualificato; -‐ capacità di raccogliere fondi;
-‐ capacità di valutare possibili partner e possibilità d’investimento; -‐ quali stakeholder devono essere tenuti in considerazione;
-‐ capacità di competere da soli o necessità di un partner; -‐ presenza di ostacoli burocratici.
Khanna e Palepu (2010) indicano sei tipi d’infrastrutture istituzionali presenti nei mercati avanzati, la cui assenza rappresenta dei tipici vuoti istituzionali nei paesi emergenti. Le sei tipologie d’infrastrutture istituzionali illustrate dagli autori sono:
-‐ amplificatori di credibilità;
-‐ analizzatori d’informazioni e consulenti; -‐ aggregatori e distributori;
-‐ facilitatori di transazioni; -‐ organi di giustizia;
Come vedremo nei paragrafi successivi, il modo di classificare e descrivere queste infrastrutture può variare nei diversi studi, ma l’importanza istituzionale che esse rappresentano resta una costante per tutti i ricercatori interessati a queste tematiche. Una volta individuati i vuoti istituzionali, Khanna e Palepu (2010) sostengono che le aziende che intendono fare impresa diventando intermediari nei mercati emergenti, debbano valutare attentamente le proprie abilità, i propri vantaggi competitivi, la propria capacità di adattarsi e acquisire nuove competenze: tutto ciò allo scopo di capire come le potenzialità dell’azienda possano corrispondere alle opportunità identificate.
2.1.2. Istituzioni, risorse e strategie d’ingresso nei mercati emergenti
Le infrastrutture istituzionali sono ritenute un fattore fondamentale anche da Meyer et al. (2009), i quali si sono posti l’obiettivo di capire cosa motivi le scelte delle aziende nell’adottare diverse strategie d’ingresso nei paesi emergenti. Secondo gli autori, le strategie sono influenzate in generale dalle caratteristiche del contesto specifico nel quale l’azienda opera, ma in particolare sono le istituzioni del paese ospitante che influenzano le strategie d’ingresso dell’azienda, poiché esse rappresentano “le regole del gioco”. Meyer et al. (2009) sostengono che comprendere le istituzioni del paese sia fondamentale per formulare e implementare la strategia più adatta, creando un vantaggio competitivo: questo risulta oltremodo importante quando si considerano i paesi emergenti, dove le istituzioni differiscono ampiamente da quelle dei paesi sviluppati. Gli autori analizzano come le imprese multinazionali, entrando in mercati emergenti, scelgano fra tre diverse modalità che implicano un Investimento Diretto Estero: (1) greenfield, (2) acquisizione e (3) joint venture. Ricordiamo le definizioni di queste modalità d’ingresso:
1. greenfield: consiste nella realizzazione di attività produttive e/o commerciali “ex-‐ novo” in un paese estero (es. costituzione ex-‐novo di uno stabilimento produttivo sul mercato estero);
2. acquisizione: si tratta di un investimento finalizzato ad acquisire la proprietà (parziale o totale) di un’azienda già operativa in un paese estero;
3. joint venture: è un accordo tra due o più imprese, le quali forniscono il capitale di una nuova organizzazione indipendente (dai partner) operativa nel paese estero, e ne controllano la gestione. La joint-‐venture si realizza quando i partner
mettono a disposizione dell’alleanza le proprie competenze (organizzative, tecnologiche, gestionali, ecc.) e/o le proprie risorse (immateriali, finanziarie, umane, ecc.) per perseguire obiettivi comuni.
Meyer et al. (2009), senza discostarsi molto da Khanna e Palepu (2010), affermano che le istituzioni hanno un ruolo essenziale nell'economia di un paese: esse sostengono l'efficace funzionamento del meccanismo di mercato, in modo che le imprese e gli individui possano impegnarsi in transazioni senza incorrere in costi o rischi ingiustificati. Queste istituzioni comprendono, per esempio, il quadro giuridico e la sua applicazione, i diritti di proprietà, i sistemi d’informazione, e i regimi di regolamentazione. Meyer et al. (2009) spiegano le diverse ragioni per le quali lo sviluppo istituzionale può influenzare la strategia d’ingresso di un’impresa: le differenze istituzionali sono particolarmente significative per le imprese multinazionali che operano in diversi contesti internazionali, infatti i costi di transazione dovuti all’impegno in mercati emergenti sono più elevati rispetto a quelli dei paesi sviluppati, perciò le multinazionali devono elaborare strategie per superare questi problemi. Le istituzioni forniscono anche informazioni sui partner commerciali e il loro probabile comportamento, riducendo le asimmetrie informative, le quali costituiscono una delle principali fonti di fallimenti di mercato. Fare affari in un determinato paese diventa meno costoso grazie al rafforzamento del quadro istituzionale. Di conseguenza, i relativi costi associati a modalità d’ingresso differenti sono influenzati dal quadro istituzionale: i costi e i rischi aumentano quando le istituzioni sono deboli. Come riscontrato dallo studio di Meyer et al. (2009), le imprese estere possono avere bisogno di accedere alle risorse locali nelle economie emergenti per superare le inefficienze causate da istituzioni deboli. Allo stesso tempo, deboli quadri istituzionali rendono più difficile accedere a queste risorse attraverso le transazioni di mercato (rendendo l'ingresso greenfield meno realizzabile) e aumentano i costi di acquisizione di aziende locali (l’ingresso per acquisizione diventa più impegnativo). Le joint venture, invece, forniscono un mezzo semplice per accedere alle risorse locali, anche in mercati in cui le normali operazioni possono essere difficili per le aziende estere.
