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III. Lo sviluppo e il declino di altri siti della Sicilia ellenistica e romana Inquadramento

III.V Il panorama siceliota tra la tarda età ellenistica e il Medio Impero

Dopo aver passato in rassegna i dati archeologici di alcuni dei più importanti siti della costa settentrionale dell’isola (FIG. 47) e aver, quindi, analizzato gli elementi concreti che hanno caratterizzato gli impianti urbani nel loro sviluppo architettonico e nelle loro fasi di abbandono, risulta opportuna una loro contestualizzazione storica. Non poche, tuttavia, risultano le difficoltà. In primo luogo la penuria delle fonti storiche e letterarie riguardanti la Sicilia romana, le quali offrono talvolta un quadro tutt’altro che univoco nonché la totale assenza di opere aggiornate sulla storia e l’economia agraria della Sicilia tardorepubblicana e imperiale. In secondo luogo, la carenza di dettagliate pubblicazioni sui siti oggetto di indagine archeologica, la quale è stata spesso indirizzata verso la Sicilia più propriamente “greca”. Sebbene le fonti storiche e letterarie non ci offrano dei solidi punti d’appoggio, ampliando lo sguardo verso il più ampio contesto siceliota è comunque possibile cogliere alcune analogie nelle dinamiche di sviluppo e declino dei centri urbani della Sicilia ellenistica e romana.

Lo sviluppo urbanistico e il rinnovamento in chiave monumentale del sito di Segesta non è un evento isolato all’interno del panorama dell’isola, in quanto riflette quei cambiamenti politici, sociali ed economici innescati a partire dal II secolo a. C. dalle nuove politiche economiche del governo di Roma nella provincia Sicilia. Si tratta di una comune, condivisa tendenza alla monumentalizzazione e alla “teatralità”, specchio di un’eccezionale benessere economico e segno concreto dell’affermazione di potere e di identità da parte delle élites locali emergenti. Sono in particolar modo l’agora e il teatro a costituire gli esempi emblematici di tale rinnovamento.

Tra II e I secolo a. C. si registra in tutta l’isola una trasformazione della tipologia insediativa, un radicale cambiamento dell’organizzazione socio-economica che avrebbe progressivamente portato alla creazione del latifondo. Le radici di tale trasformazione, non repentina ma lenta e graduale, vanno poste nel corso del II secolo a. C. All’indomani della guerra annibalica, infatti, la

411 TIGANO 2012, p. 134. 412 WILSON 1990b, p. 150.

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maggiore disponibilità di terre e di schiavi aveva richiesto una riorganizzazione politico- amministrativa dell’isola, e un riassetto della struttura della proprietà agraria e dei rapporti di produzione. L’opera del proconsole Levino e la successiva lex Rupilia (131 a. C.) non si limitarono solamente al restauro della sicurezza interna e ad una riorganizzazione del sistema tributario della provincia, con la distinzione di diverse categorie di città foederate, sine foedere, con ager soggetto a decuma o alla disposizione dei censori. Le politiche del governo di Roma vennero finalizzate soprattutto ad integrare l’economia coloniale dell’isola nel più generale quadro dell’economia romana mediterranea attraverso l’incremento della produzione cerealicola così come delle colture specializzate della vite e dell’olivo per rifornire i consumi dell’Urbs413.

Il cambiamento dell’organizzazione socio-economica nel territorio siceliota risulta evidente in particolare a seguito della seconda guerra servile, quando i siti di piccole dimensioni vengono parzialmente abbandonati e si riducono le piccole e medie proprietà terriere. Si verifica una contrazione del numero degli insediamenti e la popolazione si sposta nei siti più grandi, che hanno a disposizione fundi di maggiori dimensioni da coltivare con l’impiego di schiavi. Se prima, infatti, l’economia della Sicilia si era basata su produzioni e commerci a scala limitata, intra- e inter-regionale, adesso le comunità si trovavano a doversi adeguare ad un’economia a ben più ampio raggio. Alla diminuzione del numero dei siti rurali e delle piccole proprietà terriere corrisponde, quindi, un conseguente sviluppo dell’insediamento urbano.

