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L’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse Pompei ed Ercolano portò morte e rovina, anche di molti libri: per esempio di quelli raccolti nella ricca biblioteca della cosiddetta Villa dei Papiri ad Ercolano, le cui prime fasi di costruzione vanno datate al terzo quarto del primo secolo avanti Cristo, come hanno dimostrato gli scavi archeologici più recenti, condotti tra il luglio 2007 e la fine di marzo 20081. Restano le rovine della

Villa (ancora da esplorare compiutamente) e ciò che si è riusciti a salvare della sua biblioteca, frammenti di rotoli carbonizzati e disegni, i cosiddetti apografi napoletani e oxoniensi, realizzati tra fine Settecento e inizi Ottocento da disegnatori in genere inesperti di greco.

Rispetto ad altre collezioni (penso in particolare a quella dei Papiri di Ossirinco), i papiri ercolanesi hanno indubbiamente una rilevanza marginale negli studi sul teatro greco antico; e tuttavia vale la pena considerarli, o meglio riconsiderarli, anche per quello che possono dirci a proposito di drammi perduti dei grandi autori ateniesi del V secolo a.C.

Se limitiamo il campo di indagine alla tragedia, nelle opere epicuree restituiteci dai papiri ercolanesi finora noti si riscontra un discreto numero di riferimenti ai tre autori del canone tragico: poco meno di una ventina per Eschilo, più di venti per Sofocle, e ancor più per Euripide, secondo le stime che Gioia Rispoli ha riportato in un importante contributo, Tragedia e

tragici nei papiri ercolanesi, pubblicato in «Vichiana» negli Atti di un con ‑ vegno tenutosi a Napoli nel 2004: un contributo che trae una valutazione complessiva della tragedia per come emerge soprattutto dai resti delle opere di poetica composte da Filodemo di Gadara e Demetrio Lacone, e che pertanto non si prefigge la raccolta e l’analisi sistematica di tutte le testimonianze ercolanesi sui tragici. A questo specifico scopo si sono accinte Felicetta Amarante e Giuliana Auriello, che nel 1998 hanno pubblicato sulla rivista «Cronache Ercolanesi» due articoli dedicati, rispettivamente, ad Eschilo (la Amarante) e a Sofocle (la Auriello); manca ancora, invece, uno

studio completo ed aggiornato riguardante Euripide, per cui si dispone solo di alcuni buoni contributi parziali, quali quelli di Agathe Antoni su due citazioni euripidee nel P.Herc. 1384 (in «Cronache Ercolanesi» del 2004), di Margherita Erbì su una citazione di Euripide nella Retorica di Filodemo (in Miscellanea Papyrologica Herculanensia, vol. I, 2005), e di Antonio Parisi su tre citazioni euripidee nei papiri di Demetrio Lacone (in «Cronache Ercolanesi» del 2011).

Chi, come me, nell’ambito di un progetto internazionale promosso e finanziato dalla Accademia Nazionale dei Lincei, sta ora lavorando a una nuova edizione commentata di tragedie frammentarie di Eschilo, deve dunque necessariamente confrontarsi con l’articolo della Amarante, Eschilo

nei papiri ercolanesi. L’autrice raccoglie complessivamente 18 «citazioni», 16 «citazioni di titoli e versi di drammi eschilei certi» (una dall’Agamennone, una dagli Edoni, una dalle Eliadi, una dal Fineo, due dai Frigi, due dal

