FEDERAZIONE ITALIANA DEI CENTRI SOCIALI
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predisposizione alla quale in apertura si accennava, che invece tanto ha gio vato, per esempio, ai centri sociali dell’U N R R A CASAS.
Non possiamo citare il numero dei centri sociali dell’INA CASA, ma possiamo però dire che ne esistono almeno in quasi tutti i capoluoghi di provincia e numerosi presso le grandi città.
Dobbiamo considerare con la massima attenzione il lodevole sforzo dell Ente, quando pensiamo che ha istituito centri, più o meno funzionanti, ma co munque validi almeno come sede di servizi, nei quartieri popolari delle grandi città, nel tentativo di ristabilire un equilibrio sociale, di introdurre una dimensione possibile, sviluppando le chiare e ben servite intenzioni poste alla base dei suoi stessi interventi edilizi.
Conosciamo poi lo sforzo che l’Ente sta facendo per rendere piu profìcuo il lavoro dei centri nell’ambito di queste difficili zone, aggiornando gli anima tori, cercando di qualificare sempre più gli Assistenti Sociali e allargando, quanto più possibile, il fronte dei servizi. Sia ben chiaro che quando noi diciamo che questi Enti Statali intendono il centro sociale soprattutto come una sede tecnica, non vogliamo emettere un giudizio negativo e non vogliamo aprire alcuna polemica. Riteniamo infatti, che gli stessi centri di servizio siano stati e siano ancora assai utili, e servano a costituire l’invito ad un rapporto sociale più chiaro, l’occasione per una vita migliore delle popola zioni della zona cui il centro è preposto.
Riteniamo anche che l’usufruire in comune di certi servizi, la semplice pos sibilità di godere di una sede riscaldata, di poter leggere dei libri, di potersi servire di alcune attrezzature ricreative, costituisca un allenamento al rap porto con gli altri, alla discussione, che consentirà poi ai gruppi utenti di sviluppare il loro giudizio e di muoversi su un piano più completo di ricerca magari in altre sedi.
Riteniamo però, e per questo all’inizio abbiamo voluto citare la pagina della Zucconi, che il centro solo assistenziale o solo di servizio non basti; è una fase iniziale che deve avere la possibilità di svilupparsi secondo le tendenze e le intenzioni di coloro che ne usufruiscono.
Altrimenti attraverso i centri non si affronteranno mai tutti quei problemi che sono invece proposti dai requisiti stessi della loro definizione: cioè lavo rare a favore della popolazione di un territorio dall’ambito circoscritto ed unitario; lavorare attraverso attività molteplici integrantisi a vicenda, e con la rappresentazione di diversi interessi e competenze, e secondo il metodo della discussione; disporre di una sede stabile aperta a tutti coloro che abitano in quel territorio, al di sopra di qualsiasi distinzione; costituire in definitiva una possibilità per tutti gli individui e i gruppi di contribuire a formare una cultura unitaria, integrandosi e rispettandosi a vicenda.
Altrimenti non avremmo nemmeno notato la difficoltà, per i centri sociali, di lavorare nei quartieri urbani, (come invece è accaduto a noi e a tutti gli studiosi di questi problemi e ai responsabili degli stessi Enti). Non saremmo stati colpiti tutt’insieme dalla insoddisfazione di vedere funzionare, più o meno attivamente, i servizi, senza riscontrare insieme quell’azione integrante, svolta direttamente dai gruppi; quel segno di democrazia in atto, che costi tuisce in ultima analisi la caratteristica essenziale del centro.
Consideriam o ora l’impostazione generale e l ’attività dei centri presso due istituti non pu b b lici e che sono stati i prim i, nel nostro Paese, a in teressarsi al problem a dei centri sociali: l ’U .N .L .A . e l ’Istituto Italiano den Centri Com unitari.
U.N.L.A.
L’UNLA ha istituito i suoi centri generalmente nelle zone dell’Italia Meri dionale più depresse: in Basilicata, in Calabria, in Sicilia.
E’ subito da notare che tutto il suo lavoro è stato svolto sempre su una base volontaristica, e che il ruolo di animatori dei centri è stato assunto da maestri elementari, solo perchè interessati ad agire in favore delle popolazioni dei loro stessi paesi.
