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Contributo alla conoscenza di Segesta ellenistica e romana. Studio sui materiali ceramici dei livelli d'abbandono della stoa Nord dell'agora.

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DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA IN ARCHEOLOGIA

ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DI SEGESTA ELLENISTICA E

ROMANA. STUDIO SUI MATERIALI CERAMICI DEI LIVELLI

D’ABBANDONO DELLA STOA NORD DELL’AGORA.

Relatore

Prof.ssa Maria Cecilia Parra

Correlatore

Riccardo Olivito

Candidata

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3 Alla mia famiglia. Allo zio Glò. Alle mie amiche e ai miei amici,

veri compagni di viaggio.

Ἰλίου δὲ ἁλισκομένου τῶν Τρώων τινὲς διαφυγόντες Ἀχαιοὺς πλοίοις ἀφικνοῦνται πρὸς τὴν Σικελίαν, καὶ ὅμοροι τοῖς Σικανοῖς οἰκήσαντες ξύμπαντες μὲν Ἔλυμοι ἐκλήθησαν,

πόλεις δ' αὐτῶν Ἔρυξ τε καὶ Ἔγεστα. (Thuc. St. VI, 2. 3)

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Indice

Introduzione 6

Alcuni cenni alla storia del sito 9 I. La città di Segesta in età ellenistica e romana 12

I.I Il sistema difensivo 14

I.II Le necropoli 16

I.III Le abitazioni private 18

I.IV Il teatro 22

I.V L’ agora/forum 29

I.V.I La terrazza superiore dell’agora: il bouleuterion 31

I.V.II L’edificio con criptoportico e il tempio degli dei forensi 34

I.V.III L’area Sud-Ovest d’ingresso all’agora: la stoa sudoccidentale, il macellum e il forum adiectum 37

I.V.IV La stoa meridionale e la porta monumentale Sud 42

I.V.V La stoa Nord 44

II. Studio dei materiali del livello pavimentale della stoa Nord 51

II.I Introduzione al catalogo 51

II.II Unità Stratigrafiche 53

II.III Catalogo - Sezione I: MATERIALI CERAMICI 55

II.III.I Ceramica a vernice nera 56

II.III.II Terra Sigillata 70

II.III.III Ceramiche comuni 73

a) Ceramica da fuoco 73

b) Ceramica acroma 77

II.III.IV Ceramica da trasporto 81

II.III Catalogo – Sezione II: VARIA 91

II.III.V Altri materiali 92

II.IV Conclusione al catalogo 94

II.IV.I Ceramica a vernice nera 97

II.IV.II Terra Sigillata 98

II.IV.III Ceramiche comuni 99

II.IV.IV Ceramica da trasporto 100

II.IV.V Gli strati d’abbandono della stoa Nord 101

III. Lo sviluppo e il declino di altri siti della Sicilia ellenistica e romana. Inquadramento storico e archeologico 105

III.I L’agora e il teatro di Monte Iato 105

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5

III.III L’agora di Thermae Himerae 118

III.IV L’agora di Halaesa Arconidea 121

III.V Il panorama siceliota tra la tarda età ellenistica e il Medio Impero. 127

Conclusioni 135

Abbreviazioni periodici 139

Abbreviazioni bibliografiche 140 ILLUSTRAZIONI

TAVOLE - MATERIALI CERAMICI IMMAGINI – VARIA

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6 Introduzione

La complessa storia urbanistica della città di Segesta si snoda lungo un arco cronologico millenario che va dalla fine del VI - inizi del V secolo a. C. sino al XII-XIII secolo d. C., entro cui la ricerca archeologica ha permesso di distinguere e individuare con certezza quattro grandi fasi insediative: arcaica, classica, ellenistico-romana e medievale.

Le indagini condotte dalla Scuola Normale Superiore di Pisa in collaborazione con l’Università di Pisa hanno consentito di portare alla luce l’agora/forum, il cuore della città, che può essere considerata quale espressione somma di quel ricorso a forme architettoniche di derivazione microasiatica, con le sue caratteristiche monumentali, scenografiche, di enfasi architettonica, con il suo carattere distintivo di spazio fisicamente chiuso tra edifici pubblici, secondo il principio di architettura urbanistica di piazza chiusa “a peristilio”, ma allo stesso tempo aperto ad accogliere le molteplici attività della polis, in funzione delle diverse esigenze politiche ed economiche.

A Segesta l’opera di monumentalizzazione della città, iniziata già nel III secolo a. C. e sviluppata soprattutto a fine II secolo a. C., proseguì senza soluzione di continuità anche in età romana attraverso notevoli lavori di costruzione, restaurazione e rifunzionalizzazione. Impiantata negli ultimi decenni del II secolo a. C., l’agora venne modificata nel corso della prima età imperiale. Alcuni edifici, quali il macellum con tholos e il tempio degli dei forensi, vennero aggiunti ex novo, altri vennero restaurati e rifunzionalizzati secondo i canoni propri dell’edilizia romana. Le trasformazioni non riguardarono soltanto i caratteri architettonici e strutturali, ma anche una radicale rifunzionalizzazione che riflette una nuova e diversa concezione urbanistica in cui le attività commerciali svolgono un ruolo preponderante.

Il presente studio sui materiali ceramici dei livelli sovrapavimentali della navata interna della stoa Nord ha consentito di fornire una datazione per l’abbandono di questo edificio, contribuendo a definire solidamente i limiti cronologici della sua vita e del suo utilizzo. Gli strati indagati hanno restituito materiali ceramici che rimandano ad una fase di disuso e abbandono da collocare tra la fine del II e gli inizi del III secolo d. C.

Al fine di confermare il quadro delle datazioni cronologiche si è proceduto, quindi, ad una comparazione con altri centri sicelioti della costa tirrenica, che ha riguardato sia le fasi coeve di sviluppo urbanistico, caratterizzate dalla tendenza alla monumentalizzazione scenografica delle agorai e dei teatri, sia le fasi di abbandono e declino delle città.

La tesi si compone di tre capitoli principali. Dopo una breve introduzione alla storia del sito di Segesta, consistente in un riassuntivo inquadramento storico e delle fasi insediative della città, nel primo capitolo si presentano le evidenze archeologiche relative all’abitato ellenistico e romano della città nel tentativo di fornire un chiaro quadro di riferimento. I dati derivano da un’attenta e dettagliata ricerca tra tutte le rassegne archeologiche del Laboratorio di Scienze dell’Antichità (LSA) e del Laboratorio di Storia Archeologia Epigrafia e Tradizione dell’Antico (SAET) della Scuola Normale Superiore di Pisa, pubblicate nelle Notizie degli Scavi di

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7 Antichità comunicate dalla Scuola Normale Superiore (in ANSP) tra il 1991 e il 2016. Il capitolo si suddivide in cinque paragrafi, relativi rispettivamente al sistema difensivo della città, alle necropoli, alle abitazioni private, al teatro e infine all’agora/forum e agli edifici di carattere pubblico ad essa collegati, parte preponderante dello studio.

Il secondo capitolo consiste nell’esposizione dello studio scientifico eseguito sui reperti ceramici provenienti dai livelli pavimentali della stoa Nord dell’agora di Segesta. Il catalogo dei materiali è diviso in due sezioni: la prima è dedicata alla ceramica; la seconda contiene l’elenco dei reperti di altra natura, quali frammenti litici, metallici e vitrei. La prima sezione si suddivide in quattro parti, relative alle classi ceramiche individuate, ossia ceramica a vernice nera, terra sigillata, ceramiche comuni e ceramica da trasporto. Nella classificazione si è scelto di inserire all’interno delle ceramiche comuni tutti quei materiali di uso domestico privi di caratteristiche estetiche particolari, e di distinguerli in due gruppi: ceramica da fuoco, contenente la ceramica destinata alla cottura degli alimenti, e ceramica acroma, in cui sono stati raggruppati tutti quei contenitori privi di rivestimento che avevano un utilizzo diverso in ambito domestico. Di ogni frammento, numerato progressivamente, si specifica la parte e la forma del vaso di appartenenza; si indica l’US di provenienza, in successione numerica crescente, il numero d’inventario relativo al Catalogo dei Beni Archeologici di Segesta e la tavola di riferimento. Segue la descrizione su base autoptica del frammento e del corpo ceramico, di cui sono state indicate le principali caratteristiche. Durante la fase di schedatura dei materiali, nel tentativo di evitare valutazioni troppo soggettive, è stato applicato un metodo di classificazione basato su criteri prestabiliti. Degli impasti vengono indicati: il colore; la porosità; la durezza; la presenza di inclusi, dei quali si specifica colore, quantità e grandezza; il tipo di frattura; l’atmosfera di cottura; il rivestimento esterno, ove presente. Segue l’indicazione in centimetri delle dimensioni dei frammenti ceramici. Si citano, infine, i materiali che possono costituire degli attendibili confronti e si indica la datazione del reperto e il luogo o l’area di produzione, ove individuati. Questi ultimi dati sono ipotesi formulate sulla base della letteratura scientifica, di esami di carattere macroscopico e di osservazioni di natura tipologica e morfologica.

