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Storia delle aree e delle strutture urbane

A. PIAZZA ROVETTA

Durante il corso del diciannovesimo e ventesimo secolo, l’area fu inte- ressata da una serie di proposte progettuali. La prima, dell’architet- to Antonio Tagliaferri, risale al 1878 e prevedeva che, addossato al

corpo scala cinquecentesco della Loggia, si costruisse un palazzo per uffici comunali. L’idea rimase stabile in tutti i progetti urbanistici suc- cedutisi per la zona, compresi i molti presentati al concorso del 1927.

16. Sezione palazzo per uffici comunali addossato alla Loggia proposta progettuale mai realizzata dell’architetto A. Tagliaferri (fonte sito Rete.comuni italiani)

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Nel 1939 sembrò essere giunta, anche per questo problema, l’ora della soluzione. Le ultime vicende amministrative relative ai tentati- vi di costruzione del palazzo per gli uffici erano sfociate nell’incari- co conferito, nel maggio 1924, all’ingegnere Giovanni Tagliaferri, quale erede parentale e intellettuale dello zio Antonio, perché ri- formulasse il progetto presentato 46 anni prima. Il progetto passò quindi di mano, giungendo alla responsabilità dell’Ufficio Tecnico comunale nel 1931. Il momento era denso di eventi e la questione slittò sino a quando il commissario prefettizio Renato Pascucci, nella primavera del 1937, volle rinnovare il mandato ai propri tecnici perché fosse nuovamente preso in considerazione il progetto del palazzo comunale nella piazza Rovetta da riconvertire. Nel 1938 si procedette alla stesura del disegno definitivo e agli espropri delle numerose case che ancora sorgevano nella piazza, nonostan- te le molte demolizioni eseguite alla fine dell’Ottocento, nel 1904 e nel 1906. Ancora esisteva il nucleo a pianta curvilinea, volto verso nord e occidente, addossato al corpo della scala antica della Log- gia e anche oltre, a definire l’imbocco nord del corsetto S. Agata. Questo nucleo di antiche case, caratterizzato anche da interes- santi peculiarità architettoniche che hanno motivato, unitamente

ad altri indizi, l’ipotesi che esso sorgesse per concrezione mura- ria sopra i ruderi dell’anfiteatro romano di Brixia, venne demoli- to nel corso del 1939, per lasciare posto al palazzo degli uffici. Il progetto del nuovo edificio, dalla forma di un grossolano pa- rallelepipedo, fu approvato dalla soprintendenza e dal Consiglio superiore delle belle arti, nonostante le demolizioni che implicava e con un totale disinteresse per i sedimenti archeologici che nell’o- perazione si sarebbero potuti indagare. Era previsto che l’edificio, rivestito con lastre di botticino e costruito secondo tecnologie stret- tamente autarchiche, con la riduzione quindi al minimo del cemento armato, si componesse di cinque piani ed un seminterrato. L’inter- vento prevedeva di raccogliere nel nuovo fabbricato tutti gli uffici comunali, allora sparsi in molte case del centro, tranne l’ufficio di

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18. Planimetria progettuale focalizzata sulla costruzione del palazzo per i nuovi uffici a nord della Loggia: area quadrettata (fonte Brescia Littoria di F. Robecchi)

igiene e la caserma dei vigli urbani, che sarebbero stati alloggiati nel palazzetto Martinengo-Avogadro, già di proprietà del comune e posto su retro della Loggia. Nel dicembre del 1939, però, la realizzazione dell’edificio era già bocciata, tanto che venne avan- zata anche l’idea di liberare ulteriormente il municipio rinascimen- tale, abbattendo anche il corpo scala che pure è coevo. Per creare gli uffici, si tornava a parlare di uno sventramento da effettuarsi nel corsetto S. Agata, secondo idee che sarebbero state ripropo- ste, al termine della guerra, soprattutto dall’ingegner Debbeni.

