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6.1 Idoneità Ecologica del territorio al

PON1_MRS1_PGG

S. PIERO_MONTE CAPANNE SPR1_CAP

Monte Capanne CAP1 Marciana - LI

Entic Haploxerolls, loamy- skeletal, siliceous, acid,

thermic (2.003)

Caratteri pedologici

Suoli moderatamente profondi, a profilo A-C-R, da scarsamente ghiaiosi a molto ghiaiosi, a tessitura franco sabbiosa, non calcarei, moderatamente acidi, a saturazione molto alta e molto bassa in profondità, talvolta eccessivamente drenati

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Figura 46 – Distretto dell’Isola d’Elba

Tabella 37 – Priorità degli interventi nel distretto dell’Isola d’Elba Cl. Priorità

Sup. Cl. priorità Quota

Specie secondaria Sup. (ha.) Quota ha. % media (m.) dst media (m.) dst Alta 14 25,4 573 ± 91 Assente Media 41 74,5 751 ± 117 Assente Bassa Assente Conservazione Assente

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13 - Monti del Chianti

Province: Siena e Arezzo.

Comuni: Castelnuovo Berardenga, Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti e Radda

in Chianti (SI); Bucine (AR).

Località: Monte Calvo (Gaiole in Chianti), in località Monte San Michele e Badia

Coltibuono, (Radda in Chianti).

Distribuzione altimetrica delle pinete:

- Qquota media: 615 m. - Intervallo di quota: 150 m. - 820 m.

Caratteristiche climatiche:

Temperatura media annua = 11.7° C Temperatura media minima = 3.2° C Precipitazione media annua = 1353mm Precipitazione media estiva = 170mm

Caratteristiche edafiche:

Unità Cartografica Suolo – Loc. campionamento Classificazione

GRETI_PODERE ELCI GRT1_PEL1

GRETI (GRT1) Greve in Chianti - SI

Typic Haplustepts, coarse- loamy, mixed,mesic (2.003)

Caratteri pedologici

Suoli moderatamente profondi, a profilo A-Bw-Cr, da scarsamente ghiaiosi, a tessitura franco sabbiosa e franca, non calcarei, da moderatamente acidi a neutri, saturazione alta e molto alta, da ben drenati a talvolta eccessivamente drenati

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Figura 47 – Distretto dei Monti del Chianti

Cl. Priorità

Sup. Cl. priorità Quota

Specie secondaria Sup. (ha.) Quota ha. % media (m.) dst media (m.) dst Alta 48 6,6 245 ± 73 Assente Media 92 12,8 579 ± 76 Assente Bassa 577 80,4 654 ± 110 Castagno 25 684 ± 16 Conservazione Assente

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7. - DISCUSSIONE

Questa ricerca ha prodotto una serie di nuove conoscenze che possono ritenersi utili ai fini della pianificazione forestale delle pinete di pino nero in Toscana in un contesto di cambiamento climatico. Tramite l’applicazione di un modello di analisi spaziale multicriteriale è stata valutata l’idoneità ecologica potenziale del territorio per quattro specie forestali (pino nero, cerro, castagno e faggio) e ne sono state analizzate le variazioni in funzione dello scenario di cambiamento climatico HadCM3 previsto dall’IPCC.

Per agevolare la discussione dei risultati ottenuti si affrontano per singoli punti le principali tematiche trattate.

- Evoluzione dell’areale di distribuzione delle specie

Come descritto nel capitolo 4.1., molteplici sono le interazioni che si creano tra ecosistemi forestali e cambiamenti climatici. Fra le più studiate ed importanti per la pianificazione forestale risulta essere quella relativa alla risposta evolutiva della composizione specifica dei soprassuoli in base alla loro vulnerabilità alla future condizioni climatiche.