Nel terzo ed ultimo capitolo si è tentato, quindi, di contestualizzare dal punto di vista storico i dati desunti dall’indagine scientifica e di trovare dei confronti con le fasi di abbandono e declino di altri centri della Sicilia romana. In particolare si è proceduto ad un’esposizione dei dati archeologici editi relativi ai siti di Monte Iato, Solunto, Termini Imerese e Alesa Arconidea, selezionati in base ad un criterio topografico in quanto localizzati sulla costa settentrionale dell’isola e collegati dalla via Valeria, una delle principali vie di comunicazione della Sicilia tardorepubblicana e imperiale. L’indagine ha riguardato le analogie e le differenze sia nello sviluppo architettonico tardoellenistico che nelle dinamiche di abbandono d’età romana. Nonostante la penuria di fonti storiche riguardanti il declino di numerose città della Sicilia protoimperiale, si è potuta riscontrare una generale tendenza allo spopolamento dei siti d’altura, documentata dal coevo declino dei centri urbani, e una propensione a spostare gli insediamenti verso i fondivalle e verso i porti, luoghi adatti sia alla coltivazione che allo scambio e al commercio delle produzioni agrarie dell’entroterra. L’abbandono di Segesta di fine II – inizi III d. C., così come

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8

il declino dei centri urbani di Monte Iato (metà del I secolo d. C.) e Solunto (nei primi decenni del III secolo d. C.) possono verosimilmente essere collegati ai processi di ruralizzazione e di progressiva concentrazione della proprietà fondiaria, conseguenza delle riforme agrarie attuate dal governo di Roma a partire dall’età augustea. Le città portuali di Thermae Himerae e Halaesa costituiscono invece gli esempi dell’opposta dinamica di espansione e sviluppo urbano riscontrabile nelle maggiori città costiere dell’isola in età imperiale, le quali conobbero un notevole incremento delle attività commerciali nell’economia locale e una continua floridezza e vitalità.

Si sottolinea tuttavia che l’elaborato si presenta come un contributo di studio per la conoscenza della Segesta ellenistica e romana, senza quei caratteri di completezza che potrebbero derivare da indagini archeometriche e analisi minero-petrografiche, in grado di fornire indicazioni precise sulle zone d’origine dei minerali contenuti nelle argille dei materiali ceramici, che permetterebbero di validare o meno le ipotesi proposte in questa sede. Ulteriori informazioni, preziose per la datazione degli strati selezionati, potranno derivare da un restauro delle monete bronzee rinvenute tra i materiali dei livelli pavimentali della stoa Nord. Peraltro, nuove e aggiornate pubblicazioni riguardanti le più recenti indagini archeologiche e i materiali ceramici, spesso ancora inediti, di altri centri urbani e rurali della Sicilia ellenistica e romana consentiranno di avere un quadro più completo cui far riferimento.

In conclusione, vorrei evidenziare che per me Segesta è molto più che un tema di ricerca universitaria. Oltre a una dimensione personale affettiva, in quanto espressione identitaria del territorio in cui sono vissuta, mi lega a Segesta la consapevolezza di un lavoro fondamentale nel mio percorso di formazione e di crescita professionale.

Anche per questo desidero ringraziare la Prof.ssa Maria Cecilia Parra per avermi dato questa opportunità e per avermi suggerito questo affascinante argomento di ricerca, oltre che per la disponibilità dimostrata nel lungo periodo di stesura della tesi.

Un particolare ringraziamento va inoltre a Riccardo Olivito, il correlatore di questa tesi, per avermi fornito preziose indicazioni e per avermi pazientemente seguito in ogni passo.

Sono inoltre grata per la collaborazione ricevuta da parte di tutti i membri dell’équipe che hanno scavato a Segesta. Un sentito grazie va soprattutto a Oriana Cannistraci, a Marianna Perna e a Cesare Cassanelli, il quale ha provveduto alla realizzazione della maggior parte dei rilievi presenti in questo lavoro.

Un sentito grazie va infine al personale e all’amministrazione del Parco Archeologico di Segesta, in particolare alla dott.ssa Agata Villa, Direttore del Parco, all’arch. Anna Vincenza Occhipinti, Dirigente dell’Unità Operativa 2, nonché all’arch. Antonella Ricotta, per avermi gentilmente ospitato nella sede di Case Barbaro rendendo possibile lo studio sui materiali ceramici oggetto di questa tesi.

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9 Alcuni cenni alla storia del sito

Identificato già nel 1558 da Fazello, nel De Rebus Siculis Decades Duae1, il sito archeologico di Segesta è stato a lungo oggetto di ricerche storiche e archeologiche. Le più antiche stagioni di ricerca si concentrarono sullo studio di quei due grandiosi monumenti, il Tempio e il Teatro, che ancora oggi caratterizzano il paesaggio segestano. Un’indagine sistematica del sito e dell’area urbana prese avvio solo a partire dal 1987, quando, la Soprintendenza per i Beni Archeologici e Ambientali di Trapani, diretta da R. Camerata Scovazzo, promosse un progetto integrato di ricerca sulla “forma urbana di Segesta” nell’area demanializzata di oltre 200 ettari, in seguito istituita Parco archeologico della Regione Siciliana. Da allora, grazie anche alla collaborazione con la Scuola Normale Superiore di Pisa2, gli scavi che si sono susseguiti hanno restituito un’immagine

ben più ampia e stratificata della città, che oggi è possibile apprezzare nel suo sviluppo diacronico, distinguendo le diverse fasi di vita e i diversi tipi di insediamento all’interno di un quadro unitario.

La storia urbanistica della città di Segesta, situata sulle alture di Monte Barbaro e collegata al mare Tirreno attraverso i corsi del fiume Crimiso (oggi conosciuti come Caldo e Freddo), è notevolmente complessa e si articola in una successione di fasi all’interno di un esteso arco cronologico che va dalla fine del VI - inizi del V secolo a. C. sino al XII-XIII secolo d. C. La ricerca archeologica ha permesso di distinguere e individuare con certezza quattro grandi fasi insediative che si susseguono all’interno di questo ampio lasso di tempo: la fase arcaica, quella classica, quella ellenistico-romana e la fase medievale.

Della prima fase insediativa, preistorica e protostorica, si hanno purtroppo solamente sporadiche tracce di frequentazione, documentate da tre frammenti di ceramica di età neolitica provenienti da Grotta Vanella e da abbondanti altri reperti ritrovati durante le numerose ricognizioni archeologiche. Alla fase protostorica sembrerebbero, inoltre, riferirsi alcune buche di palo trovate sull’Acropoli Nord che, tuttavia, non risultano essere associate ad alcun livello d’uso3.

L’esiguità dei dati archeologici riguardanti questa prima fase è, in qualche modo, compensata dalle numerose fonti letterarie in nostro possesso, che collocano la fondazione della città tra mito e storia, ossia in quei tempi remoti quando, distrutta Ilio, alcuni dei Troiani in fuga con Enea approdarono in Sicilia e si stabilirono nell’area del fiume Crimiso, in territorio sicano; lì furono chiamati Elimi e le loro città Erice e Segesta4.

Le prime, più consistenti, tracce di occupazione del sito sono riconducibili al VI sec. a. C. L’insediamento arcaico si configura come un sistema di abitazioni sparse tra la cima e le pendici del Monte Barbaro, sulle due colline che lo compongono, disposte su terrazzamenti artificiali e collegate da un tortuoso intreccio di sentieri parzialmente scavati nella roccia5. A tale fase

1 FAZELLO 1558, pp. 156-160, 169, 267, 296.

2 Per i dettagli sulla storia della ricerca archeologica a Segesta, si rimanda a AMPOLO et alii 2010, pp. 525 – 534. 3 CAMERATA SCOVAZZO 1997, pp. 207-208.

4 In particolare si vedano Thuc. St. VI, 2. 3 e Dion. Halic. Ant.Rom. I, 44. Per maggiori dettagli sulle fonti letterarie,

epigrafiche e numismatiche, si rimanda a AMPOLO et alii 2010, pp. 513-525.

