2.4 La nostalgia del corpo nella Commedia
2.4.3 Paradiso XIV: il «disio d’i corpi morti»
Nel Paradiso, le anime non sono più definite «ombre», bensì «luci». Esse non aspirano a nulla di più di ciò che già hanno, e, anzi, ne godono, dal momento che ciò piace a Dio, come dice l’anima di Piccarda Donati in Par. III:
«Frate, la nostra volontà quïeta virtù di carità, che fa volerne
sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.161
Pure in quest’ultima cantica, tuttavia, il corpo assume un’importanza fondamentale, e ciò è esplicitato al canto XIV: qui, nel Cielo del Sole, è infatti centrale il tema della re-surrezione. Nella prima parte del canto, Beatrice legge un dubbio nella mente di Dante e lo esterna all’anima di Salomone, chiedendogli se la luce di cui sono rivestite le anime dei beati aumenterà in occasione del ricongiungimento col corpo nel giorno del Giudizio, e come gli organi del nuovo corpo glorioso potranno sostenere la luminosità di esso senza esserne danneggiati. All’udire la domanda riguardante la resurrezione del corpo, subito le anime dei beati esprimono attraverso canti e danze una nuova e intensa gioia:
159 Chiavacci, ad locum.
160 Inf. I 118-120.
Come, da più letizia pinti e tratti, a la fïata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano li atti,
così, a l’orazion pronta e divota, li santi cerchi mostrar nova gioia nel torneare e ne la mira nota.162
Comincia dunque il discorso di Salomone, il quale spiega che la luce che circonda le anime dei beati durerà per l’eternità, e sarà, anzi, più intensa dopo il ricongiungimento col corpo. Gli organi di senso saranno di conseguenza rafforzati, al fine di sostenere una tale visione. Salomone afferma inoltre come, mentre prima della resurrezione le fattezze dell’anima sono occultate dalla luce del Paradiso, con essa saranno nuovamente visibili. In questo canto si arriva finalmente a comprendere il motivo per cui il corpo è a tal punto rimpianto nel corso dell’intero poema: esso è parte integrante dell’uomo e della beatitu-dine eterna, al punto che senza di esso tale beatitubeatitu-dine non potrebbe essere perfetta.163 Le anime potranno dunque tornare a essere reali individui solo attraverso il recupero del pro-prio corpo, e, di conseguenza, della propria singolarità. Perciò, al discorso di Salomone segue un nuovo tripudio di gioia da parte delle anime:
Tanto mi parver sùbiti e accorti e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», che ben mostrar disio d’i corpi morti:
forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per li altri che fuor cari anzi che fosser sempiterne fiamme.164
Dal discorso apprendiamo un altro dettaglio fondamentale relativo al «disio d’i corpi morti» delle anime: esso si manifesta anche con un forte senso di affettività e relaziona-lità, nel desiderio di ricongiungersi coi propri cari, perduti. Il linguaggio stesso del passo
162 Par. XIV 19-24.
163 Chiavacci 2010, p. 14.
ne è emblematico: il termine «mamme», espressione tipica del sermo humilis165, conferi-sce al testo un senso di tenerezza che esterna il desiderio delle anime di poter riottenere il proprio corpo per tornare ad amare ciò che avevano amato nel corso della vita terrena.
L’idea del desiderio del corpo da parte delle anime beate non è frutto della fantasia dantesca166, ma si ritrova in Apocalisse 6,11, dove ai beati viene detto di pazientare e di attendere ancora poco tempo sino alla resurrezione finale.167 Il testo biblico viene ripreso da Gregorio Magno nei suoi Dialogi, dove egli afferma che nel giorno del Giudizio le anime dei giusti riceveranno come ricompensa la possibilità di godere, oltre che della beatitudine dell’anima, anche di quella del corpo:
[…] nunc animarum sola, postmodum uero etiam corporum beatitudine perfruuntur, ut in ipsa quoque carne gaudeant, in qua dolores pro Domino cruciatusque pertulerunt. Pro hac quippe geminata eorum gloria scriptum est: In terra sua duplicia possidebunt.168
Non si ritrova tuttavia nelle idee dei teologi del tempo di Dante l’idea relativa a una socievolezza delle anime beate nel Paradiso: l’idea della relazionalità veniva infatti in essi accantonata a favore di quella di un rapporto esclusivo con Dio, e anche coloro che riconoscevano un certo tipo di relazionalità tra i beati non la consideravano, tuttavia, di carattere personale.169 Scrive infatti San Bonaventura che al momento della resurrezione dei corpi ogni beato si rallegrerà della gioia di tutti gli altri beati:
[…] quod tantum gaudet de bono proximi, quantum de suo, dicendum quod verum est: unde Petrus plus gaudet de bono Lini, quam ipse Linus.170
165 Gragnolati 2013, p. 305.
166 Chiavacci 2010, p. 16.
167 Ibidem.
168 Gregorio Magno, Dialogi, IV 26: «[…] mentre ora essi fruiscono della sola beatitudine delle anime, in seguito godranno anche di quella dei corpi, affinché gioiscano anche in quella stessa carne, nella quale sopportarono dolori e tormenti per il Signore. In merito a questa loro duplice gloria è scritto: Possederanno
il doppio nel loro paese» (traduzione mia).
