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156 PETER KUENSTLER

FEDERAZIONE ITALIANA DEI CENTRI SOCIALI

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vicinato e per i centri com unitari sono forse troppo in clini a vedere nel­ l’oggetto del loro entusiasmo una panacea per tutti i m ali sociali portati con se dall’avvento dell’industrialismo. C iò è stolto; ma sarebbe bene non trascurare il contributo essenziale che tali attività possono dare e ottenere che le autorità responsabili, siano essi urbanisti, econom isti o funzionari amministrativi che controllano i bilanci, tengano conto nelle loro raccomandazioni e nei loro piani di creazioni com e i centri sociali e com u n itari1.

P eter Kuenstler

T h e African D evelopm ent Trust, L on don

1 Bibliografia: Community Centres in British Colonial Territories. Colonial Office, Londra, 1953; R ep ort of the French Com m ittee fo r Social Service and Social W ork to the 8th In ter­ national Conference o f Social W ork. Parigi, 1956. L ’A ction Sociale au Congo B eige et au Ruanda Urundi. C.I.D., Bruxelles, 1953; T .L . Hodgkin, A dult Education in French and Belgian Africa. Rowley House Press, V ol. I ll, n. 4, O xford, 1955-56; Special Study on Social Conditions in N on-Self-Governing Territories. ( S T /T R I /S E R A /1 0 . Nazioni U ni­ te, 1956).

Esistono m olte varie form e di centri assistenziali com unitari e consigli, associazioni e gruppi locali.

Essi differiscono nelle finalità e nel raggio d ’azione dei loro programmi, devono la loro nascita a circostanze diverse, adem piono a com piti m ol­ teplici. Mentre i tipi che si sono creati in paesi industrialmente evoluti sono spesso imitati in regioni econom icam ente m eno sviluppate, poi, col tempo, vengono generalmente elaborati program m i più adatti a condizioni specificamente rurali.

Il problem a centrale dei paesi sottosviluppati è qu ello di m igliorare la com unità di entità media, città e villaggio, attraverso un m aggior im pie­ go dell’iniziativa, della pianificazione e della mano d ’opera del p op olo stesso. In tali situazioni, i settlem ent houses e i centri sociali e culturali, i com m unity councils dei paesi industriali non sembra possano fornire una soluzione adeguata. Per fortuna, il tratto più caratteristico dell’evo­ luzione com unitaria in paesi sottosviluppati e rurali consiste nella ten­ denza ad ampliare gli iniziali progetti a finalità unica in altri a finalità plurima. Il

Il bisogno di affrontare così i problem i in un m odo globale fu stabilito chiaramente n ell’opuscolo del C olonial Office inglese « Com m unity Cen­

tres in British Colonial T erritories », pu bblicato n ell’agosto del 1953.

Sebben citato altrove in questo num ero, questo concetto pare sufficien­ temente importante per essere ripetuto qui.

« 1 centri com unitari in paesi coloniali dovrebbero mirare a p rom u o­

vere il benessere della com unità associando le autorità e organizzazioni locali nonché la popolazione in uno sforzo com une di prom u overe la salute pubblica e l’educazione, e di forn ire mezzi opportuni p er l’adde­ stramento e la ricreazione fisica e intellettuale e p er lo sviluppo morale e

intellettuale, e di stimolare uno spirito com unitario p er raggiungere le m ete citate a vantaggio e p er il benessere della com unità in generale, nonché p er raggiungere tutti gli altri obiettivi, quali il m iglioram ento dei villaggi, del rifornim ento dell’acqua, dei m etodi di agricoltura, ecc... ».

Questa pubblicazione inglese anche rileva che, specie in distretti rurali, questi centri probabilm ente potrebbero diventare lo strumento per stimolare il m iglioram ento dei villaggi per mezzo di sviluppi com u n i­ tari. « G eneralm ente questi centri dovrebbero mirare alla prom ozione

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dando la struttura tradizionale sia, là dove i vecchi legami, e le vecchie form e di coesione stanno per disintegrarsi, risvegliando lo spirito com u ­ nitario ».

