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IL SISTEMA IDRICO BRESCIANO

Storia delle aree e delle strutture urbane

B. IL SISTEMA IDRICO BRESCIANO

L’esplorazione del sottosuolo della città di Brescia è l’obiettivo che si è prestabilita l’associazione “Brescia Underground”, nata nel 2006 dalla collaborazione di un gruppo di giovani bresciani, con l’iniziale aiuto del comune. Essa ha potuto documentare parte dell’intricato reticolo di rogge, fiumi, ponti, canali nascosti sotto il centro storico: rivi come il Garza, il Bova, il Celato, la Garzetta, Molin del Brolo e molti altri ancora privi di mappatura, che un tempo scorrevano alla luce del sole, servendo le numerose bot- teghe artigiane e gli opifici siti sulle rive degli stessi, e che oggi, dopo tre secoli di stratificazioni dell’urbanizzato, si ritrovano re- legati nel sottosuolo. La meticolosa e continua attività di ricerca condotta dai giovani dell’associazione ha permesso di riporta- re alla luce una serie di reperti di differenti periodi storici, che raccontano, come una linea del tempo, l’evoluzione della città. Le differenti profondità dei resti e le successive tamponature e mo- difiche visibili creano un vero e proprio “percorso” storico delle vi- cende che si sono susseguite nei secoli. Sviluppando una linea tem-

porale, possiamo individuare come più distanti da noi i residui di origine romana, come il ponte in pietra di 7,5 m per 2,5 m presente sotto largo Formentone, posto ad una profondità di 50 cm circa, quasi inglobato nel manto stradale. Nel quindicesimo secolo circa furono coperti parte dei fiumi per lasciar spazio alla costruzione di opere di ingegneria e monumenti: i maestri veneziani chiamati a Brescia crearono coperture voltate a crociera in laterizio, quasi

una celebrazione dell’acqua, visto che la ricercata fattura rima- se relegata nel buio del sottosuolo. Dal periodo medievale alla metà del diciannovesimo secolo, come documentato da Giobatta Ferrari nel suo quadro del 1851, parte dei rivi a cielo aperto e il laghetto che sorgeva nell’attuale Piazza Rovetta a nord della loggia venivano utilizzati dalla comunità per le funzioni quotidiane, mentre le botteghe trasformavano la forza dell’acqua corrente in energia grazie ai mulini. Le successive e ultime modifiche risalgono al periodo del fascismo, quando parte dei percorsi subirono cam- biamenti dei tragitti con il conseguente rifacimento dei condotti di trasporto dell’acqua (cemento armato): un esempio è costituito dallo spostamento e dalla successiva demolizione delle voltature del rivo sottostante la Loggia, spostamento attuato per consentire la realizzazione del progetto fascista della biblioteca sotterranea, progetto in realtà mai concretizzato. Le varie vicissitudini storiche susseguitesi nei secoli hanno dato vita ad un complesso sistema di rivi che, attraverso i residui dei portoni, delle finestrature, dei mu- lini che affacciano sugli stessi, offrono l’immagine di una città con- traddistinta nel tempo dallo scorrere dell’acqua, fonte di vita e di sussistenza. Durante il percorso di studio dell’area di progetto,

in occasione della visita del sottosuolo di Brescia effettuata insie- me ai giovani dell’associazione, abbiamo riscontrato la presenza di una serie di realtà idrografiche fondamentali per lo sviluppo dell’area, tra le quali, al di sotto della piazza, il fiume Bova che, percorrendo il Carmine, sfociava all’interno del laghetto a nord- est della loggia, oggi completamente interrato e visibile almeno in parte grazie ai lavori sotterranei di scavo iniziati nel 2012.