Lo studio di Meyer et al. (2009) ha provato che, se le istituzioni sono molto deboli, non riuscendo quindi a garantire anche una modesta efficienza dei mercati, i concorrenti esteri non sono in grado di fare affidamento sui mercati stessi per accedere alle risorse locali. Nel caso opposto, in cui le istituzioni forti rendono i mercati
altamente efficienti, i concorrenti stranieri sono in grado di utilizzare i contratti per organizzare la maggior parte delle transazioni: in questo caso, l’ingresso greenfield diventa agevolmente realizzabile. Gli studiosi hanno trovato che, in presenza di istituzioni forti, le acquisizioni sono più suscettibili di essere utilizzate quando gli entranti stranieri cercano risorse immateriali possedute da aziende locali, mentre le strategie d’ingresso greenfield sono più spesso applicate quando sono richieste relativamente meno risorse locali, o quando le risorse necessarie sono tangibili (quindi facilmente acquisite o accessibili tramite operazioni di mercato).
L’indice utilizzato da Meyer et al. (2009) per calcolare il livello d’istituzioni a supporto del mercato presenti in un paese è costituito da cinque elementi tratti dall’indice di libertà economica sviluppato dalla Heritage Foundation. Questo indice fornisce informazioni su un ampio numero d’istituzioni, con particolare attenzione alla libertà che hanno individui e imprese di perseguire le attività d’impresa in un determinato paese. Seguendo le proprie considerazioni teoriche, Meyer et al. (2009) hanno sviluppato un concetto d’istituzioni che si concentra sul sostegno dell'efficienza del mercato. Pertanto, gli autori hanno selezionato cinque categorie che riflettono più da vicino l'efficienza dei mercati: (1) la libertà di fare affari, (2) la libertà di commercio, (3) i diritti di proprietà, (4) la libertà d’investimento e (5) la libertà finanziaria.
Riassumendo il contributo di Meyer et al. (2009), a determinare le diverse strategie d’ingresso adottate dalle aziende nei mercati emergenti sono:
1. le istituzioni, che influenzano direttamente le strategie d’ingresso;
2. il bisogno di diversi tipi di risorse locali, che modera la relazione tra sviluppo istituzionale e strategie d’ingresso adottate.
2.1.3. Sviluppo istituzionale e performance delle consociate estere
Come già illustrato in precedenza considerando gli studi di Meyer et al. (2009) e Khanna e Palepu (2010), sappiamo che le infrastrutture istituzionali presenti nei mercati avanzati sono spesso molto diverse da quelle a disposizione nei mercati in via di sviluppo. È quindi utile studiare quanto lo sviluppo istituzionale influenzi la performance delle aziende. Sotto questo aspetto, la ricerca di Chan, Isobe e Makino (2008) offre un’interessante prospettiva di analisi dell’argomento, aiutandoci a comprendere la relazione che esiste tra il livello di sviluppo delle istituzioni in un determinato paese e la performance delle aziende affiliate estere in quel paese. La
comprensione di questa relazione è essenziale per le imprese che decidono di delocalizzare all’estero alcune attività, poiché il livello di sviluppo istituzionale del paese ospitante è intuitivamente uno dei fattori fondamentali che possono influenzare la performance dell’affiliata estera. Chan, Isobe e Makino (2008) definiscono il livello di sviluppo istituzionale come la misura in cui le istituzioni economiche, politiche e sociali in un paese ospite sono sviluppate e sono favorevoli alle consociate estere. Gli autori si concentrano su due misure di performance delle consociate estere: il livello della performance e la variazione della performance all’interno del paese ospite. Il livello di performance della consociata estera rappresenta il “ritorno” dell’investimento, e indica la redditività delle consociate estere in un paese ospitante. La variazione delle prestazioni della consociata estera all'interno di un paese ospitante rappresenta il “rischio” dell’investimento, e indica la misura in cui la performance delle consociate estere in un paese ospitante si discosta dalla media del paese ospitante. Secondo Chan, Isobe e Makino (2008), il livello di performance delle consociate straniere varia da paese a paese, perché i paesi ospitanti si differenziano per lo sviluppo delle loro istituzioni, che influenza l'efficienza delle transazioni di mercato e della trasformazione dei prodotti. I ricercatori sostengono anche che le performance delle consociate estere variano all'interno di un paese ospitante, perché le consociate estere si differenziano tra loro sia nelle azioni strategiche che intraprendono in risposta al livello di sviluppo istituzionale del paese ospitante, sia nella capacità di gestire le idiosincrasie istituzionali del paese ospitante (Henisz, 2003). Come ricordato da Chan, Isobe e Makino (2008), le istituzioni economiche, politiche e sociali, insieme alla tecnologia, determinano i costi di transazione e i costi di trasformazione della produzione, e quindi la redditività di impegnarsi in attività d’impresa in un paese:
-‐ le istituzioni economiche, che generalmente sono comprese tra gli intermediari di mercato, determinano gli incentivi e i vincoli alle azioni economiche. Gli intermediari di mercato comprendono banche d'investimento, società di auditing, procuratori legali, consulenti, mediatori, commercianti e rivenditori. Le istituzioni intermediarie comunicano informazioni affidabili alle parti che eseguono la transazione (vale a dire venditori, consumatori, investitori e creditori), e servono a risolvere i problemi d’informazione e a ridurre i costi di transazione nei mercati di prodotto, dei capitali, e finanziari (Akerlof, 1970). Le istituzioni economiche comprendono anche i fornitori d’infrastrutture che
supportano le transazioni, le quali si distinguono in fisiche, umane e tecnologiche.