La soluzione dell’annoso problema sembrò invece provenire dall’acquisto da parte del Comune dell’area del vecchio ospe- dale, per la quale infatti, fu abbozzato, come si è detto, qualche progetto comprendente anche il palazzo per i nuovi uffici comunali. L’operazione di piazza Rovetta comportò un’importante modifica- zione dell’assetto sotterraneo della città. L’antico alveo del tor- rente Garza giaceva lungo la cinta muraria della città e, alla fine del XIV secolo, nel vecchio alveo continuavano a scorrere i canali Bova e Celato, che da tempo immemorabile scorrevano in quel corso confluente nel Garza. La prevista costruzione del palazzo per gli uffici sconsigliò, per motivi di opportunità tecnica, di man- tenere negli scantinati il corso d’acqua. Esso fu quindi deviato e intubato con un’ansa che, da piazza Rovetta, portò i canali riu- niti di fronte alla Loggia, nell’omonima piazza, prima di farli ri- entrare nel vecchio alveo a valle della stessa. Rimase quindi a secco la grande galleria quattrocentesca, che ancora si trova sot- to il portico della Loggia e che già nel 1939 fu predisposta ad un riutilizzo come rifugio antiaereo. In quello stesso anno, tutta- via, si ammetteva che la demolizione delle case di piazza Rovetta

21. Demolizioni degli antichi fabbricati aderenti alla Loggia, nel 1939, per liberare l’area su cui sarebbe dovuto sorgere il palazzo degli uffici comunali (fonte Brescia

costituiva un’eccezione, poiché le casse comunali erano esauste e al più impegnate nella ricerca di soluzioni al problema abitativo, che da anni aveva iniziato a imporsi di nuovo come prevalente. Dopo un periodo di stallo, dovuto principalmente alle distruzio- ni materiali e ai sacrifici economici imposti dalla seconda guerra mondiale, solo alla fine degli anni Settanta si incominciò a pren- dere nuovamente in considerazione possibili interventi nell’area di piazza Rovetta. Nel quadro degli interventi di riqualificazione

previsti dal Piano Regolatore del 1977, ci fu anche una propo- sta di Leonardo Benevolo. Il progetto prevedeva la copertura del mercato con una struttura a travatura reticolare, contenente nel suo spessore l’ampliamento degli uffici della Loggia e una nuova

sala consiliare. La copertura, su tre livelli lievemente sfalsati, era sorretta da fasci di tubi metallici del diametro di 15 centimetri. Al di sotto, il pavimento del piano aperto a livello del suolo riprodu- ceva, con campiture in mattoni, il disegno degli spazi occupati da- gli antichi edifici demoliti. Il progetto, di forte impatto, denunciava apertamente i suoi riferimenti: il progetto di Samonà nel concorso per l’ampliamento di Montecitorio (1967) e la piazza coperta di Kenzo Tange per l’esposizione di Osaka. Non se ne fece nulla.

Anche la proposta “giocosa” dell’architetto Marco Fasser, nel 1987, riprendeva il disegno planimetrico delle costruzioni de- molite alla fine dell’Ottocento, in base al piano di risanamento di via San Faustino, e nel 1939, per creare lo spazio necessa- rio alla costruzione di nuovi uffici comunali. Ponendosi criticamen-

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te rispetto alla nozione stessa di arredo urbano, Fasser prevede- va non solo una ripavimentazione che rispecchiava l’articolazione planimetrica del demolito, ma anche un piccolo congegno, qua- si un’installazione artistica. Sulla base di un dipinto del 1851 di Gian Battista Ferrari, riproducente lo stretto spazio antistante il lato nord della Loggia, chiuso tra le case e occupato da un la- ghetto con al centro un largo molo, proponeva una grande vasca d’acqua che riproducesse le dimensioni del cavedio e del molo e che presentasse raffigurata sul fondo l’immagine riflessa del luo- go ritratto dal Ferrari. L’operazione di Fasser, più leggera, era capace di evocare il palinsesto urbano e anche, come un artifi- cio di teatralità urbana di età barocca, di suscitare meraviglia. La sistemazione di Piazza Rovetta torna nel Piano Regolatore del 1997 di Secchi, che affronta il tema attraverso lo strumen- to dello schema di progetto. La lettura che dà del luogo è de- cisamente improntata al mantenimento del vuoto, a valorizzarne programmaticamente le potenzialità di luogo centrale per i pe- doni, per la sosta, per lo svolgimento del mercato, “di giorno e di notte”. Tutte le indicazioni del progetto sembrano concentrar-