Il panorama idrico dei primordi si pone come naturale premessa di ogni utilizzo umano. Risulta indispensabile ricercare su quali risorse idriche si basò il registro della dialettica fra le attività umane e il dato naturale. Emergono evidentemente, in tale panorama, i corsi d’acqua sulla cui consistenza e sul cui andamento abbiamo qualche certezza, benché si possa risalire nel tempo per non più di qualche millennio. È pur noto che quelle che appaiono, a uno sguardo inge- nuo, le coordinate immutabili del panorama naturale hanno invece anch’esse una storia. Non occorre riandare a epoche preistoriche per trovare fiumi dove prima non ne scorrevano, coste dove prima c’era campagna: le continue modificazioni del territorio lo stan- no a dimostrare. È tuttavia indubitabile che corsi d’acqua come il fiume Mella e il torrente Garza hanno interessato l’area di Bre-

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33. Percorso sotterraneo del fiume Bova (fonte sito Bresciaunderground)

scia fin dall’origine dei tempi storici. Certamente anch’essi furono soggetti a un’evoluzione, ma sostanzialmente la loro presenza può esser tracciata tra le più certe nell’ipotetica mappa dei primordi. 1. Il Mella

Il Mella, che trae origine dalla conca di chiusura settentrionale della Valle Trompia, nell’area del Maniva, e sfocia nell’Oglio, a Ostiano, dopo aver percorso 96 chilometri, è sempre stato per la città di Bre- scia, rispetto al cui nucleo storico scorre ad occidente, un riferimento importante, sia spaziale che funzionale. Se da una parte esso fornì all’area cittadina la percentuale maggiore della forza idraulica e costituì la fonte principale dell’approvvigionamento per l’irrigazio- ne, dall’altra rappresentò un notevole problema per l’assetto viario, risolto, in epoca romana, con la costruzione di tre ponti fondamen- tali: quello chiamato delle Crotte, sulla strada per Gussago; quello detto di S. Giacomo, orientato a Rovato e Milano; quello, più me- ridionale, di Roncadelle, rivolto a Orzinuovi. Il fiume pesò sulla vita bresciana anche per altre caratteristiche negative, inscindibilmente legate ai corsi d’acqua. Le piene ricorrenti e gli straripamenti disa-

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strosi costellarono la storia del rapporto fra la valle, la città e il fiu- me, con episodi particolarmente drammatici. Le alluvioni sussegui- tesi nel corso dei secoli interessarono l’intera geografia cittadina, giungendo ad interessare anche la parte occidentale della città. Nonostante l’antagonismo periodico e incombente, la simpatia degli abitanti nei confronti del Mella finì sempre con il prevalere, come si intuisce dal lusinghiero nome assegnato al fiume, che, secondo alcu- ne interpretazioni, potrebbe derivare dal termine latino “mel”, cioè “miele”, e alluderebbe al colore spesso fangoso delle sue acque. Il fiume infatti fornì in quantità beni quali il pesce, la ghiaia e la sab- bia, che ebbero una significativa parte nella storia economica del- la città, animandone i traffici commerciali. L’escavazione dei mate- riali da costruzione è ancora oggi intensa in ampie zone di depositi alluvionali antichi. Il fiume produsse anche le argille, fondamentali per la costruzione della città, da sempre cavate nella zona di For- naci, tradizionale fornitrice di laterizi. Le pietre calcaree trasporta- te nel letto del fiume, consentendo la produzione di calce, comple- tarono il tributo di materiale edilizio di cui si avvalsero i bresciani.

Il Mella viene ripreso nei celebri versi di Catullo, che, nel carme LX- VII, scrive: «Brixia Cycnae supposita speculae, / flavus quam mol- li percurrit flumine Mella, / Brixia Veronae mater amata meae», «Brescia stesa ai piedi del poggio Cidneo, mollemente solcata dal biondo Mella, Brescia, amata madre della mia Verona». Su que- ste parole si è a lungo discusso, almeno a partire dal XVI secolo, quando Elia Capriolo obiettò che Catullo non si riferisse al Mella, ma piuttosto al Garza. Nel 1739 Paolo Gagliardi riprese la critica condividendola, chiedendosi come si potesse definire Brescia sol- cata dal Mella quando esso scorreva, all’epoca di Catullo, distante circa tre chilometri dalla città. Si volle forzare la realtà pensando a una Brescia antica molto più spostata ad ovest, ipotesi che già il Gagliardi scartava, considerando, sia pure in base alle poche notizie allora disponibili, che era vero esattamente il contrario e cioè che l’antica città era sorta a est di quella successivamente sviluppatasi. Il Gagliardi sosteneva l’ipotesi, poi quasi unanime- mente condivisa, che il nome “Mella” fosse stato certamente con- fuso con quello che indicava il torrente Garza. “Melo” o “Molone” sarebbe stato il suo antico nome, che ancora denomina quello che fu l’originario tratto meridionale del Garza, a partire dal paese