Prometeo incatenato, quattro dal Prometeo liberato, una dal Prometeo portatore

di fuoco, una dalla Semele, una dai Sette contro Tebe, una dai Raccoglitori di

ossa) e 2 «citazioni di Fabulae incertae». Tranne quattro casi, in cui la fonte è Demetrio Lacone (la sua opera Sulla poesia, più un caso testimoniato da una sua opera incerta contenuta in P.Herc. 1012), negli altri casi la fonte è sempre Filodemo, in due la sua opera Sulla musica e nei restanti dodici l’opera Sulla religiosità, Περὶ εὐσεβείας, De pietate come viene in genere indicata. Quest’ultimo trattato, il De pietate, si componeva di due parti (più che due libri, un unico libro suddiviso in due tomi, come ha di recente sostenuto Dirk Obbink): la prima conteneva una difesa dalle accuse di empietà rivolte contro Epicuro e la sua scuola, la seconda era una serrata critica delle favole raccontate riguardo gli dèi da poeti e filosofi, Stoici compresi; dato il tema, dunque, la seconda sezione dell’opera era infarcita di continui, puntuali riferimenti a narrazioni mitografiche e a rielaborazioni letterarie di miti noti e meno noti, con il loro ricco corredo di varianti: un materiale straordinariamente denso, magmatico, che lamentiamo di non poter più leggere oggi, se non negli sparuti e disperanti lacerti dei fram ‑ menti ercolanesi. Quel che resta della prima sezione è stato edito esem plarmente da Obbink a Oxford nel 1996 (con una amplissima e fondamentale introduzione); per la seconda parte, in attesa della edizione del lo stesso Obbink (da tempo desiderata), ci si rifà ancora alla editio

princeps di Theodor Gomperz (del 1866) e alla dissertazione di Adolf Schober (del 1923, rimasta a lungo inedita)2.

Dalla seconda parte del De pietate, e sulla base esclusivamente di frammenti riprodotti nei disegni napoletani, ci sono note le quattro citazioni

poste dalla Amarante all’interno della sezione da lei dedicata al Prometeo

liberato. In questa sede mi soffermerò su tre di esse, che intendo portare come casi‑studio esemplari per varie ragioni: sia perché sono passi pieni di problemi (ma questa non è una novità per un filologo e, in particolare, per un editore‑commentatore di frammenti); sia perché la recente edizione commentata della Amarante non esaurisce e non risolve tutti i problemi, anzi ne solleva ulteriori, anche di carattere metodologico sul piano ecdotico. Sul testo stabilito dalla Amarante si basa totalmente, peraltro, la traduzione annotata di Lucas de Dios nel volume dei frammenti di Eschilo uscito presso Gredos nel 2008. Nello stesso 2008 è stato pubblicato il volume Loeb dei frammenti eschilei curato da Alan Sommerstein, il quale, però, evidentemente in ragione dei selettivi criteri editoriali propri di quella serie, non ha editato né tradotto i frammenti ercolanesi riferiti al Prometeo liberato; analogamente, essi sono stati esclusi dalla edizione del Prometeo incatenato e dei frammenti degli altri drammi prometeici curata nel 2015 da Calderón Dorda per le edizioni del «Consejo superior de investigaciones científicas de Madrid».

Procedo nell’analisi dei frammenti seguendo la numerazione pro ‑ gressiva data da Lucas de Dios; di ciascun frammento offro qui una mia traduzione basata sul testo critico stabilito dalla Amarante.

secondo Apollonide e secondo Esiodo e secondo Stesicoro nell’Orestea e in linea con le cose dette prima, che Crono è gettato nel Tartaro a causa di costui. E Dioniso è imprigionato da Penteo secondo Euripide similmente come si narra che uno dei Giganti spingesse lo stesso Ares in un orcio. E i propri fratelli, Ecatonchiri e Ciclopi, che erano figli della Terra, tutti Crono li gettò in prigione, lui che forse anche Eschilo nel Prometeo liberato dice che è stato legato da Zeus. E tutti gettati nel Tartaro già prima da Urano sono imprigionati. E i Dioscuri poi dagli Afareidi sembrano …

(Fr. 202a Lucas de Dios = 9 Amarante, Philodem. De piet. P.Herc. 1088 III)