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insediativa sono riferibili sia strutture lignee sia abitazioni terrazzate nel pendio roccioso6. Queste

ultime, di forma quadrangolare e divise in vani da tramezzi in muratura, presentavano tre pareti scavate nella roccia e le parti restanti costruite con la pietra cavata7. I livelli d’uso pertinenti alle

differenti tipologie di abitazione sono tutti inquadrabili in questa stessa fase e databili tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a. C. La costruzione della prima cortina muraria a difesa della città, iniziata proprio in questo periodo, determinò l’abbandono delle aree che ne rimasero all’esterno o che furono direttamente toccate dal nuovo impianto murario.

Completati i lavori di sistemazione, nella seconda metà del V secolo, la città era munita di un complesso sistema difensivo che si estendeva sui lati Nord e Nord-Ovest del monte a protezione del fondovalle, costituito da un’imponente cinta muraria con undici torri a pianta quadrata e tre porte urbiche8. Oltre alle opere di fortificazione, la città provvide anche alla costruzione di due

monumentali luoghi di culto, che riflettono pienamente le coeve tradizioni architettoniche greche. Dalla metà del V secolo, infatti, «l’intero complesso dell’architettura greca cultuale fece irruzione a Segesta con due grandi templi»9. Il più antico, il santuario di Contrada Mango, sorge

extra moenia sulle pendici meridionali del Monte Barbaro. All’interno dello spazio sacro delimitato da un muro di temenos di 47,80 x 83,40 m ed eseguito in opera isodoma si ergeva un tempio periptero di ordine dorico, delle dimensioni di circa 28 x 56 m, articolato in pronao, naos e opistodomo. Il tempio venne interamente smantellato in un periodo non definibile cronologicamente e non rimangono che le tracce in negativo delle fondazioni nella roccia. Le imponenti dimensioni e le caratteristiche degli elementi architettonici rinvenuti permettono, tuttavia, di datarlo alla metà del V sec. a. C., ossia nella fase di transizione tra lo stile Severo e lo stile di età pienamente classica10.

Sul finire del V secolo venne eretta, all’interno della cinta muraria inferiore, la peristasi del Grande Tempio che si erge ancora integro sulla collina occidentale del sito. La pianta, con sei colonne doriche sulle fronti e quattordici sui lati, prevedeva una cella interna centrale, la quale non venne però ultimata. È ormai assodato che l’edificio non fu mai finito: la costruzione del tempio venne abbandonata e mai più ripresa probabilmente a causa di problematiche economiche dovute alla guerra che opponeva Segesta alla rivale Selinunte, distrutta dai Cartaginesi suoi alleati nel 409 a. C. Le bugne visibili sui blocchi della gradinata e l’assenza di scanalature in alcune delle colonne ne sono una chiara testimonianza11. Oltre a queste maestose

architetture, dell’abitato di età classica rimane ben poco poiché in seguito alla conquista da parte del tiranno siracusano Agatocle, avvenuta nel 307 a. C., la città venne interamente rasa al suolo12.

6 Evidenze archeologiche riferibili a questa fase insediativa sono state riscontrate nel SAS 5, nel SAS 7 e nel SAS 8.

Vd. BECHTOLD-FAVARO 1995c, pp. 1024-1025; BECHTOLD-FAVARO 1995d, pp. 1128 – 1132; FAVARO 2008a, pp. 30-31.

7 CAMERATA SCOVAZZO 1997, pp. 208-210.

8 Si tratta della cosiddetta cinta muraria inferiore: vd. CAMERATA SCOVAZZO 1997, pp. 211- 214; CAMERATA

SCOVAZZO 2008, pp. 13-14. Per gli interventi di trasformazione di Porta di Valle e della cortina muraria tra V e IV sec. a. C. si rimanda, più in dettaglio, a FAVARO 2008a, pp. 28-64.

9 MERTENS 2006, p. 407.

10 Ivi, pp. 408 – 410. Per indicazioni bibliografiche sugli scavi eseguiti a contrada Mango: AMPOLO et alii 2010, p.

527.

11 MERTENS 2006, pp. 410 – 416. 12 CAMERATA SCOVAZZO 2008, p. 13.

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In età ellenistica e romana Segesta visse una nuova fase di splendore e ricchezza. A seguito della prima guerra punica combattuta a fianco dei Romani e in virtù delle comuni origini troiane, alla città fu conferito il titolo di civitas libera ac immunis, una particolare qualifica che, garantendo l’esenzione dalla decuma, assicurava privilegiate condizioni economiche13. Tra il III e il II sec. a. C.

la città venne, dunque, ricostruita e almeno in parte riorganizzata secondo principi urbanistici ed architettonici tipici dell’ellenismo. Sfruttando appieno la morfologia e le curve di livello del Monte Barbaro, vennero realizzati i grandi terrazzamenti artificiali su cui si articola l’abitato. Il nuovo progetto urbanistico previde l’edificazione di monumentali edifici pubblici, quali il teatro, il bouleuterion, le stoai prospicienti l’agora.

Nonostante la forte contrazione della città nella seconda metà del I sec. a. C., che determinò l’arretramento delle strutture difensive e la costruzione della cinta muraria superiore14, la vita a

Segesta si protrasse senza soluzione di continuità fino alla fine del II – inizi del III secolo d. C., quando ebbe inizio il progressivo abbandono del sito.

Un abbandono, tuttavia, non definitivo. In età tardoantica e bizantina Segesta ospitò, infatti, un modesto insediamento, documentato per il momento da alcune sepolture individuate nell’area del macellum e del criptoportico sulla cosiddetta Acropoli Nord, da un’iscrizione funeraria datata al 524 d. C. e da un ambiente a carattere commerciale, probabilmente un magazzino, in uso tra VI e VII secolo d. C.15

Successivamente, a distanza di diversi secoli, il sito venne rioccupato in età medievale: tra XII e XIII secolo l’abitato venne ripristinato sulla sommità delle due alture e dotato sia di strutture difensive, sia di nuovi luoghi di culto. Sulla collina dell’Acropoli Nord sorgeva una moschea che aveva pianta rettangolare ed era dotata della nicchia del mihrab (XII sec.), che venne distrutta nei primi decenni del XIII secolo, in concomitanza con l’edificazione del castello normanno-svevo, di cui sono ancora ben visibili i ruderi nelle vicinanze del teatro. La chiesa cristiana con tre absidi nei pressi venne obliterata successivamente dall’impianto di un’altra chiesetta16. Quest’ultima

fase edilizia fece puntuale ricorso a spoliazioni per il recupero di materiali edilizi, reimpiegati nelle nuove strutture. La città antica, sfruttata come vera e propria cava di pietra, fu dunque quasi interamente obliterata dall’insediamento medievale.

13 Cic. Verr., 2, 3, 6, 13. In età ciceroniana erano cinque le sine foedere immunes civitates ac liberae, ossia Centuripe,

Alesa Arconidea, Segesta, Alicie e Palermo. Per un approfondimento sui concetti di libertas ed immunitas si rinvia a PINZONE 2000, pp. 852 e segg.

14 Si veda ibidem e ivi, pp. 20-21; inoltre FAVARO 2008a, pp. 68 -69, FAVARO 2008b, pp. 91-92, e CAMERATA

SCOVAZZO 1997, p. 219.

15 AMPOLO – PARRA 2012, p. 273. Cfr. anche AMPOLO – PARRA 2011, p. 8. 16 Si veda AMPOLO et alii 2010, pp. 529 – 530, per i rimandi bibliografici.

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I. La città di Segesta in età ellenistica e romana

Tra III e II secolo a. C., dopo l’assedio del 307 a. C. e la conseguente distruzione per mano del siracusano Agatocle17, Segesta venne ricostruita secondo un grande progetto urbanistico ispirato

ai contemporanei modelli microasiatici. Il nuovo progetto, volto alla monumentalità e alla “teatralità”18, sfruttò la morfologia del Monte Barbaro per la realizzazione di ampi terrazzamenti

artificiali, creati attraverso imponenti e massicci interventi di sbancamento della roccia al fine di regolarizzare il pendio e consentire l’impianto dell’abitato. Le opere di sbancamento mirarono esclusivamente alla creazione di spazi usufruibili per l’edificazione e non furono funzionali al reperimento di materiale edilizio, dal momento che la roccia del Monte Barbaro risulta essere estremamente friabile. Esse rispondevano, dunque, ad una precisa preventiva pianificazione, la quale riflette appieno l’applicazione dei principi costruttivi dell’architettura microasiatica e, in particolar modo, pergamena19.

