Il controllo del transfer pricing cioè la valutazione economica delle operazioni infragruppo è considerato una attività strategica nell’ambito delle attività di controllo
svolte dalle Amministrazioni finanziarie europee e numerosi documenti di indirizzo domestico e presentati in ambito internazionale delle stesse Amministrazioni lo sottolineano periodicamente. I controlli sul transfer pricing sono strategicamente molto importanti anche nell’ambito di moltissime attività di cooperazione e controllo svolte da Amministrazioni finanziarie, nonché oggetto di progetti internazionali bi/multilaterali.
Controlli e conteziosi tra imprese e Amministrazioni fiscali dei Paesi Membri sono aumentati in modo cospicuo a partire dal 2009.
Infatti lo Stato di residenza della società “dante causa”, della società cioè che effettua la produzione o cede il bene, potrebbe tendere a ritenere che il corrispettivo sia insufficiente a remunerare adeguatamente lo scambio e, a sua volta, lo Stato di residenza della società “avente causa” potrebbe contestare la non proporzionalità per eccesso del costo sostenuto.
La conseguenza di ciò è che questi rapporti commerciali sono divenuti ormai la principale causa di doppia imposizione economica dei gruppi transnazionali, come risulta dall’esito della consultazione pubblica lanciata nell’aprile 2010 dalla Commissione europea. Recenti studi OCSE hanno, peraltro, dimostrato che più del 70 per cento degli scambi commerciali transnazionali avviene tra società appartenenti al medesimo gruppo e ciò in ragione della sempre più evidente tendenza dei gruppi a segmentare per motivi organizzativi e di convenienza economica le tipiche fasi in cui si articola l’attività dell’impresa tradizionale (creazione, produzione e scambio di beni e servizi) affidandole, al proprio interno, a società distinte e il più delle volte insediate in Stati diversi.
La prassi recente dell’Amministrazione italiana, desumibile dalle verifiche fiscali, dimostra che in aggiunta a proposte o accertamenti veri e propri basati sui concetti della circolare del 1980 (che l’attuale giurisprudenza mostra ancora attuali), vi sono
35 controlli basati sul contenuto delle vigenti direttive OCSE, con una sofisticazione anche ragguardevole per gli strumenti di analisi.
A titolo esemplificativo, in alcuni casi i verificatori hanno proceduto a calcolare il margine o a registrare il prezzo conseguito dall’impresa in verifica o dalla sua controllante o affiliata con altri operatori associati per confrontarlo col margine realizzato o col prezzo praticato dalla stessa impresa (o stessa controllante o stessa affiliata) con operatori indipendenti (uso di comparabili interni). Della differenza che provocasse un minor imponibile per l’impresa domestica oggetto di controllo è stata chiesta spiegazione all’impresa in verifica e ove la spiegazione non fosse stata convincente si è proceduto alla rettifica delle operazioni intercompany con conseguente rettifica del reddito.
In altre situazioni i verificatori hanno proceduto all’analisi della posizione complessiva di una impresa associata italiana rispetto ad un indice di redditività netta (Transactional Net Margin Method, TNMM), per confrontarla con quella di operatori indipendenti svolgenti simili funzioni ed estrapolati da un database pubblico (edito dal Bureau Van Dijk, talvolta). Ad esempio, per distributori affiliati italiani si è proceduto al calcolo del ROS (return on sales – redditività delle vendite o cd. margine operativo) confrontando tale indice di redditività con quello di analoghi distributori indipendenti operanti sul mercato, talvolta europeo, talvolta solo domestico (ove possibile).
In altre situazioni ancora si è partiti dall’analisi prodotta dal contribuente per contestarne l’adeguatezza, producendo un “contro studio” atto a determinare i
comparables ritenuti più appropriati per valutare la transazione per il contribuente in
analisi. Comunemente, l’Amministrazione riceve dal contribuente, a giustificazione dei prezzi applicati, uno studio commissionato a professionisti specializzati per un distributore italiano a basso rischio e per il quale i prezzi erano determinati col TNMM con l’indice del ROS (margine operativo sulle vendite).
I prezzi di trasferimento tra produttore estero e distributore italiano sono cioè determinati dopo che venga stabilita una corretta remunerazione (tramite un campione di soggetti comparabili) del distributore stesso. I comparabili sono generalmente individuati in società europee svolgenti attività di distribuzione a basso rischio. I verificatori contestano che i comparabili possano essere di tipo paneuropeo ritenendo adeguati comparabili solo italiani (con un ROS più alto), mentre il contribuente contesta tale scelta ritenendo che i comparabili italiani mostrino anche distributori a più alto rischio rispetto all’attività svolta dal distributore affiliato e quindi funzionalmente più complessi.
Da quanto precede emerge la tipologia di contestazioni mosse dai verificatori e un quadro che suscita qualche preoccupazione. In particolare, le imprese lamentano che in molti casi è mancata da parte degli organi verificatori una reale predisposizione a collaborare con esse, a prendere atto del loro business e delle ragioni a giustificazione dei prezzi di trasferimento da esse utilizzati e realizzati sulla base di studi approfonditi, spesso svolti con l’ausilio di professionisti specializzati del settore. È doveroso sottolineare che nella materia dei prezzi di trasferimento l’OCSE richiede la massima collaborazione dell’Amministrazione con le imprese, sottolineando che in questa materia non vi sono certezze e le soluzioni vanno cercate caso per caso in relazione alla specificità del core business dell’impresa.
D’altra parte, la finalità del regime dei prezzi di trasferimento non è di contestare il valore normale per mere esigenze di gettito, ma di addivenire a una giusta composizione della pretesa dello Stato italiano rispetto a quella dello Stato concorrente, dello Stato cioè in cui ha sede la società controparte contrattuale. Si assiste, invece, sempre più a riprese di ricavi (o a riduzioni di costi) da parte dei verificatori nazionali che non sono accettate dall’altro Stato perché non adeguatamente giustificate, con evidenti effetti di duplicazione di imposizioni.
37 In questo contesto, l’accertamento con adesione sollecitato dagli uffici e il più delle volte accettato dalle imprese non deve trarre in inganno sul fatto che si sia giunti in questo modo ad una ipotetica, pacifica composizione della vertenza. Tale accertamento, infatti, produce effetti nei soli confronti dell’Amministrazione finanziaria del Paese interessato; dunque non evita la doppia imposizione con l’altro Stato in cui risiede la società del gruppo controparte dell’operazione commerciale e, soprattutto, non deve essere considerato sic et simpliciter come ammissione “di colpa” del contribuente, dal momento che a tale accertamento le imprese tendono ad aderire soprattutto perché preoccupate da contenziosi dall’esito incerto e dalle gravose sanzioni previste dai vari ordinamenti.
La Commissione Europea ha raccomandato, con la Comunicazione COM(2014)315 del 6 giugno 2014, l’adozione di strumenti e di procedure specifiche per la gestione del rischio in materia di Transfer Pricing e per le verifiche sui prezzi di trasferimento. In coerenza con queste indicazioni è necessario elaborare e regolamentare una procedura specifica e obbligatoria per le verifiche di Transfer Pricing, scandita da precise fasi da sottoporre a controllo da parte di un team sovraordinato rispetto a quello che conduce la verifica. Ogni step di tale procedura dovrebbe essere regolamentato, partendo dalla comprensione del business e delle politiche di transfer pricing adottate, anche con il supporto di consulenze e competenze esterne specializzate, per arrivare ad una definizione dei prezzi di trasferimento che sia il più possibile coerente con le Guidelines OCSE.