Tale dinamica è evidente anche nel territorio segestano, dove le indagini archeologiche hanno potuto verificare una graduale riduzione degli insediamenti più antichi e dei siti di età ellenistica. Le aree periferiche e le case di piccole dimensioni, monofamiliari, vennero abbandonate e la popolazione si concentrò nei centri maggiori e in abitazioni più grandi: sono circa quaranta i siti di età ellenistica che vennero abbandonati durante il corso del I sec. a. C.414. Lo spostamento

della popolazione rurale determinò un evidente incremento demografico nella città. A tal proposito, risultano significative le dimensioni e la capienza del teatro segestano, in grado di ospitare circa 4000 persone, che abitavano all’interno delle mura cittadine e nelle campagne dei dintorni. Allo stesso modo di Segesta, in diversi centri dell’isola si riscontra un’eccezionale fioritura architettonica, tanto in ambito pubblico quanto in ambito privato. Non sembra un caso, pertanto, l’attestazione di analoghe tipologie e soluzioni architettoniche in siti quali Monte Iato, Solunto, Termini Imerese, Halaesa, ma anche Morgantina, Marsala o Tindari415.

A partire dalla fine del I secolo a. C. e, soprattutto, nel corso del I e del II secolo d. C. si riscontra un’inversione della tendenza che aveva caratterizzato nei secoli precedenti il rapporto tra aree rurali e centri urbani. Ai processi di urbanizzazione si sostituirono, infatti, quelli di ruralizzazione, caratterizzati dalla tendenza ad abbandonare i siti d’altura e a spostare gli insediamenti nei fondivalle ricchi d’acqua, maggiormente adatti alle attività agricole e meglio collegati agli scali costieri e alle principali direttrici stradali. Luoghi ideali per la produzione, la raccolta e la distribuzione di derrate alimentari per l’esportazione416. Siamo agli albori del latifondo in Sicilia,

413 MAZZA 1981, pp. 22 – 30. Cfr. inoltre GABBA 1982 – 1983, p. 517. 414 BERNARDINI et alii 2000, p. 106.

415 Cfr. WILSON 1990b, pp. 23 – 27.

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il cui paesaggio inizia ad essere costituito da massae, aggregati di numerosi appezzamenti di terra in cui non si praticavano ancora monoculture ma policulture specializzate417.

Con la proclamazione della Pax Augustea la Sicilia perse definitivamente il suo interesse strategico di avamposto militare verso il Nordafrica, per acquisire un ruolo prettamente economico-commerciale. L’isola si trovava adesso al centro di un Mediterraneo pacificato, in una posizione ideale per offrire punti d’appoggio costieri sulle rotte tra la penisola e le province dell’impero418. L’isola era strettamente dipendente da Roma, il mercato principale in cui trovava

sbocco la produzione di grano e di prodotti agro-alimentari. A seguito della conquista romana dell’Egitto (30 a. C.), in grado di fornire a Roma immense quantità di risorse cerealicole, la Sicilia perse però il suo primato di “granaio dell’impero” e assunse il ruolo secondario di colonia da sfruttare. Nel corso del I d. C. le classi senatorie e i ceti romani dominanti, appoggiati dal governo imperiale, impiantarono grandi aziende agricole, grandi massae che inglobarono le piccole e medie proprietà, funzionali ad incrementare le loro personali capacità economiche419.

Evidentemente, anche i notabili locali furono avvantaggiati dalla nuova situazione economica.

