2.4. PERICOLI BIOLOGICI ASSOCIATI AI PRODOTTI DELLA PESCA
2.4.5. PARASSITI
I prodotti ittici possono albergare una grande varietà di parassiti, ma solo pochi di essi sono in grado di infettare l’uomo. Nonostante questo, le infezioni
parassitarie legate al consumo dei prodotti ittici rappresentano un grave problema di salute pubblica a livello mondiale e il WHO stima a circa 60 milioni le persone che contraggono queste infestazioni.
Mentre in molti paesi industrializzati è stata riconosciuta ben presto l’importanza delle zoonosi parassitarie della carne, come la trichinellosi e la cisticercosi, una minore attenzione è stata rivolta invece verso quelle dei prodotti ittici nonostante il grande numero di episodi nell’uomo (Chai et al., 2005).
A livello mondiale, e in Italia negli ultimi anni, la situazione è diventata sempre più preoccupante per le nuove abitudini e mode alimentari che contemplano il consumo ricorrente di elevate quantità di prodotti ittici crudi o poco cotti, sia di origine marina sia di acque dolci.
Infatti, perché avvenga l’infezione, il pesce deve essere consumato crudo o insufficientemente cotto; preparazioni tradizionali come sushi, sashimi, salmone lomi-lomi (una preparazione di salmone crudo e marinato tipica della cucina hawaiana), aringa cruda e ceviche (una preparazione a base di pesce crudo marinato nel succo di limone), rappresentano le principali fonti d’infezione (Adams A. et al., 1997). Questi determinano pertanto un’infezione dopo l’ingestione del parassita vitale ma secondo il parere scientifico dell’EFSA (2010) è rilevante anche il recente aumento delle reazioni allergiche (con fenomeni di ipersensibilità) contro gli antigeni dei parassiti della famiglia Anisakidae, anche se sono stati devitalizzati con la cottura.
Al fine di prevenire e tenere sotto controllo la trasmissione dei parassiti dei prodotti della pesca all’uomo, il reg. (CE) 853/2004 nell’allegato III, sezione VIII, dispone i requisiti riguardanti i parassiti, in particolare per i “prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi”, per i “prodotti della pesca a base di aringhe, sgombri, spratti, salmone (selvatico) dell’Atlantico e del Pacifico, se devono essere sottoposti ad un trattamento di affumicatura a freddo durante il quale la temperatura all’interno del prodotto non supera i 60°C” e per i “prodotti della pesca marinati e/o salati se il trattamento praticato non garantisce la distruzione delle larve di nematodi”. Il regolamento stabilisce infatti che i prodotti ittici precisati devono essere congelati ad una temperatura non superiore ai -20°C in ogni parte della massa per almeno 24 ore, e devono
essere accompagnati, alla loro immissione sul mercato, da un’attestazione del produttore che indichi il trattamento al quale sono stati sottoposti, salvo qualora siano forniti al consumatore finale. Inoltre, qualora l’Autorità competente lo autorizzi o i dati epidemiologici disponibili indichino che le zone di pesca d’origine non presentano rischi sanitari con riguardo alla presenza di parassiti, gli operatori del settore alimentare non sono obbligati a praticare i trattamenti indicati in precedenza. In realtà questa evenienza non è mai stata documentata.
Tra i parassiti del pesce i nematodi (Anisakis spp., Pseudoterranova spp., Eustrongylides spp., Gnathostoma spp.), i cestodi (Diphyllobothrium spp.) e i trematodi (Chlonorchis sinensis, Opistorchis spp., Heterophyes spp., Metagonimus spp., Nanophyets salmincola) sono quelli maggiormente riscontrabili.
§ Anisakis (famiglia Anisakidae)
L’anisakiasi è la zoonosi più comune associata al consumo di pesce. Dei circa 20 mila casi di anisakiasi registrati a livello mondiale oltre il 90% sono riportati in Giappone dove annualmente si segnalano circa 2 mila casi, seguito da Spagna, Paesi Bassi e Germania e con l’Europa che registra circa 500 casi annuali (Audicana et al., 2002). Il primo caso accertato nel nostro paese è stato descritto nel 1996 a Bari: da allora fino al 2011 i casi di infestazione umana segnalati in letteratura sono stati 54, prevalentemente concentrati nelle regioni centro meridionali quali Puglia, Abruzzo, Molise e Sicilia, mentre solo pochi casi sporadici sono accorsi in altre regioni (Griglio et al., 2012).
