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Cambiamenti climatici e idoneità ecologica del territorio per le specie forestali: una indagine sulle pinete di pino nero in Toscana come supporto alla pianificazione.

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Academic year: 2021

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..Sono la foresta, umida e bollente, pancia rigogliosa, madre intelligente, nuvola di vita, morte nella pioggia. corpo profumato, femmina incosciente buio sotto al sole, fabbrica del mondo, puro esperimento, santa d'alchimia Rete irresistibile, io sono la più debole tra gli esseri invincibili.

Prendo il tuo respiro, lo respiro io prendo il tuo delirio e lo faccio mio..

(Rosso d’Emozione - Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti)

..Dove quei furbi che fanno le imprese, no non badano a spese, pensano che il protocollo di Kyoto sia un film erotico giapponese..

(Vieni a ballare in Puglia – Michele Salvemini, in arte Caparezza)

..Ma salvare le foreste vuol dire salvare l’uomo, perché l’uomo non può vivere tra acciaio e cemento non ci sarà mai pace, mai il vero amore finché l’uomo non imparerà a rispettare la vita.. (Ricordati di Chico – Nomadi)

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Sommario

1. - INTRODUZIONE ... 4

2.- OBIETTIVI ... 7

2.1. - Struttura della Tesi ... 8

3. - CAMBIAMENTO CLIMATICO ...11

3.1. - Aspetti generali ...11

3.2. - Politiche internazionali ...14

3.2.1. - Organismi internazionali di ricerca. ...14

3.2.2. - Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici e Protocollo di Kyoto ...16

3.2.3. - Obiettivi del Protocollo di Kyoto per l’Italia ...16

3.2.4. - Strumenti attuativi del Protocollo di Kyoto ...17

3.2.5. - Accordi successivi al Protocollo di Kyoto e sviluppi futuri ...18

3.3. - Cambiamento climatico in rapporto al settore primario ...20

3.4. - Misure di difesa dell’UE contro gli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi ...24

3.5. - Modelli climatici ...26

3.5.1. - Aspetti generali ...26

3.5.2. - Principali Modelli Globali di Circolazione...27

3.5.3. - Scenari di emissione ...29

4. - INTERAZIONI TRA ECOSISTEMI FORESTALI E CAMBIAMENTO CLIMATICO ...32

4.1. - Ruolo delle foreste nei cambiamenti climatici ...32

4.1.1. - Effetti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione ...34

4.1.2. - Cambiamenti climatici e avversità biotiche ...40

4.1.3. - Cambiamenti climatici e produttività forestale ...41

4.2. - Gestione Forestale e cambiamenti climatici ...45

4.2.1. - Strategie di gestione per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici ...45

4.2.2. - Approcci gestionali deterministici e indeterministici ...50

4.2.3. - Valore economico delle foreste toscane per la mitigazione dei cambiamenti climatici ...51

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4.3.1. - Cenni storici. ...53

4.3.2. - Stato fitosanitario. ...55

4.3.3. - Principali criticità. ...56

4.3.4. - Rinaturalizzazione. ...58

4.4. - Relazioni ecologiche tra vegetazione e ambiente ...59

5. - MATERIALI E METODI ...62

5.1. - Inquadramento della tipologia forestale analizzata. ...62

5.2. - Analisi di idoneità ecologica potenziale...65

5.2.1. - Esigenze ecologiche delle specie e scelta dei parametri ambientali ...65

5.2.2. - Modellizzazione dei parametri ambientali...68

5.2.3. - Valutazione dei parametri ambientali...69

5.2.4. - Combinazione dei parametri ambientali ...73

5.3. - Scenario di cambiamento climatico ...74

5.4 - Valutazione dell’accuratezza del modello. ...75

5.5. - Relazione tra indici climatici e idoneità ecologica potenziale del territorio. 77 5.5.1. - Indice di De Martonne. ...77

5.5.2. - Indice di Crowther. ...78

6. - RISULTATI ...79

6.1. - Idoneità Ecologica del territorio al 2013 ...79

6.2. - Accuratezza dell’analisi di Idoneità Ecologica...81

6.3. - Idoneità Ecologica del territorio al 2020 e al 2080. ...85

6.4. - Riclassificazione delle carte di Idoneità Ecologica ...87

6.5. - Variazione dell’Idoneità Ecologica del territorio in uno scenario di cambiamento climatico. ...89

6.6. - Variazione dei limiti altimetrici in uno scenario di cambiamento climatico ... 100

6.7. - Relazione tra indici climatici e Idoneità Ecologica. ... 104

6.7.1. - Indice di De Martonne. ... 104

6.7.2. - Indice di Crowther. ... 106

6.8. - Indirizzi per la pianificazione forestale e priorità di intervento ... 109

6.9. - Distretti Territoriali per la pianificazione forestale. ... 112

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8. - CONCLUSIONI ... 146

9. ALLEGATI ... 150

9.1. - Idoneità ecologica del territorio al 2013. ... 150

9.2. - Classi di idoneità al 2013. ... 153

9.3. - Idoneità ecologica del territorio al 2020. ... 152

9.4. - Classi di idoneità al 2020. ... 151

9.5. - Idoneità ecologica del territorio al 2080. ... 154

9.6. - Classi di idoneità al 2080. ... 155

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1. - INTRODUZIONE

Come emerge dal trattato ambientale internazionale “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”, elaborato dalla Conferenza sull'Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, già da alcuni decenni il problema del cambiamento climatico è diventato di importanza e rilevanza mondiale.

E' stata presa coscienza del fatto che le attività umane hanno contribuito ad aumentare notevolmente le concentrazioni atmosferiche di gas ad effetto serra, che provocando un ulteriore riscaldamento della superficie della terra e dell’atmosfera, possono causare un’influenza negativa sugli ecosistemi naturali e sul genere umano. Si è evoluta e concretizzata la consapevolezza dell’importanza dei pozzi e dei serbatoi di carbonio negli ecosistemi terrestri e marini, oltre alla percezione del fatto che la previsione dei cambiamenti climatici è soggetta a molte incertezze, in particolare per quanto riguarda la collocazione nel tempo, la grandezza dei fenomeni e le manifestazioni regionali.

Preso atto del problema, in seguito alle varie Convenzioni, Trattati e Protocolli sul clima mondiale, sulla salvaguardia dell’ambiente e sullo sviluppo sostenibile, le Nazioni aderenti si impegnano a proteggere il sistema climatico a beneficio delle presenti e delle future generazioni, cercando di adottare misure precauzionali per rilevare in anticipo, prevenire o ridurre al minimo, le cause dei cambiamenti climatici e, ove possibile, mitigarne gli effetti negativi.

Tutte le sfide della sostenibilità tra cui, in primo luogo, la questione dei cambiamenti climatici, non sono unicamente relative al settore ambientale, ma hanno pesanti ricadute anche sul sistema economico e sociale. Questi ultimi, infatti, dipendono strettamente sia dalla disponibilità ed equa distribuzione delle risorse naturali, sia dalla capacità degli ecosistemi di assorbire l’impatto delle attività umane sull’ambiente (UNESCO,2007).

Ulteriori ritardi nell'attuare valide misure di contrasto e difesa verso gli effetti dei cambiamenti climatici, potranno ripercuotersi negativamente sull'intero pianeta, con conseguente alterazione degli ecosistemi ed estinzione delle specie più vulnerabili, aumento della povertà e della fame nel mondo, emergenza idrica e diffusione e trasmissione di malattie infettive.

Uno degli strumenti più efficaci, per contrastare i cambiamenti climatici, è la concreta applicazione del concetto di sviluppo sostenibile, inteso come sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri» (COMMISSIONE BRUNTLAND, 1987).

Le foreste sono state definite dalla FAO, nel rapporto Global Forest Resources Assessmnet del 2010, come la più importante fonte di Servizi Ecosistemici, capace di

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5 fornire una serie di benefici multipli al genere umano. E’ stato riconosciuto, anche tramite il Protocollo di Kyoto, il ruolo rilevante delle foreste nelle strategie per la lotta ai cambiamenti climatici, in relazione alle esternalità prodotte, connesse all’assorbimento e allo stoccaggio dell’anidride carbonica.

