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2   L E SCHIUME : PANORAMICA E SPERIMENTAZIONE 6

2.3   Stabilità delle schiume 10

2.3.2   La persistenza delle schiume 29

Le schiume reali sono definite da un impaccamento random di bolle dalle più diverse forme e dimensioni che dipendono dagli elementi che compongono la soluzione, dai metodi di produzione, dal drenaggio della parte fluida e dal collasso delle bolle.

Nel meccanismo di formazione di una schiuma possono essere individuate due macrofasi: l’incapsulamento del gas all’interno del liquido, governato essenzialmente dal potere spumeggiante del tensioattivo utilizzato, e il tempo di vita della schiuma, governato dalla stabilità del sistema. Entrando più nel dettaglio si potrebbero individuare ulteriori momenti significativi durante il meccanismo di generazione delle schiume, ossia la formazione di nuove interfacce, l’adsorbimento delle molecole di tensioattivo in corrispondenza di queste interfasi con

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conseguente abbassamento della tensione superficiale e, infine, nei casi più complessi, lo sviluppo di legami intramolecolari e intermolecolari [14].

Si è già detto che le schiume possono essere distinte in umide e secche; in realtà, una schiuma passa dalla condizione umida a quella secca durante il suo tempo di vita. Infatti, appena formata, una schiuma liquida è costituita da bolle sferiche, con elevata pressione interna, e da lamelle spesse contenenti una significativa quantità d’acqua; col trascorrere del tempo si registra un assottigliamento delle lamelle dovuto al drenaggio del fluido con riduzione della densità della schiuma e contestuale avvicinamento delle bolle d’aria che tendono ad assumere una forma sempre più poliedrica fino a raggiungere la condizione di schiuma secca. Dunque la forma delle bolle dipende fortemente dalla quantità della frazione fluida contenuta nella schiuma: in particolare qualora la frazione di liquido sia superiore al 26% si può ritenere che le bolle siano pressoché sferiche e la schiuma umida.

Un altro parametro che gioca un ruolo cruciale non tanto sulla forma quanto sulle dimensioni delle bolle di una schiuma risulta essere la pressione esterna: il raggio medio delle bolle decresce al crescere della pressione; nello specifico, si registra una riduzione del diametro delle bolle da circa 100 m a circa 20 m con un incremento di pressione da 0 a 5 bar.

Tornando al fenomeno del drenaggio, si evidenzia come in alcuni casi questo processo possa procedere fino all’ottenimento di una struttura stabile, raggiunta la quale la schiuma può durare praticamente all’infinito. Nella maggior parte dei casi, però, non appena la schiuma diviene sufficientemente secca, le lamelle diventano instabili provocando il collasso della schiuma. A tal proposito è possibile operare una netta distinzione tra le schiume instabili o transienti, caratterizzate da un tempo di vita dell’ordine dei secondi, e le schiume metastabili o permanenti, contraddistinte da tempi di vita dell’ordine di ore o, addirittura, giorni [5].

Proprio il fenomeno del drenaggio rappresenta la maggior causa destabilizzante di una schiuma. La gravità è la principale forza motrice del fenomeno del drenaggio e può agire sia direttamente sulle lamelle e sia indirettamente attraverso il cosiddetto effetto di aspirazione del Plateau border. Quest’ultimo è dovuto al fatto che la pressione in corrispondenza delle lamelle, 𝑝 , è maggiore di quella in corrispondenza del Plateau border, 𝑝 , dove la curvatura è massima (motivo per il quale si ha una pressione più bassa) per cui il liquido drena dalle lamelle e si distribuisce finché la pressione del sistema è la stessa in ogni punto (diminuzione di energia libera del sistema), cf. Figura 2.14

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Considerando una colonna di schiuma, con il procedere del drenaggio, nelle zone in prossimità della superficie superiore si viene solitamente a formare una struttura ad elevato contenuto di gas (generalmente aria), mentre in prossimità della base si ha una struttura avente un più basso contenuto di gas e una maggiore frazione fluida; lungo l’altezza della colonna di schiuma si ha una transizione graduale dalla prima alla seconda condizione: la densità della schiuma decresce man mano che ci spostiamo verso l’alto.