che ancora da tale equivoco toponomastico trae il proprio nome: Bagnolo Mella. Questo abitato, contrariamente a località che sono più chiaramente legittimate a trarre il loro nome dal fiume, come Pavone Mella o Urago Mella, è infatti distante quattro chilome- tri da esso. Questa importanza, anche simbolica, del Mella nel carattere globale di Brescia si avvicina un poco al valore imma- ginario che i fiumi, e le acque in generale, hanno sempre avu- to. Il Mella poté fornire a Brescia una parte importante della sua ricchezza. Oltre alle decine di officine cui contribuì a dare vita,

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38. Veduta sintetica a volo d’uccello di Brescia dei principali corsi d’acqua (fonte Aqua

soprattutto nella materna Val Trompia, esso ha al suo attivo una selva di derivazioni che hanno irrigato e irrigano i campi dell’a- gricoltura periurbana, della valle e della prossima pianura. Infine, il Mella fu anche candidato per fornire acqua potabile alla città. 2. Il Garza

Un altro corso d’acqua originario e importante per Brescia è il Garza. Anch’esso appartiene a quella dotazione idrica iniziale sul- la quale andrà sviluppandosi ogni successiva vicenda storica. Il tor- rente ha origine nell’area del monte Prealba (Val di Fles), la zona montuosa fra le valli di Sabbia e Trompia, a nord di Caino. Muove dapprima in direzione est-ovest, nella valle che da esso prende nome, comprendente Caino e Nave, poi, aggirato lo sperone mon- tuoso che digrada tra Bovezzo e Mompiano, devia a sud, scen- dendo nel area in cui sorse la città di Brescia. Ben più del Mella, questo corso d’acqua si legò strettamente alla vita di Brescia sotto il profilo economico funzionale, attraverso un’interazione che por- tò anche vistose modificazioni del suo corso nonché del suo nome. Si è già accennato a come, in epoca romana, esso venisse pro-

babilmente chiamato “Melum”, nome poi trasformato in “Melo” o “Molone” e ancora conservatosi nel moncone rimasto a sud di Ba- gnolo. Nonostante le affinità con l’etimo di “cardo” e “sgarzare”, la ricerca dell’origine del nome “Garza” si orienta in genere verso la lingua longobarda, che avrebbe modificato la denominazione latina in conseguenza della funzione difensiva assunta dal corso d’acqua soprattutto nel centro urbano, in stretta connessione con l’area della corte del duca longobardo, la “curia ducis”. Il termine “wardia”, “guardia”, avrebbe originato i nomi di Garda, Gardone e anche del Garza, che mantenne effettivamente una funzione di- fensiva anche in un castello presso Bagnolo. Solo la valle “Bagnolo del Melo” avrebbe ripreso il suo nome latino, come appare anche nella citazione del “Mulone”, nel 1165, presso Porzano, a sud di Bagnolo. La grafia più antica, di inizio millennio, è però “Cartia”. Di fatto assume una tale valenza generale che nei dintorni della città si contava una serie innumerevole di rivoli e canali chiamati Garza, Garzetta, Garzetto, cosicché esso diviene quasi un nome comune per indicare qualunque ruscello o roggia, con i conseguenti equivoci in- terpretativi. Nel dialetto assunse, come il Mella, il genere femminile. Il torrente scorreva a ovest della città più antica, senza neppure

39. Il Garza-Bova lungo via San Faustino quando scorreva scoperto e si fondeva al Celato, sulla destra (fonte Aqua Brixiana di F. Robecchi)