La città sorge sulle due alture in cui si articola il monte, poste rispettivamente a Nord e a Sud e separate da una depressione che accoglieva uno dei principali e più antichi assi viari, il quale si sviluppava con orientamento EstOvest (FIG. 1). L’altura a Sud era destinata esclusivamente a strutture private di carattere abitativo, mentre l’Acropoli Nord ospitava piccoli quartieri residenziali, la maestosa agora e gli edifici pubblici. L’area agoraica si sviluppava su tre distinti livelli altimetrici: la terrazza superiore occidentale, occupata dal bouleuterion e dal cosiddetto ginnasio; la grande terrazza intermedia, definita su ogni lato da stoai e adornata da monumenti minori; la terrazza inferiore sudoccidentale, scandita da una stoa sul lato settentrionale e percorsa da una strada basolata non carrabile, che consentiva l’accesso sia all’agora che all’area più a monte dove sorgeva il teatro.

In linea con le più avanzate realizzazioni dell’architettura ellenistica e analogamente a quanto avveniva in diversi altri siti della Sicilia, la città venne dunque ridefinita secondo criteri di grandiosa monumentalità. Gli interventi edilizi mirarono ad una puntuale ricerca di sfarzosità, di aspetti architettonici ed urbanistici scenografici e magniloquenti. Tali aspetti sono riscontrabili non solo nelle tipologie edilizie, ma anche nelle soluzioni architettoniche e decorative adottate tanto nelle abitazioni private quanto negli edifici a destinazione pubblica.

Le più recenti attività di ricerca archeologica indicano che quest’opera di monumentalizzazione raggiunse il suo apice nei decenni finali del II secolo a. C. Gli interventi edilizi non si arrestarono nei secoli successivi, in quanto importanti e notevoli lavori di costruzione, rifacimento e rifunzionalizzazione furono realizzati anche in età romana protoimperiale. La città crebbe e si sviluppò, dunque, senza soluzione di continuità tra età ellenistica e romana.

17 Per le vicende storiche in cui Segesta fu coinvolta si rimanda a AMPOLO et alii 2010, pp. 515-518, in particolare p.

517 per quanto riguarda la conquista da parte di Agatocle.

18 Per il concetto di “teatralità” si veda AMPOLO – PARRA 2016, pp. 205 e 211. 19 Cfr. AMPOLO – PARRA 2012, p. 272, e CAMPAGNA 2006, p. 25.

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L’esempio di Segesta getta luce sul più ampio contesto siceliota, inserendosi a pieno titolo nell’annoso dibattito sullo sviluppo degli impianti urbani della Sicilia ellenistica e romana. Per lungo tempo molti studiosi hanno preferito una datazione “alta” per le testimonianze di architettura pubblica e privata, considerando la caduta di Siracusa del 211 a. C. e la completa annessione dell’isola al dominio romano degli inderogabili terminus ante quem per l’inquadramento cronologico. Oggi, invece, le più ampie conoscenze archeologiche, relative sia alle produzioni dei materiali ceramici che alle tecniche edilizie, inducono a posticipare tale datazione e ad attribuire la fioritura urbanistica dei siti sicelioti al periodo compreso tra II e I secolo a. C. Sembra legittimo vedere in ciò una connessione con i cambiamenti politici, sociali ed economici che investirono la nuova provincia romana di Sicilia20.

Si sottolinea infatti che proprio in questo periodo si registra una trasformazione della tipologia insediativa nella Sicilia tardorepubblicana, un cambiamento dell’organizzazione socio-economica che avrebbe progressivamente portato alla creazione del latifondo, dovuto alle riforme politico-amministrative della provincia romana volte ad un riassetto della struttura della proprietà agraria e ad una ridefinizione dei rapporti di produzione. Il governo romano si adoperò in politiche indirizzate allo sviluppo dell’economia dell’isola, finalizzate soprattutto ad integrare la Sicilia nel più generale quadro mediterraneo, attraverso l’incremento della produzione granaria, delle colture specializzate della vite e dell’olivo e l’esportazione dei prodotti a Roma21. Il cambiamento

dell’organizzazione socio-economica nel territorio siceliota si riscontra soprattutto a seguito della seconda guerra servile, rappresentato dal fenomeno di urbanizzazione che portò ad una contrazione degli insediamenti rurali e ad uno sviluppo dei centri maggiori e dell’insediamento urbano, i quali avevano a disposizione più terra da coltivare. Analogamente, dunque, a quanto succedeva nelle limitrofe zone rurali e in altri centri siciliani, anche nel territorio segestano si constata l’abbandono delle aree periferiche e delle case di piccole dimensioni, monofamiliari e l’incremento demografico degli insediamenti maggiori e del principale centro urbano22. Segesta

conobbe quindi in questo periodo una fase di crescita demografica, espansione edilizia, di sviluppo urbanistico e di rinnovamento architettonico.

La storia edilizia segestana, che qui si vuole presentare, rappresenta solamente una delle espressioni di quella più generale tendenza alla monumentalità che caratterizzò diversi centri della Sicilia di età ellenistica e romana.

Non si conoscono purtroppo in dettaglio le cause, di certo non violente o traumatiche, che portarono al completo abbandono del sito tra le fine del II e i primi decenni del III secolo d. C. Si trattò di un lento e graduale processo di declino, le cui radici si possono collocare nel fenomeno di progressiva ruralizzazione e di rarefazione dell’insediamento sparso nelle campagne, fenomeno riscontrato in tutta la Sicilia tra la prima e la media età imperiale. A partire dalla fine del I secolo a. C. e, soprattutto, nel corso del I e del II secolo d. C. si riscontra, infatti, la tendenza a spostare gli insediamenti nei fondivalle ricchi d’acqua, maggiormente adatti alle attività agricole

20 Cfr. CAMPAGNA 2006, p. 15, WILSON 1990b, pp. 23 – 28. 21 MAZZA 1981, pp. 22 - 30.

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nonché prossimi alle principali direttrici stradali23. Non sembra pertanto difficile connettere tale

processo alla crisi del centro urbano e al concomitante spopolamento. Il parziale riutilizzo, tra età augustea ed adrianea, delle fortificazioni di Porta di Valle per attività produttive agricole, con la costruzione di un impianto per la spremitura delle olive, costituisce una testimonianza chiave di questo processo di ruralizzazione nel territorio segestano e dell’inizio del declino della città24.

I.I Il sistema difensivo

Le fortificazioni della città risalgono all’età tardo arcaica, ma numerosi e considerevoli interventi edilizi, succedutisi nel corso dei secoli, ne modificarono completamente l’assetto, l’estensione e il percorso originari. Le indagini archeologiche compiute dalla Soprintendenza dei BB. CC. AA. di Trapani tra il 1990 e il 1993 nella zona a valle compresa tra Case Barbaro e il punto di ristoro, denominata SAS 725, hanno consentito di individuare le distinte fasi edilizie del sistema difensivo.

Tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a. C. fu realizzata la cosiddetta “cinta muraria inferiore” a protezione dei lati Nord e nordoccidentale del massiccio del Monte Barbaro, in cui si trovavano le vie naturali d’accesso di fondovalle, facilmente accessibili. I versanti sudoccidentale, meridionale ed orientale del monte, più marcatamente ripidi ed impervi, rimasero invece privi di fortificazioni trovandosi già naturalmente difesi26. La cinta muraria tardoarcaica si componeva di

tre porte urbiche ubicate nelle zone topograficamente più basse e più facilmente accessibili, Porta di Case Barbaro, Porta di Valle e Porta Stazzo, e di undici torri a pianta quadrata. La Porta di Valle, interamente indagata, presentava un’articolazione molto semplice, con varco d’accesso composto dal ripiegamento dei due setti murari della cinta provenienti dalle due torri VI e IX, disposte ai lati della porta ad una quota leggermente più alta. I due spessi muri ripiegavano ad angolo retto verso l’interno, in corrispondenza del punto altimetricamente più basso della vallecola, formando un lungo corridoio d’ingresso in cui si trovavano i recessi per i due battenti della porta27.

Gli imponenti interventi delle età successive, motivati da necessità difensive compatibili alle più evolute tecniche poliorcetiche, trasformarono la porta in un vero e proprio bastione fortificato. Le trasformazioni della Porta di Valle non furono pianificate in un progetto unitario, ma realizzate in tempi diversi nell’arco di un intero secolo. All’impianto originario fu prima aggiunta una torre ad Ovest, poi un’altra ad Est, costruita con tecnica e materiale differenti, ed in seguito fu costruito un setto murario trasversale che dimezzò la luce della porta28. Alla fine del IV secolo a. C.,

23 BERNARDINI et alii 2000, pp. 107 – 110.

24 CAMERATA SCOVAZZO 2008, p. 21. Per l’impianto produttivo si veda FAVARO 2008a, pp. 69 – 72.

25 Tutti i dati relativi agli scavi condotti in quest’area sono stati recentemente pubblicati, in maniera chiara e

dettagliata, in Segesta III, a cui si rimanda.

