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FUORI DA QUESTA CRISI, ADESSO!

ed. orig. 2012, trad. dall'inglese di Roberto Merlini,

pp. 269, € 14,90, Garzanti, Milano 2012

C

i stiamo avviando verso la conclusione del quinto anno consecutivo dall'inizio della crisi finanziaria ma sono ancora rela-tivamente pochi gli economisti, soprattutto oltre oceano, che sembrano consapevoli della gra-vità della situazione in cui ancora versa l'economia globale. Ciò è vero, soprattutto, se si pensa agli effetti negativi e di persistenza che essa continua a produrre sul reddito e sull'occupazione di ri strati della popolazione e in va-rie parti del mondo.

La vis polemica che permea questo libro di Paul Krugman (Nobel per l'economia nel 2008) è quindi quanto mai appropriata, avendo il grosso merito di scuote-re non solo il mondo accademico, ma anche le autorità di politica economica e l'opinione pubblica in generale, su quello che finora è stato fatto (non molto) e su quel-lo che resta da fare (parecchio), affinché ci si muova nella giusta direzione per tentare di uscire da quella che è ormai, senza più om-bra di dubbio, una delle più gravi depressioni dal 1929.

Molti lettori ricorderanno come già in un suo precedente libro {Il

ritorno dell'economia della depres-sione e la crisi del 2008, Garzanti,

2009) Krugman avesse messo in guardia l'establishment economi-co-politico sui rischi sull'econo-mia reale (investimento, reddito e occupazione) connessi ai molti scricchiolii che il capitalismo fi-nanziario aveva cominciato a ma-nifestare. A differenza di molti suoi colleghi sparsi per il mondo, l'autore si dimostra quindi da tempo pienamente consapevole del fatto che non esista nessuna dicotomia, né tanto meno nessuna presunta neutralità, tra sfera fi-nanziaria e sfera reale, per la sem-plice ragione che il sistema econo-mico globale è, per sua natura, or-ganicamente interdipendente. Quella che all'inizio, e a prima vi-sta, sembrava una crisi limitata al settore dei mutui subprime si è in-fatti, come anticipato da Krugman e da pochi altri, velocemente dif-fusa contagiando molti paesi ed esplicitando tutto il suo potenzia-le dirompente a livello sistemico.

In questo suo più recente con-tributo l'autore ribadisce quindi le responsabilità di molti autorevoli economisti, e dell'allora governa-tore della Fed Greenspan, nell'a-ver frettolosamente messo nel di-menticatoio l'analisi e le esortazio-ni di Keynes o di altri suoi seguaci (come per esempio Hyman Minsky, che già negli anni ottanta aveva elaborato una vera e propria teoria dell'instabilità e delle crisi finanziarie dei sistemi capitalistici avanzati) per sposare acriticamen-te le rampanti ipoacriticamen-tesi dei mercati finanziari efficienti care alla scuola di Chicago e ai suoi adepti. In questo senso Krugman, indiretta-mente, evoca proprio le ultime

os-Fuori da questa crisi, adesso! servazioni che Keynes aveva fatto nella sezione conclusiva della Teo-ria Generale circa la rilevanza, nel bene e nel male, che le idee degli economisti e dei filosofi politici possono avere sulle scelte delle autorità di politica economica.

Il libro non si limita però alla

querelle teorica rivolta

alle truppe politiche e accademiche che da più parti, e per parec-chio tempo (Krugman parla, addirittura, di economia dei secoli bui), hanno contrastato e avversato il pensiero keynesiano, favorendo il ritorno del

laissez-fai-re nei mercati

finanzia-ri e il tfinanzia-rionfo del

neo-li-berismo: esso si spinge infatti a considerare criticamente quello che è stato finora fatto dalla poli-tica economica soprattutto negli Stati Uniti e getta uno sguardo "indulgente", seppur preoccupa-to, alla situazione europea. Da buon keynesiano, Krugman pone l'accento sulla carenza nella do-manda aggregata come causa pri-ma dell'elevata disoccupazione e dell'avvitamento dell'economia globale verso la depressione. Pur-troppo i timidi tentativi da parte statunitense, allo scoppio della crisi, di attuare un piano di soste-gno pubblico (eccezion fatta per fi necessario salvataggio del siste-ma bancario e finanziario) non sono stati per nulla sufficienti an-zi, proprio perché piuttosto limi-tati rispetto alla gravità della si-tuazione, hanno finito per portare acqua al mulino di chi vedeva in qualsiasi intervento pubblico qualcosa di inutile se non di dan-noso, facendo in questo modo ar-retrare un processo di espansione che andava invece ulteriormente sostenuto.