169 Gragnolati 2013, p. 300.
170 Bonaventura da Bagnoregio, Commentaria in quator libros Sententiarum magistri Petri Lombardi, IV, dist. 49, q. 6, a. 1: «[…] poiché (l’anima) godrà tanto per il bene del prossimo, quanto per il proprio, bisogna affermare ciò che è vero: Pietro si rallegrerà maggiormente per la gioia di Lino, che Lino stesso» (tradu-zione mia).
Nella Commedia le anime non gioiscono, al contrario, principalmente della felicità degli altri beati, bensì del fatto che anche i loro cari, che avranno la facoltà di riabbracciare alla fine dei tempi, potranno godere di una beatitudine tanto perfetta.
Quanto detto in merito all’idea dei teologi contemporanei a Dante non vale tuttavia nella tradizione letteraria popolare. Abbiamo visto (cfr. 2.1.1) alcuni passi del Libro delle
tre scritture di Bonvesin da la Riva relativi all’esperienza escatologica delle anime
sepa-rate dal corpo. Vediamone ora uno tratto dal De die Iudicii, del medesimo autore, dove viene resa la stessa idea della socievolezza e del desiderio delle anime di abbracciare i propri cari morti presente al canto XIV del Paradiso171:
I andaran con Criste in l’eternal deporto, Staran in dobia gloria in anima e in corpo: Oi De, com quel è savio ke sta per temp acorto. […]
Lo bon fio col bon patre e li bon companion, Cusin seror fraëi, k’en stai fedhì baron, Tug s’an conzonz insema in la regal mason E tug se abrazaran per grand dilectïon.172
Nella duplice gloria dell’anima e del corpo riunitisi, i beati si ricongiungeranno, secondo Bonvesin, nella «regal mason», incontrando nuovamente gli affetti passati, riabbraccian-dosi tra loro e provandone grande diletto.
Vorrei infine riprendere in questa sede un’analisi di Paradiso XIV compiuta da Gra-gnolati, di particolare interesse nell’inquadrare, tramite una lettura approfondita del canto, la posizione dantesca all’interno del dibattito scolastico sviluppatosi a Parigi e a Oxford nel 1274 – in seguito alla morte di Tommaso d’Aquino –, in merito all’unità o alla plura-lità delle forme sostanziali dell’essere umano.173
Tale dibattito è così riassumibile: secondo gli unicisti (definiti anche tomisti, dal mo-mento che massimo esponente della teoria dell’unità sostanziale della forma era il dottore
171 Gragnolati 2013, p. 301.
172 Bonvesin da la Riva, De die Iudicii, 325-336.
d’Aquino, il quale riprendeva a sua volta Alberto Magno), l’anima non può fondamental-mente esistere senza il corpo, e costituisce con esso una realtà inscindibile174: l’anima razionale è infatti, secondo tale teoria, l’unica forma sostanziale della persona, compreso il suo corpo, il quale non è altro che la materia da essa attivata.175 Secondo le teorie plu-raliste, invece (ispirate alle idee di San Bonaventura), l’anima potrebbe al contrario addi-rittura esistere senza il corpo176, dal momento che anima e corpo sono composti di una propria forma e una propria materia, risultando dunque due entità distinte177: il corpo è quindi un’entità materiale e concreta, dotato di una sua esistenza indipendente dall’anima.178
Entrambe le teorie presentano tuttavia delle ovvie problematiche: la teoria unicista, considerando l’anima come unica forma del corpo e l’anima razionale, dotata di facoltà vegetative e sensoriali, unica forma sostanziale dell’essere umano, viene condannata a Oxford nel 1277 e in seguito nel 1284, accusata di conferire un potere eccessivo all’anima come unica forma della persona, finendo col minacciare, di conseguenza, la nozione del corpo come entità materiale e concreta, mantenuta invece dalle tesi dei pluralisti.179
Al contrario, la teoria pluralista solleva il problema, oltre che dell’unità dell’anima, anche dell’unità della persona stessa180, rischiando di rendere l’unione di anima e corpo quella di due membri separati, considerati da tale teoria due entità differenti.181 Al fine di rendere stretta l’unione di anima e corpo, Bonaventura teorizza l’esistenza di un desiderio reciproco dell’una nei confronti dell’altro, così che, come il corpo è perfezionato e reso vivo dall’anima, allo stesso modo quest’ultima può raggiungere la perfetta felicità solo se unita al corpo, da essa governato.182 Secondo Bonaventura, infatti, l’anima separata
174 Travi 1984, p. 46. 175 Gragnolati 2013, p. 288. 176 Travi 1984, p. 46. 177 Gragnolati 2013, p. 288. 178 Ibidem. 179 Ivi, p. 289. 180 Ivi, p. 288. 181 Ibidem. 182 Ibidem.
