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Negli ultimi decenni la dimensione performativa del dramma è stata uno degli aspetti più decisamente e incisivamente valorizzati dagli studiosi. L’interesse della critica si è appuntato su diversi elementi: l’ópsis in generale è stata il fulcro di numerosissimi studi di staging e ricostruzione dello

stagecraft, che a partire dagli anni sessanta del secolo scorso si sono molti ‑ plicati sino ai nostri giorni1e uno spazio sempre maggiore nei commenti

scientifici ai singoli drammi viene oggi riservato alla messa in scena. Per ciò che concerne l’animazione acustica della scena ateniese, particolare attenzione ha destato la musica, con diverse raccolte di studi e una serie di monografie che toccano temi fondamentali come il lessico del suono e degli strumenti musicali, la funzione mimetica della musica in tragedia, l’orizzonte iconografico della musica e dei musici2. Accanto alla musica,

sulla scorta delle testimonianze antiche, l’attenzione si è focalizzata anche sulla voce dell’attore3: caratteristiche, stile della recitazione e dizione

tragica. Su quest’ultima per molto tempo gli studiosi si sono schierati su

1 Gli studi sulla ricostruzione delle dinamiche sceniche nel teatro antico sono

innumerevoli e in continuo incremento. Imprescindibili i pionieristici contributi di TAPLIN1978 e TAPLIN1977, il primo di tre studi sullo stagecraft dei tre grandi tragici,

seguito da SEALE1982 e HALLERAN1985. Sul versante italiano ancora fondamentale DIBENEDETTO/MEDDA1997.

2Gli studi sulla musica nel teatro greco si sono arricchiti negli ultimi anni di una

bibliografia critica poderosa. Solo nei primi anni duemila vedono la luce ben cinque importanti raccolte di studi: CASSIO/MUSTI/ROSSI2000, PINAULT2001, MURRAY/WILSON

2004, HAGEL/HARRAUER2005, VOLPECACCIATORE2007.

A queste vanno aggiunte una serie di monografie che toccano temi fondamentali come il lessico del suono e degli strumenti musicali in Grecia antica (ROCCONI2003),

la funzione mimetica della musica in tragedia (SIFAKIS2001), l’interazione fra attori e musici (WILSON2002), l’orizzonte iconografico della musica e dei musici, anche in rapporto al teatro (CASTALDO2000).

3Tra gli studi sulla voce dell’attore si possono segnalare PAVLOVSKIS1977, LANZA

due fronti antitetici: alcuni ipotizzavano una dizione molto schematica e persino epico‑straniante; altri propendevano per il realismo e per il mimetismo della recitazione. Negli ultimi anni, tuttavia, si è affermata la convinzione che lo stile della recitazione si sia evoluto da un misurato formalismo delle origini ad un più spiccato mimetismo verso la fine del V e particolarmente nel IV secolo; di un’analoga evoluzione sono stati protagonisti altri elementi delle dinamiche sceniche (maschere, costumi, architettura). Questa ipotesi sembra inoltre corroborata dalle testimonianze antiche (Arist. Rhet. 3, 1404b 18‑22, Plut. Quaest. conv. 7, 711c e Ar. Ran. 823‑ 29; Gell. N.A. 6, 5‑7).

Ancora in campo acustico, un aspetto meno indagato risulta essere quello dei suoni non verbali e dei rumori. Si tratta di una dimensione di certo sfuggente e non macroscopica, non semplice da analizzare e da valorizzare; una dimensione che è stata fin qui del tutto trascurata oppure analizzata in modo marginale, accessorio, di certo non sistematicamente e in una prospettiva globale4. Da qualche tempo sto quindi conducendo un’indagine

specifica su questo elemento che rientrava a buon diritto nella messa in scena, come si può dedurre dal testo dei drammi, sia quelli tráditi integralmente, sia quelli che ci sono giunti in veste frammentaria. La ricerca ha preso infatti le mosse proprio da uno spoglio testuale, completato per i drammi integri e a buon punto per i frammenti, che ha evidenziato un discreto numero di loci nei quali i personaggi fanno esplicito riferimento alla percezione di un certo rumore. Questo primo gruppo di testimonianze è stato poi arricchito dai passi nei quali è chiaro che venissero prodotti ed uditi dei suoni non verbali, sebbene non vi si alluda tramite una menzione diretta del suono stesso, ma vengano impiegati verbi che implicano azioni molto rumorose o acusticamente pregnanti e oggetti dal profilo acustico spiccato.

