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Con il termine di pianificazione fiscale internazionale si intende far riferimento a quella logica imprenditoriale che, tenendo conto delle diverse giurisdizioni fiscali, le

quali operano come vincolo e allo stesso tempo incentivo all’azione, determina l’allocazione tra i differenti Paesi degli investimenti e delle funzioni economiche di un’attività imprenditoriale complessiva, anche in relazione alle differenti forme giuridiche offerte, come la scelta tra società filiale ovvero stabile organizzazione senza autonomia giuridica.

L’obiettivo del gruppo è quello di massimizzare i profitti, obiettivo che ha, dal punto di vista fiscale, la necessità di ridurre al minimo il carico tributario complessivo nel rispetto di tutte le regole previste dalle giurisdizioni fiscali coinvolte.

Pare doveroso precisare che con il termine di diritto internazionale tributario si fa riferimento all’insieme di relazioni intercorrenti fra gli Stati in ambito fiscale (e solo in sott’ordine tra Stati e contribuenti) e perciò per effettuare uno studio di pianificazione fiscale ci si dovrà, invece, principalmente richiamare al diritto tributario internazionale dei singoli Paesi. Occorrerà analizzare sia la legislazione fiscale interna dei vari Paesi, sia le convenzioni internazionali eventualmente stipulate dagli stessi per evitare le doppie imposizioni.

Appare una prospettiva distorta quella di pensare all’istituto della globalizzazione attuato dalle multinazionali come ad un processo motivato da ragioni prevalentemente fiscali; la ricerca di economie sui costi di produzione, dei mercati di sbocco, di nuove fonti di approvvigionamento delle materie prime o di altre azioni imprenditoriali di delocalizzazione, rappresentano un modo storico dello sviluppo dell’economia capitalistica: per esempio possiamo pensare all’utilizzo di manodopera dei Paesi in via di sviluppo a causa del basso costo dei salari.

Tuttavia, nel processo di valutazione entra in gioco anche la variabile fiscale: a parità di condizioni (per esempio il costo del lavoro), un investimento in un Paese diventa più conveniente in relazione a quello in un altro per il minor livello di tassazione dell’attività d’impresa. Le problematiche alle quali abbiamo accennato, nonché la valutazione della convenienza economica di gestire un’attività estera tramite una

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branch o una società controllata, di finanziarla con prestiti ovvero con capitale

proprio, considerando gli aspetti fiscali e le disposizioni legislative dei vari Paesi, entrano tutte in gioco in uno studio di pianificazione fiscale.

Dal punto di vista giuridico, usualmente, gli ordinamenti tributari dei più importanti Stati prevedono che gli scambi tra imprese residenti in Paesi industrializzati, siano regolati dalla normativa sul transfer pricing.

Il rispetto delle regole sul transfer pricing nelle diverse giurisdizioni costituisce una verifica fondamentale della corretta e lecita pianificazione fiscale.

Come già accennato, in campo internazionale, gode di particolare consenso, raggiunto in sede OCSE, il principio fiscale di valutazione delle transazioni infragruppo secondo condizioni che avrebbero convenuto imprese indipendenti in circostanze simili.

Effettuando, perciò, una generalizzazione valida per molte tra le più importanti giurisdizioni, considerando le direttive e i principi OCSE, la generalizzazione è valida nella misura in cui le legislazioni nazionali dei Paesi vi aderiscono, l’impresa multinazionale si trova libera di pianificare ove localizzare gli investimenti, e perciò di ripartire rischi e funzioni dell’attività d’impresa nei vari Paesi.

Una volta presa questa decisione il gruppo si trova a dover rispettare le regole sulla remunerazione delle funzioni svolte dalle varie imprese nazionali secondo condizioni che avrebbero convenuto operatori indipendenti. L’ossequio a tale vincolo determina la localizzazione del reddito e l’applicazione delle normative di diritto tributario sostanziale vigenti nei vari Paesi.