Questo carattere volontaristico ha forse tolto ai centri dell’UNLA quella disponibilità di mezzi e di esperti, della quale godono invece i centri istituiti dal CASAS o dall’INA CASA. In compenso ha certamente dato loro un maggior spirito di iniziativa e la possibilità di essere più fedeli interpreti delle esigenze dei gruppi, muovendosi, fin dall’inizio con il contributo delle dispo nibilità stesse di questi e dietro l’indirizzo delle loro stesse intenzioni. I risul tati infatti, ottenuti nell’ambito di questi centri, sono assai numerosi e validi, e non solo limitati alla diffusione dell’alfabeto; ma addirittura portati in campo comunitario e di fronte a problemi di vario ordine, anche economico. I centri dell’UNLA costituiscono un esempio di iniziativa dal basso, che con forta l’idea del centro come patrimonio esclusivo delle popolazioni interessate alla sua vita, come libera espressione della comunità.
Un altro aspetto interessante dei centri dell’UNLA, è che hanno dovuto superare tutta una serie di difficoltà intrinseche alla vita stessa del paese, giacché scarsissimo è sempre stato l’aiuto che la sede centrale ha potuto loro concedere: quindi, la difficoltà di fare incontrare per una convergenza ideale diverse categorie, da secoli divise e chiuse nel loro ambito; far cadere i so spetti nei confronti di un intervento disinteressato, condotto su base volon taristica e non coperto dalla figura giuridica o dal riconoscimento di un Ente pubblico. Tutto questo ha portato in effetti, alcuni danni ai centri dell’UNLA alcune lotte nel loro interno: i gruppi o i responsabili, assolutamente liberi, hanno finito certe volte per lottare all’interno del centro, come prima succe deva loro nell’ambito della vita paesana.
I centri però hanno avuto la forza di sopravvivere e prosperare, superando tutte queste difficoltà; fornendo così una delle prove migliori per conclamare la loro utilità, la loro corrispondenza ai temi di una democrazia universal mente esercitata. Certo che, per superare alcune lotte ed alcune diffidenze, i centri dell’UNLA hanno dovuto in parte limitare la propria azione, condi zionarla, come può suggerire il fatto che, per esempio, nell’imminenza di elezioni politiche o amministrative, esattamente due mesi prima, — a quanto ci risulta — hanno sempre cessato la loro attività. Ma questo forse è dovuto anche al fatto che essendo gestiti responsabilmente da elementi locali, ed essendo gli stessi elementi impegnati nelle lotte politiche, era giusto che i centri non volessero servire alla parte politica di questi, o diventare sedi di scontri politici, più che di serene discussioni.
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I.I.C.C.
Per considerare infine l’attività dei Centri Comunitari, è necessario premet tere un brano degli scritti di Adriano Olivetti che è l’ideatore del Movimen to Comunità: « La misura umana di una comunità è definita dalla limitata
possibilità che è a disposizione di ogni persona per contatti sociali. Un organismo è armonico ed efficiente soltanto quando gli uomini preposti a determinati compiti possono esplicarli mediante contatti diretti. Tutti i pro blemi, in una comunità, entrano in limiti semplici e facilmente controllabili : il raggiungere un campo sperimentale, un reparto autonomo di una officina, una clinica per fanciulli, un cantiere edile, uno studio di architetti o di un pittore, è possibile usando mezzi umani o naturali ».
Il Centro Communitario costituisce la sede di tutte le attività di gruppo che hanno come scopo una organizzazione democratica della vita della comunità, alla quale si aggiunge un programma di ricreazione e di formazione, la soppressione dell’autoritarismo a favore di una uguaglianza e di una libertà, che la società globale non garantisce.
Attualmente i Centri Comunitari sono più di 70 distribuiti nei 118 Comuni del Canavese, che è un territorio dalle caratteristiche unitarie, organizzato amministrativamente nella regione del Piemonte. I più vecchi sono sorti intorno al ’50; alcuni sono di più recente istituzione. Altri Centri Comunitari sorgono in Basilicata, nel Lazio e nel Veneto.
La loro creazione è in genere richiesta al Segretariato Centrale del Movimento Comunità, da un gruppo di abitanti del paese desiderosi di dedicarsi ad una attività culturale e ricreativa.
La struttura del centro avviene sulla base di uno Statuto che garantisce lo svolgimento di una vita democratica.
Il Movimento Comunità, attraverso l’Istituto Italiano dei Centri Comunitari, mette a disposizione dei centri una équipe di studiosi, cui è affidata ogni ricerca metodologica ed anche la funzione di animare le diverse attività cul turali e di impiego del tempo libero.
