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and Performance of 'The Code' in 'The Merchant of Venice'” (March 1, 2008) Cardozo Legal Studies

Research Paper No. 229. Accessibile sotto SSRN: http://ssrn.com/abstract=1113364 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.1113364

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I

L GIURISTA LINGUISTA NEL LABIRINTO REDAZIONALE DEGLI ATTI LEGISLATIVI

UE.U

N MODELLO EDUCATIVO

Katia Fiorenza

Uno degli snodi fondamentali nella costruzione dell’Unione europea è il “multilinguismo”, disciplinato dal Regolamento n. 1 adottato dal Consiglio nel 1958. Dal punto di vista operativo, esso comporta l’obbligo di traduzione “dei regolamenti e degli altri testi di portata generale” in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Gli studi in tema di “multilinguismo e diritto” si inseriscono nella cornice del processo di integrazione degli Stati europei, ritenuto sempre più necessario, anche in considerazione dell’ingresso di nuovi Paesi nell’UE. Tale processo, finalizzato a valorizzare e far incontrare le diverse identità culturali europee, preservandole, è un’esigenza che, tuttavia, trova notevoli difficoltà di attuazione. Alla differenza degli istituti giuridici dei vari ordinamenti e dei concetti che ne stanno alla base, si aggiunge la peculiarità delle lingue e delle modalità espressive della multiforme realtà giuridica considerata. Una delle questioni fondamentali che interferisce con il processo d’armonizzazione voluto dai Trattati europei, che riguarda sia il profilo sopranazionale sia quello nazionale, è proprio quella che scaturisce dalla politica linguistica dell’Unione europea, dalla redazione di testi ufficiali in più lingue e dalla loro traduzione (Ricci 2006: 187 ss.).

La Commissione ha proposto l’adozione di un “Quadro comune di riferimento”, noto come

Common Frame of Reference, per procedere alla semplificazione della normativa UE ed alla

revisione del linguaggio giuridico di cui si serve il legislatore europeo. Con tale Comunicazione anche le istituzioni europee hanno dimostrato nuova sensibilità ed interesse verso il tema del linguaggio giuridico, al fine di riorganizzare il sistema concettuale europeo. Quest’ultimo è composto da concetti provenienti dai diversi sistemi giuridici nazionali e spesso si avvale di termini fra loro non equivalenti ed inconsistenti: con la strategia del ravvicinamento e dell’uniformazione delle regole, le istituzioni intendono perseguire anche la standardizzazione del

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linguaggio dell’acquis, ossia del patrimonio giuridico-politico “acquisito” in seno all’Unione europea (Cortellazzo 1997).

Il multilinguismo si atteggia a “valore” proprio dell'Unione europea, come parte integrante del quadro ordinamentale delle moderne democrazie occidentali. Questo implica una politica di traduzione dei postulati normativi volta a raggiungere ogni cittadino, declinandone le esigenze informative, e comporta un’adozione prescrittiva accessibile e di largo consumo.

Il diritto di conoscere la norma UE nel proprio idioma nazionale ed il principio dell’applicazione uniforme della disciplina, più volte ribadito dalla Corte di giustizia, rappresentano una garanzia necessaria non solo per gli atti direttamente applicabili all’ordinamento nazionale, ma anche per quelli che necessitano di un intervento di mediazione da parte del singolo Stato membro. A conferma di ciò la stessa Corte di giustizia, nella sentenza dell’11 dicembre 2007, causa c. 161/06, stabilisce che nessun obbligo giuridico di fonte comunitaria può essere imposto ai cittadini comunitari se il testo normativo da cui nasca l’obbligo non è tradotto e pubblicato ufficialmente nella lingua nazionale del cittadino interessato.

La stagione traduttiva, estesa dall’inizio dell’Ottocento fino all’inizio del Novecento, offre un panorama interessante per chi vuole studiare come circolano i modelli culturali, come si costruiscono le immagini dei sistemi giuridici stranieri, come si prospettano le tecniche di soluzione dei problemi, che sono per lo più comuni a tutte le esperienze dell’Europa occidentale (Alpa 2004).