-‐ Le istituzioni politiche sono rappresentate dai governi e dai vincoli che essi impongono. Le istituzioni politiche determinano le politiche in aree quali le aliquote fiscali e le tariffe, le norme sugli investimenti, le restrizioni alla proprietà straniera, la protezione del governo e i controlli dei cambi. Alcune politiche dei paesi ospitanti ostacolano le opportunità di profitto delle società estere (Bergara, Henisz, e Spiller, 1998), altre invece attraggono gli investimenti diretti esteri (Boddewyn e Brewer, 1994).
-‐ Le istituzioni sociali derivano dai membri di una popolazione che si associano e interagiscono ampiamente tra loro per sviluppare pratiche ricorsive. Un elevato grado di fiducia tra i membri di una società è associato a un elevato livello di rendimento economico (Fukuyama, 1995; La Porta et al., 1997), perché grazie alla fiducia le persone evitano di impegnarsi in trappole non cooperative inefficienti, migliorando la produttività aggregata di una società. Al contrario, il conflitto sociale rappresenta una minaccia per le attività commerciali, perché riduce l'efficienza delle attività economiche transnazionali (Ghemawat, 2001). Chan, Isobe e Makino (2008) affermano che gli ambienti istituzionali dei diversi paesi differiscono notevolmente gli uni dagli altri, anche nel livello di sviluppo delle loro istituzioni. Queste differenze comportano che le consociate estere debbano affrontare difficoltà che variano in ogni paese, poiché le istituzioni alterano in maniera diversa i costi di esercizio dell’attività a seconda del paese ospitante nel quale essa è dislocata. Il livello di sviluppo istituzionale nei paesi emergenti è relativamente basso, in gran parte perché le regole istituzionali sono assenti, insufficienti o scarsamente applicate. Come già accennato tramite il contributo di Khanna e Palepu (2010), la mancanza d’informazioni affidabili sul mercato, di istituzioni intermediarie efficienti, di azioni governative prevedibili e di una burocrazia efficiente crea i cosiddetti vuoti istituzionali. Tali vuoti istituzionali rendono le operazioni di mercato costose e meno efficienti per le consociate estere.
Come supponevano fin dall’inizio della loro ricerca, i risultati di Chan, Isobe e Makino (2008) mostrano chiaramente che la performance delle consociate estere varia notevolmente nei paesi istituzionalmente sottosviluppati. Gli autori sostengono che tale variazione esiste per due motivi. In primo luogo, la mancanza d’informazioni sui modi
legittimi di fare business richiede alle consociate estere di impegnarsi in una più ampia gamma di azioni strategiche con risultati incerti. In secondo luogo, le consociate estere differiscono nella loro capacità di gestire le idiosincrasie istituzionali, fattore d’importanza strategica nella generazione di profitti in paesi istituzionalmente sottosviluppati. Non è quindi sorprendente che i risultati supportino la tesi secondo la quale vi è una relazione curvilinea negativa tra il livello di sviluppo istituzionale e la variazione delle prestazioni delle consociate estere.
Contrariamente a quanto inizialmente atteso nello studio, l'evidenza rilevata dai risultati di Chan, Isobe e Makino (2008) non supporta la tesi che la performance delle consociate estere sia più bassa nei paesi ospitanti istituzionalmente sottosviluppati e più alta nei paesi ospitanti istituzionalmente più sviluppati. I risultati mostrano, infatti, una relazione negativa tra il livello di sviluppo istituzionale e il livello di performance della consociata estera. Tra le possibili spiegazioni illustrate dagli studiosi riguardo a