Anche il gruppo di lavoro interdipartimentale della FAO sui cambiamenti climatici, presieduto da Wulf Killmann, sostiene il principio dello sviluppo sostenibile, rimpiazzando i combustibili fossili con fonti rinnovabili o con i biocombustibili, come il legno proveniente da foreste gestite in modo responsabile, fermando la deforestazione, incentivando maggiormente l'utilizzo del legno per i prodotti di lunga durata, in modo che il carbonio immagazzinato resti più a lungo fuori dell’atmosfera. La gestione forestale sostenibile (GFS), grazie anche al suo approccio multidisciplinare, è lo strumento principale di conservazione dei sistemi forestali per il benessere della società, come sostenuto anche dalla Forest Europe - ex Ministerial Conference on the Protection of Forests in Europe (MCPFE).

Una attenta valutazione, condotta nell'ambito della ricerca mondiale, sugli effetti del cambiamento climatico e di quanto questo possa incidere sulla vegetazione forestale, mette soprattutto in risalto la fragilità ecologica dei sistemi forestali mediterranei, facendo emergere l’esigenza di delineare nuovi modelli di gestione dei popolamenti che dovranno prevedere interventi integrati, sotto il profilo sanitario e selvicolturale, con l’intento di esaltare il potere di autoregolazione del bosco (FRANCESCHINI,et al; 2008).

Non è affatto semplice arrivare a questa conclusione, in quanto le variabili in oggetto sono molteplici ed agiscono su una scala spaziale e temporale estremamente ampia, ma solo se la risposta ai cambiamenti climatici verrà pianificata in anticipo, l’impatto ambientale potrà risultare meno sconvolgente (GIORDANO,et al;2000).

In conseguenza di rapidi cambiamenti del clima, vengono a modificarsi non solo le condizioni ambientali, ma anche gli obiettivi della gestione forestale che, al contrario di quanto accadeva in passato, non si trova di fronte ad un quadro di condizioni ambientali “costanti”, ma deve confrontarsi con eventi imprevedibili in uno scenario di incertezza e di rapido mutamento, non solo climatico, ma anche di habitat, di uso del suolo, di inquinamento, ecc. (PIGNATTI,2011).

Importante è capire come si rifletterà sul territorio il cambiamento climatico e in che modo influenzerà la distribuzione della vegetazione forestale, ipotizzando come saranno i nostri boschi da qui alla fine del secolo. La rapidità del cambiamento climatico in atto contrasta con la lenta capacità di adattamento naturale degli ecosistemi forestali alle modificazioni rapide, con il rischio di una conseguente possibile progressiva disgregazione degli ecosistemi forestali.

Oltre alla imprevedibilità dei cambiamenti climatici e della risposta da parte delle singole piante e dei popolamenti, occorre prendere atto che il bosco è un sistema biologico complesso e adattativo, e che questo principio non può essere ignorato per la salvaguardia delle foreste mediterranee (CIANCIO,2000).

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6 Il pensiero classico dell’ecologia, collegato al concetto di comunità climax (equilibrio ecologico), è ormai superato, per andare verso una visione dinamica della natura, insieme di sistemi complessi interagenti e caratterizzati dall’imprevedibilità delle reazioni e dalla pluralità delle retroazioni (NOCENTINI,2000).

In questa visione, non si può pensare al bosco come a un insieme di alberi, ma come a un sistema caratterizzato da una struttura ad alto contenuto di informazione, capace di adattarsi al variare delle condizioni esterne e di evolversi in forme sempre diverse. (CIANCIO,2000).

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2.- OBIETTIVI

La ricerca si prefigge l’obiettivo di analizzare la possibile evoluzione del potenziale ecologico delle principali specie forestali presenti nel sistema “rimboschimenti di pino nero”, in relazione al cambiamento climatico, al fine di evidenziare, alcune priorità per le attività di ricerca e di gestione forestale basate sui principi della selvicoltura sistemica. Come caso di studio è stato scelto il territorio della regione Toscana, dove l’impiego del pino nero come specie da rimboschimento, iniziato fra la fine dell’800 e i primi del ‘900, è avvenuto spesso anche in contesti ecologici non particolarmente idonei per la specie.

La possibile evoluzione dell'attuale potenziale ecologico delle specie oggetto del presente studio, viene ipotizzata in considerazione del cambiamento climatico previsto dal modello climatico HadCM3, nello scenario di emissione A2 al 2020 e 2080, previsto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change. Questo tipo di modello GCM è stato prescelto per il presente studio, poiché è riconosciuto a livello mondiale come uno dei più completi ed utilizzati modelli climatici nel campo della ricerca scientifica (www.metoffice.gov.uk.; IPCC., 2007)

Per la ricerca è stata scelta la scala regionale in quanto un’analisi su più ampia scala spaziale quale il livello nazionale, avrebbe portato a risultati di difficile interpretazione, vista l’alta variabilità del territorio italiano, mentre a livello locale, in aree geografiche limitate, i modelli climatici risultano poco attendibili, sia per la loro bassa risoluzione, sia per l’importanza degli aspetti locali che interferiscono sul clima (correnti d’aria, morfologia del territorio, specchi d’acqua, ecc).

I risultati di questo studio mostrano la teorica risposta delle principali specie forestali del sistema pinete di pino nero al cambiamento climatico ipotizzato. Su base cartografica, sono state evidenziate le zone nelle quali le specie risentiranno maggiormente del cambiamento climatico e in quali pinete sarà maggiore la priorità di intervento, in relazione alla risposta al cambiamento climatico del pino e delle specie secondarie presenti. Sulla base di questi risultati sono stati formulati degli indirizzi di pianificazione e gestione forestale per agevolare la capacità di adattamento dei sistemi forestali al cambiamento climatico, attraverso l’aumento della loro resistenza e resilienza.

Comprendere come le specie si comporteranno in un'ottica di global change, segnato da un tendenziale innalzamento delle temperature e irregolarità delle precipitazioni, con l'aumento di periodi di siccità associati a fenomeni di precipitazioni estreme, è sicuramente determinante per cercare di comprendere quale sarà in futuro la composizione specifica dei boschi.

I “modelli” cartografici-climatici fino ad oggi utilizzati, in un futuro in costante mutamento, non saranno forse così attendibili come nel passato, ed è proprio in questa ottica che alcuni studiosi stanno già ipotizzando e riformulando nuove classificazioni fitoclimatiche per il territorio italiano (BLASI,2007a;PIGNATTI,2011).

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8 A tale proposito, sono stati calcolati alcuni tra i principali indici climatici per tutto il territorio della Toscana, creando delle cartografie tematiche su base GIS. Dopo di che, si è cercato di individuare una possibile correlazione tra come variano i valori degli indici climatici secondo lo scenario di cambiamento climatico e il potenziale ecologico del pino ad oggi e, teoricamente, al 2080. Questo per poter individuare un metodo speditivo in costante aggiornamento, che consenta di dare una possibile lettura del potenziale ecologico di questa specie, svincolandosi dalle carta fitoclimatica.

In conclusione, gli obiettivi specifici di questa ricerca possono essere così riassunti: - Determinare una “possibile” evoluzione dell’idoneità ecologica potenziale del

territorio per le seguenti specie: cerro, castagno, faggio e pino nero, esaminate in un contesto di cambiamento climatico.

- Individuare quali saranno gli ambiti territoriali, nella regione Toscana, nei quali le specie analizzate risentiranno maggiormente del cambiamento climatico ipotizzato.

- Verificare se le specie esaminate (cerro, castagno e faggio) si avvantaggeranno o meno del cambiamento climatico ipotizzato in relazione al pino nero.

- Stabilire in quali pinete di pino nero sarà maggiore la priorità di intervento, in relazione alla risposta al cambiamento climatico del pino e delle specie secondarie analizzate, in un’ottica di pianificazione forestale volta alla mitigazione e all’adattamento al global change.

- Individuare una possibile correlazione tra alcuni principali indici climatici e il potenziale ecologico del pino ad oggi, e a alle condizioni climatiche previste al 2080dallo scenario IPCC.

- Proporre una metodologia di ricerca che potrà essere applicata anche per altre tipologie di soprassuoli, e in diversi contesti regionali.

2.1. - Struttura della Tesi

Questa ricerca prevede, nel primo capitolo, una breve introduzione in cui viene affrontato il problema del cambiamento climatico, i suoi effetti, le misure di contrasto e, in questa ottica, l’importanza della gestione sostenibile delle foreste, come uno dei principali strumenti di salvaguardia della salute del pianeta.

