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UNA PANORAMICA SUI CASI DI SPRECO VOLONTARIO IN MEDICINA: IL CASO LAZIO

Nel documento Libro Bianco sulla Corruption in Sanità (pagine 93-98)

Carlo Eugenio Vitelli Azienda Ospedaliera San Giovanni

Partiamo dalla definizione comune di spreco: “Impiego improprio, errato, scorretto delle risorse disponibili”. Senza nulla togliere alle responsabilità dei medici negli sprechi legati alla loro ordinaria attività sul campo, è necessario sottolineare quanto la malagestione politica, svolta sia direttamente sia attraverso gli amministratori delle varie Aziende Sanitarie Locali/ Aziende Ospedaliere, abbia fatto crescere a di-smisura il debito sanitario, soprattutto in alcune regioni (Lazio in testa), come verrà spiegato dettagliatamente in altre relazioni.

Le cause degli sprechi imputabili alla attività e volontà dei medici possono dividersi, sulla base della nostra analisi, in 4 gruppi:

1. sprechi di “necessità” 2. sprechi per ignoranza

3. sprechi per medicina difensiva

4. sprechi per investimenti professionali mancati Sprechi “di necessità”

Tra gli sprechi per “necessità” di un reparto chirurgico al primo posto si segnala la necessità di garantire l’accesso, in tempo utile, al malato che deve essere operato. L’ideale sarebbe ovviamente far coincidere il momento del ricovero col giorno del-l’intervento dopo aver preparato il paziente con un percorso, esterno all’ospedale,di pre ospedalizzazione. Questo permetterebbe al/la paziente di ricoverarsi la mattina dell’intervento, con una data programmata, operarsi lo stesso giorno e venire di-messo/a non appena in grado di essere preso in carico dalle strutture territoriali (medico di base, RSA, Riabilitazione, Lungodegenza, assistenza domiciliare, ho-spice…). Purtroppo la situazione reale, se prendiamo ad esempio il Lazio, è assai lontana da quella appena descritta. A titolo esemplificativo, utilizzando i dati forniti dagli epidemiologi del programma Prevale (programma regionale di valutazione degli esiti degli interventi sanitari del Lazio http://www.epidemiologia.lazio.it/pre-vale13) si possono selezionare due indicatori (accessibili tramite il sito WEB) come la degenza preoperatoria - per un intervento semplice come l’asportazione della cistifellea (colecistectomia) - e uno per un intervento più complesso qual è la rese-zione del colon per tumore. Da questi dati si può osservare che, per lo meno nel Lazio, vi sia una grossa variabilità tra le differenti strutture sanitarie, già solamente per questi due semplici indicatori.

La variabilità di questi dati è dovuta al fatto che alcuni centri possono permettersi

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di “blindare” dei letti garantendo l’accesso il giorno dell’intervento ai propri pazienti mentre altri devono ricorrere a stratagemmi. I “trucchi” più in voga consistono nel far passare il paziente dal pronto soccorso come paziente urgente (andando ad in-tasare la già congestionata rete dei pronto soccorso) oppure ricoverare il malato con un inutile anticipo rispetto all’intervento, per impedire che quel letto venga oc-cupato da pazienti di altre unità operative (spesso il DEA), rendendolo inaccessibile al paziente per il giorno programmato. Una guerra tra poveri insomma, che provoca danni economici non di poco peso. Poiché il costo medio di un letto per acuti, nel Lazio, è stimato tra gli 800-1000 € al giorno, a volte la sola degenza preoperatoria in virtù di questi “stratagemmi”, supera, come spesa sostenuta, quello che l’ospe-dale ricaverà, come DRG, per quell’intervento. Ecco dunque un classico spreco “per necessità”, ovvero per tamponare una falla organizzativa.