L’ingresso della traduzione come presenza stabile e diffusa nello scenario giuridico-politico è piuttosto recente. Il tema ha assunto un’importanza ed una valenza del tutto nuove per il diritto nel corso del processo d’integrazione europea, che conduce a continue occasioni di incontro e confronto tra i differenti sistemi giuridici che vi partecipano. Non manca una consistente letteratura, sufficiente per mettere a punto la problematicità del processo che essa implica. Tale problematicità induce a formulare una varietà di definizioni e significati, nonché a dare risposte diverse e persino opposte al quesito sulle possibilità di successo che si possono prevedere per un’operazione di traduzione. Come afferma Umberto Eco (2003) i sistemi linguistici sono sì incommensurabili, ma pur sempre comparabili; tale assunto è dimostrato dal fatto che, sebbene nella critica venga ripetutamente affermata l’impossibilità di traduzione (si pensi a Jacques Derrida), nella prassi si continua a tradurre e non senza successo. La traduttologia negli ultimi venti anni ha contribuito a definire in modo nuovo l’atto del tradurre. Al centro della ricerca vi è la riflessione su ciò che accade quando si traduce, che non consiste nella riproduzione di singole unità di parole o di frasi, ma costituisce un processo interculturale, complesso di trasformazione, durante il quale una lingua entra nell’altra, ossia un sistema concettuale interagisce con un altro, conformandolo e facendosene conformare.

Il tema della traduzione non si esaurisce nella sua apparente tecnicità, ma richiede una valutazione dell’atteggiamento che i traduttori assumono, nel momento in cui si pongono di fronte a quello che costituisce il lascito di una cultura giuridica diversa.

La conoscenza di una lingua straniera implica la compenetrazione di fatti che vanno di là dalla semplice informazione teorica delle strutture linguistiche. Comprendere una lingua non vuol dire soltanto capire parole, ma più propriamente significa:

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[…] vivere le esperienze quotidiane attimo per attimo; rendersi conto delle strutture della comunità di cui facciamo parte […] comunicare le proprie soluzioni con i mezzi più idonei che abbiamo a disposizione; sentire le aspirazioni degli altri; condividere opinioni e atteggiamenti peculiari verso il mondo circostante. [De Martino 1968: 17]

Per troppi anni il concetto di conoscenza di una lingua straniera si è basato sull’aspetto squisitamente grammaticale, ignorando qualsiasi significato culturale, che la lingua, attraverso le parole, invece, simbolicamente esprime. La conoscenza linguistica è soprattutto esperienza, nel senso di conoscenza acquisita in modo durevole, che si manifesta in forme culturalmente determinate.

La polisemia, detta anche ambiguità lessicale, è il fenomeno centrale della semantica descrittiva. Questo fenomeno sta ad indicare che nelle lingue naturali l'identità di una parola, in rapporto alle altre, ammette, al tempo stesso, un’eterogeneità interna, una pluralità, tale da consentire alla stessa di assumere significati differenti a seconda dei contesti. Abbiamo bisogno di un sistema lessicale molto flessibile ed altrettanto sensibile all’ambiente in cui esso si sviluppa, per connotare i contenuti normativi della variegata dettatura dell’esperienza umana. Qui siamo nel pieno degli studi di diritto e letteratura. È compito dei giuristi porsi interrogativi linguistici, vagliare le varianti di senso appropriate e fare, lungo tracce polisemiche, discorsi recepiti come relativamente univoci, vale a dire suscettibili di una sola interpretazione, quella che il locutore aveva intenzione di conferire alle parole. Non basta che una parola abbia entro un dato sistema più accezioni, vale a dire delle varianti che appartengono a diverse classi contestuali, occorre che essa possa acquisire un nuovo senso senza perdere il proprio senso anteriore; il carattere cumulativo della parola è quello che meglio rende il linguaggio permeabile all'innovazione (Ricoeur 2010).

Di non poco rilievo è la partecipazione “creativa” del lettore e quindi anche del traduttore alla costruzione testuale: nella lingua d’arrivo, il traduttore, in quanto lettore/ascoltatore/spettatore di un testo diviene lui stesso un secondo autore, o meglio un co- autore. La traduzione non è mai una semplice trasposizione, ma un atto “creativo” che presuppone sempre un’interpretazione (Kautz 2002).

Pertanto, appare evidente, che le traduzioni “più facili” sono quelle che vengono operate all’interno di un’area culturalmente omogenea. Si pensi al diritto europeo. Nonostante le indubbie differenze culturali e le asimmetrie linguistiche, il sapere dei giuristi europei è sorretto da concezioni alquanto livellate. L’omogeneità delle basi extralinguistiche facilita l’intesa fra i diversi testi redatti in altrettante lingue. Tuttavia, anche qui i problemi di traduzione sono tanti (Sacco 2008: 3).

