Imprescindibilità del traduttore
A differenza di altri colleghi Lavinia Mazzucchetti non ha lasciato trat-
tazioni organiche e approfondite sul tradurre1, benché tale impegno co-
stituisca una parte importante del suo agire culturale. In lei sembra prevalere l’urgenza del ‘comunicare in testo’, di una mediazione interlin- guistica di cui si danno quasi per scontate le premesse teoriche. Eppure qualsiasi operazione intellettuale – e la traduzione senza alcun dubbio lo è – fa riferimento a uno o più sistemi che possono risultare sfuggenti, ma che a un’analisi più attenta si rivelano invece pervasivi e performanti. Alla luce di questo assunto, le riflessioni che seguiranno si devono alla mia particolare esigenza nei confronti di una qualsiasi traduzione: la ne- cessità di ricercare i sottili fili rossi che, sempre e comunque, percorrono i testi ‘secondi’, sempre e comunque anche a dispetto di una volontà mi- metica esplicita e programmatica da parte del traduttore/traduttrice, di colui/colei cioè che li ha ‘ri-creati’. La scelta delle parole e delle strutture frastiche e stilistiche, per restare nell’ambito di una traduzione interlin- guistica intesa in senso discretamente restrittivo, non sarà mai neutra; l’ar- ticolazione della sintassi sarà sempre personale, le marcature segnate dalla soggettività, l’andamento non solo influenzato, ma spesso determinato, da idiosincrasie e preferenze, ovvero dall’habitus linguistico-mentale del traduttore/manipolatore del testo. Se l’intervento del ri-creatore arrivasse poi a ricomprendere interventi di modificazione e/o alterazione – a qual- siasi motivo dovuti – è palese che, anche in assenza di una consapevolezza esplicita e teorizzata, la ricerca dell’intenzionalità sottesa diventa una ne- cessità ineludibile per recepire correttamente il testo ri-creato.
1Le note sparse in recensioni e saggi e gli appunti preparatori a una conferenza sul tradurre che Mazzucchetti ha lasciato, conservati questi ultimi nel Fondo Mazzucchetti della Fondazione Mondadori, non si possono considerare se non fugaci momenti di ri- flessione cui non era sottesa alcuna esigenza di riordino e sistematizzazione. ogni sin- gola affermazione potrebbe essere chiosata e contestualizzata ovvero discussa, senza per altro poter approdare, se non in via ipotetica, a una reductio ad unum di materiale in cui sono presenti contraddizioni e incongruenze.
Distopia dell’invisibilità
Molti fra i traduttori e ancor più fra i didatti della traduzione letteraria auspicano il nascondimento del traduttore, si/gli pongono come obiettivo primario l’invisibilità. Ma ciò è una distopia, una vera e propria utopia ne- gativa. Il traduttore nei confronti di un testo, qualsiasi testo, è sempre il fruitore forte che non solo lo legge e lo interpreta, ma addirittura ne pro- pone la propria interpretazione in forma chiusa, non dialettica, apodittica.
Lavinia Mazzucchetti nei testi
Anche una traduttrice quale Lavinia Mazzucchetti, in prima istanza grande lettrice e studiosa di letteratura, perviene alla traduzione dopo un percorso di avvicinamento onnicomprensivo al testo e all’autore, che, non trascurando la dimensione biografica2, si focalizza di volta in volta su spe-
cifici filologici, storici, ermeneutici. Gli scritti critici da lei lasciati rive- lano una vastità e varietà tale di interessi, da rimandare sì in prima istanza all’attitude proprio del filologo, ma di un filologo il cui atteggiamento nei confronti del testo sfuma ben presto nel diverso habitus del tradut- tore/comunicatore di letterature moderne, al contempo mediatore di testi e autorevole operatore editoriale, attento alle ragioni del mercato e dei suoi destinatari/fruitori.
