1. INTRODUZIONE
1.4 G RAFT VERSUS HOSTDISEASE
1.4.2 Patogenesi e fattori di rischio
Circa cinquanta anni fa, Billingham ha formulato i 3 requisiti fondamentali per definire lo sviluppo di GVHD:
35 2. l’ospite deve esprimere antigeni tissutali che non sono presenti nel donato- re;
3. il paziente trapiantato deve essere incapace di montare una risposta effica- ce ad eliminare le cellule trapiantate72.
Quindi la GVHD può svilupparsi in varie manifestazioni cliniche quando tessuti contenenti cellule immunocompetenti, ovvero le cellule T (sangue periferico, mi- dollo osseo e organi solidi) sono trasferiti da un donatore a un ricevente che non è in grado di eliminare queste cellule73.
I soggetti riceventi il trapianto sono affetti da immunodeficienza sia a causa della malattia primaria, sia per il precedente trattamento antitumorale con farmaci ed irradiazione. Quando questi ospiti ricevono cellule emopoietiche di midollo osseo da donatore allogenico, le cellule T immunocompetenti del donatore riconoscono gli antigenti HLA del ricevente come estranei e reagiscono contro di essi.
Gli antigeni HLA (“Human leucocyte antigen”) sono codificati dal complesso maggiore di istocompatibilità (“Major histocompatibility complex”, MHC)74
. La regione HLA nell’uomo è localizzata a livello del braccio corto del cromoso- ma 6 (6p21.3) e comprende più di 200 geni che codificano per tre classi di mole- cole designate rispettivamente come antigeni di classe I (HLA-A, HLA-B, HLA- C), antigeni di classe II (HLA-DR, DQ, DP) e antigeni di classe III.
Gli antigeni HLA di classe 1 sono espressi pressoché da tutte le cellule nucleate presenti nell’organismo con intensità variabile; gli antigeni di classe 2 sono mag- giormente espressi dalle cellule emopoietiche (linfociti B, cellule dendritiche, monociti, cellule T attivate), ma la loro espressione può essere indotta dopo in- fiammazione e danno cellulare su molti altri tipi cellulari. La frequenza di svilup- po di GVHD acuta è direttamente correlata al grado di mismatch tra proteine HLA70, e di conseguenza idealmente tra il donatore e il ricevente deve essere pre- sente un match completo tra le molecole HLA A, B, C e DRB1, ma un mismatch può essere tollerato per i trapianti da sangue cordonale75.
Attualmente sono utilizzati metodi di sequenziamento sul DNA per la tipizzazio- ne degli antigeni HLA, tuttavia il matching potrebbe non riconoscere differenze di istocompatibilità minime, come le differenze tra gli antigeni minori di isto- compatibilità. Alcuni antigeni del complesso minore di istocompatibilità, come
36 HY e HA-3, sono espressi da tutti i tessuti e sono targets sia di GVHD che di
graft-versus-leukemia76. Altri, come HA-1 e HA-2, sono maggiormente espressi dalla cellule emopoietiche (incluse cellule leucemiche) e potrebbero essere re- sponsabili di un maggiore effetto Graft-versus-leukemia (GvL), con sviluppo di una forma meno grave di GVHD77.
Polimorfismi tra citochine del donatore e del ricevente, che hanno un ruolo de- terminante nella classica “tempesta citochinica” della GVHD, sono implicati co- me fattori di rischio per lo sviluppo di tale manifestazione78. Secondo alcuni re- centi studi, varianti del Tumor-necrosis-factor-α (TNF-α), di IL-10 e di INF-γ sembrano essere correlate con la comparsa GVHD79, così come polimorfismi ge- netici di proteine connesse con l’immunità innata, come NOD2 e recettori della cheratina 1880.
Le attuali conoscenze biologiche inoltre hanno portato ad attribuire un ruolo im- portante nello sviluppo della GVHD non solo al sistema HLA, già noto da tempo, ma anche ai rapporti tra HLA di classe I e i recettori KIR delle cellule NK (“kil-
ler immunoglobuline-like receptor”, KIR). La rilevanza delle KIR nella genesi
della GVHD prende lo spunto dall’osservazione che le cellule NK del donatore possono venire attivate dalla mancata espressione (“down-regulation”) a livello delle cellule bersaglio dell’ospite dell’appropriato ligando HLA in grado di pro- durre un segnale inibitorio nei loro riguardi (“teoria del missing self”). In questo contesto, una diminuita intensità nell’espressione della GVHD sarebbe dovuta all’effetto inibitorio della allo-reattività dei KIR del donatore.
