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Il Piano INA-Casa e le Cooperative

Nel documento Il Collettivo di Architettura 1949-1973 (pagine 60-67)

3.5 1951-1973 Conformazione dello studio

5. LA CASA COME SERVIZIO SOCIALE

5.1. Il Piano INA-Casa e le Cooperative

“Parlare di casa, oggi, è come parlare di mangiare: di pane, non di companatico […] i problemi della casa si sono posti quando più si facevan sentire, chiari e urgenti, i problemi sociali”3.

Il problema abitativo alla fine del secondo conflitto bellico è un’emergenza che interessa tutto il paese, aggravata inoltre dai bombardamenti che “hanno distrutto o reso inabitabili il 12% dei locali”4. A Milano, all’indomani della liberazione gli architetti razionalisti cercano una soluzione per la politica edilizia: P.Bottoni ripropone nel 1945 una forma di assicurazione sociale, La casa a chi lavora, in cui vengono coinvolti i lavoratori e in parte anche lo Stato. Un’analoga ipotesi è quella di Diotallevi prevedendo un Fondo nazionale per la casa, “costituito con il prelievo fiscale sulle inevitabili rivalutazioni degli affitti”5. Bisogna però attendere il governo eletto nell’aprile 1948 per una legge organica. Amintore Fanfani, Ministro del Lavoro e della previdenza sociale disegna una legge sostanziale per la ricostruzione, la quale viene approvata il 28 febbraio 1949: è la n.43,

Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori, meglio nota come Piano INA-Casa o Piano Fanfani. Prevede che le nuove

costruzioni vengano finanziate da più attori: lo Stato, i datori di lavoro e i lavoratori dipendenti mediante il trattenimento di una loro quota di stipendio. “Il per cento che l’operaio toglie dalla sua retribuzione è l’elemento profondamente umano e patetico del piano INA-Casa”6. La struttura gerarchica prevede l’istituzione di un organo normativo e vigilante, il Comitato di attuazione, a cui spetta il compito di redigere le norme, distribuire i finanziamenti e i lavori; insieme ad esso la Gestione INA-Casa si occupa delle questioni architettoniche e urbanistiche.

L’obiettivo principale è incentivare la crescita economica attraverso la manodopera la quale, non essendo necessariamente qualificata, mantiene stabile il livello tecnologico già arretrato. Il piano si sviluppa in due settenni (1949-1956 e 1956-1963) nel corso dei quali “la produzione di alloggi di iniziativa pubblica raggiunse comunque livelli senza

3 E.N.Rogers, Una casa a ciascuno, in “il Politecnico” n.4, 20 ottobre 1945, cit., pp. non numerate. 4 M.Grandi, A.Pracchi, Milano guida all'architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1980, cit., 251. 5 Ibidem, cit., p.252.

6 A.Libera, La scala del quartiere residenziale, in “Istituto nazionale di Urbanistica, Esperienze Urbanistiche in Italia”,

precedenti e non più toccati in seguito”7. A Milano l’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) svolge il ruolo di principale finanziatore degli interventi insieme al Comune. Il Piano Fanfani diventa un’importante occasione per architetti e ingegneri coinvolti in gran parte nella progettazione di abitazioni; “su un totale di 17000 architetti e ingegneri italiani attivi in quegli anni, circa un terzo è coinvolto nell’INA-Casa”8.

A fronte dei primi risultati dei quartieri costruiti dal piano, Adriano Olivetti, allora presidente dell’Istituto nazionale dell’Urbanista afferma: “quartieri organici autosufficienti si sono iniziati in questi ultimi mesi a Torino, Milano, Roma […] si tratta di esperienze iniziali di grande interesse”9.