A questo proposito, è utile ricordare che vari studi ipotizzano una riduzione e disgregazione dell’areale di distribuzione delle specie più mesofile e microterme fra cui il faggio e il castagno (PETRICCIONE et al., 2008; BERNETTI et al., 2010; PIGNATTI, 2011; BORGHETTI et al, 2012). Questa previsione di risposta ai

cambiamenti climatici viene confermata dai risultati ottenuti in questo lavoro di Tesi. Infatti, nelle condizioni esaminate, si è registrato per il cerro e il castagno una riduzione della superficie territoriale con condizioni ambientali favorevoli alla presenza di queste specie, riduzione determinata dalle previsioni di cambiamento climatico del modello GCM HadCm3. Inoltre, come si può osservare dalle carte tematiche relative al grado di idoneità ecologica per il faggio (Allegati: Figure 55, 63 e 71), si segnala oltre alla contrazione del suo areale anche una sua frammentazione, con possibili rischi di estinzione a livello locale.

Una diversa evoluzione adattativa viene invece attribuita al cerro, per il quale è stata ipotizzata una possibile espansione del suo areale di distribuzione (PETRICCIONE et al., 2008) anche se la ridotta capacità di dispersione del seme da parte del cerro potrebbe rappresentare un fattore limitante alla sua migrazione verso zone ecologicamente più adatte (BORGHETTI et al, 2012). Dai risultati di questa Tesi, emerge che il cerro ad oggi presenta un valore di idoneità ecologia considerato “buono” su circa il 30% del territorio toscano, ma si prevede una riduzione al 2080 delle superfici potenzialmente idonee se si verificheranno in futuro le condizioni previste dallo scenario di cambiamento climatico considerato. A favore del cerro possiamo comunque dire che circa un terzo del territorio della regione Toscana rientrerà nella classe di idoneità ecologica “buona” o “intermedia” alla data del 2080.

141 Per quanto riguarda il comportamento del pino nero, specie con doti di pionierismo e rusticità soprattutto nei confronti delle caratteristiche del terreno (GELLINI et al.,

1996a), si evidenzia come il pino potrà meglio di altre specie rispondere ad un contesto di cambiamento climatico. A esempio, nell’Appennino Centrale (Monte Vettore –AP) è stata segnalata una espansione del pino al di sopra del limite superiore del bosco, che mostra il positivo adattamento di questa specie alle mutate condizioni stazionali (PIERMATTEI et al., 2010). Tuttavia, dai risultati conseguiti nel

modello anche per questa specie, come per le altre, si verificherà una riduzione della superficie a livello della Toscana in quelle zone dove la specie presenta, a tutt’oggi, un valore di potenzialità ecologica considerato “buono”. A differenza però di quanto previsto per specie come il faggio e il castagno il pino nero manterrà, comunque, su circa un quarto del territorio toscano, un valore di potenzialità ecologica superiore a quello “scadente”.

Un altro effetto delle interazioni tra vegetazione e surriscaldamento globale è lo spostamento e l’espansione verso quote maggiori delle specie forestali (PETRICCIONE

et al., 2008, GIORDANO et al, 2008, PIERMATTEI et al., 2010). Anche i risultati

ottenuti in Toscana evidenziano questo tipo di andamento. Per le specie analizzate, infatti, la quota media della classe di idoneità ecologica ritenuta “buona” tende ad aumentare di circa 300-550 metri a seconda della specie considerata. Anche la velocità teorica di spostamento in altitudine delle specie esaminate presenta valori simili a quelli riportati da Giordano et. al. (2008), corrispondenti a 1,5-5,5 m/anno. - Accuratezza delle carte prodotte

La validazione dei risultati prodotti dall’analisi di idoneità ecologica del territorio è stata eseguita tramite l’analisi della curva ROC per ciascuna carta elaborata alla data del 2013. I risultati ottenuti indicano che i modelli sviluppati sono caratterizzati da livelli di accuratezza relativamente buoni (Swets, 1988), con valori di AUC > 0,8, ad eccezione del modello elaborato per il cerro.