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2Anche se curiosamente, ad esempio nel caso di Rilke, polemizza apertamente «con- tro il biografismo sempre più invadente, fomentato dalla pubblicazione indiscriminata di tanti carteggi rilkiani (‘la sua fama finì per appoggiarsi sempre più alle prose minori ed all’epistolario, sempre meno alla sua ermetica poesia. trionfò l’uomo-Rilke sullo scrittore ed anche il pseudo-Rilke sul vero Rilke’)» come scrive e riprende Paolo Chia- rini, Prefazione, in Lavinia Mazzucchetti, Novecento in Germania, Mondadori, Milano 1959, p. XVII. Diametralmente opposto l’atteggiamento di Vincenzo Errante che invece, proprio anche dalla pubblicazione dei carteggi, prese spunto per rileggere le Elegie di Duino e i Sonetti a Orfeo e arrivare finalmente a tradurli. Errante nella prefazione al- l’edizione del 1940 del suo Rilke. Storia di un’anima e di una poesia scrive: «Il libro, salvo qualche ritocco saltuario, è rimasto, nel Prologo nei primi sette capitoli e nell’Epi- logo, quale era: anche se posso affermare che nulla mi è sfuggito della ricchissima pro- duzione biografica e critica successiva intorno al mio poeta. Produzione egregia, quella degli anni fra il ’28 e il ’40: e vi tengono un posto d’onore gli studii di J.F. Angelloz. […] Gli è che, in sostanza, ritengo d’aver visto giusto nella vita e nella Poesia di Rilke, sin da allora: anche se, allora, buona parte del magnifico epistolario di Rilke non era édita neppure in tedesco. oggi, l’epistolario è compiutamente apparso da tempo. E il compito di eseguirne una scelta e la versione italiana, affidato all’ingegno, all’impegno e all’arte di Leone traverso dall’Editore Garzanti, risulta ottimamente affidato. I lettori della mia Raccolta fanno benissimo a illuminarsi su Rilke pure attraverso questo libro prezioso, che spero non tardi».
Può risultare proficuo per molti aspetti contrapporre l’attività di Maz- zucchetti a quella di Errante. Contemporaneo e affine, in taluni passaggi addirittura parallelo, il lavoro traduttivo/editoriale dei due si modella in forme che non pare azzardato definire ‘diametralmente opposte’. E non certo perché anche Mazzucchetti non si interessi a tutta una serie di que- stioni squisitamente testuali e paratestuali. È però in particolare chi ha fatto della classicità3il modello operativo di riferimento – e per restare
nella contemporaneità rimando qui ad esempio a Vincenzo Errante – a ri- tenere irrinunciabile, nella resa di un qualsiasi testo, la conoscenza e di- scussione del ‘pregresso’, del già decodificato e scritto, coniugando una attenzione spasmodica alla ‘grammatica’, parte integrante dell’esegesi e a essa finalizzata, con l’eredità storiografica ed ermeneutica. Al contrario, un testo della modernità, e ancor più della contemporaneità, non lo si ri- tiene necessariamente suscettibile di un tale tipo di attenzione, nel mentre sembrano rivelarsi prevalenti aspetti comunicativi e/o persuasivi di più immediato coinvolgimento del fruitore. Per altro la mole di saggi e com- menti che si devono a Mazzucchetti moltiplica esponenzialmente le fonti cui attingere per meglio definire quale fosse il suo rapporto con l’attività traduttiva e quale fosse il suo modus operandi.
teoria implicita della traduzione
Ritengo necessario, preliminarmente, cercare di definire cosa io in- tenda per teoria implicita. Non perseguo certo l’obiettivo – né sarebbe questa la sede a ciò deputata – di pervenire a una rideterminazione del concetto, ma poiché l’implicito, proprio in quanto tale, comporta una dose assai maggiore di indeterminatezza e di soggettività di quanto non sia proprio dell’esplicito, è indispensabile che io definisca le coordinate dei miei assunti, sottolineando che le qualità di indeterminatezza e soggetti- vità non le riferisco soltanto a chi dell’implicito ha fatto la propria bussola – uso l’espressione in senso ipotetico-metaforico –, ma anche in egual misura a chi – la scrivente nella fattispecie – si adopera per arrivare con la maggiore approssimazione possibile alla descrizione di una presunta o meglio, come asserisco, postulata teoria implicita.
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3La biografia e la formazione scolastica e intellettuale di Errante rimandano a un percorso che vede l’interesse per le letterature moderne preceduto da una solidissima preparazione classica sia in termini linguistici che letterari. Determinanti, come dallo stesso Errante attestato, gli insegnamenti liceali del professore di latino e, per il greco, quelli universitari di Ettore Romagnoli.
La prima difficoltà da superare è infatti, a mio avviso, proprio quella di postulare oppure no una ‘teoria implicita del tradurre’ propria di cia- scun traduttore, sua in quanto operatore nella particolare dimensione di traghettatore di testi, una teoria che non risulti soltanto frutto delle indu- zioni del critico e dello studioso che a posteriori sottopone ad analisi un prodotto.
Credo che la maggior parte di coloro che si occupano di traduzione quale specifico genere letterario convengano che il testo in traduzione in quanto tale è portatore di una serie di elementi non casuali, fortuiti o arbitrari, ma legati dal sottile filo rosso di una ‘visione’ globale dell’ope- razione che il soggetto traducente realizza, ancorché non sempre in rife- rimento a coordinate precedentemente definite o che abbia voluto individuare.