Ad aggravare ulteriormente questa situazione, nel Lazio, e a causa delle norme stra-ordinarie che vincolano le ASL in debito al piano di rientro, c’è stata una drastica ri-duzione della disponibilità di spazi di sala operatoria a causa del blocco del "turn over". La diminuzione degli infermieri, degli anestesisti, associata al fisiologico in-vecchiamento della forza lavorativa ancora attiva, ha creato notevoli carenze strut-turali in punti nevralgici dei vari ospedali. A cominciare dalle sale operatorie. A titolo esemplificativo: quando sono stato assunto al San Giovanni, nel 2005, avevo a di-sposizione mediamente 7 letti operatori a settimana, dalle 8 del mattino alle 18 del pomeriggio. Questo voleva dire, in concreto, che spesso la mia unità operativa po-teva contare su due letti operatori, lavorando tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Oggi,

Variabile N Lower Quartile Median Upper Quartile Mini-mum Maxi-mum Degenza preoperatoria 6516 0 1 3 0 154 Colecistectomia – Lazio 2012 Variabile N Lower Quartile Median Upper Quartile Mini-mum Maxi-mum Degenza preoperatoria 2122 1 3 7 0 57

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Scenario

2013, dispongo di tre sedute operatorie a settimana, in genere due dalle 8 alle 18 e una dalle 8 alle 14. Eppure, è un dato riconosciuto che l’ospedale guadagni se i reparti chirurgici lavorano bene e intensamente.

Sarebbe perciò opportuno attrezzarsi per rendere attive le sale operatorie anche durante i fine settimana, oppure ricorrere a sistemi come il cosiddetto “week sur-gery” - organizzando il calendario degli interventi chirurgici in modo da concen-trare quelli più impegnativi all’inizio settimana, lasciando i meno impegnativi verso la fine della settimana, così da diminuire il carico di lavoro degli infermieri durante il fine settimana, eventualmente chiudendo alcuni letti. Questo ridurrebbe la quan-tità di straordinari del comparto. Non è questo il solo danno determinato dall’assenza di letti “blindati” per la chirurgia. Accade infatti che, per il medesimo motivo, la di-missione post intervento venga prolungata artificialmente per tenere il letto occu-pato fino all’arrivo del nuovo paziente, creando ulteriori sprechi, e disagi ai malati, trattenuti in ospedale per motivi estranei al loro interesse, anche in virtù dell’assenza di strutture sanitarie territoriali capaci di prenderli in gestione con tempistiche “ac-cettabili”.

Sprechi per “ignoranza”

La conoscenza scientifica tramandata durante il periodo di formazione in Medicina è essenzialmente di due tipi: conoscenza tacita e conoscenza esplicita. Ne seguono fondamentali differenze e ripercussioni sulla qualità dell’assistenza offerta; come riassunto dalla tabella 1.

TACITA

Fatta da clinici, pazienti e managers Raramente pubblicata a volte neanche scritta Stabilisce “come fare” Può essere applicata a volte solo

“localmente” Considerata di “Basso Valore”

ESPLICITA

Fatta da ricercatori Pubblicata in testi scientifici

Stabilisce “cosa fare” Generalizzabile Considerata di alto valore

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La conoscenza tacita, in Medicina – il “si è sempre fatto così” -, è, purtroppo, di gran lunga prevalente e provoca una serie di sprechi anche se poco evidenti, diffusi. Per esempio, il non corretto utilizzo di farmaci sia come indicazione, tempistica della somministrazione e durata della stessa - vedi ad esempio l'impiego dell’eritropo-ietina nelle anemie post chirurgiche; o la durata della somministrazione degli anti-biotici per gli interventi chirurgici in elezione; o la non corretta utilizzazione della profilassi anti trombosi o ancora l’errato utilizzo dei drenaggi in chirurgia addomi-nale, solo per citarne alcuni. Un interessante articolo, anche se datato, (Wasey N. et al. Can J Surg 2003: 46;4) ha quantificato lo spreco risultante dal non corretto uti-lizzo di solo tre variabili in chirurgia del colon retto: l’antibioticoprofilassi, la profi-lassi per la trombosi venosa profonda e l’utilizzo dei drenaggi chirurgici. Lo studio, condotto in un reparto di chirurgia addominale di un centro universitario canadese per la durata di un anno, non solo ha quantificato la diffusione della conoscenza ta-cita persino in un centro “di eccellenza” ma soprattutto ha computato in termini economici lo spreco di risorse che il discostarsi dalla “best practice” determina, sottolineando come la semplice aderenza a protocolli standardizzati e validati da studi scientifici (conoscenza esplicita) possa portare ad un notevole risparmio eco-nomico in poco tempo.