L’aggiunta di agenti tensioattivi e/o di altri componenti che generano effetti superficiali incrementa significativamente il tempo di vita di una schiuma, ossia il tempo che intercorre tra la sua formazione e il suo collasso, poichè ne riduce drasticamente il drenaggio. La stabilità di una schiuma che, dunque, può essere correlata al drenaggio, è strettamente connessa alla robustezza della pellicola che si viene a formare all’interfaccia tra le fasi. In particolare risultano determinanti le proprietà di forza meccanica, viscoelasticità e di ripristino della pellicola che dipendono essenzialmente dalle caratteristiche del tensioattivo utilizzato, dalla sua concentrazione (connessa allo spessore del film) e dalla natura delle interazioni che si vengono a generare. La forza meccanica aumenta con il crescere della viscosità del film, la quale, a sua volta, cresce con lo spessore della pellicola e il pH. Le proprietà viscoelastiche permettono l’assorbimento delle sollecitazioni e delle deformazioni senza che soggiunga il collasso e sono legate alla flessibilità del film. Un altro parametro importante legato alla stabilità delle schiume è rappresentato dal modulo dilatazionale che restituisce un’indicazione sul modo in cui le forze della tensione superficiale si oppongono a variazioni di area superficiale.

Come peraltro già messo in luce, la stabilità delle schiume è fortemente influenzata dalla carica netta (pH del mezzo): solitamente si ottengono strutture più stabili in corrispondenza del pH isoelettrico, in corrispondenza del quale è minimo il numero di repulsioni elettrostatiche.

Oltre all’utilizzo dei tensioattivi, anche incrementi della viscosità influiscono positivamente sulla stabilizzazione delle schiume, riducendone il drenaggio e impedendo o, limitando possibili cambiamenti fisici e meccanici. Tale incremento può riguardare sia la regione interfacciale tra le fasi che la massa di liquido da cui la schiuma viene generata. Mentre nel primo caso l’obiettivo può essere perseguito utilizzando miscele di tensioattivi, polimeri e particelle molto fini con angoli di contatto elevati, nel secondo basta aggiungere alla fase acquosa un soluto viscosizzante cone glicerolo, paraffina liquida, poliossimetilene, Xantham gum [15], ecc. Un confronto tra la stabilità di schiume prodotte utilizzando diversi liquidi viscosi, ovvero glicerolo, paraffina liquida e silicone, ha mostrato come il tempo di vita delle schiume sia lo stesso se la viscosità di questi liquidi è resa identica (ciò si effettua mediante un’opportuna regolazione della temperatura) nonostante la loro differente tensione superficiale.

Disproporzionamento (o diffusione) e coalescenza

Si è detto che in una schiuma reale vi è la coesistenza di bolle di diverse dimensioni e, dunque, caratterizzate anche da pressioni diverse: più piccola è la dimensione, maggiore sarà la pressione posseduta dalla bolla. Questa è la ragione per cui, all’interno delle schiume, il gas diffonde dalle bolle a più piccole dimensioni verso quelle di dimensioni maggiori, fenomeno noto come disproporzionamento o diffusione. Ciò conduce ad un immediato inizio della percolazione nell’istante successivo alla formazione della schiuma. Per minimizzare questo effetto esistono

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sostanzialmente due modi: utilizzare un gas scarsamente solubile nel sistema acquoso (l’insolubilità aumenta nell’ordine: CO2, O2, Aria, N) e ottenere un film viscoelastico e rigido.

La velocità di diffusione del gas attraverso due bolle di raggio differente è proporzionale alla permeabilità del cammino diffusivo, all’area effettiva attraverso cui avviene la diffusione e alla differenza di pressione tra le due bolle.