Le Nazioni Unite hanno con dotto parecchi studi sullo sviluppo com u ­ nitario in diverse parti del m ondo, che poi fu ron o pubblicati nella loro serie « Com m unity Organization and D evelop m en t ». In queste rela­ zioni si rivela che i programmi d ’evoluzione com unitaria sono spesso ostacolati perchè troppa importanza è data agli edifici dei centri com u ­ nitari. Nella pubblicazione del C olonial Office inglese è sottolineato il fatto che la creazione di un centro com unitario deve essere o suggerita da un’espressa domanda della popolazione che dovrà essere servita, o collegata a bisogni da essa acutamente sentiti. E le N azioni Unite, in

«S ocial Progress through Com m unity D e v e lo p m en t», riassumono la

posizione com e segue:

1) Si dovrebbe dare precedenza alla elaborazione di ben concepiti pro­ grammi di sviluppo com unitario e addestramento di leaders locali piut­ tosto che alla costruzione di sedi per i centri.

2) Si dovrebbero per quanto possibile usare edifici già esistenti per es. scuole, chiese, ecc...

3) La costruzione di un centro dovrebbe coronare la serie di iniziative com unitarie piuttosto che precederla.

4) Q uando si costruisce un centro, l ’iniziativa deve essere degli abitanti della com unità e questi devono parteciparvi in ogni fase, com inciando con la pianificazione e continuando con la realizzazione del progetto.

I tre seguenti esempi sono presi dalle Filippine, dal Kenya e dall’India, e non possono dare che un’indicazione dei m olti tipi di centri rurali che ora effettivamente funzionano nelle varie parti del m ondo. In ciascun caso l’accento principale è posto sull’educazione per l ’evoluzione com u ­ nitaria. La loro efficacia in definitiva pu ò essere giudicata soltanto in rapporto alle com unità che vengono da loro servite e dal contributo che danno al loro benessere.

F IL IP P IN E - A lm eno una parte del progresso ottenuto nel m iglioram en­ to della vita domestica e com unitaria a San Esteban si deve al sistema intelligente di scuola com unitaria attuato nel villaggio. T ra i problem i da risolvere vi erano imprese com e quella di elevare il livello della stra­ da e di altri posti p u bb lici di m odo che fossero sottratti alle onde nel­ l ’alta marea, di far piste in cem ento nella scuola per m igliorarne le con ­ dizioni sanitarie, di sostenere i m ovim enti scoutistici giovanili di am bo i sessi, sistemare un centro di puericultura, e di costituire una sala da lettura. Si crearono sei purok di lavoro al livello di vicinato con un consiglio di barrio per coordinare le loro attività.

U n purok è un gruppo di case form anti u n ’organizzazione di fam iglie in un vicinato. E’ una piccola democrazia in cui le fam iglie condividono tra loro la responsabilità per attività di gruppo, l’autorità di determinare quali saranno queste attività, e i benefizi da esse risultanti. Si conside­ rano le famiglie com e unità responsabili, e il m iglioram ento del purok riguarda principalm ente il m iglioram ento della abitazione familiare e il consolidam ento dell’econom ia e della solidarietà familiari. L ’insegnan­ te dovrebbe tenersi n ell’ombra, per dare incoraggiamenti quando occor­ rono. Egli entrerebbe direttamente in azione soltanto per dare una «spin ta» quando vedesse che, per indifferenza o trascuratezza, il pro­ getto stia per far fiasco. Il purok coopera con altri purok nel consiglio com unitario dove sono valutati i progressi fatti e sono considerati i biso­ gni della com unità intera.

« San Esteban illustra l’opera civica della scuola e della com unità in due

direzion i: il m iglioram ento della scuola p er la com unità e il migliora­ m ento della com unità p er la scuola. Attraverso l’Associazione Genitori- Insegnanti, l’Agum an K im ut Cayanacan, e le organizzazioni dei giovani scouts, la popolazione ha cooperato p er migliorare la situazione scola­ stica e far sì che le attività scolastiche si svolgano con successo e con risul­ tati fecondi. E ’ stato costruito un edificio di otto vani, si sono tracciate delle strade e queste fu ron o cem entate, sono state piantate siepi ed altre piante ornamentali, provved u te villette p er gli insegnanti, i gabinetti fu ron o fatti in m odo igienico, si fece in m odo di avere locali p er lavarsi e acqua potabile, una clinica ven n e attrezzata e fornita dei materiali neces­ sari. La popolazione stessa ha preso l’iniziativa. N on hanno atteso che il governo completasse i provvedim enti p er la scuola. N e risulta che adesso ne sono fieri e sentono che la scuola appartiene a loro.