L’effettiva percezione della maggior parte dei suoni non verbali e dei rumori da parte del pubblico viene spesso negata dagli studiosi. Si tratta di una questione che si inscrive nella più generale cornice dei problemi connessi alla convenzionalità del teatro antico, ‘massicciamente’ teorizzata a partire da Arnott negli anni sessanta dello scorso secolo. Lo studio del testo in prospettiva performativa ha portato ad individuare in esso – cioè nel testo stesso – elementi investiti di un peculiare valore tecnico nelle dinamiche di scena. Tuttavia questa tendenza si è spinta verso una peri ‑ colosa deriva, a mio avviso: talvolta si sono sovra‑interpretati in chiave

4Un solo lavoro sistematico sulle qualità dei suoni (verbali e non verbali, nonché

musicali) ha indagato anche la produzione tragica: KAIMIO1977, da una prospettiva eminentemente lessicale, cui si collega CUZZOLIN1999.

convenzionale elementi che viceversa si prestano a una lettura più immediata e non tecnica, come a tornare ancora all’immagine nietzschiana dello «spettacolo del tutto straniero e barbaro» che tanta parte ha avuto nella storia degli studi dell’ultimo secolo. Muovendo dal principio per cui il teatro antico utilizzava come veicolo comunicativo pressoché assoluto la parola con la sua evidenza scenica5, si ritiene in genere che anche i suoni

che i personaggi dicevano di avvertire fossero immaginati dal pubblico: una sorta di ‘acustica verbale’ (per richiamare il termine scenografia verbale che esemplifica l’analogo procedimento in campo visivo).

Sembra tuttavia che questo scenario possa essere attenuato da testimo ‑ nianze antiche: Platone (resp. 396b), ad esempio, lascia intravedere che in teatro si potessero udire «cavalli che nitriscono, tori che muggiscono, fiumi che mormorano, il mare che romba, i tuoni, e così via». Il che, ap punto, incoraggia ad approfondire il tema di cui qui mi occupo.

In vista di una sistemazione del materiale, eterogeneo e quasi poli ‑ morfico, che è emerso dallo spoglio, sarà approntata una classificazione dei suoni, che terrà conto di parametri fisici e scenici, in quest’ambito ine ‑ stricabilmente legati. Per poter definire ‘fisicamente’ i suoni, si applicherà una classificazione fondata su una gradatio, con una progres sio ne dal suono più semplice a quello più complesso e, in modo di ret ta mente propor ‑ zionale, con il passaggio da un massimo ad un minimo di riproducibilità.

Dei suoni avvertiti in scena, poi, due saranno le tipologie drammatur gi ‑ camente realizzabili: quella dei suoni prodotti sulla scena (on stage) e quella complementare dei suoni prodotti fuori scena (off stage).

Scelti questi criteri, il suono più semplice, e dunque più riproducibile, sembra essere quello corporeo, ovvero quello prodotto dal solo corpo: un battito di mani, o ancor meglio il kopetós, esemplifica bene la categoria: un rumore che non necessita di alcun tipo di strumento ausiliario per essere prodotto.

Lievemente più complesso sarà il suono prodotto dal contatto del corpo

con un elemento scenico. L’esempio più emblematico, e quello più comune ad una prima indagine, è il rumore prodotto da chi bussa alla porta – i

thyrómatadella skenè ovviamente – (Choe. 655; Her. 1029‑30; Ion 515‑16; IT 1307‑8; Or. 1067). Si tratta di una categoria che alcuni studiosi hanno rubricato come «rumore prevalentemente comico»6, ma in realtà, a ben

vedere, frequente anche in tragedia.

5Secondo il ben noto concetto di «parola scenica» teorizzato da Marzullo in diverse

sedi, tra cui MARZULLO1986.

Ad un gradino più alto nella scala della complessità dei rumori si troverà il suono prodotto dal corpo con l’ausilio di un oggetto di scena. Un esempio è offerto dalla tromba di Eum. 566‑567. Viene coinvolta, in questo caso, la categoria degli oggetti di scena, un elemento al centro di una recente indagine che ne ha evidenziato il valore e la pregnanza, dramma turgici e al contempo simbolici e dunque in generale comunicativi7. Un caso

particolare è rappresentato dall’articolatissima strumentazione portata in scena nel prologo del Prometeo per l’incatenamento del protagonista, su cui tornerò tra poco.