In questo punto dell’opera si portavano vari esempi di imprigionamenti di dèi, con opportuni richiami letterari. Ma molti dettagli restano incerti e svariate le integrazioni proposte dagli studiosi, in grado di condurre in tutt’altra direzione rispetto a quella perseguita dalla Amarante. Nelle linee 5‑8, ad esempio, la Amarante stampa, ma senza esplicitarlo in apparato o nel commento, la proposta di Philippson (in «Hermes» del 1920); ella si dichiara inoltre sfavorevole all’idea che inizialmente si parlasse di Prometeo, come vorrebbe invece la ricostruzione di Schober, il quale, infatti, faceva precedere la linea 1 dalle parole [καὶ ὁ Προμηθεὺς συνδεῖται | κατὰ Αἰσχύλον | καὶ], e poi integrava le linee 5‑8 con καὶ παρ᾽ ἃ[ς τὸ πρὶν] | [ἔ]φην ποι[νὰς ὑπ᾽] | αὐτοῦ τα[ρταροῦ|ται]; sicché, seguendo Schober, la traduzione delle ll. 1‑8 di P.Herc. 1088 III sarebbe: «secondo Apollonide e secondo Esiodo e secondo Stesicoro nel …» (il titolo dell’opera stesicorea

è irrimediabilmente perduto) «e in aggiunta alle punizioni di cui ho parlato prima, (Prometeo) è gettato nel Tartaro da lui» (cioè da Zeus). Un problema non di poco conto per la tenuta della ricostruzione di Schober è anche quello sollevato da Davies e Finglass nel commento al fr. 274 della loro recente edizione di Stesicoro: «but Hesiod, at least, does not include Tartarus among his afflictions». Nel seguito della colonna si segnalano almeno due riferimenti letterari sicuri: uno ad Euripide, ricordato alle ll. 8‑ 11 per il Dioniso delle Baccanti imprigionato da Penteo, l’altro al Prometeo

liberatodi Eschilo, citato alle ll. 21ss. perché evidentemente in quel dramma si parlava dell’incatenamento/imprigionamento di qualche dio da parte di Zeus. Di più non possiamo dire in proposito, data la lacunosità del papiro. Varie ricostruzioni sono state tentate, e alle molte ricordate da Radt in apparato al fr. 202a della sua edizione del 1985, se ne può aggiungere un’altra proposta da Luppe in «Cronache Ercolanesi» nello stesso 1985. Mi sembra pertanto incauta la sicurezza con la quale Amarante dichiara: «Di Eschilo e del suo Prometeo liberato vi è un semplice accenno come testi ‑ monianza della punizione di Crono»; ma Crono qui emerge come vittima di Zeus solo grazie ad una molto incerta ipotesi ricostruttiva di Philippson per la l. 21, ,ὃν] κα<ὶ> τάχ’ Αἰσχύλος, accolta a testo dalla Amarante ancora una volta senza dichiararne la paternità. Nel disegno napoletano si parte da un tràdito ΚΑΤΑΧΑΙϹΧΥΛΟϹ. L’inserzione di τάχ(α), peraltro, inietterebbe una potente dose di dubbio nell’argo men tazione di Filodemo, tant’è che la Amarante, seguita su questa strada da Lucas de Dios, è costretta ad ammettere che «nei frammenti a noi pervenuti del Prometeo

liberatonon vi è nessun accenno a queste vicende mitologiche, che, invece, sono narrate estesamente dallo stesso Prometeo nel Prometeo incatenato (197 ss.) laddove vi è anche l’episodio della detronizzazione di Crono da parte di Zeus (219‑221, dove però Crono è nascosto in una «cavità del profondo abisso del Tartaro»). Saremmo dunque» – conclude la Amarante – «dinanzi ad un errore di attribuzione di Filodemo o, se è giusta la correzione alla linea 21 del καταχ del disegno napoletano in καὶ τάχ’, almeno ad un dubbio del filosofo di Gadara». Certo, io penso che esprimere candida ‑ mente un dubbio del genere da parte di un campione di mitografia, quale si rivela Filodemo nel De pietate, costituirebbe una défaillance davvero clamorosa, e anche un po’ risibile. A me la correzione più semplice e immediata, nonché in linea con l’usus scribendi di Filodemo, parrebbe quella di Wilamowitz κατὰ δ᾽ Αἰσχύλον, accolta convintamente da Luppe e reputata con favore anche da Gianluca Del Mastro, da me consultato in proposito presso la Officina dei Papiri ercolanesi a Napoli3.