Dopo aver illustrato, nel secondo capitolo, gli obiettivi della ricerca, nel capitolo terzo vengono descritti sinteticamente gli aspetti generali del cambiamento climatico, soffermandosi, nei primi due sottocapitoli, sugli organismi internazionali di ricerca (IPCC) e sulle politiche internazionali di contrasto quali: la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e il protocollo di Kyoto; le relazioni tra global change e il settore primario, e le misure di difesa programmate dalla UE. Infine, nell’ultima parte del terzo capitolo, viene evidenziata l’importanza della

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9 ricerca scientifica con breve descrizione sull'utilizzo dei Modelli Climatici (GCM - Global Circulation Model) nell'ambito della climatologia.

Nel quarto capitolo si analizzano le interazioni esistenti tra il cambiamento climatico e i sistemi forestali, riportando sinteticamente quali siano i principali effetti del global change in relazione agli ecosistemi, alla vegetazione, alle avversità biotiche e alla produttività forestale, individuando così gli ecosistemi forestali maggiormente penalizzati quali, ad esempio, gli impianti monospecifici realizzati in ambiente mediterraneo.

A tale proposito, vengono presi in esame i rimboschimenti eseguiti in Italia, in particolare i popolamenti di pino nero, riportandone alcuni cenni storici, il loro stato fitosanitario, le caratteristiche e le criticità della loro gestione.

Altro argomento affrontato nel quarto capitolo è quello relativo alle relazioni ecologiche esistenti tra specie vegetali ed ambiente, al fine di studiare l'idoneità territoriale delle specie prese in considerazione nel corso di questo elaborato.

Nel quinto capitolo, viene presentata la metodologia della ricerca, specificando la tipologia forestale, l’area di studio e le specie forestali che verranno esaminate. Successivamente, viene esposta la struttura dell’analisi territoriale per la valutazione dell’idoneità ecologico potenziale delle specie oggetto della ricerca. Vengono descritti alcuni fra i principali parametri ambientali (morfologici, climatici e pedologici) che influenzano il potenziale ecologico della vegetazione, scegliendo successivamente quelli che possono essere modellizzati, ottenendo così un modello cartografico in formato raster georeferenziato per ciascun parametro.

In seguito, tramite la ricerca bibliografica, sono state definite le esigenze ecologiche delle specie esaminate in relazione ad ogni singolo parametro e, per ciascuno di essi, è stato definito un livello di idoneità secondo una transizione graduale basata sulla logica fuzzy.

Il capitolo sesto riguarda i risultati della Tesi. Per prima cosa sono presentati gli elaborati cartografici dell’analisi di idoneità ecologico potenziale del territorio per di ogni specie considerata.

Successivamente sono riportati i risultati della validazione dei dati prodotti dal modello applicato svolgendo l'analisi ROC (Receiver Operating Characteristic). Una tecnica statistica che misura l’accuratezza di un test lungo tutto il range dei valori possibili.

L’analisi di idoneità ecologico territoriale è stata poi ripetuta modificando i parametri ambientali, in relazione al cambiamento climatico ipotizzato dal modello climatico preso in esame. Una volta calcolata l’idoneità per ogni specie nei diversi scenari climatici, sono state analizzate le variazioni dei valori di idoneità tra le specie con riferimento alle condizioni ambientali future. Ulteriori analisi hanno riguardato lo studio dei valori di idoneità ecologica in relazione all’altimetria del territorio, e agli indici climatici.

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10 Nel capitolo settimo, si confrontano le ipotesi di partenza della Tesi con i risultati ottenuti dalla ricerca effettuata, verificando se la metodologia applicata è stata in grado di identificare la risposta teorica delle specie esaminate agli scenari di cambiamento climatico.

Infine, nell'ottavo capitolo, in relazione ad un'attenta analisi dei risultati ottenuti, si ipotizzano forme di gestione mirata di tali soprassuoli, nell’ambito della rinaturalizzazione dei rimboschimenti, in modo da prevedere ed assecondare i dinamismi naturali favorevoli all’insediamento delle specie che si sono dimostrate essere meglio adattate alle diverse possibili condizioni future.

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3. - CAMBIAMENTO CLIMATICO

3.1. - Aspetti generali

Tutta la superficie terrestre è modellata da una serie di processi associati fra loro e legati alle condizioni climatiche che caratterizzano determinate zone della Terra, contrassegnate da particolari forme del paesaggio.

Il bilancio della radiazione solare nel corso dell’anno è responsabile della distribuzione dei diversi regimi climatici sul Pianeta. La quantità di radiazione solare ricevuta dalla superficie terrestre, compresa fra i tropici, durante l’anno è eccedentaria rispetto a quella emessa e riflessa dalla Terra, mentre nella fascia compresa tra i tropici e i poli, il bilancio è deficitario. Tale fenomeno mette in moto enormi quantità di energia che si spostano, attraverso le correnti atmosferiche e quelle marine, dalla fascia tropicale a quella delle regioni temperate e polari. Un aumento della quantità di energia disponibile sulla superficie del Pianeta, a causa delle modificate caratteristiche dell’atmosfera per l’aumento dei gas cosiddetti «a effetto serra», altera i meccanismi meteorologici e la loro distribuzione sulla superficie terrestre (MARACCHI, 2000).

L'effetto serra è un fenomeno naturale che permette il riscaldamento dell'atmosfera terrestre, fino ad una temperatura adatta alla vita. Senza l'effetto serra naturale, sarebbe impossibile vivere sulla Terra, poiché la temperatura media sarebbe di circa -18 gradi Celsius. L'effetto serra è possibile per la presenza in atmosfera di alcuni gas detti gas serra. Negli scorsi decenni le attività dell'uomo, in particolare la combustione di vettori energetici fossili e il disboscamento delle foreste tropicali, hanno provocato un aumento sempre più rapido della concentrazione dei gas serra nell'atmosfera alterando l'equilibrio energetico della terra.

All’effetto serra, si aggiungono anche modifiche della stratosfera nella fascia intorno ai 20 km, dove si assiste a una progressiva diminuzione della fascia di ozono, dovuta ai clorofluorocarburi, che contribuisce ad una modifica del bilancio radiativo terrestre. Tali alterazioni si traducono in un rapido cambiamento del clima rispetto alla sua millenaria stabilizzazione (MARACCHI, 2000).

Appare dunque evidente che un qualunque fattore in grado di alterare la quantità di energia che la Terra riceve come radiazione solare, o la quantità di energia che essa emette come radiazione termica, può alterare il bilancio termico e, pertanto, influenzare drasticamente il clima del pianeta.

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12 Questi fattori possono essere di diversa natura (GUALDI et al., 2005):

a. - Fattori astronomici

Nel passato, in base ai dati emersi dalle ricerche di paleo-climatologia, le mutazioni dei parametri orbitali e/o della attività solare hanno causato cambiamenti anche drammatici nelle caratteristiche climatiche della Terra. La quantità di radiazione, che dal Sole raggiunge la Terra, si è modificata nel tempo a causa della lenta variazione dei parametri orbitali terrestri, le cui oscillazioni hanno scale temporali di migliaia di anni. Il risultato di queste variazioni ha contribuito a produrre l’alternanza delle ere glaciali e dei periodi interglaciali, caratteristici della storia del clima terrestre (GUALDI et al., 2005).

Le variazioni plurisecolari dell’attività solare sono riconducibili ai cambiamenti climatico-ambientali che si verificano circa ogni 500 anni. Un maggior numero di macchie solari determina riscaldamenti globali, mentre un numero minore provoca raffreddamenti globali.

Esempio di quanto esposto, è il periodo che va circa dal 1645 al 1715, che fu caratterizzato da un numero di macchie solari estremamente basso, in questo periodo di riduzione delle macchie solari il sole emanò una minore radiazione solare e sulla Terra arrivò una minore quantità di energia. Tale periodo, conosciuto come Minimo di Maunder, coincide con il culmine della Piccola Età glaciale.

Altro esempio è dato dal periodo di bassa attività solare conosciuto come Il Minimo di Dalton, dal 1790 al 1830 circa. Dal 1750 è stato invece evidenziato che l’attività solare ha iniziato ad aumentare e che, dal 1940, il sole si trova in uno stato di grande massimo. Tale evento si è verificato solo una volta negli ultimi 11.000 anni. Tra 10-15 anni, si dovrebbe raggiungere il punto di massima produzione di macchie solari che potrebbe riprendere a partire dal 2050 circa, determinando l’instaurazione di condizioni climatico-ambientali più calde, simili a quelle descritte nel medioevo (PAGLIUCA et al., 20007).

b. - Cambiamenti di concentrazione dei gas nell’atmosfera

Un altro fattore di alterazione del clima può derivare dalla concentrazione dei gas in grado di assorbire la radiazione terrestre (gas serra) che, invece di essere reimmessa nello spazio, rimane intrappolata nell’atmosfera stessa, alterando il bilancio termico totale del pianeta.