Secondo Phillips et al. (2006), a specie con una nicchia ecologica ampia corrispondono generalmente bassi valori di AUC. Questa considerazione permette di spiegare i valori elevati di AUC ottenuti per il faggio (AUC = 0,952), specie caratterizzata da una nicchia ecologia meglio definita rispetto alle altre specie considerate, e il relativamente basso valore di AUC ottenuto per il cerro (AUC = 0,628), specie forestale con esigenze ecologiche più ampie e con caratteri di elevata adattabilità e rusticità (AMICI et al,2012; BLASI et al. 2010; PHILLIPS et al.2006). - Linee guida e priorità degli interventi

Per le pinete che presentano un basso grado di idoneità sia alle condizioni attuali che nel futuro, si ritiene opportuno intervenire nel breve periodo con interventi finalizzati ad aumentare la loro capacità adattativa, ristabilendo progressivamente il loro equilibrio e predisponendo le condizioni ottimali per favorire la rinnovazione naturale.

142 Come già trattato nel capitolo 4.3.4, si riconosce nella pratica della rinaturalizzazione il principale mezzo per la gestione di tali soprassuoli.

Le indicazioni geografiche derivanti dal modello dovranno comunque essere supportate da un’indispensabile ed attenta valutazione in campo dello stato vegetativo delle pinete, per poter concentrare gli interventi più urgenti laddove si hanno maggiori necessità. La priorità degli interventi dovrà iniziare da quelle aree in cui le pinete presentano uno stato vegetativo maggiormente compromesso, con densità di impianto elevate in rapporto alla loro età, con piante filate e con un elevato grado di copertura che rallenta i processi di decomposizione della lettiera capace di ostacolare l’insediamento del novellame e delle specie autoctone.

Lo strumento selvicolturale maggiormente incisivo, per garantire la stabilità di popolamenti di origine artificiale a struttura compositiva e cronologica semplificata, è il diradamento (CANTIANI et al., 2010). Questo intervento colturale dovrà avere

come obiettivo quello di ridurre progressivamente il grado di copertura delle pinete, al fine di determinare le condizioni ecologiche idonee ad accelerare i processi di decomposizione della lettiera, e creare i presupposti affinché il seme che arriva sul terreno germini e le plantule possano affermarsi, attuando e favorendo così il processo di rinaturalizzazione di questi soprassuoli.

Tali interventi avranno come obiettivo quello di determinare condizioni favorevoli per l’insediamento di specie differenti dal pino nero, con tagli di differente grado di intensità, modulati in rapporto alle diverse condizioni e caratteristiche dei soprassuoli e della stazione, svincolati da qualsiasi schema e ripetuti a brevi intervalli di tempo. Particolarmente importante è analizzare quelle situazioni, all’interno delle pinete, dove cause diverse hanno provocato l'interruzione della copertura o la rottura della regolarità del soprassuolo. In queste aree è possibile monitorare e analizzare i processi evolutivi naturali, e individuare i possibili punti di innesco per favorire la rinaturalizzazione del sistema (NOCENTINI, 2000).

All’interno delle pinete che ricadono nella classe di intervento con priorità “alta”, la precedenza degli interventi di rinaturalizzazione potrà essere eseguita nelle zone dove sono già presenti una o più specie secondarie. Tramite l’analisi condotta e sulla base dei dati dell’inventario forestale regionale è stato possibile individuare quali siano le pinete di pino nero dove sono già presenti specie come cerro, castagno e faggio. Inoltre, i risultati ottenuti indicano che il cerro e il castagno potranno continuare a vegetare in condizioni ambientali a loro favorevoli su una porzione significativa di pinete che ricadono nella classe di idoneità scadente per il pino. Le pinete che rientrano nella classe di priorità alta degli interventi, ricadono in maniera predominante (50% del totale) all’interno dei seguenti distretti territoriali: Valtiberina (Anghiari, Sansepolcro), Monte Amiata (Seggiano, Santa Fiora e Piancastagnanio) e Colline Metallifere (Montieri). Mentre, sono presenti in maniera minore (circa il 20% del totale) nei seguenti distretti: Garfagnana, Monti Fiorentini (Rufina), Val di Chiana (Cortona e Arezzo), Isola d’Elba. Queste pinete sono

143 caratterizzate dall’avere quote medie ricadenti principalmente nella fascia basso- montana, fra i 400 e i 550 metri di quota. Inoltre si segnala la ridotta presenza delle specie secondarie esaminate, con la completa assenza del faggio. Queste pinete ricadono principalmente nelle zone con un clima più vicino a quello tipico mediterraneo, caratterizzato da modeste precipitazioni annuali ed estive.