Altri fattori di rischio per lo sviluppo di GVHD comprendono: l’età del paziente;
l’intensità del regime di condizionamento;
il “sex-mismatching”, come donatore di sesso femminile-ricevente di ses- so maschile;
la sorgente di cellule staminali, infatti il rischio è maggiore con l’uso di cellule staminali periferiche, diminuisce con espianto di midollo ed è mi- nimo per le cellule di cordone ombelicale;
una precedente allo-immunizzazione del ricevente, ad esempio con trasfu- sioni multiple;
37 l’allo-reattività delle cellule del donatore verso i tessuti dell’ospite;
l’efficacia della prevenzione della GVHD54
.
La GVHD può essere considerata come una risposta disregolata o esagerata del sistema immune normale del donatore al danno tissutale provocato dalla procedu- ra di trapianto.
Fig.1.6: Schema rappresentante le fasi di sviluppo di GVHD e i relativi meccanismi pa-
togenetici.
Classicamente si distinguono tre fasi che conducono alla GVHD:
1. Fase iniziale di danno tissutale dovuto al regime di condizionamento, che porta ad un’attivazione delle cellule presentanti l’antigene (APC); 2. Fase effettrice, caratterizzata dalla proliferazione delle cellule T del
donatore;
3. Fase di danneggiamento d’organo, caratterizzata dall’attivazione di macrofagi e cellule T citotossiche capaci di elaborare citochine in- fiammatorie (TNF-α, IL-1) e di agire insieme alla cellule NK nell’estrinsecazione di un’attività citolitica diretta sugli elementi di di- versi tessuti.
38 L’attivazione delle cellule APC (“Antigen Presenting Cells”), indotta dal regime di condizionamento determina un danno tissutale, in particolare a livello della mucosa intestinale. Questo comporta la produzione di citochine pro- infiammatorie (TNFα, IL-1 e IL-6) e chemochine da parte del ricevente, che am- plificano l’attivazione precoce delle APC, oltre ad incrementare l’espressione di molecole di adesione, antigeni HLA, e molecole co-stimolatorie a livello delle APC stesse81. Inoltre, la lesione del tratto gastrointestinale causata dal condizio- namento è particolarmente importante perché porta alla traslocazione sistemica di ulteriori stimoli infiammatori, come ad esempio prodotti microbici quali l’LPS (lipopolisaccaride) o altre PAMP (“pathogen associated molecular patterns”) che penetrano attraverso la mucosa intestinale danneggiata, attivando la risposta del sistema immunitario innato e promuovendo il rilascio delle citochine infiammato- rie82. Il sito iniziale di interazione tra le cellule APC dell’ospite ed i linfociti T del donatore risiede probabilmente a livello delle placche di Peyer, il tessuto linfatico secondario del tratto gastrointestinale83.
La seconda fase della risposta Graft-versus-Host consiste nell’attivazione delle cellule T del donatore da parte delle APC dell’ospite, con conseguente loro proli- ferazione e differenziazione. In tale fase sembrerebbero avere un ruolo preponde- rante i linfociti T helper 1 (Th1), con rilascio di citochine pro-infiammatorie quali IL-2, TNFα, IFNγ, il cui ruolo causale nella aGVHD è tuttavia ancora controver- so.
L’attivazione delle cellule immunitarie ha come conseguenza l’attivazione di una rapida cascata biochimica intracellulare, che induce la trascrizione di una serie di proteine, tra cui le citochine ed i loro recettori.
Nella terza fase, o fase infiammatoria effettrice, entrano in gioco diversi tipi cel- lulari (linfociti T citotossici, cellule NK, “Large granular Limphocytes” LGL), molecole infiammatorie solubili (IFNγ, TNFα, IL-1, ossido nitrico macrofagico) e chemochine che guidano la migrazione dei linfociti T dagli organi linfoidi ai tessuti bersaglio. Il sistema immunitario innato (LGL) e adattativo (linfociti T al- lo-reattivi) lavorano in sinergia per amplificare il danno tissutale e inoltre pro- muovono l’infiammazione e la distruzione dei tessuti target.
39 L’incidenza e la gravità nei trapianti di cellule staminali di cordone ombelicale appare particolarmente bassa. Questo è probabilmente legato al particolare feno- tipo dei linfociti T contenuti nel sangue placentare caratterizzati dall’espressione preferenziale del CD45RA e dalla ridotta produzione di IFN- γ e IL-2, ed alla di- screta immaturità delle APC placentari con la conseguente ridotta produzione di citochine infiammatorie.