Come è notato da Albert Meister nel fascicolo n. 12 di « Documenti » — edito a cura del Centro di Sociologia della Cooperazione2 — « se la combina
zione di una struttura a base democratica come quella dei centri e una cen tralizzazione nell’Istituto delle funzioni di animazione, ottiene un notevole successo sul piano dell’efficacia, rischia però di non far nascere nell’ambito dei gruppi stessi gli animatori, cioè i leaders che possano normalmente pro seguire l’attività ». I responsabili dell’Istituto sono per altro coscienti di
questo pericolo ed infatti lavorano alla formazione, mediante corsi e stages, di animatori che possano scaturire dal gruppo e lavorare all’interno dello stesso.
A questo punto, facciamo parlare uno dei responsabili dell’Istituto Italiano dei Centri Comunitari: « Ogni lavoro si incomincia con un atto di fede, e
noi abbiamo incominciato il nostro con fede nel valore profondo e superiore di una cultura facente riferimento a un contenuto politico preciso, ad una
2 Comunità nel Canavese. Ivrea, Centro di Sociologia della Cooperazione, 1957, D O C U M E N T I 12, 94 p.
visione originale dei rapporti sociali ed economici, ma nello stesso tempo critica e aperta, senza nulla in sè di fazioso e di intemperante ».
O più avanti:
« Non siamo noi i migliori giudici dei frutti derivati da questo atteggiamento,
e forse è troppo presto perchè chiunque giudichi dei frutti; ma una cosa possiamo dire con sicurezza: Vequilibrio nella nostra azione è stato raggiunto, e l’azione del pubblico che ci segue e ci aiuta è diventata sempre maggiore, direi, per spiegarmi meglio, che l’aiuto del pubblico è cresciuto cioè che depone per una partecipazione dalla base alla nostra fatica, e questo in ulti ma analisi, fa parte del risultato ultimo che vogliamo raggiungere.
« agiamo inseriti in un movimento politico che si presenta senza equivoci e
senza maschere di apoliticità, pur essendo, la nostra azione culturale aperta a tutti; molte delle nostre attività hanno contenuto politico: i corsi e le conversazioni di cultura civica infatti sono non solo informativi (sulle norme costituzionali, sui regolamenti dell’amministrazione comunale, sui più recenti fatti di politica interna e internazionale), ma hanno un carattere critico, e sono aperti alla discussione e al vaglio delle opinioni; oltre a questo, che è cultura politica, tentiamo con modesti mezzi una politica della cultura, rivol gendoci alle strutture culturali che cerchiamo di affrontare criticamente, di stimolare e di perfezionare ».
Il Centro Comunitario appare quindi un superamento in una direzione « poli tica », non meno che culturale, del centro sociale, giacché in esso i gruppi elaborano direttamente i programmi della loro attività, chiarendosi quindi la posizione della propria funzione anche in rapporto con quella degli altri, muovendosi cioè in un senso assolutamente democratico, al di là di una pura gestione di servizi, cioè della diffusione di tecniche e di mezzi che caratterizza molti dei centri sociali, dove appunto i metodi finiscono per essere esercitati quali fine a se stessi.
Ed allora ci sembra opportu n o ricordare un altro brano dell’articolo già citato, di Angela Zucconi, che ci pare ancora oggi, a cinque anni di di stanza dalla sua pubblicazione puntualizzare esattamente la situazione reale e la problem atica dei centri sociali:
« ...è inesatto identificare il centro sociale con il ’’complesso edilizio al centro
del quartiere” destinato ai servizi sociali: è pure inesatto considerarlo come il centro coordinatore dei servizi sociali del quartiere o del borgo. L ’ una e l’altra circostanza possono realizzarsi, ma non rappresentano la caratteristica del centro sociale. Come il centro sociale deve rappresentare per i frequenta tori un ambiente favorevole allo sviluppo della propria personalità, così deve rappresentare per gli Enti che vi hanno recapito, o comunque sono in con tatto con il centro, l’ambiente favorevole per sviluppare una più precisa definizione dei- propri programmi di lavoro; questa qualificazione degli enti è il primo passo per la collaborazione ed eventualmente il coordinamento. Un centro che nasce con l’ambizione di coordinare i servizi esistenti, rischia di burocratizzarsi in partenza, di perdersi per sempre in quel dedalo di circo
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scrizioni non coincidenti, che interseca la vita di un quartiere, e chiude in tanti compartimenti stagni l’attività del parroco e quella del maestro, del medico condotto, del settore E.C.A., del consultorio OMNI, ecc. La sfera di influenza propria del centro sociale si estende dal vicinato al gruppo e dal gruppo alle comunità, e rappresenta il superamento non solo di questo tipo di circoscrizioni, ma di tutte quelle forme di sezionismo che nella nostra so cietà, pullulante di associazioni, raggruppano gli uomini che hanno gli stessi bisogni, quelli che svolgono la stessa attività, quelli che pensano o non pen sano alla stessa maniera, imponendo il divieto di comunicare a chi non voglia passare per untore ».