L’Unione europea avendo concepito il progetto di perfetto multilinguismo anche sul piano istituzionale, pone la riflessione sul tema della traduzione al centro dei numerosi dibattiti giuridici. L’Europa che vive in un universo linguistico differenziato ha trasformato il senso della traduzione da quello di un’operazione a cui si è obbligati in quello di un’operazione che assurge a posizione simbolica, in quanto vuol siglare la diversità europea fino al punto da poter dire che la lingua dell’Europa è la traduzione (Ferrarese 2008: 13).

Per tutte le ragioni sin qui esposte il traduttore può trovarsi in presenza di una situazione confusa, ancor più se parliamo di traduzione giuridica.

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La normativa europea si è astenuta dall’utilizzare concetti giuridici astratti e quando non ha potuto fare a meno di utilizzarli non li ha definiti, consapevole del fatto che essi impongono un àmbito discorsivo a forte trazione specialistica in cui le perdite di senso tra una versione linguistica e l’altra sono inevitabili ed imponenti (Gambaro 2004: 296).

L’analisi terminologica giuridica condotta in ambito europeo si caratterizza come attività sempre meno attenta alle concordanze linguistiche e sempre più interessata alla metodologia comparata.

L’interpretazione di un testo plurilingue ha esiti diversi in funzione di due fattori principali: il primo, è il legame tra lingua e cultura, nel senso che più distanti sono i fattori culturali più difficile diviene il problema di assicurare un’interpretazione uniforme ad un testo redatto in diverse lingue; il secondo, è un fattore istituzionale posto che i criteri di ermeneutica sono da considerarsi tali. Appare, dunque, ininfluente la struttura della lingua in quanto tale – la radice del problema, come evidenzia Rodolfo Sacco (2005: 441), sta nel fatto che ogni contraddizione del testo plurilingue apre uno spazio di scelta all’interprete, il quale è abilitato a colmare la lacuna con i propri mezzi culturali; pertanto, è necessario che l’interprete europeo utilizzi strumenti di completamento del testo omologhi e teleologicamente diretti a fini di armonizzazione, non già strumenti che dividono –.

Tutto ciò che sappiamo è mediato da un linguaggio, e più precisamente dal linguaggio attraverso il quale lo conosciamo. E se il linguaggio è lo strumento sine qua non del sapere, chi cerca il sapere dovrebbe controllare lo strumento. Sostenere che le differenze riflettono tratti culturali, significa rinviare la questione ad una causa prima, la cultura.

Il linguaggio dell’Unione europea deriva dal contributo delle singole lingue nazionali e, come una sorta di lingua franca, funge da veicolo per il dialogo di ventisette Stati membri, ognuno distinto per diversità di cultura e di tradizione giuridica.

L’attuale contesto giuridico-linguistico europeo si caratterizza per la compresenza di lingue ufficiali e di lingue aventi lo status di lingue nazionali, nonché per la sua indipendenza da una cultura nazionale. Quando più sistemi giuridici di Stati diversi sono chiamati in causa, il legislatore ed il giurista europei dovrebbero conoscere la terminologia del diritto relativa alle lingue dei sistemi giuridici interessati, dato che la scarsa attenzione per la terminologia giuridica ha un impatto negativo sull’armonizzazione delle regole del mercato interno.

Quando il termine prescelto per un testo giuridico europeo non è un neologismo, ma proviene da una lingua nazionale, il suo significato, non più radicato nella cultura nazionale di provenienza, sarà poco chiaro. Il giurista si rivolgerà allora allo studioso di terminologia per individuare le ambiguità, tenendo conto del contesto geografico, sociale, economico e politico.

I testi giuridici europei possiedono particolarità terminologiche e morfosintattiche che ne fanno immediatamente risaltare la differenza rispetto ai testi, anche con oggetto similare, espressi in linguaggio giuridico nazionale.

Il linguaggio giuridico dell’Unione europea si distingue da quello nazionale anche perché possiede caratteristiche sue proprie, che discendono dalle tecniche redazionali adattate all’ambiente plurilinguistico nel quale questi testi vengono prodotti.