Al vertice di questa preliminare categorizzazione si troverà il suono non

umano. Si tratta dell’effetto acustico più complesso in termini di riproducibilità. Il tuono (βροντή), sembra essere il rumore di questo genere più frequente in tragedia. Se si suppone che quest’ultima tipologia potesse essere riprodotta in teatro, dovevano essere messi in campo alcuni strumenti meccanici che avrebbero dovuto garantire un grado di μίμησις, accettabile. Il μηχάνημα in questione è il ben noto brontéion: la querelle sull’utilizzo o meno delle macchine teatrali nel teatro del V secolo è, come si sa, tutt’altro che risolta, ma per ciò che riguarda questi testi non mi sembra secondario notare che si tratta di drammi datati all’ultima parte del V secolo, con la sola eccezione del Prometeo per il quale proprio uno studio di questo tipo potrebbe accumulare altri indizi a favore di una datazione recenziore.

Una griglia strutturata in base alla classificazione proposta permetterà di avere una visione sinottica sui rumori del teatro attico di V sec. La tabella risulterà bipartita in base al criterio ‘scenico’ di suoni prodotti sulla scena e

fuoriscena; ciascuna delle due categorie sarà a sua volta articolata nella scala ‘fisica’ dei suoni da quello che è stato definito più semplice (e più riproducibile) a quello più complesso (e meno riproducibile).

Anticipando una tabella sintetica (per i drammi che possiamo leggere integralmente), si potrà avere:

7Si tratta del recente COPPOLA/BARONE/SALVATORI2016.

Suono Eschilo Sofocle Euripide

In scena Fuoriscena In scena Fuoriscena In scena Fuoriscena

corporeo 1 ‑ ‑ ‑ 1 ‑ prodotto dal corpo con un elemento scenico 1 1 1 ‑ 5 ‑ con un oggetto di scena 2 5 ‑ ‑ ‑ ‑ non umano 1 8 ‑ 4 1 5

Uno dei casi più rilevanti e più articolati, ma al contempo più affasci ‑ nanti, che ho incontrato nel corso della mia indagine è quello del Prometeo

Incatenato. Se la vexatissima quaestio della paternità è ancora sub iudice ma Eschilo è sempre meno quotato, una disamina degli ingredienti sonori del dramma può mettere in luce elementi utili in questa prospettiva. Si può innanzitutto osservare che in questa tragedia le notazioni di suoni e rumori marcano momenti scenicamente significativi: il prologo (vv. 1‑87), l’ingresso del coro (v. 125), il finale (vv. 1080‑87). In questa sede ho scelto di soffermarmi sul prologo.

Il prologo del Prometeo Incatenato è uno degli elementi che ha contribuito a gettare dubbi sulla paternità eschilea di questo dramma: esso presenta, difatti, una struttura che è parsa anomala all’interno della produzione eschilea superstite (duplice scena composta da un dialogo – vv. 1‑87 – e da un monologo del protagonista, vv. 88‑127), e che viceversa mostra significative analogie con articolazioni drammaturgiche documentate in momenti successivi (per lo più nella produzione sofoclea e in parte in quella euripidea)8. Questa ouverture non contiene gli elementi di scenografia

acustica della tipologia che si è definita più esplicita (riferimenti a rumori più o meno espliciti accompagnati da verbi uditivi) ma ha un profilo acusticamente rilevante, ed ha, a mio giudizio, un forte potere psicagogico, determinante nel fornire un primo imprinting dell’ambientazione e dell’atmosfera di questa tragedia. La disamina degli elementi sonori che emergono in questi primi versi può costituire, inoltre, un utile supporto alla ricostruzione della messa in scena di questo segmento drammaturgico, per molti versi dubbia. Griffith (1983, 31) è tra i pochissimi che evidenzia esplicitamente – in una cursoria notazione – le potenzialità mimetiche dei suoni nella messa in scena del dramma (limitatamente ad alcuni versi)9;

potenzialità che sembrano meritare una valorizzazione e una focalizzazione ulteriori attraverso una indagine più puntuale e capillare su questi versi.

La prima parte del prologo è, come si diceva, occupata da un dialogo tra Kratos ed Efesto, alla presenza di Bia κωφὸν πρόσωπον (come si deduce dall’allocuzione diretta del v. 12): il primo, emissario feroce di Zeus, si assicura che il dio del fuoco esegua gli ordini del padre degli dei, pur riluttante nella sua pietas di consanguineo, ed incateni Prometeo, reo del

8Vd. THOMSON1932, 15; GRIFFITH1983, 80‑81; TAPLIN1977, 240‑243; SUSANETTI

2010, 146.

9 «All in all, however, Prom. must have been one of the most spectacular and

visually sensational tragedies ever presented on the fifth century stage; the unexpected sights (and sounds; cf. 64‑65, 1082‑3 nn.) provide relief and variety to a rather static and monotonous series of scenes».

furto del fuoco e della sua clandestina consegna agli uomini, ad una rupe della Scizia, affinché subisca la punizione che Zeus ha stabilito per lui.