Il fenomeno della diffusione di per sè non provoca il collasso della bolla, essendo quest’ultimo connesso ad una rottura del film, ma la diminuzione del numero totale di bolle rispetto a quello di partenza di circa il 10%. Tale processo, inoltre, non è significativo nelle schiume secche a struttura poliedrica, essendo queste ultime caratterizzate da lamelle piane con piccole differenze di pressione lungo l’interfaccia; riveste invece molta importanza nel caso di sistemi caratterizzati da film di molecole di tensioattivo monostrato e, comunque, di piccolo spessore.

Venendo alla coalescenza, questa rappresenta il fenomeno fisico attraverso il quale le gocce di un liquido, le bolle di un aeriforme o le particelle di un solido si uniscono per formare degli elementi di dimensioni maggiori, come mostrato in Figura 2.15. Nello specifico si ha coalescenza quando, per via del drenaggio, il film tra le due particelle disperse diviene estremamente sottile da rompersi. La velocità di assottigliamento del film dipende dalla presenza di tensioattivo o meno; in sua presenza, specie se di natura proteica, la parete che delimita il film è rigida e la velocità di drenaggio 𝑣 è molto bassa:

𝑣 2∆𝑝𝛿

3𝜂𝑅

(2.11) essendo 𝛿 lo spessore del film ed 𝜂 la viscosità della fase continua.

In assenza di tensioattivo la parete del film è mobile e la superficie delle gocce è soggetta ad un continuo ricambio con le regioni interne; in questo caso la velocità di drenaggio 𝑣 del film è elevata e risulta essere inversamente proporzionale alla radice cubica della viscosità del mezzo che forma la fase dispersa.

Figura 2.15 Diverse fasi del fenomeno della coalescenza

In particolare, il volume risultante dall’unione è pari alla somma dei volumi delle singole entità di partenza, mentre l’area della superficie risultante è minore della somma delle aree delle superfici delle singole entità. Da ciò si deduce che la coalescenza comporta una diminuzione dell’area totale relativa alla superficie dell’interfaccia che separa le due fasi, ossia la fase dispersa,

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costituita dalle entità che coalescono, e la fase continua, in cui tali entità risultano immerse. Il fenomeno della coalescenza comporta, dunque, un abbassamento dell’energia totale del sistema per cui, dal punto di vista termodinamico, tale processo è spontaneo, in quanto non necessita di apporto energetico a spese dell’ambiente per svolgersi.

In definitiva, il deterioramento di una schiuma dipende dal drenaggio, dalla coalescenza e dal disproporzionamento. La differenza sostanziale tra questi ultimi due fenomeni consiste nel fatto che nella coalescenza si ha la formazione di bolle di raggio maggiore, quindi di dimensioni maggiori, mentre nel disproporzionamento si può manifestare la formazione sia di bolle più piccole che più grandi, a volte dando luogo ad una distribuzione bimodale; tuttavia i due fenomeni sono interconnessi, per cui è molto difficile distinguerli quantitativamente.

Marangoni effect and Gibbs effect

I parametri sperimentalmente misurabili che entrano in gioco nel definire le proprietà meccaniche e dinamiche di interfaccia risultano essere la viscosità superficiale e l’elasticità superficiale. La prima, fondamentale per ottenere un sistema stabile, fornisce indicazioni sui processi di rilassamento che ripristinano l’equilibrio di un sistema sottoposto a sollecitazioni e sulla dissipazione di energia nello strato di superficie; la seconda dà indicazioni sull’energia immagazzinata nello strato superficiale a causa di sollecitazioni esterne.

A tal riguardo, nella letteratura specifica sono ben consolidate due teorie, quella di Gibbs e quella di Marangoni, che si occupano degli effetti dell’elasticità superficiale e vengono solitamente trattati contestualmente.