Alcune particolarità si notano a livello di morfologia, come il diverso uso dei modi verbali ed una minore propensione ai costrutti impersonali e alla forma passiva nei testi. Altre particolarità si attestano a livello di sintassi, dove i testi comunitari presentano frequentemente la disposizione

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standard degli elementi (soggetto, verbo, oggetto) che compongono le frasi e un maggiore ricorso alla paratassi, oltre ad un diverso utilizzo della punteggiatura. Altre ancóra sono relative al registro meno formale nel linguaggio dell’Unione europea, per ragioni dovute all’inopportunità di ricorrere a modalità espressive eccessivamente tipizzate le quali cambiano nei vari ordinamenti nazionali (Rossi 2008: 96).

Il legislatore europeo utilizza maggiormente una terminologia già in uso negli ordinamenti giuridici nazionali. All’atto della redazione di tutte le versioni linguistiche ufficiali si pone, pertanto, una serie di questioni. Si tratta di sapere se il termine scelto è mono oppure plurisemantico nella lingua originale, se il suo significato o uno dei suoi significati nella lingua di partenza riproduce esattamente il concetto voluto dal legislatore europeo o se la parola usata assume un nuovo significato nell’atto legislativo dell’Unione europea, se un termine corrispondente si può reperire nelle altre lingue ufficiali e se in queste il termine eventualmente trovato esprime esattamente il contenuto che gli deve essere attribuito nel caso oggetto di indagine.

Se nella lingua d’arrivo non esiste un esatto corrispondente al termine originale e se il significato voluto non si deduce dal contesto, dalla sistematica dell’atto in questione, in casi eccezionali il traduttore può riprodurre nel suo testo il termine straniero, a condizione che questo sia sufficientemente conosciuto dal destinatario della versione nella lingua verso la quale egli traduce (esempio, l’inglese trust). In caso contrario, il traduttore si troverà davanti a scelte difficili, esposto al rischio di causare una comprensione erronea del suo testo (Gambaro 2000).

Il linguaggio delle istituzioni europee attira l’attenzione sempre crescente degli studiosi di linguaggi che lo vedono strumento di una nuova comunicazione interculturale e transfrontaliera.

La cura della qualità redazionale dei testi legislativi, meglio ancora la cura delle parole fondanti la coesione del sistema giuridico europeo, costituisce una componente essenziale del tasso di democrazia circolante, soprattutto in assenza di un rigido schema costituzionale, data la prevalenza del diritto comunitario su quello interno e il controllo diffuso che lo assiste. Occorre, per le ragioni sopra dette, un grande sforzo formativo (rispetto ai giuristi) e informativo (rispetto ai cittadini).

La redazione degli atti legislativi deve essere chiara (ossia facilmente comprensibile e priva di equivoci); semplice (concisa) esente da elementi superflui e precisa (priva di indeterminatezze).

Tale regola ispirata al buon senso è espressione di principi generali del nostra tradizione giuridica occidentale, quali l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la certezza del diritto.

Essa assume particolare importanza per gli atti legislativi dell’Unione europea, destinati ad inserirsi in un sistema non solo complesso ma anche multiculturale e multilingue.

A volte la complessità terminologica impiegata nel testo UE induce il legislatore nazionale ad interpretare il senso normativo della stessa producendo “sfumature terminologiche” che implicano a livello giuridico “difformità di effetti”.

Tra i numerosi esempi che possono essere illustrati, spicca in particolare l’ambiguità linguistica oggetto del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di sicurezza dei prodotti alimentari (oggi sostituito dal regolamento CE n. 834/2007). Tale regolamento stabilisce quando un prodotto agricolo, tanto di provenienza vegetale, quanto animale, possa definirsi “biologico”. È proprio sulla base della terminologia utilizzata all’art. 2 di detto regolamento che si evidenzia una certa disomogeneità terminologia. Ad esempio nell’ordinamento spagnolo nella traduzione del

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regolamento si è utilizzato l’accezione “ecologico” al posto di “biologico”; i due termini vengono così utilizzati come sinonimi, nonostante i prodotti “ecologici” non siano ottenuti secondo un metodo di produzione effettivamente biologico. Ne consegue che porre in commercio prodotti con l’etichetta “bio” o “biologico”, pur non essendo coltivati secondo questa particolare tipologia di coltivazione può avere l’effetto “fraudolento” di indurre in errore i consumatori. Tale problematica è ben analizzate nelle conclusioni dell’Avvocato generale Kokott del 17 marzo 2005.

