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imposizione

Sono frequenti i casi in cui il legislatore nazionale non adegua l’ordinamento alle direttive comunitarie o lo Stato Membro non agisce in conformità alle sue disposizioni o non le implementa in modo appropriato.

La questione ha posto problemi di varia natura. In generale, si è discusso a lungo sull’accoglimento o meno della teoria secondo la quale i singoli cittadini avrebbero potuto far valere un diritto al risarcimento nei confronti del Paese membro inadempiente.

Inoltre, prima che la Corte di Giustizia adottasse una giurisprudenza uniforme, molte incertezze hanno accompagnato il dibattito relativo alla dimensione del risarcimento, di fronte alle ipotesi di ammettere il risarcimento non solo dei diritti soggettivi, ma anche degli interessi legittimi lesi dal comportamento inadempiente tenuto dal legislatore nazionale61.

Dopo varie pronunzie tra loro contrastanti, fu nel 1991, con l’ormai storica sentenza Francovich62, che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee dettò le condizioni

per stabilire la configurabilità della c.d. “responsabilità civile dello Stato” di fronte al mancato adeguamento della normativa interna alle disposizioni degli organi comunitari.

In quell’occasione si è stabilito come, per poter ottenere un risarcimento del danno, sia necessario che:

1. il risultato prescritto dalla direttiva implichi l’attribuzione di diritti a favore dei singoli;

2. il contenuto di tali direttive possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva;

3. si verifichi un nesso di causalità tra violazione dell’obbligo a carico dello stesso e il danno subìto dai soggetti lesi.

61 V. Roppo, La Responsabilità civile dello Stato per violazione del diritto comunitario in Contratto e Impresa Europa

n.1/99, Padova, 1999

62 Corte di Giustizia, sent. 19.11.91, cause riunite C-6/90 e C-9/90 - Corte di Giustizia, sent. 05.03.96, cause riunite C-

157 La Corte di Giustizia ha ritenuto che, di fronte alla presenza di queste condizioni, sia configurabile un vero e proprio diritto al risarcimento, che trova fondamento nei principi generali del diritto comunitario, inteso quale insieme di norme dettate al fine di rendere uniformi gli ordinamenti nazionali dei Paesi membri.

Nel caso in esame, i giudici del Lussemburgo, chiamati a risolvere una questione relativa all’applicazione della direttiva 80/987/CEE sulla tutela dei crediti di lavoro nell’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro, rilevarono che “il Trattato CEE ha

istituito un ordinamento giuridico proprio, integrato negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e che si impone ai loro giudici, i cui soggetti sono non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini e che, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, il diritto comunitario è altresì volto a creare diritti che entrano a far parte del loro patrimonio giuridico”.

Pertanto, è stata riconosciuta a favore dei cittadini europei la titolarità dei diritti nascenti dall’istituzione di un ordinamento comunitario, attribuendo agli stessi lo specifico diritto in base al quale lo Stato di appartenenza deve recepire la normativa comunitaria, dato che “sarebbe inficiata la tutela dei diritti riconosciuti se i singoli

non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione di diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro”.

Sulla base di questi elementi, si deve ritenere che il principio della responsabilità dello Stato membro sia inerente al sistema del Trattato. L’obbligo degli Stati membri di risarcire il danno derivante dal mancato adeguamento dell’ordinamento nazionale ai principi comunitari trova la base nell’art. 5 del Trattato, in virtù del quale gli Stati aderenti alla Comunità sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte a ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla partecipazione alla Comunità. Tra questi importanti obiettivi vi è quello di creare un mercato unico favorevole alla crescita degli investimenti, quindi dotato di un sistema

fiscale equo e trasparente e che eviti la permanenza di fenomeni di doppia imposizione in capo ai soggetti economici e oneri eccessivi per la risoluzione delle controversie fiscali internazionali.

Successivamente, la Corte di Giustizia ha stabilito che i principi indicati dalla sentenza Francovich con riferimento alle direttive dovessero applicarsi anche ad ogni altro atto comunitario che fosse in grado di costituire diritti a favore dei cittadini. Le sentenze Brasserie du Pecheur e Factortame LTD del 1996, utilizzando un parametro più definito della precedente sentenza Francovich, affermarono la possibilità di vedere uno Stato condannato solo in presenza di una “violazione manifesta e grave”, evidenziando come il quantum dovesse essere rapportato in maniera adeguata al danno subito dal cittadino.

Le più recenti sentenze Palmisani e Maso del 1997 hanno evidenziato come debba essere il giudice nazionale a far sì che il risarcimento dei danni subìti dai beneficiari sia adeguato.

Se dovessimo individuare un diritto a favore del cittadino, nella forma di impresa appartenente ad un gruppo multinazionale, incisa da ingiusti fenomeni di doppia imposizione economica derivanti da aggiustamenti dei prezzi di trasferimento da parte di uno Stato Membro, si guarderebbe agli strumenti di definizione della controversia internazionale e al loro funzionamento.

Il risultato si ottiene solo con una collaborazione e dialogo tra le amministrazioni fiscali coinvolte e il raggiungimento su un accordo dunque solo in presenza di procedure dettagliate, con obbligo di risultato e la predisposizione di adeguta tutele del contribuente.

159 L’inerzia da parte dell’Amministrazione fiscale che ha unilateralmente determinato la doppia imposizione sullo stesso reddito deve poter essere superata; parimenti è necessario arrivare con certezza e celerità alla conclusione della controversia fiscale. L’inadempimento di disposizioni e l’inosservanza delle scadenze da parte delle parti coinvolte nella procedura genera inevitabilmente un danno economico per la parte di base imponibile che rimane in doppia imposizione, ostacolando anziché agevolando l’attività economica nel mercato unico. Ne viene indirettamente anche lesa la libertà di stabilimento dell’impresa. Per non parlare degli oneri amministrativa per la gestione di tali procedure.

Già la Convenzione arbitrale, al pari dei trattati dell’Unione e della Carta Fondamentale dei diritti dell’UE potrebbe essere considerato parte del diritto primario dell’ordinamento; ad ogni modo la proposta di direttiva introduce l’obbligo di risultato per gli Stati Membri ed appronta le modalità operative a carico dei soggetti pubblici. Si tratta di una procedura che si istituisce solo su richiesta del contribuente.

Si ritiene che in caso di mancata risoluzione della controversia o della durata eccessivamente lunga della procedura, il contribuente abbia diritto di rivolgersi ai tribunali locali per far rilevare l’inadempimento dello Stato e il conseguente danno economico ricevuto dall’impresa.

CONCLUSIONI