L’elasticità di Gibbs dà indicazioni sulla stabilità di una schiuma e fa riferimento alle differenze di tensione superficiale che caratterizzano alcune aree del film liquido che attornia le bolle. L’elasticità viene valutata da Gibbs attraverso la variazione di tensione superficiale che, a sua volta, conduce ad una variazione della superficie. Affinchè un sistema possa definirsi stabile, deve essere capace di sopportare variazioni della tensione superficiale. In particolare, Gibbs ha introdotto un coefficiente di elasticità superficiale 𝐸 che mette in relazione l’incremento della tensione superficiale 𝑑𝛾 tra la soluzione di liquido e tensioattivo e l’aria, con il relativo incremento unitario di area superficiale del film 𝑑𝐴:

E 2𝑑𝛾

𝑑 ln 𝐴

(2.12) in cui il fattore 2 è necessario perché sono due le superfici di interfaccia aria-liquido in corrispondenza del film [16].

I parametri che maggiormente influiscono sul coefficiente di elasticità superficiale 𝐸 sono lo spessore del film e la concentrazione superficiale di tensioattivo. Nello specifico, a parità di spessore del film, inizialmente l’elasticità cresce al crescere della concentrazione di tensioattivo fino a raggiungere un massimo per una concentrazione ben inferiore a quella corrispondente alla CMC, per poi decrescere significativamente: l’elasticità è sensibilmente superiore per concentrazioni di tensioattivo inferiori alla CMC. A parità di concentrazione di tensioattivo, invece, l’elasticità è maggiore per film caratterizzati da spessori più piccoli. La teoria di Gibbs è però affetta da grosse limitazioni, essendo possibile applicarla in modo soddisfacente solo a film

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caratterizzati da spessori sottili e per basse concentrazioni di tensioattivo, tali da non risultare significative al fine della stabilizzazione del sistema.

La teoria nota nella letteratura specifica come “effetto Marangoni” permette di superare tali limitazioni, essendo applicabile ai casi di spessori significativi e concentrazioni di tensioattivo elevate sia per film in espansione che in contrazione. L’effetto Marangoni si sovrappone all’elasticità di Gibbs per cui la loro azione viene presa in considerazione contemporaneamente parlando così di effetto Gibbs-Marangoni.

Al fine di illustrare questo effetto si consideri una pellicola di un certo spessore caratterizzata da una sufficiente concentrazione di molecole di tensioattivo; sottoponendola ad allungamento, una porzione di essa subirà uno stiramento con conseguente assottigliamento localizzato dello spessore a cui è associato un incremento locale della tensione superficiale dovuto alla minor concentrazione, in quest’area, di molecole di tensioattivo. Tale incremento di tensione superficiale innesca un richiamo o, meglio, una diffusione molto rapida di molecole di tensioattivo dalle aree adiacenti a più bassa tensione superficiale (maggiore concentrazione di surfattante) verso la regione assottigliata, fino al ripristino delle condizioni di equilibrio. Questa diffusione comporta anche il trascinamento di uno strato di liquido interlamellare con conseguente nuovo ispessimento del film. Tanto maggiori sono le proprietà di diffusività possedute dal tensioattivo, tanto più rapido ed efficace risulterà essere l’effetto combinato Gibbs-Marangoni.

Al fine di superare le limitazioni sopra esposte, la relazione 2.12 dell’elasticità di Gibbs, tenendo conto dell’effetto Gibbs-Marangoni, può essere modificata come segue:

E 4Γ 𝑅𝑇

ℎ 𝐶 2𝐶 1 𝐶𝐶

(2.13)

essendo Γ l’eccesso superficiale, 𝑅 la costante universale dei gas, 𝑇 la temperatura, ℎ lo spessore della soluzione nel “bulk”, ossia quella parte del fluido abbastanza lontana dalle regioni del fluido stesso in cui avvengono scambi di materia o calore da non percepirne gli effetti, 𝐶 concentrazione di tensioattivo nel bulk, 𝐶 concentrazione superficiale di tensioattivo.