Altra esemplificazione circa la problematicità legata alla traduzione di una diposizione giuridica europea – e conseguente trasposizione nei singoli Stati membri – può essere rappresentata dal rimedio contrattuale del recesso posto a presidio delle posizioni dei soggetti che versano in una posizione di debolezza giuridica. La direttiva 2011/83/UE del 25 ottobre 2011, in GUUE L 304/64, entrata in vigore il 12 dicembre 2011, dal titolo Sui diritti dei consumatori, rappresenta una riscrittura ed una sostituzione di due direttive di protezione dei consumatori già esistenti, ovvero della direttiva sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali (direttiva 85/577/CEE del 20 dicembre 1985) e della direttiva sui contratti a distanza (direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997). In essa, come nelle due direttive che la precedevano, viene previsto il diritto del consumatore di poter recedere dal contratto. Ma quella disposizione dice con sicurezza che trattasi di diritto di recesso o si potrebbe astrattamente parlare di revoca? La questione assume portata rilevante soprattutto in riferimento al piano dell’efficacia. Si prendano, ad esempio, le discipline italiana e tedesca. In Italia, le norme contenute nel codice civile fanno riferimento al recesso; al contrario, le norme del BGB parlano di revoca (art. 12 e 355 BGB). Quali delle due discipline avrà dato la stura alle prescrizioni poste dal diritto dell’Unione? È agevole comprendere che una diversificazione in termini di traduzione riproduce i suoi effetti sulla natura stessa dell’istituto giuridico, con conseguenze problematiche tanto in ordine alla certezza del diritto tanto in termini di uniformità del diritto europeo.

Ne consegue, alla luce delle considerazione che precedono, l’evidente delicatezza e complessità, nella fase dell’iter legislativo, del ruolo del giurista linguista nella formazione dell’atto dell’Unione europea.

Tale categoria di giuristi appartiene alla Direzione “Qualità della legislazione”, che afferisce al Servizio Giuridico. Essa ha il compito di verificare tutti gli atti normativi dell’UE sotto il profilo della qualità del drafting e della concordanza tra le varie versioni linguistiche.

Il giurista linguista è chiamato ad intervenire sul testo normativo per migliorarne la comprensibilità. Si tratta di esercitare un ruolo delicato: quello del tecnico della legislazione che affianca il committente politico, proponendo correzioni formali e modifiche testuali. Compito estremamente rischioso, che richiede una buona collaborazione ed un rapporto di reciproca fiducia tra l’équipe di giuristi linguisti che si occupa dell’atto, i funzionari del Segretariato del Consiglio, titolari del dossier, i delegati dei vari Stati membri, coadiuvati dalle rispettive rappresentanze diplomatiche, la Commissione e, per gli atti in codecisione, i giuristi revisori del Parlamento europeo.

A seconda del tipo di intervento richiesto, il giurista linguista è chiamato ad esercitare competenze diverse e ad affrontare problemi di vario tipo.

Nell’ipotesi nella quale egli sia chiamato ad assistere i funzionari ed i delegati nella riformulazione di alcuni passaggi, è necessaria la padronanza delle tecniche di redazione legislativa, ma anche nozioni di linguistica.

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In veste di chef de file, ossia di responsabile del testo di base, il giurista linguista deve usare correttamente i termini giuridici inglesi o francesi. A tale proposito, egli deve comprendere, in primo luogo, se il termine utilizzato nel testo base si riferisce ad un preciso istituto proprio dell’ordinamento giuridico inglese o francese, che si vuole quindi trasporre negli altri ordinamenti. In questi casi bisogna fare molta attenzione agli eventuali problemi che la traduzione giuridica comporta. Le versioni tradotte producono, a loro volta, effetti sul testo di base: ad esempio, se un passo “ambiguo” dà origine a versioni contrastanti è possibile richiedere alle parti di chiarire il concetto e proporre una formulazione più chiara. In secondo luogo, il giurista linguista deve essere in grado di comprendere se il committente politico, con la scelta di un determinato termine, intendeva creare un istituto nuovo, per il quale è necessario, in relazione alle altre lingue, coniare un neologismo, o usare un termine già esistente, attribuendogli un significato nuovo, anche tramite la tecnica della definizione.

Il giurista linguista è chiamato a verificare la concordanza tra la propria versione linguistica ed il c.d. testo di base: egli si confronta con problemi di natura giuridica che richiedono esperienza e sensibilità per le possibili ripercussioni che una determinata scelta può comportare.

Ai compiti delicati del giurista linguista va aggiunto che attualmente i problemi