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sfiorarla. Solo nella fase tardo- antica e longobarda l’espansione verso occidente della città finì con il raggiungerlo e forse lungo le sue rive venne disposta un’effimera linea fortificatoria. In epoca romana, il torrente “biondo” fu attraversato da almeno due ponti, i cui resti furono rinvenuti all’incirca dove via IV Novembre costituisce il lato sud di piazza della Vittoria (ponte che nel medioevo fu detto dei Torzani) e presso la base del cosiddetto “torrione” all’angolo nord-ovest della medesima piazza: quest’ultimo, nel medioevo, fu chiamato ponte di S.Agata. Ma un ponte doveva certamente esi- stere anche sul decumano massimo, poi cursus magnum, nell’attua- le piazza Rovetta, nel XII secolo detto “pons de arcu”, dal nome della località Arco Vecchio, e un altro, ben documentato in epoca medievale, doveva trovarsi all’incrocio fra via S. Faustino e con- trada del Carmine: “pons marmoreus super Gartiam”, che diede il nome anche a una porta urbica nella cinta del XII secolo, detta del Ponticello. Erano ponti collocati sulle direttrici viarie più importanti dell’epoca, verso Orzinuovi, Milano, la Val Trompia e il lago d’Iseo. È stata avanzata anche l›ipotesi che il torrente Garza, sulle cui rive suburbane i Romani crearono probabilmente delle officine metal-

lurgiche, si trovasse a sottopassare un anfiteatro che si suppone fosse stato costruito in asse con il torrente e venisse utilizzato per spettacoli e pulizie nell›area dell›attuale piazza Rovetta e palazzo della Loggia. Proprio il Garza potrebbe aver causato la distruzio- ne di quella struttura, forse durante una delle tante piene disastro- se, la più antica delle quali viene riferita all›epoca longobarda. Benché il torrente abbia notevolmente influito sulla storia della cit- tà, sulla sua morfologia, esso non fu mai considerato dalla citta- dinanza come significativo elemento della propria identità. Non possediamo, ad esempio, neppure una veduta grafica o pittorica del suo corso urbano, se si esclude una suggestiva inquadratura settecentesca. Il torrente attraversa la città quale andò formandosi con l›ampliamento del XIII secolo, esattamente nella sua porzione mediana, dividendola con un asse nord-sud. Era quindi assai intimo alla città, ma non ebbe su di essa un impatto positivo. Piuttosto, fu sempre avvertito come elemento rischioso, sinistro e anche un po› malefico, tanto da assumere connotazioni magiche, come si intuisce dalla memoria degli strani riti pagani che, ancora nel Quattrocen- to, si svolgevano sulle rive del Garza durante le festività pasquali.

3. Il dialogo tra i corsi d’acqua e la città

Gli acquedotti vanno annoverati fra i manufatti più evoluti delle civiltà antiche. Le risorse originarie, infatti, dovevano essere gover- nate per divenire realmente utilizzabili, e così avvenne per Brescia, in tempi molto precoci. La storia degli acquedotti bresciani si svol- ge lungo duemila anni e risulta inoltre estremamente complessa. Gli studi su questo tema sono scarsissimi e riguardano sostanzial- mente le poche costruzioni di epoca romana, sulle quali per altro continuano a sussistere non pochi dubbi. I dati essenziali e certi, comunque, sono i seguenti. Non esiste alcun dubbio che un antico acquedotto venne costruito in epoca romana (vi è unanime consen- so sulla datazione all’epoca degli imperatori Augusto e Tiberio), come documentano gli innumerevoli reperti di tratti del condotto in muratura, originatisi, presumibilmente, nella valle del torrente Gobbia, detta anche di Lumezzane, e, in modo comprovato, alla confluenza di questa con la Valle Trompia e alla cosiddetta strada di Pendenza, sulla sponda sinistra del Mella, a nord di Pregno.

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In questa zona esiste anche un ramo di acquedotto di epoca incer- ta, sempre a nord di Pregno, ma nelle aree della riva destra del fiume, nella zona di Villa. Il percorso è ben documentato. Il cunicolo giaceva a est del Mella, transitava per Concesio, giungeva al colle di S. Giuseppe, sulle cui pendici si adagiava per rimanere in quota, sfiorando in modo estremamente significativo la fonte di Mompia- no, sopra il cui laghetto passava, a una quota di circa 9 metri, per- venendo quindi, dopo aver percorso le pendici dei Ronchi, da est al colle Cidneo, ad una quota intorno ai 180 metri sul livello del mare. Di lì l’andamento risulta incerto, anche se un’informazione fornita da Giovanni Da Lezze nel 1610 accenna a dei resti presso la chiesa di S. Urbano, che si trovava all’incrocio fra la via e il vicolo intitolati al medesimo santo: se ne desume un presumibile percorso obliquo del condotto idraulico, discendente lungo le pendici meri- dionali del Cidneo verso la città romana, da nord-est a sud ovest. Tutto potrebbe sembrare semplice, sennonché, come si vede, resta esclusa da questa struttura la fonte di Mompiano, che invece fu fornitrice di acqua potabile a Brescia per gran parte della sua storia, almeno per tutto il nostro millennio. L’uso che si fece per molti