I gas serra più importanti, che hanno maggior impatto sul bilancio radiativo terrestre, sono il vapor acqueo (H2O), l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il biossido

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13 Nel passato, i cambiamenti relativi alle concentrazioni dei gas serra e degli aerosol avvenivano in conseguenza di fenomeni naturali quali, ad esempio, le eruzioni vulcaniche. Questi gas, grazie alla loro proprietà di assorbire la radiazione terrestre e di riflettere quella solare, hanno influito sul verificarsi di periodi di raffreddamento o di riscaldamento del clima del pianeta.

L’attività dei vulcani, ad esempio, può immettere nell’atmosfera anche grandi quantità di aerosol (gocce o particelle microscopiche formate da aggregati molecolari), che riflettendo la luce solare non riscaldano la superficie terrestre. L'eruzione nel 1815 del vulcano Tambora in Indonesia, ricoprì l'atmosfera di ceneri; l'anno seguente, il 1816, è conosciuto come l'anno senza estate.

c. - Processi di variabilità interna del sistema climatico

Si possono inoltre avere processi di variabilità interna del sistema climatico, che possono modificare i modi attraverso i quali la radiazione solare viene ridistribuita tra le varie componenti del sistema stesso (ad es., oceano, atmosfera, biosfera, ecc). Esempio di cambiamento climatico a lungo termine, può essere quello indotto dalle variazioni nella circolazione oceanica profonda e nella distribuzione dei ghiacci marini, che possono avere un ruolo molto importante nell'evoluzione del clima anche in scale temporali molto lunghe (migliaia di anni).

d. - Azione umana

In ultimo, anche se non per importanza, va evidenziata l’azione umana, che studi recenti hanno indicato di rilevante impatto sul clima terrestre.

Il grande consumo di combustibili fossili ha prodotto un rilevante aumento nella concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. La loro immissione nell'aria in grandi quantità, può produrre significative alterazioni dell’equilibrio radiativo che, sovrapponendosi alle variazioni dovute a cause naturali, può indurre cambiamenti nel clima terrestre di notevole entità. Ne è esempio il massiccio utilizzo dei combustibili fossili a partire dalla Rivoluzione Industriale durante il 19° secolo, che ha prodotto un considerevole aumento di gas serra nell'atmosfera, e che è ritenuto dagli esperti il principale responsabile dell’aumento della temperatura media del pianeta osservato a partire dalla seconda metà del 20° secolo.

I principali gas clima-alteranti (GHG – GreenHouse Gases) prodotti dall'uomo e immessi nell’atmosfera sono:

la CO2 (anidride carbonica), prodotta dall’impiego dei combustibili fossili in

tutte le attività energetiche e industriali, oltre che nei trasporti;

il CH4 (metano), prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti

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14

l’N2O (protossido di azoto), prodotto nel settore agricolo e nelle industrie

chimiche;

gli HFC (idrofluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;

i PFC (perfluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;

l’SF6 (esafluoruro di zolfo), impiegato nelle industrie chimiche e

manifatturiere.

Una peculiare caratteristica dei gas serra introdotti nell'atmosfera e specialmente della CO2, di rilevante importanza per il clima, è rappresentata dai loro lunghi tempi

di permanenza nell’aria. Una volta emessi in atmosfera essi possono risiedervi per secoli, avendo così un impatto che si protrae per un lungo termine sul bilancio radiativo (GUALDI et al., 2005).

3.2. - Politiche internazionali

L'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera, fu studiato per la prima volta

nel 1958 da Charles Keeling, che mise in evidenza a Mauna Lua, nelle isole Hawaii, l’elevato incremento di CO2 nella concentrazione atmosferica, che aveva raggiunto

315 ppm, con un tasso di crescita pari a 0.6 ppm annuo, dando così l’avvio alle ricerche su scala mondiale (GIORDANO et al., 2010).

Negli ultimi due secoli la quantità di CO2 è andata sempre crescendo, e ha raggiunto

nel 2011 la concentrazione di 391 ppmv (parti per milione in volume), valore superiore all’intervallo di concentrazione naturale (180-300 ppmv) degli ultimi 800.000 anni e, molto probabilmente, degli ultimi 20 milioni di anni, con un aumento del 40% rispetto al periodo preindustriale.

Oggi, l'evidenza scientifica del legame esistente fra le alterazioni del clima e le attività antropiche gode di largo consenso fra la maggioranza degli scienziati (Anthropogenic Global Warming), nonostante il parere diverso di alcuni oppositori, che attribuiscono tale cambiamento ad eventi naturali (www.nasa.gov).

3.2.1. - Organismi internazionali di ricerca.

Nel 1988, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) ed il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) hanno evidenziato l'importanza delle problematiche legate al cambiamento del clima e, a tale proposito, hanno costituito l’International Panel on Climate Change (IPCC). Tale organismo ha il compito di raccogliere e valutare tutti i dati scientifici, sia tecnici che socio-economici, ritenuti necessari per la comprensione del rischio dei cambiamenti climatici dipendenti

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15 dall'attività dell’uomo. Al fine di renderlo facilmente operativo, questo organismo è stato suddiviso in tre Gruppi di Lavoro (WG) ed una Task Force.

A tutt'oggi sono stati i pubblicati cinque rapporti di valutazione (Assessment Reports – AR: 1990, 1995, 2001, 2007, 2013) che hanno costituito la base di partenza nelle discussioni in ambito UNFCCC (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici).

Ciascun AR (Assessment Report) è costituito da tre volumi, uno per ciascun gruppo di lavoro (Working Group – WG) in cui è organizzato l’IPCC:

- WG1: valuta gli aspetti scientifici del sistema climatico e dei suoi cambiamenti; - WG2: valuta la vulnerabilità dei sistemi naturali e socioeconomici rispetto ai cambiamenti climatici, le conseguenze negative o positive, e le strategie di adattamento;

- WG3: valuta le strategie di limitazione delle emissioni di gas-serra (GHG) e le altre strategie per la mitigazione dei cambiamenti climatici;

- Task Force: effettua la supervisione dei programmi per la realizzazione degli inventari nazionali dei gas-serra.

Nel 1990, a conferma di quanto esposto, si evidenzia come il Primo Rapporto redatto, nel quale si riconosceva ufficialmente l'esistenza dei cambiamenti climatici e la loro gravità, sia stato il documento di partenza per redigere la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC), che venne adottata nel 1992 ed entrata in vigore nel 1994.

Nel 1995, nel Secondo Rapporto veniva messo in risalto il legame esistente fra i cambiamenti climatici e l'attività umane evidenziandone i rischi futuri. Questo secondo rapporto costituì la base del Protocollo di Kyoto (1997).

Nel 2001, venne redatto il Terzo Rapporto che ribadiva con forza il legame esistente fra l'attività antropica e il clima, evidenziandone i sempre maggiori rischi.

Nel 2007, il Quarto Rapporto di Valutazione sottolinea la maggiore conoscenza raggiunta nella comprensione del fenomeno, di quanto incida l’apporto antropico e quello naturale al cambiamento climatico, con un'osservazione dettagliata dei processi climatici e delle loro relazioni di causa-effetto (attribution), oltre ad una proiezione di eventuali cambiamenti climatici futuri.

Infine, il Quinto Rapporto, pubblicato nel mese di ottobre 2014, ha confermato la validità delle conoscenze acquisite in relazione al tema dei cambiamenti climatici, ribadendo la scientificità delle competenze e dei concetti teorici che costituiscono le fondamenta della scienza del clima, confermando la legittimità degli studi e delle ricerche condotte che risultano in grado di esplicare la portata delle variazioni climatiche avvenute nel passato, e prevedere gli scenari climatici futuri.

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3.2.2. - Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici e Protocollo di Kyoto

Il 9 maggio 1992, a New York, è stata approvata a livello internazionale la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, per contrastare e ridurre al minimo gli effetti negativi di questo fenomeno. Questa Convenzione ha come fine la stabilizzazione a livello planetario della concentrazione dei gas ad effetto serra, che sono riconosciuti i più importanti fattori di incidenza in grado di destabilizzare il clima globale del pianeta.

Alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha fatto seguito il Protocollo di Kyoto, che è uno degli strumenti giuridici più importanti volti a combattere i cambiamenti climatici. Questo protocollo internazionale invita i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo a farsi carico sulla base del principio di "comuni, ma differenziate responsabilità", di una riduzione delle emissioni dei principali gas ad effetto serra rispetto ai valori del 1990.

Questo trattato, di natura volontaria, è stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 durante la Conferenza degli stati aderenti a tale accordo, ed è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 in seguito alla ratifica del Protocollo da parte della Russia.

Poiché per la sua validità era necessario che venisse ratificato da non meno di 55 Nazioni, e che queste nel loro insieme rappresentassero non meno del 55% delle emissioni serra globali di origine antropica, la ratifica da parte della Russia è stata determinate per il raggiungimento di questo primo obbiettivo, anche se gli Stati Uniti d'America, che sono il principale emettitore di gas serra con una quota del 36,1% sul totale, non hanno ancora ratificato l'accordo.

Attualmente si stanno negoziando nuovi obbiettivi che potrebbero portare all'adesione di nuovi paesi. Per alcuni Paesi, già aderenti all'accordo, non è prevista alcuna riduzione delle emissioni, ma solo una stabilizzazione. Nessun tipo di limitazione alle emissioni di gas-serra viene invece previsto per i Paesi in via di sviluppo (ENEA, 2002).

3.2.3. - Obiettivi del Protocollo di Kyoto per l’Italia

I paesi aderenti al Protocollo di Kyoto si sono impegnati (paesi industrializzati e paesi ad economia in transizione) a ridurre le emissioni annue di gas serra del 5,2 % rispetto ai valori del 1990, nel periodo 2008-2012, con riduzioni differenti per ogni singolo paese.

Per quanto concerne l'Unione Europea l'obiettivo generale di riduzione è del 8%, nell'ambito del quale l'Italia si è impegnata a ridurre le emissioni del 6,5%. Questo obiettivo appare di particolare difficoltà per l'Italia, che è un paese caratterizzato da una bassa intensità energetica; va inoltre considerato che dal 1990 ad oggi le emissioni italiane di gas serra sono notevolmente aumentate. Bisogna quindi

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17 considerare che lo sforzo reale richiesto al paese per rispettare gli obblighi previsti dal Protocollo di Kyoto per il periodo 2008-2012, è del 19 % circa; che corrisponde ad una riduzione delle emissioni di circa 93 milioni di Tonnellate di CO2eq.(CNEL, 2005).

In Italia, per cercare di raggiungere gli obiettivi sottoscritti nell’ambito del Protocollo di Kyoto, sono stati posti in essere una serie di strumenti normativi destinati a recepire ed attuare quanto predisposto del Protocollo medesimo. Fra i più importanti atti normativi possiamo evidenziare:

- Delibera CIPE 137/08 del 19.12.1998 – “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra“;

- Legge n. 120/02 del 02.06.2002 – “Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997“, la Legge di ratifica nazionale del Protocollo di Kyoto); - Delibera CIPE 123/02 del 19.12.2002 – Approvazione del “Piano Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra, 2003-2010”, quale revisione delle linee guida per le politiche e le misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002). In tali documenti vengono definiti i singoli obiettivi attributi a ciascun settore del Paese da conseguire entro il termine del secondo periodo di impegno (cioè entro il 2012).

Secondo il Rapporto “Italian Greenhouse Gas Inventory” (ISPRA, 2011) si evidenzia che nel 2009 le emissioni nazionali totali dei sei gas serra (GHG), espresse in CO2

equivalente, sono diminuite del 5,4% rispetto ai livelli del 1990.

3.2.4. - Strumenti attuativi del Protocollo di Kyoto

Per il conseguimento delle riduzioni proposte nel Protocollo di Kyoto sono previsti due diversi tipi di strumenti:

Politiche e misure - All'interno del territorio nazionale vengono previsti programmi attuativi specifici.

Meccanismi flessibili – In considerazione del fatto che i cambiamenti climatici sono un fenomeno globale, e che ogni riduzione delle emissioni di gas serra è efficace indipendentemente dal luogo del pianeta nel quale viene realizzata, si concede di utilizzare a proprio credito le riduzioni di emissioni effettuate al di fuori del territorio nazionale. Si possono avere tre tipi di meccanismi flessibili: 1. International Emissions Trading (IET) – questo meccanismo da la possibilità

a uno stato, o eventualmente ad un' azienda, di comperare o vendere ad altri stati o aziende permessi di emissione in modo da essere in linea con la quota assegnata. Con questo sistema il soggetto interessato venderà tali permessi quando le proprie emissioni sono al di sotto della quota assegnata, mentre li

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18 comprerà quando le proprie emissioni sono al di sopra della quota assegnata. Questi permessi vengono chiamati Assigned Amount Units ed indicati con la sigla AAUs.2.

2. Clean Development Mechanism (CDM)- questo meccanismo si pone il proposito di attuare una particolare forma di collaborazione attraverso la quale le aziende o gli stati, che realizzano progetti a tecnologia pulita nei paesi in via di sviluppo, ricevono, in base alla riduzione ottenuta rispetto ai livelli che si sarebbero avuti senza il progetto, altrettanti crediti di emissione, che possono essere a loro volta venduti. Tali crediti vengono chiamati Certified Emissions Reductions ed indicati spesso con la sigla CERs

3. - Joint Implementation (JI) – questo meccanismo prevede un rapporto di collaborazione tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, per il raggiungimento dei rispettivi obiettivi di riduzione delle emissioni. In questo modo, similmente al CDM, si possono ottenere crediti di emissione attraverso investimenti in tecnologie pulite in altri paesi. Tali crediti vengono chiamati Emissions Reductions Units ed indicati con la sigla ERUs

I meccanismi flessibili sono, dunque, strumenti economici che hanno lo scopo di ridurre il costo complessivo d'abbattimento dei gas serra, poiché consentono di ridurre le emissioni dove è economicamente più vantaggioso, pur tenendo sempre conto degli obiettivi di tipo ambientale

3.2.5. - Accordi successivi al Protocollo di Kyoto e sviluppi futuri

Occorre considerare il Protocollo di Kyoto come il punto di partenza per contenere i cambiamenti climatici in atto. Rimane infatti viva la speranza che i futuri obiettivi di riduzione, indicati dagli scienziati, si trasformino in accordi internazionali in grado di produrre efficaci e sostanziali politiche di riduzione di emissioni di gas serra.

Infatti, in seguito alla stesura del Protocollo di Kyoto (1997-2012), si sono avute una serie di Conferenze (Conference of the Parties) destinate alla ridefinizione degli obiettivi: la Conferenza di Copenhagen (Cop 15, Dicembre 2009) che ha lasciato dietro di se molta delusione, poiché non è riuscita a raggiungere alcun accordo. Anche la Conferenza di Cancun (Cop 16, Dicembre 2010), non è stata in grado di organizzare un'azione coordinata tra gli Stati Nazionali per il contrasto al cambiamento climatico; obiettivo che non è stato ottenuto neppure con la più recente Conferenza di Durban (Cop 17, Dicembre 2011). A dicembre 2012 si è conclusa, anche se con scarso successo, la Conferenza Cop 18 di Doha (in Quatar), dove è stato approvato un documento finale (“Doha climate gateway”) che costituisce una specie di “ponte” che dovrebbe far passare dal vecchio sistema di contrasto al “climate change”, basato sul Protocollo di Kyoto e sui suoi impegni vincolanti, al nuovo sistema “Kyoto 2” basato in buona parte su obiettivi meno vincolanti.

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19 A Cop 18 ha fatto seguito la Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, COP19 o CMP9 che si è tenuta a Varsavia (Polonia) nei giorni 11-23 novembre 2013.

La conferenza ha portato ad un accordo che invita tutti gli Stati aderenti all’intesa a tagliare le emissioni il prima possibile, addirittura entro il primo trimestre del 2015. Inoltre sono previste una serie di misure atte a tutelare le foreste tropicali e sbloccare di conseguenza grandi investimenti economici in grado di attuare adeguati interventi. La COP19 ha discusso inoltre anche del nuovo “meccanismo di Varsavia”, che avrebbe dovuto aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare i danni derivanti da eventi climatici estremi come: le ondate di calore, le siccità, le inondazioni, oltre all’innalzamento del livello del mare e la desertificazione. I Paesi sviluppati non hanno però pienamente sottoscritto tale impegno, in quanto si sono dichiarati poco disponibili nel mettere altri fondi a disposizione di questo meccanismo.