26 CAMERATA SCOVAZZO 2008, p. 16.

27 Si veda in dettaglio FAVARO 2008a, pp. 32 – 41. 28 Ivi, pp. 42 – 54.

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probabilmente per contrastare l’assedio di Agatocle, venne infine costruito il Castello di Porta di Valle, un possente bastione fortificato con fronte difensivo avanzato. Il nuovo impianto era strutturato per consentire l’alloggio dei macchinari bellici e, inoltre, preceduto esternamente da una profonda trincea, la quale non solo garantiva una via d’uscita verso l’esterno, ma permetteva anche una difesa contro gli attacchi sotterranei29.

Durante la seconda metà del III secolo a. C., verosimilmente a seguito della venuta di Pirro in Sicilia occidentale e delle lotte con Amilcare, si attesta un primo arretramento del sistema difensivo. I bastioni fortificati vennero in parte abbandonati, perché ormai in rovina e parzialmente interrati dai detriti dilavati dal monte, e venne eretta la cosiddetta “cinta muraria

di mezza valle” (FIG. 2) 30. Di questo impianto difensivo rimangono solamente le fondazioni e

alcuni lembi dell’alzato afferenti ad una torre centrale, situata 100 m più a monte rispetto a Porta di Valle31.

Infine, quando negli ultimi decenni del I secolo a. C. l’abitato di Segesta subì una marcata contrazione, si riscontra un ulteriore arretramento delle strutture difensive e la costruzione della “cinta muraria superiore”32. Il nuovo impianto difensivo, indagato nelle aree denominate SAS 6 e

SAS 14, si sviluppava ad una quota compresa tra i 360 e i 385 m s. l. m. del Monte Barbaro. Era dotato di tredici torri a pianta quadrata o leggermente trapezoidali e di due porte urbiche, Porta Teatro e Porta Bastione. I muri a doppia cortina, con paramenti costituiti da corsi sub-regolari o irregolari di blocchi squadrati, lastre di medie e grandi dimensioni, ed emplecton eterogeneo, poggiavano direttamente sulla roccia livellata oppure su potenti strati di terra di riporto, funzionali al pareggiamento del declivio. La fortificazione, in parte costruita con elementi architettonici di reimpiego, ha obliterato strutture abitative precedenti e si erge su strati databili tra il II e la prima metà del I secolo a. C.33 L’analisi dei materiali ceramici rinvenuti negli strati di

riempimento dei cavi di fondazione della cinta muraria ha consentito di collocare precisamente la messa in opera della struttura tra il 40 e il 20 a. C.34

Quest’ultimo impianto difensivo cinge una città delle dimensioni nettamente più ridotte, avviata oramai in un lento processo di declino. La contrazione del centro urbano sembra da connettere ad una dinamica di spopolamento riscontrata in tutta la Sicilia d’età tardorepubblicana e protoimperiale, conseguente al fenomeno di progressiva ruralizzazione che determinò lo

29 Ivi, pp. 55 – 64.

30 CAMERATA SCOVAZZO 2008, p. 20.

31 La cinta era costituita da spessi muri a doppia cortina, che avevano paramenti composti da corsi regolari di blocchi

calcarei di medie e grandi dimensioni ed emplecton in blocchi irregolari di media grandezza. La torre, a pianta quadrata, era anch’essa realizzata da spessi muri a doppia cortina, con paramenti composti da filari regolari di blocchi in calcare ed emplecton di fattura mista, costituito da pietre, ciottoli e limo argilloso. Cfr. FAVARO 2008a, pp. 65-66.

32 BECHTOLD – FAVARO 1995b, pp. 995 – 1001; CAMERATA SCOVAZZO 1997, p. 219; FAVARO 2008b, pp. 91-92. 33 BECHTOLD – FAVARO 1995b, p. 1001; CAMERATA SCOVAZZO 1997, p. 219. Oltre agli elementi di reimpiego, si nota

che l’emplecton della torre 8 è costituito dalle rovine di una casa tardo ellenistica.

34 I dati principali sui materiali archeologici datanti relativi alla cinta muraria superiore sono presentati

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spostamento degli insediamenti agricoli nei fondivalle ricchi d’acqua, posti lungo le direttrici maggiori e minori della rete stradale35.

Il riuso, tra XII e XIII secolo, di una parte dei muri della cinta per la costruzione di un edificio ad essa connesso, costituisce una testimonianza della continuità di utilizzo del sistema difensivo fino ad età medievale36.

I.II Le necropoli

Per quanto concerne le aree sepolcrali extra moenia, non siamo purtroppo in possesso di dati in grado di fornire un panorama completo relativo all’abitato segestano d’età ellenistica e romana. Gli scavi condotti dalla Soprintendenza dei BB. CC. AA. di Trapani tra il 1996 e il 1997 e nel 2003 hanno individuato e portato alla luce due aree che furono destinate a necropoli dalla fine del IV secolo a. C. Sorte a seguito dell’assedio di Agatocle del 307 a. C, le due necropoli furono certamente utilizzate per tutto il III secolo a. C. Tuttavia nessuna indagine archeologica ha finora permesso di rintracciare le zone cimiteriali, di certo esistenti, riferibili ai periodi precedenti e subito successivi.

Le ricerche del ’96/97 si sono concentrate nell’area che si estende a Nord di Porta di Valle, in un settore antistante la porta urbica, chiamato SAS 16, e in una zona situata 230 m più a Nord, al di fuori del Parco Archeologico di Segesta, sulle pendici orientali dalla collina su cui sorge il Grande Tempio (SAS 15). Per quanto vicine, le due aree sono tuttavia separate da una larga fascia di terra che non mostra alcuna traccia di frequentazione per scopi funerari37.

Lo scavo nel SAS 16 ha individuato un piccolo sepolcreto che fu impiantato in un periodo successivo all’abbandono del Castello di Porta di Valle. Sono state rinvenute in situ solamente tre sepolture monosome in fosse terragne, una cremazione primaria e due inumazioni, la cui tipologia è inquadrabile nell’arco del III secolo a. C.38

Della più ampia necropoli nel SAS 15 (FIG. 3) si è rintracciato solamente il limite occidentale ma pare certo che il sepolcreto continui ancora verso Nord, Sud ed Est. Nel settore finora indagato sono state rinvenute 190 sepolture monosome di diversa tipologia e orientamento, in cui si sono trovati scheletri appartenenti a bambini, per un totale di 16 sepolture infantili, e di individui adulti

35 BERNARDINI et alii 2000, pp. 107 – 110. 36 BECHTOLD – FAVARO 1995b, pp. 999 – 1001.

37 Per la presentazione in dettaglio dei dati di scavo si rinvia a BECHTOLD 2000 (SAS 15), BECHTOLD 2001 (SAS 15 e

SAS 16), FABBRI 2001 (SAS 15). Si veda anche GIGLIO CERNIGLIA 2016 per i nuovi dati acquisiti durante la campagna di scavo del 2003.

38 Si tratta delle tombe T. 500, T. 501, T. 502. All’interno della prima sono state rinvenute sei travi lignee carbonizzate

pertinenti alla lettiga su cui fu deposto il defunto all’interno della fossa insieme al suo corredo funebre. Nella seconda tomba si presume che il defunto fosse stato inumato all’interno di una cassa lignea, della quale rimangono solamente tre chiodi di ferro, deperitasi con il tempo a causa dell’acidità del terreno. Cfr. BECHTOLD 2001, pp. 480 – 481.

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di sesso maschile e femminile39. Si tratta per la maggior parte di inumazioni in fosse terragne

generalmente prive di copertura e rivestimento interno40. Tra le 172 sepolture di questa

tipologia, si è però riscontrata anche la presenza di dieci tombe con copertura in lastre di calcarenite, di cinque con copertura formata da una o più tegole poste di piatto e di altre due a cassa litica41. Alcune di queste sepolture erano inoltre provviste di segnacoli monumentali, quali

un’arula di calcarenite, un basamento in pietre e ciottoli, un piccolo monumento parallelepipedo. In molti casi i semata erano anfore di tipo greco-italico infisse nel terreno in posizione verticale e collocate lungo i lati o in uno degli angoli delle fosse42.