Accanto all’esperienza dell’INA-Casa altre forme di costruzione del fabbisogno abitativo sono le cooperative, associazioni di lunga storia, che crescono molto nel dopoguerra. Il movimento cooperativo italiano si sviluppa all’inizio del ‘900 contemporaneamente ai sindacati operai e alle varie organizzazioni dei lavoratori. Esso deriva in particolare dalle Società Operaie di Mutuo Soccorso che al momento dell’Unità d’Italia esistono solo in Piemonte ma si sviluppano presto su tutto il territorio italiano; “erano 443 con 110000 soci nel 1862 e divennero nel 1885, 4821 con 791000 soci”10. Tali organizzazioni aprono la strada alle società edificatrici cooperative di case operaie. In Lombardia, una delle prime a costituirsi è la Società Cooperativa Edificatrice di Abitazioni Operaie di Milano, nel 1879. Le origini sono umili poiché nasce da un gruppo di soci del Consolato Operaio che a fronte del problema delle abitazioni decidono di versare ciascuno 5 lire in un capitale comune; successivamente viene costituita una Cooperativa con un consistente capitale. Il primo congresso provinciale della cooperazione italiana si tiene nel 1886 all’indomani della Liberazione, quando la ricostruzione si fa sentire come una grande emergenza materiale e morale. Nel 1945 si costituisce la Confederazione cooperative italiane di pensiero democristiano e contemporaneamente il partito d’azione, repubblicano, liberale, socialista e comunista ricostituiscono la Lega Nazionale delle Cooperative e mutue. Nel 1952 le cooperative di matrice repubblicana si staccano per formare l’Associazione

generale delle cooperative italiane; “sono queste le tre associazioni nazionali di

7 M.Grandi, A.Pracchi, Milano guida all'architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1980, cit., 253.

8 P.Di Biagi, La città pubblica e l’INA-Casa, in AA.VV.La grande ricostruzione, il piano INA-Casa e l’Italia degli anni ‘50, a

cura di P.Di Biagi, Donzelli Editore, Roma 2001, cit., p.16.

9 A.Olivetti, Discorso del presidente all’apertura del Convegno, atti del III Convegno dell’Istituto Nazionale di Urbanistica,

“L’urbanistica e l’industria”, Milano 1951, in “Urbanistica” 1951, n.8, p.8.

rappresentanza, assistenza e tutela del movimento che, raccogliendo ciascuna più di mille imprese, sono riconosciute mediante decreto ministeriale”11.

Esse diventano veri movimenti estesi a tutto il popolo; lo statuto della Lega dichiara per esempio “di essere non soltanto movimento di aziende, ma anche movimento di massa, che partecipa attivamente all’azione per un progetto sociale, lo sviluppo della democrazia, e si fa carico dei gravi problemi della società”12.

Dal punto di vista legislativo, i principali provvedimenti che interessano le cooperative, a partire dal 1945, possono essere classificati in:

- D.L. n°399, 8/5/1947 – concede agli enti e alle cooperative un concorso commisurato alla metà della spesa occorrente per l’area e per le costruzioni. Le cooperative sono a proprietà indivisa e inalienabile.

- Legge Tupini n°408, 2/7/1948 – accorda un contributo costante per 35 anni del 4% commisurato alla spesa consentendo che gli alloggi possano essere consegnati, oltre che in locazione, anche con futura vendita.

- Legge Romita n°640, 9/8/1954 – dispone la costruzione a totale carico dello Stato di case per i senza tetto. Gli alloggi vengono consegnati sia in locazione che con futura vendita. Si autorizza a utilizzare lo 0,30% delle somme stanziate per edifici di carattere sociale come scuole, asili.

- Legge n°705, 9/8/54 – assegna i fondi sino agli anni ’58-59. 13

11 N.Dello Mastro, B.Galli, E.Lucchi, Il movimento cooperativo cenni storici, in Lavorare in cooperativa, la cooperazione di

abitazione, Electa per le Edizioni La Biennale di Venezia, Milano 1982, cit., p. 27.

12 Ibidem, cit., p. 39.

13 V.Montaldo, Complessi edilizi cooperativi nell’organismo della città, dattiloscritto, Archivio di V.Montaldo, pp. non

numerate.

Fig.25. I simboli delle associazioni cooperative:

1. Associazione generale delle cooperative italiane; 2. Confederazione cooperative italiane; 3. Lega Nazionale delle Cooperative e mutue.