dal corpo non potrebbe godere in modo totale della visione di Dio, poiché distratta dal suo desiderio continuo verso di esso.183
Secondo la tesi sostenuta da Gragnolati nella sua analisi, la posizione assunta da Dante nella Commedia, ed esplicitata in Paradiso XIV, prevede un punto di partenza in accordo con la teoria dell’unità delle forme, procedendo poi tuttavia ad accettare la teoria della pluralità, cercando dunque di far coesistere le due teorie senza sottomettere il corpo all’anima o sottrarre importanza a quest’ultima.184 Lo stesso accade in Purg. XXV, ove, dopo l’iniziale richiamo alla teoria aristotelica sulla generazione dell’embrione, viene in-fine descritto da Stazio il modo in cui le anime formano il proprio corpo aereo (cfr. 1.2.3). La spiegazione sembrerebbe seguire inizialmente la teoria della pluralità delle forme, per poi avvicinarsi alla dottrina tomista, secondo la quale l’anima razionale è una forma unica che contiene in sé tutte le proprietà, comprese quelle corporee185: così, essa racchiude in sé l’anima vegetativa e quella sensitiva, esplicandone le funzioni.
Anche in Paradiso XIV, come in altri canti (cfr. 3.1), il corpo viene paragonato a una veste di cui le anime si rivestiranno quando la persona sarà tutta intera:
Come la carne glorïosa e santa fia rivestita, la nostra persona più grata fia per esser tutta quanta;
per che s’accrescerà ciò che ne dona di gratüito lume il sommo bene,
lume ch’a lui veder ne condiziona; onde la visïon crescer convene, crescer l’ardor che di quella s’accende, crescer lo raggio che da esso vene.186
La felicità goduta dall’anima separata è piena, ma, una volta ricongiuntasi al corpo, sarà maggiormente gradita a Dio, e per tale motivo la luce che irraggerà da essa sarà maggiore (cfr. 3.4.1). Non si ha in quest’immagine, che permea l’intero poema, l’idea di un corpo espresso dall’anima187, bensì quella di un corpo materiale separato da essa e che a essa si
183 Ibidem.
184 Ivi, p. 289.
185 Cfr. sulla questione Gragnolati 2005, pp. 67-77.
186 Par. XIV 43-51.
aggiunge, rendendola perfetta.188 Inoltre, la spiegazione di Salomone in Par. XIV relativa alla maggiore claritas di cui saranno dotate le anime dei beati riunitesi coi corpi, indica che i corpi risorti avranno una luminosità che supera quella dell’anima. Ciò è esplicitato dai versi seguenti:
Ma sì come carbon che fiamma rende, e per vivo candor quella soverchia, sì che la sua parvenza si difende;
così questo folgór che già ne cerchia fia vinto in apparenza da la carne che tutto dì la terra ricoperchia;189
L’immagine del carbone nella fiamma conferisce alla carne un fulgore proprio che finisce per superare quello dell’anima.190 Nell’affermare ciò (e riprendendo da San Bonaventura l’immagine del carbone191), Dante si discosta dall’idea sostenuta in merito da Tommaso d’Aquino, secondo il quale la claritas del corpo risorto sarà determinata dal traboccare della gloria dell’anima nel corpo.192
Concludiamo il capitolo affermando come sia inevitabile notare, leggendo il canto XIV, come persino dunque nel corso del Paradiso, in cui viene espressa più volte dalle anime la propria felicità nella continua e appagata visione beatifica di Dio, il desiderio del corpo sia vivo. Da questo canto traspare inoltre come il corpo costituisca un indisso-lubile legame col proprio passato e la vita trascorsa. Qui, il luogo ove gli affetti più intimi e terreni dovrebbero essere teoricamente messi da parte, s’impongono invece all’aten-zione del lettore. La dimensione umana si affianca dunque a quella divina, e il tema della corporeità costituisce addirittura il soggetto principale di un intero canto, il quale, tirando le fila del discorso, risulta essere un vero e proprio omaggio al corpo, il quale porterà una
188 Ibidem.
189 Par. XIV 52-57.
190 Chiavacci 2010, p. 15.
191 Bonaventura da Bagnoregio, Commentaria in quator libros Sententiarum magistri Petri Lombardii, IV, dist. 49, q. 2, a. 2.
gloria maggiore all’anima e viene qui visto nuovamente come la «vesta che al gran dì sarà sì chiara».193