In realtà la mancanza di un centro di Health Technology Assessment (HTA) (Tab. 2) in ogni azienda contribuisce a far sì che la conoscenza esplicita – e quindi di alto valore - incontri difficoltà a penetrare tra le abitudini e la prassi della comunità me-dica e a scalzare la conoscenza “tacita”. L’HTA è un metodo di valutazione multidi-sciplinare, economica, etica, scientifica, organizzativa e sociologica delle tecnologie mediche in campo sanitario. Con il termine tecnologie mediche si fa sostanzial-mente riferimento a cinque macro-aree: farmaci, dispositivi medici, procedure (me-diche e chirurgiche) terapeutiche, di diagnosi e prevenzione, sistemi di supporto, sistemi di organizzazione e gestione.

Come funziona il meccanismo di valutazione dell’HTA? Il processo valutativo si com-pie in 10 passaggi che sono:

1. Identificare i soggetti per la valutazione 2. Specificare il problema

3. Determinare il gruppo che procederà alla valutazione 4. Raccolta delle prove

5. Raccolta dei dati principali

6. Interpretazione (“appraisal”) dei dati 7. Sintesi e consolidamento

8. Formulazione delle raccomandazioni 9. Distribuzione delle raccomandazioni 10. Controllo dell’impatto ottenuto

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Scenario

Tuttavia questo percorso “teorico” viene spesso forzato da pressioni esterne pro-venienti dall’industria, dalla comunità scientifica stessa o addirittura da parte di mass media e popolazione. Basti pensare alla tecnica del linfonodo sentinella nel carcinoma della mammella che ha sicuramente avuto un percorso molto rapido ri-spetto alla validazione di una tecnica chirurgica, per la pressione esercitata, attra-verso i mass media, dalle pazienti stesse.

Pressioni da parte dell’industria Pressioni da parte della comunità Scientifica Pressione da parte dei media

Acquisizione di una Nuova Tecnologia Medica

HTA

Aumento dei costi di gestione Diminuzione delle Risorse disponibili Tabella 2

La labilità di un processo strutturato di valutazione fa sì che la tecnologia utilizzata dai medici, soprattutto in sala operatoria (con costi sempre maggiori), venga sfruttata non in virtù di un reale vantaggio costi/ benefici certificato dall'HTA quanto piuttosto per la sola preferenza del chirurgo (conoscenza tacita).

La tabella 3 dimostra invece come una nuova tecnologia dovrebbe essere introdotta nella pratica clinica ma soprattutto quali siano le “scorciatoie” utilizzate dai clinici per accelerarne l’introduzione nella pratica quotidiana accorciandone il percorso di vali-dazione scientifica e economica. Queste sono fondamentalmente di due tipi: il bypass scientifico per cui il clinico dichiara, sotto sua responsabilità, che la nuova conoscenza è scientificamente provata e sicura; e il bypass valutativo che consiste nella valuta-zione e approvavaluta-zione - tramite studio sperimentale o con test su animali di laborato-rio - della nuova tecnologia così da dimostrare la sua immediata applicabilità a determinati ambiti della pratica clinica e con margini di sicurezza confortanti.

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Un’altra sorgente di spreco apparentemente difficile da quantificare consiste nella mancanza di una programmazione rigida in sala operatoria. La sala operatoria, al-l’interno dell’ospedale, rappresenta un insieme eterogeneo di servizi che coagu-lano le varie attività di chirurghi, anestesisti, rianimatori, infermieri specializzati, infermieri generici, OTA, tutti occupati ovviamente alla risoluzione del problema del paziente. Un così complesso meccanismo ha dei costi di gestione molto alti e per-tanto quando si inceppa o funziona male (perché il chirurgo o l’anestesista si pre-sentano in ritardo, perché il paziente non è adeguatamente preparato per l’intervento, perché non è disponibile il posto letto in rianimazione per il monito-raggio postoperatorio oppure perché l’OTA ci mette troppo tempo a “sanificare” la sala tra un intervento e l’altro e così via) provoca ulteriori sprechi difficilmente quan-tificabili in termini economici. Così come non è certo che il chirurgo “rapido” sia più economico per l’Azienda, perché magari ha un tasso di ritorno in sala operato-ria per complicanze, maggiore di un chirurgo più lento.

Risolvere questo problema implica l’analisi del funzionamento e le correzioni da apportare una volta individuati i “difetti” di sistema.

La prima si può facilmente risolvere e consiste nella tracciabilità: un semplice co-dice a barre da applicare al polso del paziente al momento del ricovero permette-rebbe di quantificare al centesimo la spesa effettuata per ogni paziente per ogni

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