Facendo riferimento ai dati del servizio META (Monitoraggio Estensivo dei boschi della ToscanA a fini fitosanitari), nello specifico al modulo “Monitoraggio delle foreste montane in funzione dell’impatto relativo ai cambiamenti climatici” (FEDUCCI et al., 2010), si nota una certa corrispondenza tra quanto rilevato nei soprasuoli di pino nero presenti sui rilievi intorno a Cortona (AR), a Sud di Arezzo, e sui rilievi fiorentini (Passo della Consuma) e i risultati ottenuti con questa Tesi, che includono queste pinete tra le aree maggiormente suscettibili in Toscana.

Le pinete che rientrano invece nella classe di priorità considerata “media”, dove si prevede la possibilità di rimandare a un secondo momento gli interventi di rinaturalizzazione, sono situate principalmente nei seguenti distretti territoriali: Lunigiana (Zeri), Appennino Pistoiese (Pistoia), Monti Fiorentini (Londa e Reggello), Casentino (Loc. Pratomagno e Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi), Monte Amiata (in maniera sparsa nei comuni di Arcidosso, Castell’Azzara e Abbadia San Salvadore) e Isola d’Elba (Monte Capanne).

Le pinete con “basso” grado di priorità degli interventi si concentrano principalmente (40% - 50% delle pinete) nei seguenti distretti: Lunigiana (Pontremoli e Comano), Garfagnana (Sillano, Minucciano) Appennino Pistoiese (San Marcello Pistoiese), Monti della Calvana e Monte Morello, Alto Mugello, Monti fiorentini (Ponteassieve e San Godenzo), Valtiberina (Sestino e Badia Tedalda), Casentino (Chiusi della Verna e Pieve Santo Stefano) ed, in maniera sparsa, nei distretti della Val di Chiana, Monte Amiata e Colline Metallifere. La quota media delle pinete appartenenti a questa categoria varia dagli 800 ai 1.000 metri, quote medie più basse, fino ai 600 metri, si registrano per la zona della Calvana e di Monte Morello, dei Monti del Chianti, della Val di Chiana e delle Colline Metallifere.

Come già spiegato, gli interventi di rinaturalizzazione avranno come obiettivo quello di aumentare la complessità specifica del soprassuolo, favorendo le specie autoctone già presenti, nell’ottica di creare popolamenti misti e stabili. Dai risultati riportati nel capitolo 6.5 risulta che per le specie secondarie studiate (cerro, castagno e faggio) si verifica una riduzione delle aree di idoneità ecologica nello scenario di cambiamento climatico considerato. Questa riduzione di superficie idonea è assai più contenuta per il cerro e per il castagno rispetto al faggio.

Quest’ultima specie, tipica delle zone di alta montagna, incontra il pino nero a quote che per il faggio corrispondono con il limite inferiore della fascia altimetrica. Avrà quindi senso favorire il faggio nei processi di rinnovazione delle pinete di alta quota, in ambienti microtermi caratterizzati da abbondanti precipitazioni. Si segnala inoltre una significativa presenza del faggio nelle pinete a quote comprese fra i 1.000 –

144 1.200 metri nei distretti della Lunigiana, della Garfagnana, dell’Alto Mugello, dei Monti Fiorentini, del Casentino e del Monte Amiata,

Nel caso di pinete situate a quote inferiori, con riferimento alle specie studiate, saranno il cerro e il castagno le specie secondarie che potranno essere favorite nei processi di rinaturalizzazione. Altri studi segnalano differenti specie forestali che potrebbero adattarsi al cambiamento. Ad esempio nei dati derivanti dal progetto BioRefugia si fa riferimento alla possibile futura espansione di specie come il leccio, la sughera e l’olmo, (PETRICCIONE et al., 2008). In altri studi ancora si riportano altre specie forestali che potrebbero emergere in uno scenario futuro come il carpino nero (PIGNATTI, 2011) e la roverella (FITFOREST, 2009)

Infine, l’ipotesi di gestire la pineta secondo criteri di conservazione viene proposta in quei casi in cui alla data del 2080 le pinete rientrano nella classe di idoneità considerata “buona”.