Il movimento dei personaggi προλογίζοντες si intuisce dal verbo del v. 1: ἥκομεν. Si tratta di un verbo che si può definire ‘tecnico’ in ambito drammaturgico10, poiché compare altrove in incipit di dramma11 e costi ‑

tuisce in sostanza una didascalia scenica: in un orizzonte recitativo di im pronta naturalistica, descrive un ingresso presumibilmente in movi ‑ mento seguito immediatamente dalle ragioni dell’arrivo che individuano gli antefatti. Oltre alla struttura del prologo, altro unicum nel panorama tragico a nostra disposizione è l’ingresso contemporaneo di quattro personaggi dotati di identità (Kratos, Efesto, Bia e Prometeo): una singolarità di un qualche rilievo anche nell’ambito della produzione eschilea, ove non è infrequente, nel pur ristretto numero di drammi superstiti, una articolazione prologica del tutto peculiare: è ben noto, difatti, che le Supplici e i Persiani si aprono con un canto del coro (e dunque con una scena abbastanza ‘affollata’). Per cercare, forse, di attenuare, stem ‑ perare questa apparente irregolarità drammaturgica, dalla metà circa dello scorso secolo, alcuni studiosi12hanno ipotizzato che Prometeo non facesse

effettivamente la propria comparsa sulla scena in vesti ‘umane’ ma che al suo posto vi fosse un fantoccio ‘doppiato’ da un attore fuori scena che veniva trascinato in catene e successivamente inchiodato al celeberrimo πάγος (di cui si dirà in seguito). A corroborare questa ipotesi, ormai da più parti criticata, interverrebbero altri elementi: il silenzio del protagonista nel corso di tutta la prima sezione, l’ordine di Kratos ad Efesto di conficcare un cuneo d’acciaio nel petto del Prometeo (vv. 64‑65), la difficoltà per un attore in carne ed ossa di interpretare l’intero dramma incatenato ad un supporto (di qualsivoglia natura si intenda il πάγος di v. 20). Questo ventaglio di elementi non sembra essere, tuttavia, cogente e giustificare una messa in scena così patentemente antirealistica. In merito al silenzio del protagonista diverse potrebbero essere le giustificazioni e le soluzioni sceniche mimeticamente accettabili: si potrebbe pensare innanzitutto che il protagonista fosse portato di peso in scena, quasi privo di sensi, e che si risvegliasse dopo l’uscita di Kratos, Bia ed Efesto.

Gli scolii inquadrano questo silenzio in una prospettiva peculiarmente eschilea13, e lo giudicano un espediente dal precipuo valore dramma tur ‑

10Cf. GRIFFITH1983, 82; vd. anche SUSANETTI2010, 147 .

11Come rileva SUSANETTI2010, 147: cf. Troad. 1, Bacch.1; ma anche Choe. 3 e OC 12. 12TAPLIN1977, 243‑245 ripercorre la nascita e lo sviluppo della cosiddetta ‘dummy

theory’.

gico, atto ad «acuire l’attenzione dell’uditore» (88b Herington) o finalizzato a caratterizzare l’ἦθος di Prometeo, che attaccherebbe a parlare dopo che gli altri dei si sono allontanati per non apparire stolto e superbo (88a Herington). Per ciò che concerne la scena del presunto inchiodamento al petto, nulla vieta di ipotizzare che essa fosse semplicemente mimata (proprio la produzione di effetti acustici potrebbe averne rafforzato il realismo) ed infine, relativamente alle difficoltà fisiche dell’attore nel rimanere in scena in piedi legato ad un supporto, diverse messe in scena moderne consentono di verificarne la praticabilità e la riuscita sceniche.

La scenografia e l’assetto della scena sono tra gli aspetti più problematici del Prometeo Incatenato e su di essi si sono a più riprese sperimentate l’acribia e le speculazioni degli studiosi, in particolare nel corso del secolo precedente, ma più complessivamente sin dalla seconda metà dell’Otto ‑ cento, quando si è fatto strada il dubbio sulla autenticità del dramma. Elementi di scenografia verbale compaiono sin dai primi versi; Kratos esordisce proprio con la descrizione del luogo in cui si ambienta il dramma: si tratta della Scizia14(2: Σκύθην οἶμον), definita un τηλουρὸν πέδον (1),

una ἄβροτος ἐρημία15in una sorta di climax che ne sottolinea la desolazione

e la brulla asprezza. Appare immediatamente chiaro che la scenografia non presuppone la presenza di un fondale simile a quello che sembra essere il più ricorrente nella produzione conservata (un edificio/tempio/grotta, rappresentato, almeno dal 458 a.C. sulla scenae frons), ma, in modo analogo ad ad altre poche tragedie superstiti16, la scena è aperta e si svolge in un