V ogliam o soltanto aggiungere la nostra fiducia nel centro sociale com e organismo attivo, com e espressione democratica di gruppi ben determinati e integrati, cioè di un « c o m u n e » , o di una «u n iv e rsità », vorrem m o dire, se questi termini n on avessero ormai un significato del tutto formale e amministrativo. La nostra fiducia posa nelle possibilità autonom e della gente che ha solo bisogno di essere aiutata ad ampliare i suoi mezzi di espressione, al di là dei rigidi m odelli di vita che possano esserle pre sentati.
Se una libertà assoluta e una reciprocità costante nei rapporti, la possi bilità di servirsi dei m etodi e dei mezzi fino alle conclusioni di principio, che sono ancora da noi necessarie data la recente e n on ancora assimilata affermazione della democrazia, saranno alla base del centro sociale, esso diventerà indubbiam ente uno dei mezzi m igliori proprio per l’instaurarsi totale, individuo per individuo, gruppo per gruppo, di una sincera re gola democratica.
Il centro sociale potrà anche far trovare alla nostra democrazia la reale unità organizzativa, la sua cellula vitale, e riteniam o anzi che alcuni centri abbiano già raggiunto in questo senso risultati assai validi. N ei centri di Pietransieri, Orsogna, Savoia di Lucania, T orm arancio, Palazzo Canavese, è stata ormai ordinata q u e ll’esigenza naturale degli am bienti cui si accen nava all’inizio, organizzata la spinta verso gli altri nella vita con gli altri,
e le popolazioni vi trovano certo ora la loro « università ».
Paolo Volponi
Il Com m unity D evelopm ent è stato riconosciuto com e un mezzo quasi indispensabile ai paesi sottosviluppati per progredire facendo affidamen to sulle proprie forze. Esso riguarda un vasto settore della sanità, educa zione, agricoltura, pubblica amministrazione, e assistenza sociale. In uno dei m olti docum enti dell’O N U che a esso si riferiscono si sottolinea che l’evoluzione com unitaria « d ovreb b e utilizzare sia atteggiam enti per
sonali che di massa ». In altre parole, esso riguarda essenzialmente il
trattare con gli uom in i sia com e individui che com e gruppi. E in questa attività che pu ò interessare l’esame di alcuni problem i che si pon gon o in seguito alla creazione di centri com unitari nell area urbana di alcuni territori africani sottoposti ancora a un amministrazione coloniale. Il bisogno di tali centri è accentuato dalla debolezza della struttura fam i liare che è tipica dei gruppi di operai im m igranti o anche di coloro che sono già stabiliti in una città ma provengono da ambienti rurali e devono adattarsi a condizioni materiali m olto differenti. In m olti posti i salari vengono stabiliti com e se la famiglia dell’operaio n on vivesse con lui e com e se le donne e i bam bini della famiglia potessero mantenersi con i prodotti della loro tèrra quando abitano in am bienti rurali.
In tali condizioni la popolazione urbana è composta in prevalenza di elementi maschili e giovani. V i si trovano tutti i fattori che portano alla decadenza dei m odi convenzionali di com portam ento culturale e morale, e il violento incontro con l’industrializzazione appoggiata da tutto il peso della tecnologia contem poranea com porta la probabilità che la rivolu zione industriale del ventesimo secolo in Asia e in A frica sarà ancora più distruttiva per la felicità e il benessere umani di quanto n on sia stata quella del X IX secolo in Europa. In tali circostanze non sorprende che le potenze coloniali europee cerchino di far fronte alla loro com une responsabilità sociale.
N el 1953 il ministero delle colon ie inglese (British Colonial O ffice) pu b b licò una dichiarazione sui Centri Com unitari nei territori coloniali inglesi, che tratta sia di prin cipii generali che di alcuni aspetti partico lari, quali il finanziamento, le costruzioni, il personale e le attività. La maggioranza degli esempi citati sono presi dall esperienza fatta in terri tori africani.
Si definisce lo scopo dei centri com unitari com e qu ello di « prom uovere
il benessere della com unità associando le autorità e organizzazioni loca li nonché la popolazione in uno sforzo com une di migliorare la salute pubblica e l’educazione, di forn ire mezzi opportuni p er l’addestramento e la ricreazione fisica e intellettuale, e p er lo sviluppo sociale, morale e