La costruzione in tarda età ellenistica di monumentali edifici pubblici, quali teatri, bouleuteria, stoai, il loro parziale rifacimento in età romana e l’esecuzione di opere di maggiore o minore rilevanza rappresentano un esplicito indicatore del benessere economico di cui adesso godevano le comunità e, in particolare, quella classe medio-alta arricchita dai commerci con Roma che si fa promotrice di tali interventi edilizi a vantaggio della città e della propria immagine di status sociale tra la cittadinanza. Una chiara testimonianza di questo processo sono le epigrafi che attestano l’esistenza in questo periodo dell’evergetismo pubblico e privato, un «phénomène de

classe»420. A Monte Iato è nota l’iscrizione recante il nome di Antallos, un privato cittadino che

dedicò il teatro; a Solunto è documentata l’opera di Antallos, figlio di Asklapos421, che realizzò a sue spese la pavimentazione della via d’accesso all’agora; a Termini è documentata l’opera di un benefattore che si occupò ε͗κ του̃ ι͗δίου della costruzione di canali di deflusso per le acque e della pavimentazione di una plateia422; a Halaesa, infine, un’epigrafe ricorda l’agoranomos M. Aimilios

Rho[don]423 che finanziò a sue spese un non precisato lavoro, presumibilmente un monumento

o dei lavori di ristrutturazione. Anche da Segesta provengono diverse attestazioni di atti evergetici pubblici e privati. Si ricordano i già citati Onasus e Sopolis, membri di una ricca famiglia proprietaria di terreni e forni per la produzione di laterizi nei pressi di Partinico, che finanziarono

417 CRACCO-RUGGINI 1982-1983, pp. 487, 490 – 491. Si può parlare di vero e proprio latifondo in Sicilia solo a partire

dalla metà del IV secolo d. C., quando si verifica una netta accelerazione di quei fenomeni di ruralizzazione e sviluppo delle campagne, già riscontrati nella prima e nella media età imperiale, strettamente connessa all’inclusione dell’isola nell’Italia Suburbicaria sotto Diocleziano e allo spostamento delle risorse granarie dell’Egitto da Roma a Costantinopoli nel 332d. C. Cfr. BERNARDINI et alii 2000, p. 115, e CRACCO RUGGINI 1982-1983, p. 514.

418 Cfr. WILSON 1990 b, pp. 21 – 22, 28; UGGERI 1982 – 1983, p. 432. 419 GABBA 1982 – 1983, pp. 522 – 523.

420 MIGEOTTE 1997, p. 187. Non è possibile in questa sede approfondire l’ampia tematica inerente l’evergetismo

civico, ma si rimanda ai contributi di MIGEOTTE 1997, FERRARY 1997, VIRLOUVET 1997 e PANCIERA 1997 con amplissima bibliografia.

421 Dedica del tardo II sec. a. C. Cfr. SEG LXI 836.

422 Iscrizione del II/I sec. a. C. Cfr. IG XIV 317 e IGDS I 202. 423 Dedica del I sec. a. C. Cfr. SEG XXXVII 761.

130 sua pecunia la pavimentazione del forum adiectum e il rifacimento del canale per il deflusso delle acque già esistente424. Sono altresì documentate opere di magistrati pubblici quali la costruzione

del bouleuterion per mano dell’epistatas Asklapos e dell’architetto Bibakos425, il restauro del tempio degli dei forensi a spese del prefetto L. Caecilius Martiales426. Altre epigrafi segestane,

conosciute già da tempo, documentano che la cura dei lavori di costruzione di alcuni edifici e l’esecuzione di alcune opere era responsabilità di funzionari pubblici, quali l’agoranomos Xenarchos figlio di Apollodoros e lo hieromnamon Tittelos figlio di Artemidoros onorati nelle iscrizioni427. Sebbene alcune epigrafi non specifichino espressamente chi avesse finanziato

l’opera, era un’usanza comune e molto diffusa nel corso dell’età ellenistica e romana onorare con statue o iscrizioni sia il personaggio privato che si occupava del finanziamento come atto di pura munificenza, sia il magistrato locale che sovvenzionava un’opera come summa honoraria, cioè come atto dovuto alla cittadinanza al fine di ringraziarla per la propria elezione. È evidente che i fondi delle comunità cittadine impiegati per i diversi, nonché costosi ed impegnativi, lavori urbanistici eseguiti tra la fine del II secolo a. C. e il I secolo d. C. provenissero dalle rendite agrarie del territorio circostante, certamente incrementate dall’intervento politico del governo romano nelle dinamiche economiche della provincia Sicilia. L’attestazione di finanziamenti da parte di notabili locali, quali ad esempio Onasus e Sopolis a Segesta, riveste una particolare rilevanza in quanto fornisce dei dati utili per la comprensione del benessere economico e delle dinamiche socio-economiche della Sicilia romana tardorepubblicana e protoimperiale428.