E’ un nematode della famiglia Anisakidae a cui appartengono anche i generi Pseudoterranova, Phocascaris e Contracaecum.
Questi parassiti, noti con il nome di anisakidi, hanno come ospite definitivo i mammiferi marini (principalmente cetacei per il genere Anisakis) che s’infettano ingerendo pesci e/o cefalopodi parassitati (ospite intermedio). L’uomo si inserisce in questo ciclo biologico come ospite accidentale, infettandosi con le larve vive e vitali (L3) presenti sui visceri e/o sulla muscolatura dei pesci.
Le larve di Anisakis sono tipicamente incapsulate come delle spirali appiattite e strette, misurano 4-5 mm in sezione trasversale e si trovano generalmente a livello di peritoneo, mesentere e organi viscerali ma alcune larve possono migrare dalla cavità addominale fino a collocarsi sulla muscolatura dorsale del pesce dove possono essere notate dal consumatore o dall’autorità adibita ai controlli (EFSA, 2010).
I pesci possono essere esaminati per la presenza di parassiti con diverse metodiche incluso il controllo visivo, la speratura, la pressione, la digestione e recentemente anche con la PCR. Per quanto riguarda la presenza dei parassiti nei filetti, se localizzati in profondità, non sono immediatamente evidenziabili tramite l’ispezione visiva ma sono rilevati con la speratura; tuttavia tale metodica non è utilizzabile all’aperto, ha scarsa efficacia nei filetti con la cute e se il loro spessore supera i 2,5 cm (Rossi A., Anastasio A., 2010).
Le larve possono essere devitalizzate, come previsto dal reg. (CE) 853/2004, mediante congelamento a -20°C per almeno 24 ore o mediante trattamento termico ad almeno 60°C per dieci minuti. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che esiste una diretta correlazione tra tempo e temperatura necessari per uccidere la larve di A. simplex (Adams A. et al., 2005) e che il 100% delle larve di A. simplex presenti nel muscolo del pesce sono uccise ad una temperatura di -15°C per 96 ore.
L’affumicatura e la marinatura non sono in grado di devitalizzare con sicurezza le larve di Anisakis; la salagione, se effettuata con una concentrazione di NaCl dell’ 8-9%, necessita di almeno 6 settimane affinché non sia più necessario il trattamento con il freddo ai fini della disattivazione.
§ Diphyllobotrium (famiglia Diphyllobothriidae)
La botriocefalosi è una zoonosi causata dal consumo di pesce d’acqua dolce contenente larve di diverse specie di cestodi appartenenti al genere Diphyllobotrium. Il Diphyllobotrium latum è quello che ricopre una maggiore importanza dal punto di vista sanitario.
Questo cestode è stato oggetto di grande interesse poiché ritenuto responsabile dell’anemia perniciosa, probabilmente per la competizione che s’instaura tra l’ospite e il parassita per la vitamina B12 (Adams A. et al., 1997). E’ un parassita largamente diffuso nei mammiferi, nei pesci e negli uccelli ed è generalmente associato a ospiti intermedi e definitivi che vivono in habitat ad acqua fredda; casi d’infezione umana da D. latum sono spesso localizzati nelle regioni subartiche e temperate dell’Europa dell’Est e negli stati della Federazione Russa. A livello mondiale, l’incidenza della botriocefalosi è diminuita negli ultimi anni, in particolare nel Nord America (dove la prevalenza era tra le più alte) (Dick et al., 2001) ed anche in Europa, fatta eccezione per Svizzera, Svezia, Finlandia ed Estonia. Gli studi di Dupouy (2004) rivelano, infatti, che negli ultimi anni è stato registrato un aumento dei casi nell’area alpina della Svizzera, in Francia e in Italia e tutti sono da associarsi al consumo di pesci locali di lago come il pesce persico (Perca fluviatilis) e il lavarello (Coregonus spp.). La comunità scientifica sembra ampiamente concorde sull’associare questa nuova emergenza di botriocefalosi nell’uomo ai recenti cambiamenti delle abitudini alimentari delle popolazioni locali, soprattutto con il consumo di prodotti a base di pesce marinato, affumicato o crudo, come per esempio il carpaccio, tartare o insalate di pesce crudo.