La 20° sessione della Conferenza delle Parti, si terrà dal 1 al 12 di dicembre 2014, ospite del Governo del Perù, a Lima.

Purtroppo gli scarsi risultati ad oggi ottenuti dai vari Organismi Internazionali, appaiono in contrasto con quanto espresso dalla maggioranza degli scienziati (COP 19), concordi nel sostenere la necessità di avviare immediate azioni di contenimento necessarie a garantire una riduzione emissiva, in grado di mantenere l’aumento delle temperature medie globali al di sotto dei + 2°C (rispetto ai livelli pre-industriali), come evidenziato nel report “Warnings of climate science – again – written in Doha sand” (realizzato dal Climate Action Tracker del Potsdam Institute for climate impact research (Pik), da Ecofys – experts in energy e da Climate Analytics).

Attualmente, purtroppo, si può contare solo sull'impegno più teorico che concreto di Doha 2012, per stabilire le modalità e gli strumenti per colmare il divario tra emissioni attese (58 GtCO2eq), cioè raggiungibili con gli attuali impegni (52-57

GtCO2eq) ed il limite di 44 GtCO2eq, che gli scienziati considerano insormontabile

per raggiungere l'obiettivo teso a limitare il riscaldamento climatico a + 2°C. Il divario previsto varia tra gli 8 e i 13 miliardi di tonnellate di CO2eq, ed è un valore

che gli scienziati valutano in maniera estremamente negativa, in quanto ci condurrebbe in maniera irreversibile verso un riscaldamento stimato tra i 3.5°C e i 6°C.

Va inoltre evidenziato che anche se i Paesi industrializzati riducessero sostanzialmente le loro emissioni di gas serra nei prossimi decenni, il sistema climatico continuerebbe ad esserne influenzato per secoli. Ciò in dipendenza del lungo lasso di tempo necessario affinché le politiche di riduzione delle emissioni abbiano un effetto sulle concentrazioni di gas serra e, di conseguenza, sul clima (EEA, 2004).

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3.3. - Cambiamento climatico in rapporto al settore primario

Fra i responsabili dell'emissione di gas serra nell'atmosfera va sicuramente considerato il settore primario al quale va attribuita, anche se in misura diversa, l'emissione di alcuni fra i principali gas serra: anidride carbonica (CO2), metano

(CH4) e protossido di azoto (N2O). Nel complesso all'agricoltura viene attribuita la

responsabilità di circa il 30% delle emissioni di GHG di origine antropica (FAO, 2003) Dall'agricoltura hanno origine il 50% e il 70%, rispettivamente delle emissioni di CH4 e di N2O (Tabella 1). Escludendo le attività forestali, le attività agricole sono

responsabili del 5% delle emissioni di CO2; la deforestazione del 20% circa (IPCC,

2000a). GHG Era pre-industriale 2005 Variazione (%) % emissioni del settore agricolo-forestale sul totale

emissioni

Anidrite Carbonica CO2 (ppm) 280 379 34,4 % 25 %

Metano CH4 (ppb) 715 1774 148,1 % 50 %

Protossido di azoto N2O (ppb) 270 319 18,1 % 70 % Tabella 1 - Aumento della concentrazione dei principali GHG dall'era pre-industriale

al 2005 (ppm: parti per milione; ppb: parti per miliardo)(IPCC, 2000a)

I dati più recenti, relativi al livello di emissioni dei tre principali GHG che interessano il settore agricolo e forestale, esaminati dettagliatamente forniscono i seguenti risultati (IPCC, 2000a).

Si evidenzia un aumento notevole nella concentrazione di anidride carbonica, il più importante GHG di origine antropica, che è passato da 280 parti per milione (ppm) dell'era pre-industraile a 379 ppm nel 2005. La variazione di CO2 naturale, negli

ultimi 650.000 anni, è oscillata sempre entro valori di 180-300 ppm; con evidente difformità per quanto avvenuto nel periodo 1995 - 2005, nel quale si sono registrati i maggiori tassi di variazione della CO2, con una media di 1,9 ppm per anno (nel

periodo 1960.2005 la media annua è stata di 1,4 ppm).

Dopo i combustibili fossili, il settore agricolo-forestale viene considerato come la principale causa delle emissioni di CO2. Le emissioni medie annue associate all'uso

dei terreni agro-forestali, negli anni novanta, sono state stimate pari a 5,9 Gt (Gigaton), anche se con ampio margine di incertezza (da 1,8 a 9,9) (IPCC, 2007a). Le foreste hanno un ruolo prioritario tra le diverse forme di utilizzo del suolo e quindi il loro ruolo è determinante nell'emissione di CO2. La capacità fissativa (sink)

di carbonio di 0,7±0,2 Gt/anno delle foreste boreali e temperate non è in grado di compensare i processi di deforestazione tropicale che comportano una emissione netta annuale di 1,6±0,4 Gt C. Dai valori rilevati in epoca preindustriale la

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21 concentrazione in atmosfera del metano è passata da 715 parti per miliardo (ppb) a 1732 ppb negli anni Novanta, per arrivare a 1774 ppb nel 2005 (negli ultimi 650.000 anni la concentrazione naturale è variata entro i 320 e i 790 ppb). Le attività zootecniche e l'utilizzo a dei suoli, sono considerati la prima causa delle emissioni, ma il contributo del settore come quello di altre fonti è molto incerto (IPCC, 2007a). La concentrazione in atmosfera del protossido d'azoto, è passata da 270 ppb dell'epoca preindustriale a 319 ppb in 2005. Comunque il tasso di crescita delle emissioni si è stabilizzato a partire dal 1980. Oggi l'agricoltura è considerata la causa principale delle emissioni di natura antropica che costituiscono un terzo del totale emissivo.

I dati finora riportati fanno prevalentemente riferimento ai flussi di GHG e alla loro concentrazioni nell'atmosfera. Come evidenziato, il settore primario è nel complesso un emettitore netto di GHG, ma alcune forme di utilizzo dei terreni agricoli e forestali consentono, e ancor più potrebbero consentire nel futuro, di aumentare le quantità temporaneamente fissate di CO2. (PETTENELLA,2007).

Si evidenzia nella Tabella 2, di seguito riportata, una stima dell'attuale capacità di fissazione. Tale capacità è strettamente dipendente dall'evoluzione del settore, sia dalle politiche agricole e di sviluppo rurale, sia da quelle energetiche e climatiche in grado di influire sulle modalità di gestione dei terreni, oltre che rispondere alla capacità di reazione spontanea del settore al processo stesso del cambiamento climatico.

BIOMI SUPERFICIE

(109 ha)

STOCK DI CARBONIO (Gt C)

Vegetazione Suolo Totale

Foreste tropicali 1,76 212 216 428

Foreste temperate 1,04 59 100 159

Foreste boreali 1,37 88 471 559

Savane 2,25 66 264 330

Prati e pascoli di zone temperate 1,25 9 295 304

Deserti e zone semi desertiche 4,55 8 191 199

Tundra 0,95 6 121 127

Zone Umide 0,35 15 225 240

Terreni coltivati 1,60 3 128 131

TOTALE 15,12 466 2011 2477

Tabella 2. Stock globale di carbonio nella vegetazione e nel suolo (fino a un metro di profondità) nei diversi biomi terrestri. (IPCC, 2000a)

Si evidenziano tre categorie in cui suddividere le attività agricolo-forestali con effetti migliorativi nei bilanci dei GHG:

- le attività che portano ad una crescita dello stock del carbonio o a una riduzione delle emissioni nelle coltivazioni, negli allevamenti zootecnici, nelle pratiche

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22 forestali senza cambiamenti nelle forme d'uso dei suoli (razionalizzazione dell'impiego di fertilizzanti e combustibili fossili, allungamento dei turni forestali); - il cambiamento delle forme d'uso del suolo (rimboschimenti, conversione di seminativi in pascoli,) o la prevenzione di cambiamenti con effetti negativi (difesa antincendio, deforestazione);

- la produzione di materiali ad accumulo di carbonio (legname con lunghi cicli di vita) o con effetti sostitutivi di carbonio fossile (produzioni di bioenergia).