3Colgo qui l’occasione per ringraziarlo della sua pazienza e generosità, e della

Propongo, quindi, il testo da me approntato per l’edizione lincea relativo alle ll. 18‑30 di Filodemo, De pietate, P.Herc. 1088 III:

] υἱοὺς [ ] Κρόν[ος εἰς δεσ‑ μω]τήριον κα[τέβαλε. 20 . . ΚΑΤΑΧ Αἰσχύλος ἐν τῶι λυομ[έ]ν[ωι Προ]μη[θ]εῖ [φησιν ὑπ]ὸ Διὸς δεδ[έσθαι. καὶ πάντες [καταταρ‑ 25 τα]ρωθέντες [ἤδη πρὶν ὑπ᾽] Οὐρανοῦ κ[αταδέ‑ δεντ]αι· Διόσκουροι δὲ] ἄρα ὑπ᾽ ἀ[φαρειδῶν ἐ[οί]κασιν ἐν 30 21 ΚΑΤΑΧ Αἰσχύλος N : τὸ] κατὰ <γῆς>. Αἰσχύλος <δ᾽> Schmid 1885, 7 («Quod enim post κατὰ est signum Χ, eo librarius omissum esse vocabulum voluit significare») : κατὰ δ᾽ Αἰσχύλον? Wilamowitz 1914, 67 : ὃν] κα<ὶ> τάχ᾽ Αἰσχύλος Philippson 1920, 250 : «fortasse <καὶ τοὺς> Τιτᾶνας» Schober 1988 [1923], 90

nel Prometeo liberato (Eschilo dice che Zeus) era innamorato di Teti. E dicono … e l’autore dei Canti ciprî che ella, per compiacere Era, fuggì le nozze con Zeus; e che costui, adirato, giurasse che l’avrebbe data in matrimonio a un mortale. Anche in Esiodo si trova più o meno la stessa storia. Pisandro, invece, riguardo Climene (narra) che quello essendo innamorato …

(Fr. 202b Lucas de Dios = 12 Amarante; Philodem. De piet. P.Herc. 1602 V)

Il frammento, situato in un contesto in cui si parlava di amori divini, riguardanti in particolare Zeus, informa che nel Prometeo liberato era presente il tema dell’innamoramento di Zeus per la Nereide Teti. Questo dato non può non essere messo in rapporto con quanto si apprende da un altro luogo filodemeo del De pietate, a cui Amarante e Lucas de Dios danno dignità di autonomo frammento del Liberato (fr. 202c Lucas de Dios = 11 Amarante), diversamente da Radt, che invece semplicemente lo cita in sede introduttiva al dramma, mentre numera come fr. 202b la testimonianza di

P.Herc. 1602 V.

dicendo che erano stati imprigionati da Zeus affinché mai preparassero le armi per qualcuno. E Eschilo dice che Prometeo fu liberato perché rivelò l’oracolo riguardante Teti, e cioè che era destino che il figlio nato da lei diventasse più potente del padre; e per questo la danno in sposa ad un mortale. Del resto Omero dice che (Zeus) una volta stava per essere legato

da Era, da Poseidone e da Apollo o Atena, e che, condotto Egeone da Teti, (gli dèi) spaventati desistettero dall’attacco. E Stesimbroto dice che avendo generato quella …

(Fr. 202c Lucas de Dios = 11 Amarante; Philodem. De piet. P.Herc. 1088 V)

Ripetutamente, nel corso del Prometeo incatenato (168‑177, 187‑192, 511‑ 525, 764‑774, 907‑931, 984‑996), si allude a un segreto che Prometeo conosce a proposito del destino di Zeus: un segreto che il Titano per il momento non intende rivelare, nella consapevolezza che sarà il mezzo con cui costringerà Zeus a venire a patti con lui e grazie al quale otterrà la liberazione dal castigo che ora lo opprime. Quanto al contenuto del segreto, nell’Incatenato non è mai nominata Teti, ma è esplicitamente dichiarato che il pericolo per Zeus deriverà dal suo infausto matrimonio (764, 908‑909) con una sposa che «partorirà un figlio più forte del padre» (ἣ τέξεταί γε παῖδα φέρτερον πατρός, 768). Un paio di scolî antichi all’Incatenato annotano che la rivelazione avveniva nel dramma successivo (schol. 522 Herington), ossia nel Lyómenos, in cui Prometeo veniva effettivamente liberato (schol. 511b Herington).