È comunque sempre da tenere presente che gli scritti più significativi e realmente innovativi sul tradurre in quanto attività realizzata in testo, ai quali sembra sempre necessario ritornare, non sono riflessioni teoriche
tout-court. Sono per lo più testimonianze di traduttori che hanno maturato
una personale e organica visione del proprio lavoro nei testi – Cicerone, San Gerolamo, Lutero, Schleiermacher, Benjamin, per non ricordare che nomi del canone. Rielaborandola e ponendola in capo ai risultati conse- guiti, trasformano la teoria implicita in teoria esplicita.
Per quanto riguarda Mazzucchetti, il corpus di traduzioni cui attingere è talmente vasto da rendere necessario per questo intervento prenderne in considerazione soltanto un frammento quale exemplum e tale materiale è stato circoscritto a quello avente come minimo comun denominatore la figura di Friedrich Schiller.
teoria esplicita vs teoria implicita
La teoria esplicita di Mazzucchetti, come è noto, è affidata a scritti sparsi, a note – spesso estemporanee – che mai raggiungono la compiu- tezza e l’organicità di una trattazione se non esaustiva almeno articolata.
Se si volesse definire in forma esaustiva la teoria implicita della Nostra si dovrebbe, è chiaro, lavorare sull’intero corpus di traduzioni, vastissimo e comprendente opere di autori molto diversi fra loro per scrittura, epoca, genere. E le fonti cui ricorrere per individuare i criteri presenti, ma non esibiti, dell’agire traduttorio, andrebbero dalle traduzioni di uno scrittore in particolare – ad esempio Schiller; alle traduzioni di altri autori ‘impor- tanti’ per la ‘poetologia traduttoria’ che si vuole arrivare a delineare – ad esempio Mann e zweig; alle prefazioni, postfazioni, note, al complesso
dei paratesti; alle trattazioni critico-saggistiche senza trascurare alcuna altra testimonianza che rimandi a una consapevole analisi critica di tra- duzioni altrui4.
Fra tutti gli scrittori con i quali Mazzucchetti si è confrontata, Schiller rappresenta senza dubbio un’eccezione, per più di un motivo. Innanzitutto è il primo autore – cronologicamente parlando – al quale la studiosa abbia dedicato uno studio approfondito, l’ancor oggi citatissimo Schiller in Ita-
lia del 19135.
Come ella stessa afferma in una postilla al suo Schiller e Mazzini
Schiller non mi fu, al pari di Goethe, stella polare per la vita, ma primo oggetto di serio studio. Partendo dalle liriche «di pensiero» e dagli scritti postkantiani, presto rinunciando però ad una ardua tesi con il prof. Marti- netti, ripiegai sulle belle lettere, proposi e presentai a Michele Scherillo nel 1911 un ampio lavoro sulla fortuna e l’influsso di Schiller sul nostro primo ottocento. Esso divenne un anno dopo, con notevoli mutamenti, il volume Schiller in Italia edito da Hoepli nel gennaio del 1913, che ritengo conservi interesse almeno per la parte riferentesi al rapporto Egmont-Wal- stein [Wallenstein]-Carmagnola, cioè Goethe-Schiller-Constant-Manzoni. Quando nel 1924 […] fui chiamata dalla università di Genova […] a coprire quale titolare la cattedra di letteratura tedesca dovetti obbedire alla consue- tudine e leggere una ufficiale prolusione alla presenza delle autorità civiche ed accademiche. Fu facile scegliere il tema quasi locale Schiller e Mazzini6.
Lavinia Mazzucchetti. La teoria ‘implicita’ nelle sue traduzioni. 171
4Non va trascurato il particolare che non sempre le indicazioni di Mazzucchetti sono – o sembrano – coerenti. In una lettera del 1956 a Liliana Scalero scrive infatti: «Mi per- metta di pregarLa di fare subito la versione, di lasciarla riposare un paio di settimane e poi di rivederla prima di passare il Suo manoscritto alla dattilografa [...]. Siamo perfettamente dello stesso parere e metodo: bisogna tradurre senza vedere altra traduzione precedente», cit. da Anna Antonello, Tra l’agro e il dolce. Note biografiche su Lavinia Mazzucchetti, in «Come il cavaliere sul lago di Costanza». Lavinia Mazzucchetti e la cultura tedesca in Italia, a cura di A. A., Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2015, p. 19.