si sul suolo, sul valore dei cambi di pavimentazione in rapporto alle differenze di quota e di uso, mentre trattano con estrema laconicità la pensilina, per la quale si limitano a proporre una struttura di metallo o di altro materiale idoneo per la copertura. Sulla base dei curricula pervenuti, l’incarico della sistemazione di piazza Rovetta venne conferito al professor Giorgio Lombar- di, urbanista di formazione, allievo di Benevolo, già impegnato in progetti di recupero del centro storico e coautore del progetto di risistemazione delle piazze centrali (poi accantonato) con Andreas Brandt. Il suo progetto non suscitò alcun entusiasmo, in quanto risultò più schematico dello stesso schema di progetto di Secchi: la pensi- lina apparve più povera che essenziale, con dettagli privi di qual- siasi appeal, non per scelta minimalista ma per deficit progettuale. Esteticamente non elegante, funzionalmente quasi inutile, la pensi- lina era comunque stata metabolizzata dal contesto urbano, forse proprio per la sua assenza di qualità spiccate. Il mercato coperto che si svolgeva vedeva una massiccia frequentazione di cittadini, soprattutto extracomunitari. Per impedire che un luogo centrale non esibisse caratteri di «brescianità autentica» e cancellare i segni

della giunta precedente, fu presa la decisione di rimuovere pri- ma, con pregiudizio della integrità progettuale, le panchine, e poi la pensilina stessa. Vi furono alcuni interventi sui quotidiani, molti interventi sui blog locali, e il dibattito culminò in un’assemblea pub- blica, sotto la pensilina: la stragrande maggioranza delle opinioni, pur non stimandone la valenza architettonica, era contraria, indi- viduandone saggiamente il carattere di non priorità soprattutto in relazioni ai costi stimati. Ciò nonostante la giunta prosegue, la pen- silina viene smontata e nel 2009 viene bandito un concorso di idee. A tale concorso partecipano 105 progetti provenienti da tutta Ita- lia e la proposta prescelta è frutto della matita di un valente pro- fessionista bresciano, tecnicamente capace, Giuliano Venturelli, che però propone un oggetto di design dal carattere atopico se non

addirittura antiurbano. Un’architettura che nega il rapporto con il suolo, con l’attacco a terra, disconosce gli allineamenti, rifiuta il confronto con le facciate, denunciando una ansiosa provvisorietà che la precedente pensilina, pur nella sua povertà architettonica, aveva saputo, proprio grazie all’uso che nonostante tutto se ne faceva, placare. Il cosiddetto «cubo bianco», ospite inquietante del cuore urbano, suscita più lo scontento del dibattito che avreb- be meritato, e, in conseguenza anche dei costi (un milione e mez- zo circa) abbandona la piazza dove si era posato per lo spa- zio di un sogno, il sogno cavalcato soprattutto dall’assessore ai lavori pubblici Mario Labolani, lasciandola più spoglia di prima.

27. Vincitore concorso di idee per Piazza Rovetta del 2009 di Giuliano Venturelli, mai realizzato, prospetto (fonte sito Europaconcorsi)

A questo punto sbuca la nuova proposta: installare, sia pure prov- visoriamente, un teatro dei burattini. Stavolta è realizzata low cost (40 mila euro) ma anche low profile: erba sintetica e quattro pan- che in corten laterali, un fabbricato da cantiere con anteposta una facciata in legno non finita, il tutto racchiuso da una rustica staccio- nata. Riassumendo: si sono spesi 400 mila euro circa per lo sposta- mento, 100 mila per fare il concorso, 40 mila per una sistemazione provvisoria: mezzo milione di euro per fare un salto all’indietro.

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