paesaggio roccioso. La nudità selvaggia del luogo viene delineata e ribadita a più riprese in questa prima parte: un numero elevato di riferimenti diretti e di aggettivi danno agli spettatori una chiara idea della conformazione dello sperone di roccia a cui sarà incatenato il titano e della solitudine del luogo, icastico riflesso dell’isolamento del protagonista. Dopo la definizione trimembre in apertura, al v. 4 Kratos ordina ad Efesto di legare il colpevole πρὸς πέτραις ὑψηλοκρήμνοις; al v. 15 Efesto si arrende ad incatenare il proprio συγγενής φάραγγι πρὸς δυσχειμέρωι, e, solo cinque versi dopo, torna a ribadire che sarà costretto ad inchiodarlo τῶιδ’ ἀπανθρώπωι πάγωι, sottolineandone ora, da un punto di vista meno fisico e più etico, la desolazione; un ultimo ma ancor più pregnante ed incisivo riferimento alla scena è nelle ultime battute della breve ῥῆσις incipitaria di Efesto, ai vv. 30‑31: qui la roccia è definita con il frequente ἀτερπῆ, ma di essa si dice

14Sull’annosa questione della geografia del Prometeo vd. FINKELBERG1997. 15Per la spinosa questione testuale vd. GRIFFITH1983, 81‑82.

che costringerà il titano a una posizione verticale (ὀρθοστάδην), senza la possibilità di piegare le ginocchia (οὐ κάμπτων γόνυ), e che per questo lo renderà con ogni probabilità insonne (ἄυπνος), preziose didascalie che ci consentono di visualizzare la probabile posizione dell’attore in scena. Questi molteplici riferimenti – quasi martellanti nei primi trenta versi – fanno pensare ad una scenografia che non rappresentasse in modo del tutto realistico o illusionisticamente efficace il paesaggio, e possono forse rientrare in quella tipologia di scenografia verbale nota per la πάροδος dello Ione euripideo, in cui le battute degli attori aiutano lo spettatore a mettere a fuoco in modo più preciso la scena, un’esigenza tanto più avvertita in un caso come questo in cui l’ambientazione riveste un’impor ‑ tanza del tutto particolare nel veicolare un certo tipo di contenuto. La rupe prometeica viene definita più volte πάγος (vv. 20, 117, 130, 270), ma anche πέτρα (come ai citati vv. 4, 31, 56) e φάραγξ (v. 15): di cosa si tratta? Gli studiosi si sono divisi tra quanti hanno creduto si trattasse di un complemento scenico, una struttura provvisoria, collocata davanti alla σκηνή o anche nell’orchestra; quanti hanno immaginato l’impiego del ‑ l’ἐκκύκλημα (che avrebbe avuto un ruolo cardine anche nella scena finale) e quanti, infine, hanno supposto lo sfruttamento da parte di Eschilo di un costone roccioso naturale, che sarebbe stato utilizzato dal poeta anche in altri drammi (tra i più antichi tramandati a suo nome, come le Supplici17, i

Persiani, i Sette a Tebe) e che sarebbe stato livellato solo in un momento successivo, nella seconda metà del V secolo18. L’assenza di evidenze

archeologiche o di altri elementi interni ed esterni al testo che possano fornire ulteriori indizi sulla veridicità dell’una o dell’altra ipotesi, nonché l’esulare della questione dallo specifico tema di cui intendo interessarmi, scoraggiano da speculazioni ulteriori su questo aspetto, se non per un dettaglio: qualunque fosse il supporto in gioco, a mio avviso, proprio su questo – e anche contro questo – supporto veniva realisticamente e sonoramente mimata la scena dell’incatenamento del protagonista; doveva trattarsi, dunque, di un complemento scenico che si prestasse ad essere energicamente colpito dal martello di cui era provvisto Efesto, e che facesse così risuonare in teatro il rumore vibrante delle decise martellate del dio.

Il presupposto fondamentale da cui parte questa analisi, è, pertanto, come si è già anticipato, quello di una messa in scena mimetica e quanto più realistica possibile del prologo; non si tratta di un assunto infondato,

17Salvo poi la scoperta della hypóthesis che ha portato alla sorprendente ridatazione. 18 Per una panoramica aggiornata sulle soluzioni ipotizzate dagli studiosi vd.

se qualche anno fa Susanne Saïd si mostrava assolutamente convinta dell’altissimo grado di simbolismo di questa prima scena, sulla scorta di una lettura generale del dramma e del teatro antico nel suo insieme, in cui

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