- interventi misti (ad esempio una piantagione a biomasse, su terreni agricoli, per la produzione di biocombustibili).

Nell'ambito delle strategie da mettere in atto per la mitigazione dei cambiamenti climatici e, nello specifico, per la fissazione della CO2, già dal febbraio 2005, con

l'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, il settore agricolo-forestale è stato formalmente riconosciuto come un valido strumento utilizzabile per il raggiungimento di questo obiettivo.

Definito l'oggetto e le modalità di rendicontazione, il Protocollo lasciava liberi i governi nell'individuare gli strumenti economici più opportuni per raggiungere gli obiettivi di riduzione.

La maggior parte dei paesi occidentali (Italia compresa) che hanno ratificato il Protocollo hanno optato per non rendicontare le attività agricole nel primo periodo di attuazione delle proprie politiche climatiche (CICCARESE et al., 2006). La gestione forestale è stata selezionata da alcuni paesi (tra cui l'Italia). In tal modo i paesi hanno valutato che i costi marginali di abbattimento delle emissioni nel settore agricolo sono mediamente più elevati rispetto a quelli di altri settori.

Lo Schema di mercato delle quote (European Union's Emissions Trading Scheme, EU-ETS), approvato con la Direttiva 87 del 2003 e reso operativo nel gennaio 2005, viene valutato nell'Unione Europea come lo strumento di mercato più significativo direttamente finalizzato a ridurre le emissioni di GHG. Lo Schema, basato sulla modalità organizzativa “cap and trade”., impone ai comparti economici che consumano più risorse energetiche, specificatamente per ogni impianto, di non superare annualmente un tetto di emissione (definito “cap”). Rispetto al cap destinato, le imprese possono ridurre le proprie emissioni tramite interventi di risparmio energetico o la riduzione dei livelli di produzione, immettendo così sul mercato (“trade”) le quote di emissione non utilizzare che possono essere acquisite da imprese con esigenze opposte. Questo strumento di contenimento delle emissioni è ritenuto particolarmente efficiente, in quanto premia le imprese che operano a costi marginali inferiori, evitando azioni impositive di comando o controllo.

La Commissione Europea, nel definire lo schema di funzionamento dell'EU-ETS, non ha tenuto conto delle diverse aspettative afferenti al mondo agricolo e forestale, ed ha escluso la possibilità che gli investimenti nel settore primario possano essere utilizzati per generare crediti spendibili nel mercato europeo delle quote. La Commissione ha avuto una netta presa di posizione a questo riguardo specificando

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23 che l'EU-ETS è finalizzato a ridurre permanentemente le emissioni, mentre gli interventi nel settore primario sono giudicati temporanei, di risultati incerti e senza particolari trasferimenti tecnologici. Nonostante la pressante richiesta degli operatori del settore agricolo e forestale a riconsiderare le decisioni prese dopo il primo periodo di funzionamento dello Schema, si è avuto da parte della Commissione una posizione di sostanziale chiusura a qualsivoglia proposta di cambiamento.

Le imprese coinvolte nell' “EU-ETS” possono tuttavia ricorrere nei propri impianti all'utilizzo a fini energetici di fonti rinnovabili come le biomasse, con la riduzione delle proprie emissioni di CO2, e attuare in tal modo una valorizzazione economica

delle attività agro-forestali. In ogni modo, è comunque escluso un esplicito e diretto coinvolgimento del settore primario nello scambio di quote.

All'Italia, in seguito ad un'intensa attività negoziale, è stato concesso un limite di rendicontabilità per le misure di gestione forestale (art. 3.4 del Protocollo) relativamente elevato: 10,2 milioni t CO2/anno, pari a più del 10% del totale

dell'impegno di riduzione delle emissioni ufficialmente assunto dall'Italia. Per l'art. 3.3, relativo ai rimboschimenti, è inoltre previsto di rendicontare nel piano nazionale ulteriori 6 milioni di t CO2, di cui la metà connessi ai fenomeni di espansione

naturale del bosco su ex coltivi. Facendo riferimento ai 5 anni in cui verrà attuata la prima rendicontazione delle emissioni italiane, si tratta di un servizio ecosistemico offerto dal settore forestale valutabile intorno ai 400 milioni di Euro(PETTENELLA, 2007). Quanto esposto apre la strada ad una serie di legittime aspettative da parte dei proprietari forestali rispetto ad una internalizzazione di tale servizio.

Il Ministero dell'Ambiente, in considerazione di quanto esposto, ha manifestato formalmente con il decreto del 2.2.2005, la volontà politica di organizzare un ”Registro Nazionale dei Serbatoi di Carbonio Agro-Forestali”. Il Registro dovrebbe essere lo strumento atto a monitorare tutti i terreni potenzialmente interessati alle attività agricole e forestali sul territorio italiano. Si evidenzia comunque che, di fatto, verranno prese in considerazione solo le attività forestali, dal momento che il governo ha scelto per ora di escludere quelle attività agricole dal sistema di rendicontazione del Protocollo.

Gli interventi forestali utilizzabili ai fini del Protocollo per essere rendicontabili devono, oltre ad aver avuto inizio dal 1990, essere intenzionali e conseguenti a interventi diretti e volontari, non osservabili in uno scenario ”business as usual.” (CICCARESE et al., 2006). L'inclusione, ipotizzata dal piano italiano di riduzione delle emissioni, di tutte quelle attività che comunque sarebbero state poste in essere o si sarebbero verificate anche in assenza del Protocollo (ad esempio la ricolonizzazione naturale di prati e pascoli abbandonati da parte della vegetazione arborea, o la crescita spontanea di boschi in condizioni marginali), si presta alla fondata critica di utilizzare strumentalmente il settore forestale per non fare quelle scelte, nel campo del risparmio e della riconversione energetica, che rappresentano i veri punti critici delle politiche di riduzione delle emissioni di gas di serra. Da quanto esposto, risulta chiaramente come non sia stata impostata una chiara politica di governance delle

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24 attività agricole e forestali per una riduzione delle emissioni di GHG, oltre a considerare anche tutti i problemi legati al coordinamento di queste politiche con quelle di sviluppo rurale ed energetiche.

3.4. - Misure di difesa dell’UE contro gli effetti dei cambiamenti

climatici sugli ecosistemi

L'agricoltura e la selvicoltura nell’UE, rivestono un ruolo di grande rilievo, in quanto fornitori di servizi ambientali ed ecosistemici in grado di limitare gli effetti derivanti dagli attuali cambiamenti climatici.

La gestione agricola e forestale è infatti determinante da vari punti di vista come, ad esempio, la protezione dei corsi d'acqua contro un eccessivo afflusso di nutrienti, l'utilizzo efficiente delle risorse idriche nelle regioni aride, il miglioramento della gestione delle alluvioni, la manutenzione e il ripristino di paesaggi multifunzionali, come i prati ad alto valore naturalistico che ospitano habitat e intervengono nella migrazione di numerose specie. Per contrastare i rischi connessi ai cambiamenti climatici, occorre prendere in considerazione l’applicazione di misure che dovrebbero fornire un valido contributo per mitigare i rischi suddetti, fra questi ad esempio: la protezione dei prati permanenti, la promozione di tecniche di gestione forestale che migliorino la resistenza ai cambiamenti del clima, le misure di gestione del suolo per il mantenimento del carbonio organico (ad esempio, assenza di lavorazione o lavorazione minimale del suolo) (LIBRO VERDE, 2007).

A tale proposito, il piano d'azione previsto dall'UE intende istituire un contesto coerente nel quale inserire iniziative a favore dei boschi e delle foreste all'interno dell’Unione europea, oltre ad essere uno strumento di coordinamento degli interventi europei e delle politiche forestali degli Stati membri. Il piano propone diciotto azioni chiave da realizzare nell'arco di cinque anni (2007-2011). In tale ottica sono stati elaborati i PSR 2007-2013 prorogati al 2014, e adottati dalle Regioni ai sensi del Reg. (CE) 1698/05. Il regolamento comunitario indirizza l’azione degli stati membri verso azioni atte a contrastare gli effetti derivanti dal cambiamento climatico: “Ai fini della protezione dell’ambiente, della prevenzione degli incendi e delle calamità naturali e dell’attenuazione del cambiamento climatico, occorre estendere e migliorare la massa forestale mediante l’imboschimento di superfici agricole o di altre superfici” (CEE, 2005 – punto 38).