Oltre al rituale di inumazione, che fu sicuramente il preponderante, sono testimoniati anche alcuni casi di incinerazione primaria e secondaria. Nella fascia sud-occidentale dell’area di scavo sono state trovate otto fosse recanti tracce di combustione sulle pareti e sul fondo, contenenti resti ossei carbonizzati, da connettere dunque al rito di cremazione primaria. In questi particolari contesti, si evidenzia inoltre la presenza di ricchi e abbondanti corredi funebri. L’incinerazione secondaria è attestata in altre undici sepolture, differenti l’una dall’altra e collocate al limite orientale del saggio, le cui ceneri furono deposte all’interno di contenitori in materiale deperibile posti in piccole fosse sub-circolari oppure in urne fittili quali anfore, olle e brocche deposte all’interno di fosse o in incavi di blocchi di calcarenite43.

La maggior parte delle informazioni relative alla cronologia della necropoli del SAS 15 sono state ricavate dallo studio analitico dei materiali che componevano i corredi funebri, condotto con la sua solita accuratezza e rigore da B. Bechtold. L’intero corpus ceramico appartiene allo stesso orizzonte cronologico e permette di datare con certezza la frequentazione della necropoli tra la fine del IV e la seconda metà del III secolo a. C.44 Nonostante si sia riscontrata una maggiore

ricchezza nei corredi che accompagnavano le sepolture ad incinerazione, non sembrano tuttavia evincersi caratteristiche particolari relative ai singoli riti funebri.

Alle distinzioni di rito, di composizione del corredo e di struttura sinora mostrate si aggiunge un’ulteriore differenza, rappresentata dai diversi orientamenti delle sepolture e, soprattutto, degli individui al loro interno45. Importanti dati sulla deposizione dei defunti e sui rituali funebri

39 123 sepolture sono state rinvenute durante le campagne di scavo del 1996 e 1997, altre 63 durante l’indagine del

2003.

40 Le fosse hanno profondità minima preservata di 0, 25 m e massima di 1,2 m.

41 Le due tome a cassa (T. 62 e T. 117), eccezionali nel panorama segestano, mostrano alcune peculiarità strutturali

riscontrabili in numerose necropoli della Sicilia di IV e III secolo a. C. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a BECHTOLD 2001, pp. 462 e segg.

42 Cfr. BECHTOLD 2001p. 463.

43 T. 42, T. 112, T. 27. Cfr. BECHTOLD 2001, pp. 467 – 468.

44 Delle 123 sepolture indagate durante le campagne di scavo del 1996 e 1997, oltre il 90 % presentava un corredo,

composto da un minimo di 1 elemento ad un massimo di 150, per un totale di 1100 oggetti, dei quali 1000 sono vasi ceramici. Tra le forme vascolari rinvenute all’interno delle sepolture, si attestano un elevato numero di unguentari piriformi, globulari e cuoriformi e un’alta frequenza di forme aperte a vernice nera, generalmente di produzione locale. Cfr. BECHTOLD 2001, pp. 470 - 471.

45 BECHTOLD 2001, p. 461. La gran parte presentava il cranio posto a Sud (70 %), ma alcuni lo avevano a Nord (14 %)

e altri, in numero estremamente ridotto, a Est (meno del 4 %). Se nella maggior parte dei casi la testa era rivolta a Est (40 %), molti individui presentavano il capo in vista frontale (25 %) e altri ancora rivolto a Ovest (20 %).

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connessi sono inoltre stati ricavati dall’approfondita analisi antropologica e dallo studio della posizione degli scheletri (FIG. 4), che hanno consentito di verificare l’esistenza di altre due modalità di inumazione: in alcune sepolture i defunti furono deposti su lettighe all’interno della fossa, in altre furono invece avvolti in un sudario46.

La simultanea presenza di differenti riti funebri non è affatto inusuale, ma si riscontra in moltissime aree sepolcrali della Sicilia di età ellenistica. La necropoli di Segesta rispecchia, quindi, appieno le usanze rituali locali e si inserisce perfettamente nel quadro generale delle aree funerarie siciliane d’età ellenistica47.

Le indagini archeologiche hanno infine individuato nella fascia occidentale del SAS 15 gli strati di preparazione relativi ad una strada, orientata in senso NO-SE, che oblitera parte della necropoli e taglia un tratto del muro di cinta tardoarcaico che si sviluppava in questo settore del monte. Sulla base del materiale qui rinvenuto è possibile datare la messa in opera di quest’asse viario tra la fine del II e l’inizio del I secolo a. C. e di collocarlo dunque in fase con il grande progetto urbanistico di ristrutturazione e riorganizzazione dell’abitato: l’abbandono della necropoli doveva certamente essere avvenuto prima48.

I.III Le abitazioni private

Non è possibile definire con precisione i limiti e l’estensione dell’abitato di Segesta di età ellenistica e romana. Allo stato attuale delle ricerche sono infatti state individuate solo piccole porzioni di quartieri residenziali sia nella collina a Sud che nell’Acropoli Nord.

Durante la campagna di scavo del 1992 - 1993 condotta dalla Soprintendenza dei BB. CC. AA. di Trapani, è stata messa in luce una parte del quartiere residenziale in un’area (SAS 9) situata su di un terrazzamento artificiale alle pendici nord-occidentali della collina Sud (FIG. 5). L’indagine ha permesso di distinguere tre diverse fasi edilizie all’interno di quest’area: un primo impianto di III secolo a. C., una ristrutturazione di età romana ed una fase di rioccupazione di età medievale. La più antica fase insediativa, rappresentata dall’Edificio I, è databile tra la metà del III sec. a. C. e la fine del II/prima metà del I secolo a. C. Di questa prima abitazione si conoscono finora solamente due ambienti. Il vano A aveva pianta trapezoidale e muri scavati nella roccia, rivestiti da uno strato di intonaco bianco e probabilmente decorati da un cornicione in stucco policromo, rinvenuto in posizione di crollo. La parete orientale presenta una nicchia quadrangolare49. Non si

è conservato l’accesso al vano che tuttavia doveva trovarsi sulla parete occidentale, distrutta per la messa in opera della successiva struttura (Edificio II). Il pavimento, rinvenuto in situ, è costituito

46 FABBRI 2001, pp. 488 – 490. 47 BECHTOLD 2001, p. 469.

48 Ivi, p. 477 e p. 485. Cfr. inoltre GIGLIO CERNIGLIA 2016, pp. 44 – 45. 49 Dimensioni di 0,78 x 0,7 m e profondità compresa tra 0,1 e 0,26 m.

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da opus signinum bianco. Al lato Sud dell’ambiente si legava il vano E, a pianta quadrata, che aveva i muri N ed E ricavati dalla roccia e gli altri due in muratura. Le pareti erano rivestite da uno spesso intonaco bianco composto da un primo strato grezzo di preparazione, contenente minuti frammenti di cocciopesto, e da un secondo strato di rifinitura di colore bianco, formato da piccolissimi frammenti di ceramica e ciottoli. Si sono rinvenuti in situ la soglia in pietra calcarea, che consentiva l’accesso dal lato occidentale dell’ambiente, e il pavimento in tessellatum bianco, purtroppo non preservato integralmente. Nella parte meridionale, a ridosso del setto murario che separava i due ambienti, si è riscontrata infatti la presenza di un taglio nella pavimentazione relativo ad una fossa di spoliazione di età medievale. Si è potuta appurare, però, la composizione dello strato di preparazione, costituito da pietre irregolari di media pezzatura e schegge calcaree coperte da uno strato di malta per l’allettamento delle tessere del mosaico. La messa in opera dell’edificio è databile con certezza dopo la prima metà del III secolo a. C., periodo in cui si diffonde in Sicilia l’uso di mosaici realizzati con tessere quadrangolari. In base ai dati cronologici forniti dai materiali ceramici rinvenuti nei livelli sovra-pavimentali del vano A, è possibile collocare l’abbandono dell’edificio entro la prima metà del I sec. a. C.50

La successiva fase insediativa è testimoniata dall’Edificio II, il cui impianto obliterò parte della precedente abitazione. Si tratta della cosiddetta Casa del Navarca, una grande e sfarzosa villa con peristilio installata nella zona centrale del terrazzamento del SAS 9. La struttura si estende ad Ovest dei due ambienti dell’Edificio I e si articola in quattro vani.

Il vano B, interamente scavato, era una delle stanze più importanti della villa, verosimilmente un’ampia sala di rappresentanza cui si accedeva tramite una porta a doppio battente51.