Questa pratica di conservazione delle pinete avrà un significato maggiore soprattutto in quelle aree in cui il pino ha una maggiore importanza sia in termini paesaggistici, produttivi, ricreativi, che di protezione del suolo dall’erosione. Specialmente per quest’ultima funzione si prevede l’evoluzione naturale del soprassuolo, fino agli stati finali di maturità, concentrando, eventualmente, l’azione colturale nella fase di rinnovazione (AMORINI, 1992). È importante sottolineare che le pinete ad alta quota,

realizzate proprio per stabilizzare i versanti di montagna, hanno valori di idoneità ecologica ben maggiori rispetto a quelle di bassa quota, quindi in previsione dello spostamento della specie verso quote maggiori, ha un maggior senso il loro mantenimento. A questi proposito vi sono studi che dimostrano la colonizzazione del pino nero dei versanti di alta quota nell’Appennino Centrale (PIERMATTEI et al., 2010).

Secondo le schede tecniche delle pinete prodotte in questa Tesi, le aree proposte per la conservazione riguardano le pinete di alta quota che ricadono principalmente nei distretti territoriali della Lunigiana, dei Monti della Calvana e dei Monte Morello e del Casentino ed, in maniera meno rilevante, le zone della Garfagnana, dell’alto Mugello, dei Monti Fiorentini e della Valtiberina. Le pinete che rientrano in questa classificazione sono situate a quote medie comprese tra i 900 e i 1.100 metri.

Le indicazioni gestionali precedentemente date vanno considerate come linee guida di massima, utili a capire come i risultati del presente studio possano essere di supporto alla pianificazione forestale. Sicuramente, in un’ottica di miglioramento della capacità di mitigazione e per favorire l’adattamento dei soprassuoli al cambiamento climatico, sarà necessario adottare una prospettiva realmente olistica, che non si concentri solo sugli effetti di breve termine - certo più evidenti – ma riesca a prevedere anche l’impatto di lungo periodo dell’azione del selvicoltore su tutte le componenti dell’ecosistema (MAGNANI et al., 2009). Sarà quindi necessario un

approccio di gestione il più flessibile possibile, che preveda passaggi reversibili, permettendo di cambiare direzione al variare delle condizioni(WAGNER et al., 2014). Inoltre una gestione maggiormente flessibile per i boschi di origine artificiale, se la

145 loro stabilità è elevata, permette di ampliare la gamma di scelte selvicolturali in fase di pianificazione (GIORDANO et al., 2008).

Così, un approccio di gestione forestale definito adattativo comprende un processo dinamico che coinvolge sistemi resilienti e capacità di adattamento, non solo dal punto di vista ecologico, ma anche dal punto di vista sociale, politico ed economico, prevedendo, dove possibile, aggiustamenti alle scelte gestionali attuate in funzione dei risultati ottenuti in base all’adattamento evolutivo delle specie forestali. Questo tipo di gestione, inoltre, permette di avere una foresta economicamente flessibile che, grazie ad una elevata diversità di specie, riesce ad avere un maggior numero di tipologie di prodotti finali, al fine di avere uno sbocco su più mercati, riducendo il rischio degli investimenti legati ad un monoprodotto (WAGNER et al., 2014).

- Considerazioni sulla proprietà forestale

Le azioni volte a favorire l’adattamento delle foreste alle future condizioni climatiche prevedono una serie di operazioni colturali volte a cambiarne gradualmente la composizione specifica. Verranno favorite quelle specie che più si adatteranno al cambiamento climatico, queste azioni colturali potranno creare situazioni diverse a seconda, comunque, del fatto che la proprietà delle foreste sia pubblica o privata. In base ai dati emersi dalla lettura dell’Inventario Regionale (1998), la superficie forestale totale in Toscana è pari a 1.086.016 ha. La proprietà pubblica è rappresentata da 9.971 ha (0,9%) di proprietà dello Stato, gestiti dagli Uffici Territoriali per la Biodiversità del Corpo Forestale dello Stato (UTB ex-ASFD), e da 111.193 ha (10,2%) di proprietà regionale, gestiti da Comuni e Unioni dei Comuni; 1.045 ha (0,8%) sono le proprietà di altri Enti, pubblici o privati, in affidamento alla Regione, e da oltre 88% da proprietà privata. (RAFT, 2005).