Sebbene dunque il fiorire dell’agricoltura e l’incremento della produzione avessero portato ad una notevole crescita dell’economia agraria, finalizzata all’approvvigionamento dell’Urbs, questi stessi fattori uniti alle attività coloniali predatorie delle classi dominanti (si veda ad esempio il famoso Verre) condussero al graduale declino delle città e delle strutture urbane, verso le quali il governo centrale di Roma non mostrava alcun interesse429. La trasformazione

dell’organizzazione territoriale e socio-economica costituì un elemento decisivo nei processi di abbandono e declino dei centri urbani di altura, certamente ben difendibili ma non facilmente accessibili e spesso privi di abbondanti risorse idriche e nel conseguente sviluppo delle città costiere e degli insediamenti ubicati lungo le direttrici di comunicazione necessarie per la

deportatio ad aquam della produzione cerealicola430. I fenomeni di ruralizzazione, di rarefazione

dell’insediamento sparso nelle campagne e di concentrazione della proprietà fondiaria, dinamiche iniziate da lunghissimo tempo431 e accelerate in particolar modo durante l’età

424 AMPOLO – PARRA 2012, pp. 274 – 275.

425 Iscrizione datata tra il III e la seconda metà del II sec. a. C. Cfr. IGDS II 88 e NENCI 2000, p. 810. 426 Cfr. NENCI 2000, p. 812.

427 Cfr. IG XIV 290 e 291 (IGDS I 215 e 216). Per una corretta integrazione e un commento alle epigrafi si rimanda a

AMPOLO – PARRA 2012, p. 278.

428 Cfr. AMPOLO – PARRA 2012, pp. 279 - 280 429 GABBA 1982 – 1983, pp. 517 – 518.

430 WILSON 1990b, pp. 155, 232; UGGERI 1982 – 1983, pp. 432 – 433.

431 Si sottolinea che il processo di declino e d’abbandono dei siti non è un fenomeno estraneo alla Sicilia, né da

collegare alla sola età tardorepubblicana. Diversi insediamenti furono abbandonati per diversi motivi già nel corso del V e del IV secolo a. C. (Cfr. WILSON 1990b, p. 143) Si consideri a tal proposito la ruralizzazione delle città di Selinunte, Himera, Gela, Camarina, Megara Iblea e Naxos, iniziata già nel IV secolo a. C. come conseguenza delle lotte egemoniche tra Siracusani e Cartaginesi (Cfr. ASHERI 1982-1983, pp. 475 – 476). Si veda anche il paragrafo

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imperiale, possono dunque a buon diritto essere considerate le cause principali del declino e dell’abbandono dei centri urbani432.

Per quanto riguarda il territorio segestano le indagini archeologiche hanno rilevato la nascita e lo sviluppo di alcuni insediamenti rurali posti sui versanti vallivi dei fiumi che attraversano il comprensorio. Tra questi si segnalano: l’insediamento di Aquae Segestanae, la statio romana citata nell’Itinerarium Antonini, localizzata lungo la Via Valeria in località Ponte Bagni, presso le sorgenti sulfuree del Fiume Caldo, databile tra il II e il IV secolo; il grande sito sorto durante l’ellenistica in Contrada Pispisa, nella vallecola tra il versante orientale del monte Pispisa e una gola profonda, oltre la quale si elevano il Monte Barbaro e la collina del Grande Tempio, in cui si attesta una fase di particolare floridezza tra II e III secolo ed una continuità di vita fino al VI d. C.433; il villaggio individuato in Contrada Arcauso, sul ripiano prospiciente la valle del Fiume