L’ambiente, a pianta rettangolare52, aveva muri perimetrali in muratura a secco, costituiti da filari

irregolari di blocchi di calcare appena sbozzati di piccola e media pezzatura, scaglie calcaree e frammenti di tegole. Le pareti erano rivestite nella parte inferiore da un intonaco bianco ben levigato e di buona fattura, applicato in due passate su uno spesso strato di preparazione, nella parte superiore erano invece decorate con cornici modanate in stucco policromo53. In

particolare, è stato rinvenuto nel livello di crollo un grande frammento pertinente ad una splendida cornice caratterizzata da un geison con gocce bianche su fondo blu e da un kyma ieroniano con lancette rosse e blu, inserito tra un astragalo su fondo rosso soprastante ed un astragalo su fondo nero54. Le quattro pareti erano altresì decorate da particolari mensole in

pietra calcarea con forma di prua di nave (FIG. 7b), le quali hanno determinato la denominazione dell’edificio come “Casa del Navarca”. Le mensole, trovate in stato frammentario all’interno del crollo dell’alzato, dovevano essere in numero di sette o, più probabilmente, otto (due per lato). La parte anteriore, accuratamente realizzata, raffigura la prua di una nave da guerra provvista di rostrum trifidum, con i dettagli dello scafo resi a bassorilievo ed altri elementi strutturali in

50 BECHTOLD 1995, pp. 1141 – 1142, e BECHTOLD 1997, pp. 86 – 89. Più in dettaglio, per il catalogo dei materiali

rinvenuti nel SAS 9, si rinvia a BECHTOLD 1995, pp. 1144 – 1152.

51 Si è rintracciata solamente la soglia con gli incassi per i cardini non in situ. 52 Dimensioni di 13 x 8,5 m.

53 Cfr. DANIELE 2000 per lo studio mineralogico-petrografico degli stucchi della villa. 54 BECHTOLD 1997, p. 98.

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appliques di altri materiali55. La parte posteriore, al contrario, non era lavorata ma solamente

sbozzata in forma di parallelepipedo per consentire il fissaggio alla parete. Un pavimento variamente composto (FIG. 6), purtroppo parzialmente spoliato in età medievale, completava la sfarzosità della sala di rappresentanza. La parte centrale era realizzata in opus sectile con decorazione a stelle, composte ciascuna da cinque elementi romboidali di colore verde, violaceo e bianco, ed era circondata da una cornice in mosaico policromo su sfondo bianco. La cornice, posta a 1,36 m di distanza dalle pareti, era decorata con una treccia a doppio calice contornata internamente da due fasce di tessere di colore bianco e rosso ed esternamente da altre due bande di colore bianco e nero (FIG. 7a). I tredici differenti colori del tessellatum erano resi con materiali diversi: il rosso era dato da tessere fittili, il giallo da pasta vitrea, i restanti da pietre dello rispettivo colore. Si nota che i campi di colore diverso erano separati da una lamina plumbea56.

Il vano I era un ambiente di servizio, un corridoio con pianta a L, avente un braccio lungo il lato nord-occidentale del vano B e l’altro disposto perpendicolarmente accanto il lato Nord del vano D. Il piano di calpestio era costituito da una pavimentazione in mattoni in cotto di forma rettangolare e modulo di 0,33 x 0, 35 m, disposti in filari regolari paralleli e sfalsati tra loro57.

Gli altri due ambienti individuati, i vani C e D, non sono stati scavati durante le campagne del ’92 – ’93, ma è comunque possibile interpretare l’ambiente D come il cortile centrale dell’Edificio II58.

La corte, pavimentata in opus scutulatum59, un cocciopesto rosso decorato da scaglie litiche di forma e disposizione irregolari di colore bianco, nero e verde, era circondata da un peristilio di colonne del quale si vedono ancora in situ alcuni rocchi di base. Questi presentano il fusto sfaccettato, secondo una caratteristica tipica dell’età ellenistica riscontrata anche nei rocchi di base delle colonne doriche del primo ordine della stoa Nord dell’agora e del portico d’ingresso del bouleuterion60. Al centro del lato sudoccidentale del peristilio, in corrispondenza della porta d’accesso al vano B, è presente la formula di benvenuto ΧΑΙΡΕ, scritta con tessere bianche sul cocciopesto e orientata verso chi si accingeva ad entrare nella sala di rappresentanza (vano B)61.

Gli interventi edilizi dell’ultima fase insediativa (Edificio III, di XII – XIII secolo), testimonianti la rioccupazione dell’area in età sveva, hanno notevolmente compromesso la stratigrafia relativa ai livelli d’uso e d’abbandono dell’Edificio II. La datazione per la messa in opera della struttura di seconda fase deve, dunque, necessariamente basarsi su osservazioni stilistiche, di ordine architettonico e decorativo. L’intero apparato decorativo, sia pavimentale che parietale, così come la forma dei rostra delle singolari mensole ed anche la formula di saluto all’ingresso del vano B sono elementi che indicano uniformemente una più che certa collocazione cronologica

55 Le appliques non sono state trovate, ma la loro presenza è suggerita dai tre fori presenti sulla prua che sembra

fossero funzionali al fissaggio del rostro ausiliario e del dritto di prua.

56 BECHTOLD 1997, pp. 89 – 92. 57 Ivi, p. 92. 58 Ivi, p. 102. 59 Ivi, p. 99. 60 Vd. infra. 61 BECHTOLD 1997, p. 93.

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tra la seconda metà del II e l’inizio del I secolo a. C. Si tratta, invero, di elementi strutturali e decorativi che trovano ottimi paralleli nei contesti abitativi di tarda età ellenistica di ambito regionale, quali ad esempio la casa di via Sibilla a Marsala, la Casa B in Piazza della Vittoria a Palermo, la Casa a Peristilio a Monte Iato, la Casa del Capitello Dorico a Morgantina62.

Oltre che nella collina Sud, anche nell’ Acropoli Nord sono state rinvenute tracce di quartieri residenziali, verosimilmente pertinenti alle fasi di età ellenistica e romana, localizzati subito a Sud della stoa delimitante il lato meridionale dell’agora63 e nella zona a Nord della piazza, ad una quota corrispondente al secondo ordine della grande stoa settentrionale64. Non è possibile

riferire nulla a proposito di queste abitazioni che, purtroppo, non sono ancora state oggetto di approfondite ricerche archeologiche.

Qualche notizia in più è invece ricavabile dall’area del versante nordoccidentale della collina, denominata SAS 5, localizzata circa 30 m più a Sud rispetto alla cinta muraria superiore. Durante le campagne di scavo del 1989 e del 1990 è stata individuata e messa in luce una struttura in cui sono state riconosciute tre distinte fasi edilizie65.

Riguardo al primo impianto abitativo, caratterizzato da una struttura scavata nel banco roccioso, non si hanno dati cronologici poiché non si conservano i livelli d’uso, rimossi durante la ristrutturazione che in tarda età ellenistica trasformò radicalmente l’assetto originario. L’unico vano trapezoidale della fase precedente venne diviso in due ambienti da due setti murari allineati e orientati in senso Nord-Sud, composti da piccoli blocchi di calcare e rinzeppature in scaglie di calcare e frammenti di laterizi. Una stretta apertura centrale consentiva la comunicazione tra il piccolo ambiente orientale (B II), in pessimo stato di conservazione, e il più ampio ambiente occidentale (A II). Tale vano aveva una pavimentazione in cocciopesto, di cui non rimangono che piccoli lembi, e presentava tutte le pareti rivestite per ¾ dell’altezza da un intonaco a grana fine con graffiti un profilo di volto umano, una svastica antioraria e un fiore iscritto in un cerchio. Elaborati elementi ornamentali decoravano, inoltre, la porta d’ingresso posta sul lato occidentale. Gli stipiti esterni avevano lesene semicilindriche dipinte in rosso e l’architrave presentava una cornice in stucco policromo, la quale è stata rinvenuta in posizione di crollo. La cornice è caratterizzata da un fregio dorico sormontato da kymation ieroniano con petali rossi, il quale era inserito tra un astragalo a fondo blu inferiore e uno a fondo rosso superiore. Due listelli rossi e uno bianco coronavano infine la kyma. Il piano di calpestio antistante l’ingresso era costituito da una pavimentazione in opus signinum rosso, decorato con tessere bianche disposte a formare un reticolo di losanghe. Si segnala che all’interno dell’ambiente A II sono stati rinvenuti arredi di culto domestico, quali un piccolo altare con volute a base rettangolare, composto da pietre calcaree, laterizi e rivestito in stucco bianco, ed un altro altarino di forma circolare posto

62 Per tutti i confronti in ambito siciliano, le datazioni e la relativa bibliografia si veda ivi, pp. 93 – 102. 63 Cfr. VAGGIOLI 1997, p. 1345.