Occorre ricordare che il sostegno comunitario all'agricoltura, alla selvicoltura e allo sviluppo rurale è basilare per la produzione alimentare, oltre che per il mantenimento dei paesaggi rurali e la fornitura di servizi ambientali.

Per lo sviluppo sostenibile dell'agricoltura dell'UE, sono da considerarsi fondamentali, anche se non esaustive, le recenti riforme della politica agricola

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25 comune (PAC). Comunque sarebbe opportuno , ad esempio, esaminare in che misura la PAC sia in grado di incentivare buone pratiche agricole che risultino compatibili con le nuove situazioni climatiche, e come contribuiscano, in maniera proattiva, alla conservazione e alla tutela dell'ambiente.

Va considerato che il cambiamento del clima avrà profonde conseguenze sulle componenti fisiche e biologiche degli ecosistemi, cioè l'acqua, il suolo, l'aria e la biodiversità. Per ciascuna di queste matrici, l'UE ha già predisposto la nascita di normative e politiche idonee, da attuare in tempi relativamente brevi, in modo da poter intervenire adeguatamente per rafforzare la capacità di resistenza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici. Anche se a tutt'oggi appare difficoltoso mantenere gli ecosistemi funzionanti e in buone condizioni, perché i mutamenti del clima potrebbero compromettere ciò che è già stato fatto, e ciò che si sta facendo. Tutto questo renderebbe quindi necessario apportare cambiamenti ed aggiustamenti alle politiche comunitarie previste nel settore.

Vari sono gli aspetti su cui insistere prevalentemente: la necessità di garantire l'integrità, la coerenza e le connessioni all'interno della rete Natura 2000, la conservazione e il ripristino della biodiversità e dei servizi ecosistemici nelle zone rurali in senso lato e nell'ambiente marino, la compatibilità tra lo sviluppo regionale, territoriale, la biodiversità e la riduzione degli effetti indesiderati delle specie esotiche invasive.

Lo sviluppo e lo sfruttamento nel settore agricolo-forestale non devono comportare una diminuzione del capitale naturale o dei servizi ecosistemici, ma condurci verso ciò che viene chiamato "utilizzo sostenibile" delle risorse. In quest'ambito, le misure compensative sono un elemento importante per far sì che i progetti di sviluppo conservino il capitale naturale.

Il piano d'azione che l'UE intende perseguire per le foreste, al fine di concretizzare il concetto di “utilizzo sostenibile”, prevede un contesto congruente nel quale inserire iniziative a favore dei boschi e delle foreste, oltre ad azioni di coordinamento degli interventi europei e delle politiche forestali degli Stati membri. All'interno di questo piano, si ipotizzano delle misure specifiche per il raggiungimento di questo obiettivo, che prevede il mantenimento e l'accrescimento in maniera appropriata della biodiversità, l’immobilizzazione del carbonio, l’integrità e la salute degli ecosistemi forestali, e la loro capacità di recupero a diversi livelli geografici.

La conservazione della capacità produttiva, della capacità di recupero e della diversità biologica, è fondamentale per assicurare il mantenimento di un sano ecosistema forestale, a sua volta indispensabile per una società ed un’economia sane. A tale proposito l'UE, per favorire il rispetto degli impegni presi nel quadro dell’UNFCCC e del relativo protocollo di Kyoto, ha previsto una serie di azioni mirate a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, riconoscendo il ruolo e l'importanza delle foreste in questo contesto.

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3.5. - Modelli climatici

3.5.1. - Aspetti generali

Stabilire in quale misura i cambiamenti climatici osservati in questi ultimi decenni possano essere ricondotti e spiegati dagli effetti delle attività umane, e quanto siano il risultato della naturale variabilità climatica, viene considerato uno dei principali obiettivi nello studio del clima. In questo ambito va evidenziata comunque la notevole difficoltà di effettuare questo tipo di indagini. Per validare le ipotesi presupposte e le teorie esistenti, occorre ricorrere all’uso di modelli numerici, basati sulla rappresentazione matematica dei processi e delle interazioni che sono coinvolte nel sistema climatico. I modelli utilizzati, con cui effettuare delle simulazioni sulla futura variabilità atmosferica, sono alla base delle attuali conoscenze del sistema climatico e, comunque, costituiscono la miglior rappresentazione ad oggi disponibile. Essi sono dunque, il miglior strumento di cui disponiamo attualmente per indagare i meccanismi che governano il clima e per cercare di prevederne il comportamento. Negli ultimi decenni sono stati compiuti considerevoli progressi nel campo della modellistica numerica e, oggigiorno, i principali centri di ricerca dispongono di modelli numerici in grado di riprodurre le principali caratteristiche del clima e della sua variabilità (GUALDI et al., 2005; MEEHL. et al., 2003).

Esiste una notevole differenza fra i modelli climatici e quelli meteorologici, in quanto, i primi, oltre a valutare modelli di trasferimento radiativo-convettivo e fluidodinamici, prendono in considerazione equazioni relative a processi fisici che hanno scarsa influenza a scala meteorologica (breve periodo), ma peso molto maggiore a scala climatica (medio-lungo periodo), come ad esempio l'effetto della copertura nevosa sull'albedo terrestre, l'interazione tra atmosfera e biosfera attraverso il ciclo del carbonio per la valutazione dell'impatto antropico, e le variazioni delle correnti oceaniche (modelli oceanici).

A tutt'oggi le Nazioni Unite, mediante l’IPCC, hanno monitorato più di venti modelli climatici.

Esistono poi modelli climatici detti “accoppiati”, quali a esempio il modello AOGCM (Atmosphere-Ocean General Circulation Model), dove compaiono le equazioni che rappresentano in maniera tridimensionale la circolazione oceanica, il trasporto dell’energia solare assorbita intorno alla Terra, e gli scambi di calore e di umidità con l’atmosfera. Nei moderni modelli accoppiati compaiono anche equazioni che descrivono l’influenza della vegetazione, del suolo, della neve o del ghiaccio in relazione allo scambio termico con l’atmosfera

Dai modelli climatici “globali” (Global Climate Models, GCMs) si ottengono modelli climatici “regionali” (Regional Climate Models, RCMs) ottenuti con operazioni di downscaling. Tale termine inglese indica generalmente una operazione di interpolazione condotta su un insieme di dati, disposti ad una determinata scala

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27 spaziale, da cui si ottiene un altro insieme di dati ad una scala diversa, generalmente a più elevata risoluzione spaziale.

In tal modo, la validità di un modello climatico si valuta sulla sua capacità di ricostruire il clima passato. Per convalidare un modello climatico si immettono nel modello i valori misurati o stimati di queste grandezze, ad esempio per l’ultimo secolo, e si va a vedere se il modello simula correttamente gli andamenti di alcune variabili medie (come la temperatura globale), e se presenta una loro distribuzione sul pianeta in sintonia con le osservazioni effettuate (PASINI, 2012).

3.5.2. - Principali Modelli Globali di Circolazione

Come già evidenziato nel paragrafo precedente le Nazioni Unite, mediante l’IPCC, hanno monitorato più di venti modelli climatici. Fra questi, di seguito vengono evidenziati quelli più utilizzati a livello mondiale (ROSSO, 2007). Il modello climatico utilizzato per il presente studio è il modello HadCM3.

ECHAM-4

Questo modello di circolazione generale atmosferica (GCM) ECHAM-4, sviluppato dal Max-Planck-Institute per la Meteorologia di Amburgo (Germania), rappresenta un’evoluzione del modello per le previsioni meteorologiche del Centro Europeo per le Previsioni a Medio Termine (ECMWF, Reading). Il modello è stato utilizzato con un troncamento spettrale T106, che corrisponde ad una risoluzione spaziale di circa 1.125° x1.125° (circa 100 Km). Il modello atmosferico è stato accoppiato con un modello a “strato mescolato” (mixed-layer) dell’oceano.

Acronimo: MPI ECHAM4 (T42 L19) 1996

NCAR_PCM

Il Pcm è il Parallel Climate Model (modello parallelo) dell’NCAR. Esso utilizza al suo interno il modello atmosferico CCM3 (NCAR Community Climate Model), e per la componente oceanica il LANL Parallel Ocean Program Model (POP) del Los Alamos National Laboratory.

La componente atmosferica (CCM3) è la quarta generazione dei modelli NCAR Community Climate Model, esso è una evoluzione del CCM2, ma con evidenti cambiamenti nella parametrizzazione dinamica e fisica.

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