Successivamente l’art.8 della legge 26 del novembre 1955 n.1148 proroga ed amplia i provvedimenti per l’incremento dell’occupazione operaia, contribuendo con il finanziamento totale delle costruzioni di “abitazioni di cooperative a proprietà divisa ammortizzabile in dieci anni senza interessi; [...] il solo onere rimane l’acquisto del terreno”14. La legge si rivolge a quella parte di cittadini meno abbienti, che singolarmente non possiedono grossi capitali ma, se riuniti in cooperative possono costruire un buon patrimonio: in sostanza “ha esteso in campo nazionale l’esperienza cooperativa sinora limitata alle provincie più evolute dimostrando che [...] possono divenire uno strumento popolare per l’attuazione di una politica della casa per tutti”15. La precedente legge Tupini si avvaleva anch’essa dello strumento cooperativo ma, con la presenza dell’Ente Mutuante che finanziava indirettamente le costruzioni, c’era la possibilità di intromissioni e perdite di denaro; tale legge “si è dimostrata estremamente difettosa, favorendo prevalentemente […] le cooperative-condominio”16 mutando quindi la natura del sistema cooperativistico a proprietà indivisa.

Le Cooperative previste dall’art.8 diventano quindi “stazione appaltante”17; essendo coinvolti solo gli assegnatari ed evitando l’intromissione di enti esterni, “il prodotto edilizio è qualitativamente superiore”18.

Nel territorio milanese si dividono in due gruppi:

- cooperative a proprietà collettiva, indivisibile inalienabile. - cooperative a riscatto.

Le prime sono composte da soci che versano denaro come fosse una banca, adoperando i capitali per la costruzione di alloggi, eventualmente con l’integrazione di mutui bancari. Le cooperative a riscatto “si costituiscono con la prospettiva di ottenere un finanziamento dallo Stato sulla base delle leggi 408 e 705 e in virtù dell’art.8 della legge INA-Casa”19.

14 V.Vercelloni, Le cooperative edificatrici in Lombardia, in “Argomenti di Architettura”, n.4 dicembre 1961, cit., p.49. 15 V.Montaldo, I piani aggiuntivi INA-Casa e le cooperative di abitazione, in “Argomenti di Architettura”, n.4 dicembre

1961, cit., p.20.

16 Ibidem, cit., p.18. 17 Ibidem.

18 Ibidem. 19 Ibidem.

Il documento qui riportato mostra alcune cooperative ed i luoghi di competenza. I componenti del Collettivo di Architettura hanno lavorato per alcune di esse.

Fig.26. Documento riportante le cooperative operative in alcuni comuni della Provincia di Milano. Archivio di Fredi Drugman presso il C.A.S.V.A., Milano.

Se da una parte il piano INA-Casa costruisce gli alloggi necessari e opera un significativo discorso quantitativo, le cooperative mirano a costruire una casa moderna e aderente alle nuove esigenze. L’architetto sostituisce l’ingegnere edificando nuove “case civili, che condizioneranno anche le nuove abitazioni dell’iniziativa privata”20. Alla base di esse c’è una comunità che discute collettivamente i problemi nelle diverse assemblee. La costituzione della cassa di risparmio simboleggia la profonda fiducia che i soci mostrano verso l’associazione; l’essere parte dello stesso nucleo sociale porta alla condivisione del bene pubblico poiché ciascuno ha contribuito attivamente alla sua costruzione. L’edificazione delle abitazioni comporta non solo la dotazione di un certo numero di alloggi con un certo numero di vani ma anche l’inserimento di tutti i servizi necessari alla vita collettiva: “campi da gioco per bambini, lavanderie automatiche, [...] circoli ricreativi e culturali”21. Il discorso esce quindi dal singolo lotto estendendosi alla scala urbana; la città stessa deve diventare co-protagonista tramite la cessione di aree pubbliche. “Il presupposto fondamentale per qualsiasi politica edilizia è la costituzione di un patrimonio fondiario comunale”22 poiché è proprio il reperimento delle aree che in certe città diventa difficile; “a Milano l’incidenza del terreno su un locale di abitazione si aggira attorno a 30- 40% del suo costo finale”23. La cessione del suolo non è da intendersi a titolo gratuito ma attraverso il diritto di superficie, quindi l’ente che andrà a costruire dovrà, dopo un certo numero di anni, riconsegnare il bene all’amministrazione. In questo modo il bene costruito rimane di proprietà comunale. La questione a grande scala deve quindi comprendere quale “sia la quota di città che spetta a ogni famiglia e che spetta quindi a ogni alloggio”24 .