5Per gli studi sulla ricezione italiana di Schiller successivi alla trattazione di Maz- zucchetti rimando ai saggi e alle rispettive bibliografie di Arnaldo Bruni, Prima fortuna italiana di Schiller, in Vie lombarde e venete. Circolazione e trasformazione dei saperi letterari nel Sette-Ottocento fra l’Italia settentrionale e l’Europa transalpina, a cura di Helmuth Meter – Furio Brugnolo, Reihe der Villa Vigoni, De Gruyter, Berlin-Boston 2011, pp. 89-103, e di Rita unfer Lukoschik, Teatro italiano nel segno di Schiller: teoria e pratica della ricezione, in ivi, pp. 105-119. E ancora a Auguri Schiller!, a cura di Her- mann Dorowin – uta treder, Morlacchi, Perugia 2012; Giovanna Pinna, Introduzione a Schiller, Laterza, Roma-Bari 2012; Estetica, antropologia, ricezione. Studi su Friedrich Schiller, a cura di Francesco Rossi, EtS, Pisa 2016.
6Della prolusione Giorgio Cabibbe ebbe a scrivere che verteva «su consanguineità fra lo spiritualismo umanitario di Mazzini e l’ascendente poetico del trageda tedesco». Giorgio Cabibbe, Lavinia Jollos Mazzucchetti e la sua testimonianza europea, estratto da «Il Ponte» (giugno 1966), p. 791. La citazione è ripresa da Anna Antonello, Tra l’agro e il dolce..., cit., p. 14.
A Schiller non potei purtroppo mai tornare con seri lavori. una scelta con l’introduzione dei saggi storici brevi sta per uscire, una ricerca sulla Leg- genda del tell attraverso ai secoli e la recente versione in prosa del tell medesimo si affidarono alle fugaci onde radiofoniche. Di recensioni ed ar- ticoli minori non vale la pena di dare qui elenco7.
Friedrich Schiller, quindi, pur frequentato con assiduità e persistenza, molto studiato non da ultimo nella sua ricezione italiana e quindi anche nelle sue versioni, non è del pari tradotto da Mazzucchetti. Si ricorda una traduzione del tell per la radio, si rimanda alla prossima uscita di una rac- colta in italiano dei saggi storici. L’acribia nel reperimento bibliografico e la mole considerevolissima di letture per la tesi non sono poi confluite, se non in misura infinitesimale, in un lavoro di ‘resa in testo’.
Dal lavoro critico-bibliografico alle tragedie
Leggendo e rileggendo lo Schiller in Italia di Mazzucchetti, mi sono sempre stupita del fatto che una conoscenza così approfondita dell’autore non avesse indotto la studiosa a tradurlo con maggior intensità di quanto non fece. La sua bibliografia, dopo i due lavori giovanili citati8, ricorda
ancora soltanto un’unica edizione schilleriana, gli Scritti storici nel 1959 con introduzione9. E poi più nulla, se non continui rimandi critici e ideali
nei saggi e nei commenti dedicati ad altri autori, thomas Mann in primis, del quale Mazzucchetti sottolinea nel necrologio l’estrema alleanza con il Dioscuro, «il meno nihilista fra i suoi grandi maestri»10.
Grazie a Michele Sisto ho potuto ora prendere visione non soltanto della traduzione del Tell rimasta inedita, ma anche della traduzione della
Verschwörung des Fiesko zu Genua. Le versioni si collocano in un arco 172 Paola Maria Filippi
7Lavinia Mazzucchetti, Novecento in Germania, cit., pp.19-27, qui pp. 19-20. 8La prolusione Schiller e Mazzini sarà per altro pubblicata soltanto 35 anni più tardi nel volume miscellaneo Lavinia Mazzucchetti, Novecento in Germania, cit.
9Friedrich Schiller, Scritti storici, a cura di Lavinia Mazzucchetti, Mondadori, Mi- lano 1959. Gli scritti tradotti sono: Brani scelti dalla storia della secessione dei Paesi Bassi (Guglielmo d’Orange, Il conte Egmont, Margherita di Parma, Gli iconoclasti, Il Duca d’Alba e il suo esercito); Che cos’è e a qual fine si studia la storia universale?; La prima società umana secondo la norma della legge mosaica; La missione di Mosè; La legislazione di Licurgo e Solone (Licurgo e Solone); Le condizioni dell’Europa al tempo della prima crociata (frammento); Riassunto dal punto di vista della storia uni- versale delle più notevoli vicende ai tempi dell’imperatore Federico I; Storia della Guerra dei Trent’anni - Wallenstein.
temporale fra il 1950 e il 1963. una sorta di parabola fatale: Mazzucchetti inizia e termina il suo impegno di letterata con Schiller, chiude il cerchio per così dire. Inizia con la riflessione critico-storiografica e termina con la proposta del suo sapere all’interno delle opere. Di più. All’interno di testi non realizzati per la lettura o la messinscena soltanto, ma per l’ascolto radiofonico e la fruizione televisiva ovvero per i mezzi di comunicazione di massa per eccellenza. testi dove la dimensione acustica e l’assenza ov- vero la specificità della visione scenica diventano le cifre significanti e due sfide ulteriori per la riscrittura.