Freddo alle pendici orientali del rilievo del Bosco di Angimbè, in cui si attesta una continuità di vita dall’età classica al tardo impero ed un’eccezionale prosperità in particolare tra II e III secolo d. C. 434; la fattoria di Cusumano, nella valle del Belice vicino Poggioreale, una struttura composta

da una serie di vani posti attorno ad un grande cortile centrale, esistente già nel I secolo a. C. ed in uso fino al tardo VI secolo, con un gap tra il II d. C. e la metà del IV sec. d. C.435; il sito di

Sirignano, localizzato sulle rive del torrente Passo Fondo nel territorio attuale di Gibellina, che si sviluppa tra I e III secolo; l’insediamento in località Rosignolo, ubicato sulla riva sinistra del Fiume Freddo, databile tra I e IV secolo sulla base delle ceramiche rinvenute436; due fattorie individuate

nel territorio di Alcamo e l’insediamento localizzato nella vallata tra i Monti Domingo, Pispisa, Fontanelle e Bernardo nei quali si attesta una fase di particolare floridezza tra II e il III secolo d. C.437. Si tratta per lo più di insediamenti agricoli che mostrano caratteristiche simili per

dimensioni, funzioni, cronologia d’uso, tipo di reperti restituiti, composti da abitazioni di medie o grandi dimensioni in grado di ospitare più famiglie contadine e animali, ubicate al centro di ampi appezzamenti di terra, in cui si svolgevano attività di pastorizia e lavorazione della lana, ma anche di produzione di olio, vino, grano438.

introduttivo del cap. I, supra, per quanto concerne la trasformazione della tipologia insediativa nelle campagne della Sicilia in età tardorepubblicana, da considerarsi un fattore decisivo per la concentrazione di proprietà agrarie ed ebbe come conseguenza finale la creazione del latifondo. Si rimanda inoltre a MAZZA 1980-1981, per un quadro d’insieme dell’economia e della società nella Sicilia romana.

432 Cfr. WILSON 1990b, p. 23.

433 BERNARDINI et alii 2000, pp. 108 – 111. 434 BERNARDINI et alii 2000, pp. 110 – 111.

435 WILSON 1990b, p. 195. Si segnala il rinvenimento di alcuni strumenti da lavoro, tra cui quattro vomera, un piccone

e un falcetto per la potatura.

436 Cfr. DI STEFANO 1982-1983, p. 364.

437 Cfr. BERNARDINI et alii 2000, pp. 108 – 111.

438 Ivi, pp. 111 – 112. Nei siti sopra citati, l’attestazione di ingenti quantità di ceramica africana da mensa di

produzione A e da cucina e la contemporanea scarsa diffusione di anfore africane per il trasporto di derrate alimentari testimoniano l’importazione nelle campagne segestane di vasellame di costo contenuto e non di prodotti agroalimentari di più alto costo, i quali provenivano dalle aree limitrofe. Si sottolinea, inoltre, che le fonti storiche testimoniano una produzione di vini pregiati nella Sicilia del medio e del tardo impero, la cui diffusione non si sarebbe limitata alla sola isola ma sarebbe estesa anche in Africa settentrionale e nella penisola italica

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Un particolare interesse riveste il sito di Aquae Segestanae, un centro di grandi dimensioni situato presso le sorgenti sulfuree del Fiume Caldo, nell’ampia area di Ponte Bagni dominata dall’altura di Calathamet, il quale doveva servire per lo smistamento dei prodotti agricoli. Qui le ricerche archeologiche hanno portato in luce non solo delle strutture abitative, ma anche un’area sepolcrale e un’area cultuale da connettere verosimilmente con il culto delle acque termali, in uso dal III secolo a. C. fino al IV d. C. La zona interessata dalla statio si estende per tre ettari lungo il lato della strada moderna che conduce a Castellammare del Golfo, la quale sembra ricalcare il tracciato della via Valeria, la strada litoranea costruita dal console Marco Valerio Levino che collegava Messena a Lilybaeum e permetteva il controllo delle città siceliote che si affacciavano sulla costa tirrenica439. La statio, esistente già nel I secolo d. C., subì un notevole sviluppo