Per un editore dei frammenti di Eschilo si pone qui un problema. Come va considerata la testimonianza filodemea di P.Herc. 1088 V? Come autonomo frammento, assecondando la scelta di Amarante e Lucas de Dios? Possiamo osservare che qui Filodemo a) cita Eschilo ma non specifica il titolo di un determinato dramma; b) si sta riferendo a un tema – la liberazione di Prometeo conseguente alla rivelazione del segreto riguardo la nascita di un figlio che avrebbe detronizzato Zeus – che, come si è visto, affiora a più riprese già nell’Incatenato. La mia idea sarebbe di raccogliere sotto un unico frammento tutta questa materia relativa al segreto riguar ‑ dante Teti, innanzitutto dando precedenza alla testimonianza filo demea di

P.Herc. 1602 V, che contiene un riferimento esplicito (nelle ll. 3‑5) al Prometeo

liberatoe al tema dell’innamoramento di Zeus per la Nereide:

ἐν Π]ρομηθε[ῖ δὲ τῷ] λυομέ[ν]ω[ι φη‑

σι Θέτ]ιδος ε[ 5

3 ἐν Π. δὲ τῷ suppl. Reitzenstein 1900, 73‑74 4‑5 φησι suppl. Schober 1988 [1923], 105 ἐ[ρᾶν vel ἐ[πιθυμεῖν, sc. φησὶν Αἰσχύλος τὸν Δία Luppe 1986, 64

Poi rinviando a quanto Filodemo dice in P.Herc. 1088 V:

]πλα· καὶ τὸν

Προμη]θέα λύεσθαί 5

τι τὸ λ]όγιον ἐμή‑ νυσε]ν τὸ περὶ Θέ‑ τιδο]ς ὡς χρε[ὼ]ν εἴ‑ η] τὸν ἐξ αὐτῆς γεν‑ 10 ν]ηθέντα κρείτ‑ τ]ω κατασ[τῆν]αι τ]οῦ πατρός· [ὅθεν κ]αὶ θνητ[ῶι συνοι‑ κί]ζουσιν α[ὐτή]ν. 15

Rinviando, infine, a quanto annotano gli scholia vetera a Prometeo 511 e 522. In sede di commento, inoltre, correderei la documentazione ricordando i numerosi passi dell’Incatenato relativi al segreto e alla futura liberazione del Titano, nonché ulteriori fonti pertinenti al tema, come, ad esempio, un interessante scolio a Pindaro, Istmica 8:

ὁ Ζεὺς βουλόμενος Θέτιδι πλησιάσαι ἐκωλύθη ὑπὸ τοῦ Προμηθέως· εἶτα Πηλεῖ ἔδοξεν αὐτὴν ἐγγυῆσαι. τεθρύλληται δὲ ἡ ἱστορία παρά τε συγγραφεῦσι καὶ ποιηταῖς, ἀκριβῶς δὲ κεῖται καὶ παρὰ Αἰσχύλῳ ἐν Προμηθεῖ δεσμώτῃ

Zeus voleva avere una relazione con Teti ma Prometeo glielo impedì; poi ritenne opportuno darla in matrimonio a Peleo. La storia si ripete presso prosatori e poeti, ed è trattata dettagliatamente anche in Eschilo nel Prometeo

incatenato.

(Schol. D Pi. Isthm. 8, 57b, III p. 273, 21‑25 Drachmann)

È significativo che lo scolio riconduca la storia d’amore tra Zeus e Teti all’Incatenato (παρὰ Αἰσχύλῳ ἐν Προμηθεῖ δεσμώτῃ) e non al Liberato, a meno che non si voglia correggere il δεσμώτῃ tràdito dal codice in λυομένῳ, come voleva Bergk (1884, 321‑322, n. 116).

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