Lo stesso vale purtroppo per la necessaria regolamentazione dei mercati finanziari che è stata per molti versi abortita prima che ve-desse la luce, a causa della feroce opposizione da parte dei molti

che volevano continuare ad avere le "mani Ubere". Insomma, se si vuole veramente uscire dalla crisi bisogna, secondo Krugman, cam-biare direzione nella pobtica eco-nomica e nella regolazione dei mercati finanziari. Da questo pun-to di vista l'Europa si sta dimo-strando molto più lungimirante di quanto non siano stati gU Stati Uniti, avendo messo recentemen-te mano a delle riforme davvero incisive anche se forse non ancora pienamente sufficienti.

Per quanto riguarda poi la crisi dell' euro-zona, Krugman è stato da sempre scettico sull'integrazio-ne mosull'integrazio-netaria completa in assenza di una maggiore integrazione pob-tica e fiscale e in presenza di forti asimmetrie tra i singoH paesi. Tut-to ciò tuttavia, occorre ricordarlo,

era ben noto agb artefici dell'U-nione Europea, che vedevano nel-la moneta unica solo il primo sta-dio di un processo che ha incon-trato, e incontra tuttora non poche resistenze. Nonostante il suo scet-ticismo l'autore è pienamente con-sapevole che ormai la scelta della

moneta unica sia irre-versibile e un ritorno al passato (alle vecchie monete nazionab), sa-rebbe estremamente dannoso non solo per la sconfitta pobtica del progetto europeo, ma soprattutto per i costi di carattere economico che un panico finanzia-rio potrebbe scatenare, ben superiori a queUi che finora si sono prospettati all'o-rizzonte. Il fatto che gU spreads nei tassi di interesse abbiano, in questi ultimi tempi, calcato la scena della stampa internazionale e dei mezzi di comunicazione mostra come, in assenza di adeguate misure di po-btica economica, gb attacchi di pa-nico e speculativi siano tutt'altro che eventuahtà remote.

Neh'anahsi di Krugman, anche la tanto declamata austerità, da molti sventolata come la panacea a tutti i mah dei paesi cosiddetti "cicale", non è detto sortisca gb effetti sperati; essa deve infatti es-sere mirata e attuata non con l'ac-cetta (come vorrebbero i paladini deba pobtica economica dei paesi "formica"), ma con un attento e mirato lavoro di bisturi, senza cioè provocare un ulteriore crobo deba domanda che frenerebbe ulterior-mente le possibihtà di crescita im-pedendo la stabilizzazione del de-bito sovrano. Qualsiasi spending

review dovrebbe essere

accompa-gnata da nuovi progetti di investi-mento a carattere europeo in set-tori quah la cultura, l'ambiente, la formazione e la ricerca. Suba cre-scita si parla diffusamente ma, co-me i diversi interventi di moral

suasion hanno palesato, sia gb

Sta-ti UniSta-ti di Obama che, per altri versi, la Cina sono giustamente molto preoccupati sugli effetti economici che il rabentamento deb' èuro-zona sta provocando a bvebo internazionale.

L'autore non si dimentica poi di ricordare come l'incremento nel debito pubbbco registrato negh ultimi anni in diversi paesi euro-pei sia stato provocato, più che dai "peccati" legati agb eccessi di un welfare spendaccione, dab'im-pebente necessità di salvare i pro-pri sistemi finanziari e bancari di-venuti fragfii a seguito proprio deba crisi americana legata ai mu-tui e ai suoi derivati, che erano confluiti nei portafogh di innume-revob istituzioni finanziarie, an-che insospettabih. Se peccati ci sono stati, sembra dirci Krugman, nessuno è quindi nebe condizioni per potersi permettere di scagha-re la prima pietra.

Anche il governo debe istitu-zioni europee andrebbe progres-sivamente rivisto e mighorato aba luce dei problemi di democrazia interna che l'attuale crisi ha mes-so in luce. Problemi che hanno spesso il sapore di scontri tra fa-zioni che spesso bloccano o pro-vocano l'adozione di misure con-traddittorie se non addirittura

inadeguate. •

s a u @ e c o n . u n i t o . i t

L. Sau insegna istituzioni di economia politica all'Università di Torino

Sotto l'Alto Patronato

del Presidente della Repubblica

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