dei secoli più recenti di quella fonte e del relativo acquedotto ha indotto alcuni studiosi a ritenere che anche la fonte di Mompia- no fosse stata sfruttata dai Romani. Ne sembravano testimonianze non solo l’acquedotto che dalla fonte di Mompiano giungeva in città, anche se mai documentato come di origine romana, ma an- che i reperti, questi sì romani, trovati in epoca più recente in città, in tutt’altra posizione rispetto a quella del condotto proveniente

dalla val Trompia, e coincidenti con l’acquedotto più moderno di Mompiano, cioè a monte e a est delle vie S. Chiara e Gasparo da Salò, sul versante occidentale del Cidneo. Tratti di questo condotto sono stati reperiti anche a nord del colle, effettivamente orientati a settentrione, quindi, forse, in direzione della fonte di Mompiano. Si è però in assenza di reperti a partire dall’incrocio fra le attua- li vie S. Rocchino e Grazioli. Benché presso la fonte di Mompia- no siano stati rinvenuti reperti archeologici romani (forse termali, monete, embrici nel 1901), non esistono elementi certi per affer- mare che esistesse una captazione della fonte in epoca romana. Il condotto di pianura trovato a partire da via S. Rocchino potreb- be essere una diramazione di quello di collina, della val Trompia, magari ottenuta biforcando il condotto nella zona poco a valle della chiesa di S. Rocchino. Di lì un condotto con forte pendenza e su ponte canale ad arcate potrebbe aver portato acqua nella via di valle, il che spiegherebbe anche l’origine del toponimo “Ponte Alto”, che denomina proprio quel punto. A complicare la compren- sione del sistema, in alcuni tratti il condotto romano di pianura ri- sulta costituito, in modo del tutto eccezionale, da due tunnel affian-

cati, certamente contemporanei, che si trovano anche nel tratto di città. Tale segmento romano dall’acquedotto di città non doveva spingersi oltre la zona in cui poi invece fu prolungato, deviando decisamente a est, nell’area della chiesetta di S. Faustino in Riposo. Come si vede, gli elementi disponibili pongono vari interrogativi. Il ramo di condotto ritrovato in contrada S. Chiara proveniva già in epoca romana dalla fonte di Mompiano, come poi forse avvenne con il riutilizzo e le modifiche documentate in epoca longobarda? O invece in epoca romana esisteva solo il condotto della Val Trom- pia, semmai biforcato, che portava un ramo anche in contrada S. Chiara? Se il tratto Mompiano-Brescia fu successivo a quello della Val Trompia, i due acquedotti convissero o il secondo fu sostitui- to dal primo? Perché mai gli antichi bresciani avrebbero dovuto andare a cercare l’acqua fino nei pressi di Lumezzane, a 25 km di distanza, quando avevano la possibilità di utilizzare quella ot- tima di Mompiano, che sgorgava a soli quattro chilometri? Forse la fonte ancora non esisteva, o la scelta derivò da questioni di quota, per avere cioè acqua anche nell’insediamento originario della città, sul Cidneo? O, infine, giocò un ruolo determinante la

ricerca di una qualità organolettica dell’acqua tale da merita- re tanto sforzo costruttivo? Se poi si vuole dare credito all’ipo- tesi secondo cui l’antico acquedotto di valle si sarebbe chiamato “acqua salsa”, cioè acqua salata, ancor meno si capisce la scel- ta di un’impresa così laboriosa, tutta mirata alla ricerca di un’ac- qua salata. Il termine “salsum” non ha mai infatti avuto accezione positiva dal punto di vista della potabilità di un’acqua, né con- sta che, pure nelle infinite variabili storiche del gusto alimenta- re, un sapore salato dell’acqua sia risultato gradito agli antichi. Se la datazione dei due tratti degli acquedotti, a detta degli spe- cialisti, è impossibile, impossibile è anche la risposta al quesito su quale dei due sia nato prima. Gli studiosi bresciani si sono divisi su questo argomento in modo pressoché paritario, con una certa

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