« In cambio dell’interesse dedicato alla scuola, gli insegnanti e i loro allievi si sono interessati m olto ai problem i della vita comunitaria. Gli insegnanti hanno stimolato e aiutato la gen te nell’organizzazione dei purok. Sotto la loro guida gli allievi partecipano nei progetti di purok e nello stesso tem po questi progetti servono a aumentare i corsi e p er­ m ettere agli scolari di imparare im m ediatam ente lezioni funzionali e pratiche ».

K E N Y A - M entre a rigor di termini la Jeanes School non è un centro com unitario rurale, la sua funzione è quella di appoggiare l’evoluzione comunitaria, e la sua influenza nel territorio e stata grande. Il suo inte­ resse principale è lo sviluppo rurale in generale, e l’istruzione mira alla produzione di m igliori case, m igliori fattorie, e m igliori cittadini. Il Ke­ nya è un paese agricolo, e ogni progresso deve essere basato sulla fattoria, sul focolare domestico, e sulla coscienza degli uom ini.

T u tti i corsi sono residenziali, e tale isolamento dalle preoccupazioni della fattoria, del negozio, o della casa permette agli studenti di concentrarsi

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più completamente per acquistare conoscenze e competenza tecnica. Grande importanza ha lo stim olo allo scambio di idee ed esperienze fra i diversi corsi, poiché questi sono com posti di studenti venuti da tutte le parti del Kenya, nonché dall’Uganda, dal Tanganyika e da Zanzibar. La maggioranza degli studenti sono uom ini e donne africani provenienti da regioni agricole, e m olti di essi partecipano attivamente nella vita comunitaria com e consiglieri, leaders ecclesiastici, ecc..., ma hanno in precedenza ricevuto poca istruzione. Essi frequentano i corsi d i form a­ zione (D evelopm en t and Citizenship Courses) e di cultura civica che generalmente sono di 5 settimane. A ltri riguardano agricoltura, com m er­ cio, educazione fìsica, musica, teatro, igiene, lavori domestici.

IN D IA - Il Friends Rural Centre (Centro Rurale quacchero) a Rasulia è un esempio interessante del genere di lavoro svolto da associazioni volon ­ tarie. Il centro rassomiglia m olto al tipo ashrarn di settlement che così spesso si incontra in India. G li ashram indiani sono generalmente fon ­ dati su un piccolo nucleo di persone che si sottopongono ad una disci­ plina com une ed a un culto regolare, abitano tra la popolazione che desiderano aiutare, e, all’occasione, accogliono elementi che abbiano affinità di idee per studiare, lavorare, e stare assieme. Per lo più un ashram si form a attorno a un un ico personaggio sovrabbondante di vita. A Rasulia ci fu una successione di leaders piuttosto che uno solo, e la continuità e l’ispirazione provenivano dalla Society o f Friends (quac­ cheri). E’ da questo centro rurale che emana il lavoro assistenziale sociale e tecnico dei quaccheri nei 15 a 20 villaggi circostanti. Il personale è internazionale, per lo più in famiglie o in gruppi nello spazio alla peri­ feria del villaggio di Rasulia, in edifìci costruiti e posseduti dai quaccheri. O ltre alle abitazioni vi sono una casa per riunioni, u n ’officina, edifìci scolastici, e un centro per studi.

N ella concezione e realizzazione del programma si fece in m odo di radunare la popolazione del villaggio affinchè considerassero i loro pro­ blem i tra di loro e assieme al personale del Centro e con alcuni impiegati governativi ed esperti appositamente invitati. Usando le riu nion i tradi­ zionali del villaggio, quali le corse di carri con i buoi, le sagre e il Ramayan Mandai settimanale, il personale del Centro prese l’iniziativa di organizzare una varietà di riunioni con argomenti speciali, da riunioni serali nei villaggi a conferenze e seminari a Rasulia che durano da un giorno a due settimane. In ogni caso si m irò ad attuare delle discussioni tra gli stessi abitanti. Il

Il Friends R ural Centre non pose l’accento sulla competenza tecnica o sull’efficienza con cui un programma di lavoro fu eseguito perchè si è già riscontrato che tale accento invariabilmente colloca il lavoro m olto al di sopra del livello mentale della gente dei villaggi e lontano dalla loro

comprensione. L ’accento invece fu posto sull’insegnamento attraverso l’esempio e sull’utilizzazione delle istituzioni tradizionali com e mezzi di auto-sviluppo. C iò che all’abitante di villaggio occorreva di più era una nuova ispirazione e la coscienza che anche lui possedeva qualche merito.