soprattutto durante il corso della media e della tarda età imperiale, raggiungendo l’apice di espansione nel V e nel VI secolo. La menzione del sito nell’Itinerarium Antonini con il doppio nome Aquis Segestanis sive Pincianis440 testimonia che nel medio impero, quando venne redatto l’itinerario e la città di Segesta era ormai stata abbandonata, si preferì associare la statio al gentilizio del proprietario di una massa, una grande proprietà agricola della zona441.

Il graduale fenomeno di ruralizzazione del territorio segestano, testimoniato già a partire dall’età augustea con la costruzione dell’impianto per la spremitura delle olive che riutilizza le murature di Porta di Valle, insieme alla dinamica di spostamento degli insediamenti nei pressi dei fondivalle, si possono leggere dunque come parti di un unico processo di spopolamento e declino del centro urbano.

Per quanto riguarda la cuspide nordoccidentale dell’isola, oltre ai siti già citati localizzati lungo le valli dei fiumi Freddo e Belice e dei loro affluenti, si attestano numerosi insediamenti rurali nel territorio tra Marsala e Mazara del Vallo, sorti nel corso del II secolo d. C. lungo i torrenti del Mazaro, in vita fino al V o VI secolo d. C.442

Anche altrove, già a partire dalla seconda metà del I secolo a. C., si riscontra il lento abbandono di numerosi centri urbani, ubicati generalmente su alture sia in prossimità delle coste che

439 Si tratta della Ου͗αλερία ο͗δός citata da Strabone in Strabo., Geo., VI, 2, 1. Per un approfondimento su questa

arteria stradale e sulla viabilità nella provincia romana di Sicilia si rimanda a UGGERI 1982-1983.

440 Itin. Anton. Aug., 91, 2.

441 Si sottolinea che il suffisso -āna nei toponimi prediali si riferisce in particolare ad un sostantivo femminile

sottinteso quale, solitamente, massa, statio, villa o domus. Wilson ritiene che il proprietario possa essere identificato con C. Maesius Picatianus, membro della gens Maesia, la più importante famiglia senatoria siciliana del medio impero di cui parlano le fonti, vissuto nel II secolo. Nenci ritiene, invece, che la denominazione Pincianae sia una corruzione della denominazione Phimianae, riferibile a Phimes, l’affittuario di un vasto appezzamento terriero nell’agro segestano citato da Cicerone nelle Verrine («Diocles, Phimes nominatus», in Cic., Verr., 2, 92 e segg.). Il Facella, ritenendo errata la lezione Pincianae, la quale potrebbe essere derivata da uno sbaglio del copista, e considerando la forma Picianae più corretta, preferisce una derivazione dal gentilizio Apicius o Picius, non documentato ma probabilmente esistente. L’attestazione del toponimo Pichanum relativo ad un feudo nei pressi della vicina Monte Iato, potrebbe corroborare tale tesi. Cfr. NENCI 2000, p. 810; BERNARDINI et alii 2000, pp. 114 – 115 e FACELLA 2003, pp. 446 – 447, con relativa bibliografia.

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nell’entroterra, quali ad esempio Eraclea Minoa e Morgantina443. Il declino di Monte Iato,

attestato a partire dalla metà circa del I secolo d. C., potrebbe verosimilmente essere collegato al generale processo di ruralizzazione dei siti più interni della Sicilia e delle piccole città costiere444. Allo stesso modo, Mineo (CT) può essere considerato un altro esempio di sito su

altura che visse un periodo di graduale abbandono a partire dalla prima età imperiale, per essere rioccupato solo molto tempo dopo in età tardoantica445.

Una situazione completamente differente si riscontra invece nelle città costiere, in cui si attesta il fenomeno opposto di espansione urbana. Questi centri furono certamente favoriti dalle remunerative attività economiche che si svolgevano nei porti - scali obbligati della rotta di

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