Per i soggetti privati, che mirano a massimizzare la produttività di soprassuoli, eseguire interventi per migliorare la capacità di adattamento delle foreste potrebbe condurre, almeno nel breve periodo, ad una riduzione della produzione e ad interventi colturali non economicamente vantaggiosi.

Mentre per gli Enti Pubblici, che hanno principalmente lo scopo di mantenere attivi più servizi escositemici possibili e non quello esclusivamente produttivo, gli intereventi selvicolturali non saranno visti in un’ottica negativa o di rimessa economica. Pertanto nelle proprietà pubbliche possono essere proposte più facilmente forme selvicolturali di miglioramento e manutenzione che vanno ad aumentarne i caratteri di stabilità dei soprassuoli (WAGNER et al., 2014;BERNETTI et al., 2010).

146

8. - CONCLUSIONI

È ormai ampiamente riconosciuto che le attività di gestione forestale sono lo strumento fondamentale per garantire il raggiungimento degli obiettivi sottoscritti dal nostro Paese nella tutela degli ecosistemi e dei connessi aspetti paesaggistici e ricreativi, nella salvaguardia della risorsa idrica, nella prevenzione dei processi di degrado e nella mitigazione e adattamento ai processi di climate change, e rappresentano per il nostro Paese una importante opportunità di sviluppo per le aree rurali e per l’economia forestale e montana e delle sue filiere (INEA, 2010).

La modellistica forestale sta diventando sempre di più uno strumento interconnesso e di supporto per la pianificazione e la gestione dei sistemi forestali. I modelli di processo permettono una rappresentazione semplificata e schematizzata di sistemi complessi come quelli forestali e delle interazioni che intercorrono tra le diverse componenti ecosistemiche (RIPULLONE et al., 2007). Pertanto, la modellistica forestale, attraverso un approccio interdisciplinare, viene sempre più applicata alla comprensione e rappresentazione delle possibili risposte dei sistemi forestali alle variabili ambientali, attuabile su diverse scale sia spaziali che temporali.

Nell’ultimo decennio sono stati sviluppati numerosi modelli di processo su base fisiologica delle specie forestali, supportati da sistemi GIS. Vi sono modelli che stimano su questa base la produttività primaria netta dei sistemi forestali, l’andamento delle principali fitopatologie e il comportamento della vegetazione in relazione al cambiamento climatico.

Il modello sviluppato in questa Tesi ha permesso di valutare l’idoneità ecologica potenziale del territorio della Regione Toscana per quattro specie forestali (pino nero, cerro, castagno e faggio) e di esaminare le variazioni dell’idoneità sulla base delle previsioni di cambiamento del modello climatico GCM HadCm3.

La metodologia proposta può essere trasferita e facilmente adattata per esaminare contesti ambientali diversi anche sulla base di altri scenari climatici. Inoltre sarà possibile aggiornare il modello con nuovi dati climatici, nuovi dati ambientali e di distribuzione delle specie. La validazione dell’analisi di idoneità ecologica si è basata sull’utilizzo delle curve ROC.

Un esempio di diversa applicazione del modello potrebbe riguardare altri popolamenti forestali artificiali che presentano un elevato grado di criticità nei confronti dei cambiamenti climatici, come i popolamenti di cipresso, di douglasia, di pino d’Aleppo e di pini esotici che in Toscana coprono superfici di una certa importanza.

Un processo di studio essenzialmente deterministico, come può essere definito quello di questa tesi, può essere giustificato dal fatto che sono stati analizzati, come tipologia forestale, popolamenti monospecifici a struttura semplifica e con una

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