L o scopo dei centri rurali nei dintorni è stato qu ello di fornire un punto di contatto alquanto approfondito con la gente del villaggio, un punto dove si poteva riuscire a com prendere la loro vita e i loro problem i e a svolgere azioni sperimentali per risolvere i loro problem i; e dove si poteva fornire a persone istruite e interessate all’India u n ’occasione di prestare un servizio soddisfacente in am biente rurale.

Il Friends Rural Centre di Rasulia ha conferm ato e incoraggiato tali persone qualificate a creare e sviluppare a lungo termine centri rurali a finalità plurim e. Ciascuno centro cerca di collegare i diversi aspetti del suo lavoro a un unico programma maestro la cui natura è determinata dalle qualificazioni e dall’entusiasmo dell’animatore. Il lavoro sorge attor­ n o al lavoratore sociale; il Centro non cerca di trovare un lavoratore per eseguire un programma predeterminato. Per riuscire, il lavoro nel vil­ laggio deve essere esplicato da b u on i animatori. Essi possono ottenere la fiducia della gente, possono mostrare che un n u ovo m etodo pu ò avere buon esito, e possono prom uovere un senso di responsabilità tra la gente del villaggio di m odo che si rendano possibili la pianificazione e la coop e­ razione nelle attività di sviluppo. T u tti i villaggi, s’intende, non si m u o­ von o con lo stesso passo di evoluzione e si è trovato che generalmente i villaggi più progressisti sono qu elli guidati da u n o o più individui istruiti con cui l’animatore p u ò cooperare. Centri sono stati creati nei villaggi di Nitaya, Palanpur, Jasalpur, Adamgarh, Phepertal e Raisalpur, tutti situati in un raggio di 12 miglia da R asu lia1.

Edward Clunies-Ross

C om m unity D evelopm ent Clearing House University o f L on d on - Institute o f Education

1 Bibliografia: Community Centres in British Colonial Territories. Colonial Office, August 1953; R eport of the Mission on Rural Community Organization and D evelopm ent in the Carribean A rea and M ex ico ; R eport o f the Mission on Community Organization and D evelopm ent in Selected Arab Countries o f the M iddle East; R eport of the Mission on Community Organization and D evelopm en t in South and Southeast Asia. United Nations, 1953; Social Progress through Community D evelopm en t, U nited Nations, Bureau o f Social Affairs, 1955; Six Community Schools o f the Philippines, Unesco National Commission o f the Philippines, no. 6, 1955; Community D evelopm en t Organization A nnual R eports, Colony and Protectorate of Kenya; Social and Technical Assistance in India - An Interim R ep ort,

L ’histoire des centres sociaux français, de leur fédération et des divers mouvements qui se sont créés après la seconde guerre m ondiale reste à faire. Cette note a plutôt pour but de familiariser le lecteur étranger avec les principes guidant le travail qu i se fait dans ce dom aine en France, et plus particulièrement sous l’im pulsion de la Fédération Française des centres sociaux.

Antérieur à l’expérience pilote — dirait-on aujourd’hui — de Canon Barnett à T oy n b ee Hall, le prem ier centre français se crée déjà en 1871 à Paris et fonctionne encore au jou rd’hui.1 Il faut pourtant attendre une trentaine d ’années encore pour voir surgir d ’autres associations influen­ cées partiellem ent par cette prem ière initiative et partiellem ent par T oy n b ee H all.1 2 Ces premiers groupements naissent tous com m e oeuvres d ’assistance et n ’acquièrent qu e peu à peu leur caractère actuel. A la différence des settlements britanniques et américains dont l ’action est surtout éducative et civique, les premiers centres français développent avant tout l’assistance familiale, s’inspirant du christianisme social d ’A l­ bert de M un et de Le Play et sont encore imprégnés de paternalisme.3 D ’autres centres se créent après la première guerre m ondiale, un certain nom bre grâce à l’aide américaine. Le besoin d ’union entre eux se mani­ feste alors et la Fédération Française des Centres Sociaux se constitue en 1922 en vue du prem ier Congrès International des Settlements qu i se tiendra à Londres la m êm e année.4