La casa come servizio sociale è intesa come un preciso problema della società pertanto non può essere affidato solo al privato ma deve considerarsi “come parte dell’insediamento: e perciò sempre e con le analisi specifiche, in rapporto con il territorio che la accoglie, con la quantità e qualità dei servizi, ecc., con il sistema dei trasporti e della viabilità”25. La casa in Italia non è concepita come oggetto d’uso poiché “circa il 60%

20 V.Vercelloni, Le cooperative edificatrici in Lombardia, in “Argomenti di Architettura”, n.4 dicembre 1961, cit., p.48. 21 Ibidem.

22 V.Montaldo, I piani aggiuntivi INA-Casa e le cooperative di abitazione, in “Argomenti di Architettura”, n.4 dicembre

1961, cit., p.20.

23 V.Montaldo, Complessi edilizi cooperativi nell’organismo della città, dattiloscritto, Archivio di V.Montaldo, pp. non

numerate.

24 V.Montaldo, La casa come servizio sociale, introduzione al dibattito tenuto a Monza per iniziatica del circolo monzese

del Cinema e Collegio Regionale degli Architetti, Monza 1965, Archivio di V.Montaldo, cit., p.13.

25 V.Vercelloni, Alcune note sulla questione della casa, maggio 1979, Unità archivistica CA 16/01, Archivio di Virgilio

delle famiglie italiane abita in case di proprietà”26, intendendola come simbolo di prestigio. Il condominio è in questo senso il modello “imposto dalla classe dirigente alle classi subalterne”27 in cui l’individuo può esprimere, nell’interno dell’abitazione, il suo status.

Una delle maggiori battaglie che il Collettivo di Architettura porta avanti è quindi il carattere pubblico della residenza; in essa si raccolgono gli interessi della collettività e quindi “la soluzione della casa non può essere abbandonata alla spontaneità […] ma come soddisfazione diretta di un bisogno individuale […] e collettivo”28.

“La casa va considerata un bene d’uso, con una sua vita esattamente individuata nel tempo ed un suo costo d’esercizio simile concettualmente a quello di un qualsiasi altro bene d’uso: ad esempio un’automobile, […] ancorare quindi la casa ad un concetto di immobilizzo di risparmi familiari e di ereditarietà, o peggio identificarla con una idea di libertà e di dignità, significa mantenersi legati ad un concetto invecchiato”29.

La forma del condominio, cui corrisponde la privatizzazione degli alloggi, è l’elemento dannoso alla città poiché il suolo urbano, venendo privatizzato, non sarà facilmente suscettibile, nel futuro, di un programma urbano organico: “l’imprenditore non ha alcun interesse nella qualificazione dell’alloggio […] valutato non sulle reali necessità da parte dell’acquirente ma sulla sua capacità di reddito”30.

La vendita dell’alloggio nel libero mercato ha “subordinato la tipologia non alle reali esigenze della famiglia ma al suo reddito”31.

26 V.Vercelloni, Quantità-qualità, morfologia urbana/tipologia edilizia, Tre interventi nell’area milanese di Virgilio Vercelloni,

dattiloscritto, pp. non numerate, Unità archivistica CA 16/01, Archivio di Virgilio Vercelloni presso il C.A.S.V.A., Milano. Lo scritto in questione è una bozza per un articolo pubblicato su “Domus”, n.606 maggio 1980, pp.20-23.

27 V.Vercelloni, Alcune note sulla questione della casa, maggio 1979, Unità archivistica CA 16/01, Archivio di Virgilio

Vercelloni presso il C.A.S.V.A., Milano. dattiloscritto, cit, pp. non numerate.

28 V.Montaldo, La casa come servizio sociale, introduzione al dibattito tenuto a Monza per iniziatica del circolo monzese

del Cinema e Collegio Regionale degli Architetti, Monza 1965, Archivio di V.Montaldo, cit., p.13.

29 V.Montaldo, I piani aggiuntivi INA-Casa e le cooperative di abitazione, in “Argomenti di Architettura”, n.4 dicembre

1961, cit., p.20.

30 V.Montaldo, Convegno Nazionale sull’edilizia residenziale, Atti InArch, Roma 8-9-10 febbraio 1964, cit., p.748. 31 Ibidem.

Nel documento Il Collettivo di Architettura 1949-1973 (pagine 60-67)