A seconda della concentrazione di tensioattivo, è possibile distingure tre diversi comportamenti, illustrati nella Figura 2.16. Se la concentrazione di tensioattivo è troppo bassa, Figura 2.16 a), la variazione di tensione superficiale a seguito dell’allungamento è trascurabile poichè la concentrazione di tensioattivo è ovunque bassa; ciò non consente l’innescarsi del processo precedentemente descritto, per cui il film è destinato ad un rapido collasso proprio in corrispondenza della sezione a spessore più ridotto.

Se la concentrazione di tensioattivo è troppo elevata, Figura 2.16 c), le molecole del surfattante non sono presenti solamente in corrispondenza dell’interfaccia tra le due fasi, ma si trovano anche in abbondanza in uno stato libero all’interno del solvente; avvenuta la deformazione, per via della differente concentrazione di tensioattivo tra la parte assottigliatasi e quella indeformata, a cui corrisponde un gradiente di tensione superficiale che, evidentemente, risulterà più bassa nella zona deformatasi, ha luogo la diffusione di molecole di surfattante verso la zona a spessore più sottile; tuttavia, a causa dell’eccessiva presenza di molecole di tensioattivo, tale diffusione non è accompagnata da un contestuale trascinamento di uno strato di liquido interlamellare verso la sezione assottigliata, con la conseguenza finale di un riequilibrio della concentrazione di surfattante senza il recupero dello spessore iniziale: il film è sicuramente più stabile del caso a),

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ma certamente meno stabile della condizione associata allo spessore iniziale e, dunque, più suscettibile di collasso. Si evince che concentrazioni di tensioattivo molto elevate, superiori alla CMC, danno luogo a schiume con film troppo sottili e, conseguentemente, destinate a collassare in un tempo minore.

Infine, nella Figura 2.16 b) è riportato il caso di concentrazione ottimale di tensioattivo: l’effetto Gibbs-Marangoni può avvenire nel modo ottimale, con il completo ripristino dell’iniziale spessore del film che risulterà molto stabile e duraturo nel tempo. Appare quindi evidente che, oltre ad abbassare la tensione superficiale, un altro ruolo fondamentale ricoperto dai tensioattivi è quello di stabilizzare, coadiuvandone la persistenza, le bolle d’aria che si sono generate mediante l’effetto combinato Gibbs-Marangoni [6].

Figura 2.16 Effetto della concentrazione di tensioattivo sull’effetto Marangoni: concentrazione bassa a);

ottimale b); troppo elevata c)

Bisogna evidenziare che il meccanismo appena descritto si instaura nel caso di tensioattivi dal basso peso molecolare, Figura 2.16 e Figura 2.17 a).

Nel caso di tensioattivi con elevato peso molecolare come, ad esempio, quelli proteici, si instaura il cosiddetto meccanismo viscoelastico, per il quale gli stiramenti localizzati di limitata entità possono essere dissipati per deformazione dello strato di molecole adsorbite [17]. Cessata la causa dello stiramento il film si riporta alle condizioni originarie, Figura 2.17 b).

Nel caso di contestuale presenza di tensioattivi ad alto e basso peso molecolare, questi ultimi potrebbero interferire nelle interazioni intermolecolari che si generano tra i primi nello strato adsorbito, o per via del fenomeno dell’adsorbimento competitivo o per interazioni con regioni cariche o idrofobe dei tensioattivi a più elevato peso molecolare.

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Figura 2.17 Differenti meccanismi di stabilizzazione di un film sottile: tensioattivo a basso peso molecolare

(effetto Marangoni) a); tensioattivo ad elevato peso molecolare (meccanismo viscoelastico) b); contemporanea presenza di tensioattivi ad elevato e basso peso molecolare (instabilità) [17] c)

Ciò può condurre ad una transizione dal meccanismo viscoelastico a quello Marangoni, con il risultato di ridurre non solo la deformazione delle molecole di tensioattivo a più elevato peso molecolare, ma anche di ridurre la rapida diffusione di quelle a più basso peso molecolare per l’effetto Marangoni, risultando così in una significativa riduzione della stabilità della schiuma, Figura 2.17 c).