La dilazione cronologica nell’impegno su Schiller mi ha indotto a un’indagine sull’idea mazzucchettiana del tradurre che prendesse le mosse proprio dalla trattazione del 1913.
Nelle quasi 400 pagine del volume-rielaborazione dell’impegno di tesi Mazzucchetti rivela una conoscenza vastissima sia della Primärliteratur che della Sekundärliteratur11.
Le sue riflessioni critico-letterarie non sono mai disgiunte da un pre- ciso riferimento ai testi, ma sempre ai testi in italiano che i singoli critici e poeti avevano a disposizione per le proprie considerazioni. tranne espli- citi casi in cui i fruitori si rifanno alle fonti in originale, i loro commenti sono strettamente legati – derivano – dal dettato in italiano. Mazzucchetti, quindi, a propria volta, ragiona sulle loro ipotesi non richiamandosi al- l’originale, ma si attiene alle ipotesi testuali che hanno esplicita radice nelle traduzioni. Ne deriva che il dettato delle versioni è fondamentale: è l’opera per il lettore e per lo spettatore, per il critico e per lo storiografo12.
Lavinia Mazzucchetti. La teoria ‘implicita’ nelle sue traduzioni. 173
11Le centinaia di note con i puntuali rimandi bibliografici dagli ambiti letterari italiano, tedesco, francese, inglese, oltre a offrire una panoramica dello stato dell’arte a livello euro- peo, rivelano anche un modello di ricerca realmente comparatistico, per il quale lo studio delle dinamiche di importazione di opere da altre letterature e dei risultati del loro recepi- mento non può che testimoniare la stretta interdipendenza delle singole produzioni nazionali.
12Riesce difficile condividere ipotesi quali «la radicalità della congiunzione fra ma- schile e femminile costituisce uno dei motivi conduttori non solo della tragedia [Maria Stuart] di Schiller, dove Maria pensa ripetutamente al maschile» dal momento che si rife- riscono a passi tradotti e non in originale. Sono di Pompeo Ferrario le parole «Modera- zione! Ho sopportato quanto un uomo può sopportare», non di Schiller che infatti fa pronunciare altre parole a Maria durante l’incontro con Elisabetta: «Mäßigung! Ich habe / Ertragen, was ein Mensch ertragen kann»: ho sopportato quanto un Mensch, un essere umano maschio o femmina che sia, una persona insomma, può sopportare, non un Mann ovvero un maschio può sopportare. Arnaldo Bruni, Prima fortuna italiana di Schiller, in Vie lombarde e venete..., cit., pp. 94-95. Non concordo neppure con il secondo esempio «Miei pari non sono che i re»: per sostenere che Maria «pensa ripetutamente al maschile». Se è vero che il termine schilleriano è Könige, almeno due considerazioni – l’una formale e l’altra semantica – mi inducono a non vedere nell’uso del lemma un’aspirazione di Maria a far parte del mondo maschile. L’impiego di Königinnen avrebbe compromesso l’anda-
Apoditticamente afferma: «Assenza di traduzione significa anche igno-
ranza assoluta di un autore»13. E come scrive Anna Antonello «Già questo
primo lavoro [...] mostra la capacità della Mazzucchetti di applicare a sé una chiara metodologia (‘Per ora naturalmente non faccio che fiutare il vento cioè comincio a conoscere Schiller – vita e opere – per poterlo poi condurre in Italia’)»14.
Mazzucchetti prende posizione in toni recisi, mai spocchiosi, ma nep- pure falsamente deferenti, nei confronti dei testi che dimostra di avere letto con grande attenzione.
Nel commentare i risultati altrui non propone mai delle alternative pro- prie. Si tratta di una sorta di messa a fuoco di singoli specifici obiettivi. Cerca di individuare una griglia/delle griglie non per costringervi le ver- sioni, ma per focalizzare i parametri di volta in volta irrinunciabili di sin- goli processi di appropriazione che per loro stessa natura – essendo dovuti