64 Cfr. FACELLA – OLIVITO 2012, pp. 9 – 10. All’interno del crollo della stoa Nord sono stati individuati materiali

attribuibili con certezza alle abitazioni della terrazza retrostante, i quali si riferiscono ad una fase d’uso di I secolo d. C. Ciò induce a ritenere che tali edifici non continuarono ad essere utilizzati oltre tale data e che, quindi, fossero stati abbandonati prima delle aree limitrofe.

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su una base quadrangolare dagli angoli smussati, a cui si raccorda mediante modanature. Sebbene la struttura e la stratigrafia siano state profondamente intaccate dalla fase edilizia di età medievale, alcune considerazioni di ordine cronologico sulla fase di costruzione sono desumibili dall’apparato decorativo parietale e pavimentale. La cornice policroma e il pavimento in signino permettono di inquadrare la fase di ristrutturazione nella seconda metà avanzata o alla fine del II secolo a. C. I materiali ceramici relativi ai livelli d’uso sovrapavimentali dei due vani attestano inoltre una continuità d’uso fino al II secolo d. C.66, testimoniando un abbandono nel corso di

questo secolo, in fase con diverse aree dell’Acropoli Nord.

I.IV Il teatro

Il teatro di Segesta è stato per lungo tempo uno dei soli monumenti della città antica conosciuti, insieme al Grande Tempio. Interamente visibile già negli anni trenta del 1800 grazie ai lavori del Duca di Serradifalco67, da allora fu indagato ed esaminato da diversi studiosi che variamente ne

attribuirono la realizzazione al V sec. a. C.68, alla fine del IV – prima metà del III sec. a. C.69, alla

fine del III - II sec. a. C.70, al tardo II sec. a. C.71 e infine al I sec. a. C.72 Queste contrastanti proposte

di datazione, così come le divergenti ipotesi ricostruttive, furono certamente dovute alla lacunosità della documentazione, all’assenza di dettagliati dati di scavo e di rilievo, all’insufficienza di informazioni ed indicazioni, fattori che determinarono una conseguente cattiva lettura dei dati archeologici. Ad aumentare la confusione, basti pensare che «prima delle recenti scoperte di strutture monumentali nella vicina zona dell’agora, era diffusa la tendenza a riferire al teatro tutti i pezzi architettonici rinvenuti nell’area del Monte Barbaro, che invece appartengono ad edifici diversi, anche se in gran parte riferibili allo stesso orizzonte cronologico»73. I lavori svolti tra il 1992 e il 1994 da un’équipe di archeologi dell’Università di

Lecce, diretti da Francesco D’Andria, e di architetti del Politecnico di Torino, diretti da Attilio De Bernardi74, hanno ampliato notevolmente le conoscenze riguardo il teatro segestano, rendendo

possibile oggi una più adeguata interpretazione della struttura e delle sue fasi edilizie. Attraverso

66 BECHTOLD – FAVARO 1995a, pp. 982 – 985.

67 «Questo interessante monumento è in oggi interamente scoperto, e vedesi quasi tutto conservato […]»

SERRADIFALCO 1834a; «Finalmente questa Commessione di antichità volse le sue premure ad isgombrarlo

interamente, ond’è che per opera di lei vediamo risorto questo monumento pregevolissimo, che oggi apparisce per la prima volta alla luce nella vera e genuina sua forma» SERRADIFALCO 1834b, p. 126.

68 «[…] sembra a noi non potersi dubitare, la sua costruzione doversi riferire ad un epoca anteriore al dominio de’

Romani, ed anche pria dell’anno 409 innanzi l’era volgare, in che, venuta meno la libertà d’Egesta, e soggetta al servaggio degli Affricani, ella perdè ogni sorta di floridezza, e di splendore.» SERRADIFALCO 1834b, p. 131.

69 Si vedano, ad esempio, TUSA 1981, p. 138; ISLER 1981a, p. 159; per una datazione al IV sec. a. C vd. DE BERNARDI

(M. L.) 2000, p. 386 e DE BERNARDI 2000, p. 379.

70 BULLE 1928, pp. 130 – 131; MARCONI 1929, pp. 317 – 318.

71 WILSON 1990a, p. 72; D’ANDRIA 1997, p. 439; CAMPAGNA 1997, p. 237; CAMPAGNA 2006, pp. 15 – 17. 72 BIEBER 1961, p. 170.

73 D’ANDRIA 1997, p. 434.

74 Per i dettagli sui dati archeologici e i lavori eseguiti durante le campagne di scavo del 1992 e 1993 si rimanda a

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l’integrazione dei nuovi dati archeologici alla precedente documentazione, basata sui rilievi realizzati da H. Bulle nel 1924 e da P. Marconi nel 1927, dei quali i nuovi rilievi mostrano l’incompletezza e il carattere selettivo, si è potuto evincere che la struttura subì alcuni interventi di restauro e riutilizzo, corrispondenti grosso modo alle distinte fasi insediative della città. Nonostante la maggiore accuratezza scientifica delle più recenti indagini, risulta però ancora oggi problematico fissare con certezza una datazione per la costruzione del teatro. Alcuni studiosi propendono infatti per collocarla nella seconda metà del IV secolo a. C., altri invece nella seconda metà del II secolo a. C.

Situato sul versante settentrionale del Monte Barbaro, in uno dei punti più alti dell’Acropoli Nord (FIG. 8), l’edificio era raggiungibile da una bella strada basolata proveniente dall’agora, posta poco più a Sud. L’impianto dell’edificio non sfruttò tuttavia il pendio naturale del monte, secondo la tecnica edilizia tipica dei teatri greci, ma previde una massiccia opera di sbancamento della roccia ed un successivo poderoso riempimento artificiale di terra. Su tale riempimento, livellato e regolarizzato, venne poggiata la cavea attraverso un ingegnoso e complesso sistema di sostruzioni (FIG. 9)75. Si tratta di un’intelaiatura costituita da muretti dello spessore di ca. 0,90 m

che correvano equidistanti tra loro secondo una disposizione radiale, connessi tra loro da muri ad arco concentriciall’orchestra. I muri radiali, formati da pietre di piccole e medie dimensioni legate a secco, avevano profilo a gradoni ed erano collegati da grandi lastre di pietra disposte con andamento concentrico76. La cavea era, dunque, interamente costruita e il sistema di muri radiali

era funzionale all’alleggerimento della spinta del terreno di riempimento contro il muro di contenimento77. Il koilon, diviso in sette cunei da sei strette klimakes, aveva pianta semi-circolare

e si sviluppava con un diametro massimo di circa 63 m in maniera concentrica rispetto all’orchestra, anch’essa semi-circolare. Due accessi disposti asimmetricamente, uno a Est e l’altro a Sud-Ovest, permettevano l’accesso al diazoma mediano78. Sul lato Ovest dell’edificio una strada

lastricata correva all’esterno del muro di analemma, collegando l’area settentrionale del teatro, dove era l’edificio scenico, all’ingresso occidentale superiore. Il tracciato viario, solo parzialmente messo in luce, doveva connettersi più a Sud con la strada d’accesso all’agora che, salendo di quota, ne delimitava il lato occidentale79. In corrispondenza dell’ingresso orientale del teatro,

dove il declivio del monte è più accentuato, non sono state trovate invece tracce relative ad una strada d’accesso, probabilmente a causa del dilavamento e dell’erosione del terreno. Si è tuttavia riscontrata la presenza di imponenti opere di sostruzione pertinenti ad una sistemazione a terrazzi aperti verso il pendio che, permettendo l’ampliamento dello spazio a disposizione, consentivano di contenere l’afflusso degli spettatori da quest’entrata.

Il rinvenimento nell’area verso monte, in corrispondenza degli ingressi al teatro, di alcune strutture murarie ha aperto un acceso dibattito, tutt’oggi ancora in corso, sulla conformazione della parte superiore della cavea, che si presenta tra l’altro notevolmente compromessa da

75 D’ANDRIA 1997, p. 435.

76 DE BERNARDI 1997, p. 534; DE BERNARDI 2000, pp. 376 - 377. 77 D’ANDRIA 1997, p. 435.

78 Per le asimmetrie ed “anomalie” del teatro di Segesta si rimanda a DE BERNARDI (M. L.) 2000. 79 I dettagli della strada basolata sono presentati infra.

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