A parità di condizioni potrebbe essere conveniente allocare le attività e i beni immateriali, che rappresentato la leva di generazione del profitto e la quota più importante della remunerazione complessiva, nei Paesi a fiscalità non eccessiva o con regimi fiscali preferenziali e di vantaggio. Tuttavia per conseguire questo fine si

dovranno rispettare le regole che determinano l’acquisto del possesso dei citati beni, verificando che le stesse siano eventualmente condivise dalle varie giurisdizioni fiscali interessate.

La distinzione tra abuso del diritto/elusione fiscale e legittima pianificazione degli investimenti, che tiene conto anche, ma non solo, di questo fattore, va valutata in relazione a due specifiche verifiche (che andiamo ad elencare) partendo, però, dalla premessa che il concetto di libertà d’impresa comprende anche la libertà di stabilimento geografico della stessa.

La prima verifica da effettuare per risolvere il dilemma pianificazione/elusione riguarda la risposta da dare alla seguente domanda:

1. l’imprenditore (il gruppo) rispetta le regole di attribuzione del possesso dei beni capitali o fattori di produzione secondo principi che avrebbero stabilito parti indipendenti in circostanze simili?

La seconda verifica riguarda la risposta al seguente quesito:

2. data una corretta allocazione geografica dei fattori produttivi, ottenuta rispondendo affermativamente alla domanda precedente, tali fattori di produzione sono remunerati secondo condizioni che avrebbero contrattato parti indipendenti in analoghe situazioni?

Ove si possa affermativamente rispondere anche a questa seconda domanda, non deve essere consentita alcuna censura di elusività al gruppo in questione, seppur quando siano sfruttate delle vantaggiose condizioni offerte da determinate giurisdizioni fiscali.

Quando accade che le regole di tassazione degli scambi infragruppo divergono nei vari Paesi o per mancata adesione al principio di regolarli secondo le condizioni che avrebbero convenuto imprese indipendenti o perché le giurisdizioni interessate

41 applicano metodi diversi per stabilire tali condizioni, la decisione di investimento deve tenere conto del concreto rischio e del correlativo onere di subire una doppia tassazione all’interno del gruppo.

In ambito europeo, la Commissione ha adottato il “pacchetto fiscale anti-elusione” costituito da una serie di iniziative legislative e non legislative dell'UE intese a rafforzare le norme contro l'elusione dell'imposta sulle società e a rendere la tassazione delle imprese più equa, semplice ed efficace. Esso si basa sulle raccomandazioni dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) formulate nel 2015 per affrontare il problema dell'erosione della base imponibile e trasferimento degli utili (BEPS).

Tra gli obiettivi del pacchetto rientra (1) impedire la pianificazione fiscale aggressiva; (ii) aumentare la trasparenza; (iii) creare un contesto più equo per le imprese nell'UE. Il 12 luglio 2016 il Consiglio ha adottato la direttiva anti-elusione. La direttiva (ATAD) stabilisce una serie di misure giuridicamente vincolanti contro la pianificazione fiscale aggressiva. In particolare, la direttiva è volta ad affrontare le situazioni in cui i gruppi societari traggono profitto dalle disparità esistenti fra i sistemi fiscali nazionali al fine di ridurre il loro onere fiscale complessivo. A tal fine, prevede disposizioni giuridiche contro la pianificazione fiscale aggressiva relative a limitazioni sulla deducibilità degli interessi, norme sull'imposizione in uscita (ritenute alla fonte), norme sulle società controllate estere, una norma generale anti-abuso, norme sui disallineamenti da strumenti ibridi.

La direttiva garantirà inoltre che le misure anti-BEPS dell'OCSE siano recepite in modo coordinato, anche da parte dei 7 Stati membri dell'UE che non sono membri dell'OCSE.

6. Il progetto OCSE: BEPS - Base Erosion And Profit Shifting e focus sui beni