I pesci che possono trasmettere l’infezione all’uomo appartengono alle famiglie dei percidi (pesce persico, Perca fluviatilis), esocidi (luccio, Esox spp.), gadidi (bottatrice, Lota lota) e salmonidi (trota, Oncorhynchus mykiss).
Nel complesso ciclo biologico di questo parassita sono coinvolti diversi ospiti tra cui:
-crostaceo: primo ospite; ingerisce le uova contenute nelle proglottidi del parassita eliminate con le feci da persone infette. Infatti, è tramite gli scarichi fognari che le uova sono veicolate nelle acque dei fiumi o dei laghi, e una volta ingerite dai piccoli crostacei si localizzano nell’intestino in cui si sviluppano le larve.
-pesce d’acqua dolce: secondo ospite; mangiando il crostaceo, la larva migra nel nuovo ospite, perfora l’intestino per localizzarsi nei muscoli e si incapsula (questa larva è anche chiamata “spargano”). La larva di D. latum è ben visibile
nel muscolo del pesce, ma la sua ricerca può essere facilitata con la tecnica di speratura.
-uomo: ospite definitivo; s’infesta mangiando il pesce crudo o poco cotto, contenente le larve di D. latum. Il parassita adulto può rimanere per diversi anni nell’intestino dell’uomo e raggiungere anche una lunghezza di 10 metri. I sintomi di questa infezione includono dolore addominale, diarrea, perdita di peso, astenia e vertigini mentre l’anemia da carenza di vitamina B12 è stata descritta nei casi di prolungata infestazione.
Per prevenire l’instaurarsi di questa zoonosi la miglior profilassi è sicuramente quella di evitare il consumo di pesce crudo o poco cotto d’acqua dolce; il congelamento per 24 ore ad una temperatura di -18°C è efficace nel prevenire l’infezione ed è quindi necessario per il pesce che deve essere consumato crudo.
§ Opistorchis felineus (Famiglia Opisthorchidae)
I trematodi appartenenti alla famiglia Opisthorchidae giocano un importante ruolo nelle zoonosi trasmesse tramite il consumo di pesci d’acqua dolce parassitati. L’Opisthorchis felineus è un parassita diffuso soprattutto nei paesi ricchi di laghi e fiumi come nell’Europa centrale, orientale e sud-orientale, in Turchia e nella regione asiatica della Russia (EFSA, 2010). L’uomo si infesta consumando piatti a base di tinche o di carpe crude o praticamente crude (marinati o affumicati a freddo), contenenti le larve di Opistochis. Il parassita adulto vive così nel fegato dell’uomo, le uova che produce sono trasportate con la bile fino all’intestino e da qui eliminate con le feci. Le uova, che con le feci raggiungono l’acqua di laghi o di fiumi, vengono ingerite da lumache acquatiche (primo ospite intermedio) e si trasformano in larve che poi sono liberate dalle lumache nell’acqua. Quest’ultime rimangono sul fondo dei laghi o di fiumi fino a che non riescono a penetrare nella pelle dei pesci per poi localizzarsi nei muscoli.
Nel pesce parassitato (secondo ospite intermedio) le larve non sono visibili ad occhio nudo ma risulta necessario procedere all’esame microscopico del tessuto muscolare (Fazio G., 2012). In Italia l’Opistorchidosi è stata segnalata
nelle regioni centrali, come Umbria e Lazio, per il consumo di piatti a base di tinche crude pescate in laghi locali. Recentemente sono stati segnalati due casi umani di Opistorchiasi, sostenuta da Opistorchis felineus, in seguito al consumo di pesce marinato a freddo pescato dal Lago Trasimeno. Tali episodi si sono verificati rispettivamente nel 2003 e nel 2006, coinvolgendo in entrambi i casi dei giovani adulti che avevano consumato pesce locale; nel caso del 2003, nello specifico, un piatto a base di tinca marinata a freddo mentre nel caso del 2006 non è nota con esattezza la specie ittica consumata ma pur sempre marinata a freddo (Crotti D., Crotti S., 2007).
Rimangono le medesime le procedure necessarie per la prevenzione di questa zoonosi parassitaria.