T o u t de suite la jeune fédération sent la nécessité de préciser ce q u ’est un centre social. La définition à laquelle elle aboutit — et qui sera reprise par la Fédération Internationale — considère com m e centres sociaux les organisations q u i:

a) « disposent de locaux ouverts d’une façon perm anente et destinés

à accueillir des familles du voisinage sans distinction de conviction poli­ tiqu e ou religieuse, ni de situation sociale;

1 Centre de la rue Vigée-Lebrun dépendant de l ’ Union des Familles créée par Madame de Pressensé.

2 L ’Oeuvre Sociale de Popincourt du marquis Costa de Beauregard (1897), les Maisons Sociales de Madame le Fer de la Motte et de la baronne Piérard (1903), l ’Oeuvre de la Croix Saint-Simon, etc... Cf. Etat comparatif et chronologique de la création des principaux settle­ ments. Paris, Fédération Internationale des Settlements, mai 1952.

2 Cf. M elles Bassot, D ie’m er et de R obien . Les centres sociaux. Paris, Editions de la S.A.P.E., Les Cahiers du Redressement Français, N° 20, s.d. (publié dans les années 1930).

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ALBERT M EISTER b) « cherchent à fortifier et à agrandir la fam ille et, pou r ce, com ­

portent les activités correspondant à tous les m em bres de la fam ille: enfants, jeunes filles, jeunes gens, parents;

c) poursuivent dans un esprit de solidarité un but éducatif et ré­

créatif et tendent au m ieux-être physique, moral et social de ceux qui les

fréqu en ten t » .4 5

Les principaux concepts repris et commentés plus tard figurent déjà dans ce texte: présence permanente, base du voisinage ou du quartier, neu­ tralité politique et religieuse, épanouissement de la cellule familiale. Com m e pour tous les mouvements jeunes les espoirs que le centre social engendre ne sont parfois pas proportionnés à ses possibilités objectives de transformation de la réalité.6 Il semble intéressant de montrer com m ent ces notions et ces espoirs du début ont évolué dans le temps.7

En premier lieu les tâches de l’assistante sociale se sont multipliées et chacune d ’elles a acquis un plus grand degré de spécialisation. S’il est vrai que dès le début les usagers se regroupaient par centres d ’intérêts ou par groupes d ’âges, les sous-groupes actuels déploient des activités plus spécialisées (photographie, reliure, collection zoologique, etc) qui néces­ sitent de plus en plus une polyvalence de l’assistante sociale ou une divi­ sion sur plusieurs personnes des tâches d ’animation. La résidente n ’est plus unique et devient davantage la coordinatrice, l’animatrice des grou­ pes différenciés. D ’où l’important problèm e qu i se pose lors de leur for­ m ation: celui du repérage des éléments doués pou r le travail de groupe par opposition aux candidates plus adaptées au travail familial et in divi­ duel. Ces deux orientations que la réalité quotidienne impose ne sont cependant pas encore développées par les écoles d ’assistantes sociales.8

4 V oir dans ce même num éro la com m unication de E. Lopes Cardozo qui retrace les débuts de la Fédération Internationale.

5 Cf. M elle Bassot et ail., op. cit. Statuts de la Fédération des Centres Sociaux de France, p. 65 et ss.

6 Malgré l ’intensité des luttes de classes, dénoncée dans leur rapport, Mlles Bassot et Diémer concluent néanmoins: « Quarante centres sociaux à Paris et en banlieue et dans quelques années, la population est transform ée*... De 1928 à 1944 un Com ité d ’Action groupant quelques grands industriels s’était constitué dans le but de favoriser la création de nouveaux centres. Il ne s’est pourtant pas reconstitué après la Libération et le patronat aussi bien que les mouvements syndicaux se désintéressent du mouvem ent des centres sociaux.

7 Cela a été possible grâce aux archives aimablement mises à notre disposition par Mme Margot-Noblemaire et Melle Maze, respectivement présidente et secrétaire générale de la Fédération française.

8 Cf. M lle de H urtado, Quelques mots sur la form ation du personnel qui doit animer les centres sociaux. Informations sociales, 7, juillet 1957, p. 716 et ss.

La n otion de voisinage a été essentielle dès le début. En fait, pourtant,

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