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Plasticità Neuromuscolare

4.6. Plasticità dell’ippocampo

Introduciamo la plasticità dell’ippocampo con una premessa sulla definizione di neurogenesi: quest’ultima rappresenta la nascita di nuove cellule nervose, raggruppa una seria di passaggi che si possono dividere in tre fasi che vanno dalla proliferazione, passando per la sopravvivenza fino ad arrivare alla differenziazione.

All’interno dell’ippocampo umano, l’attività neurogenica è stata riscontrata sia nel giro dentato che nel Corno d’Ammone; la produzione e la sopravvivenza di questi nuovi neuroni può contribuire alla neuroplasticità e ad altre funzioni ippocampali come la memoria e l’apprendimento. La neurogenesi nell’ippocampo sembra andare oltre la semplice sostituzione di cellule ormai vecchie, queste cellule ippocampali di nuova formazione, sono essenziali per l’apprendimento e la memoria e quindi permettono di potenziare le proprie capacità di apprendimento.

Questi importanti e recenti studi hanno dimostrato che le nuove cellule non solo possono sopperire alla perdita di altre, causata dall’invecchiamento, ma anche che contribuiscono ad attribuire alle reti nervose una capacità di tessere connessioni analoga a quella riscontrabile in un cervello immaturo e fortemente orientato all’apprendimento.

La generazione di nuove connessioni sinaptiche è più importante del mero numero di neuroni; un cervello in declino numerico non è necessariamente a rischio nella sua funzionalità, purchè colleghi maggiormente i restanti neuroni disponibili.

Questa plasticità si riscontra bene nel caso di recupero da Ictus o altri insulti cerebrali; alcuni neuroni muoiono, ma quelli vicini sono in grado di sostituirli bene riorganizzando spontaneamente i propri ruoli, solo se prima vi sia una modifica dei collegamenti in parte danneggiati.

Tutto questo processo plastico è fortemente determinato da stimoli esterni, la formazione delle sinapsi e infatti favorita dalla reiterazione dei segnali e questi non sussistono se non c’è informazione ambientale da elaborare; per questo elencherò, come avvenuto per la plasticità delle altre strutture, i fattori modulanti la plasticità nell’ippocampo.

4.6.1.

Ambiente:

È stato dimostrato che la permanenza in un ambiente variegato, esercita molte azioni positive sulla struttura e sulla funzionalità nervosa, tra le quali: aumento del numero di dendriti e di spine, aumento delle dimensioni delle sinapsi, aumento della glia e miglioramento delle performance in test sulla memoria spaziale.

La formazione ippocampale dell’adulto contiene cellule staminali che in vitro possono differenziarsi o in cellule nervose o in cellule gliali ed è stato dimostrato che un ambiente arricchito è in grado di aumentare, in roditori adulti o vecchi, anche più del 15%, il numero di cellule che si differenziano in cellule nervose.

Nel giro dentato di animali cresciuti in condizioni di isolamento, la proliferazione cellulare nervosa è risultata invece diminuita rispetto agli animali tenuti in gruppi, anche di poche unità. Il successivo reinserimento in gruppo incrementa il livello della neurogenesi. Oltre alla quantità, anche la sopravvivenza delle cellule nervose di nuova formazione diminuisce significativamente nell’animale vecchio, ma aumenta vivendo in un ambiente arricchito.

Una delle ipotesi avanzate per spiegare l’aumento di sopravvivenza, sarebbe l’avvento di una diminuzone della morte per apoptosi, dal momento che sono stati individuati nella zona sottogranulare, in condizioni normali, nuclei apoptotici.

Il modello di crescita in un ambiente isolato, è stato considerato un modello idoneo per studiare gli effetti di condizioni riduttive nell’infanzia, al fine di una migliore comprensione della genesi e dei processi alla base di numerose malattie neurologiche e psichiatriche oltrechè dello sviluppo del sistema nervoso e del comportamento. Questi studi hanno dimostrato che roditori cresciuti i condizioni d’isolamento sociale, sviluppano considerevoli cambiamenti comportamentali, tra cui maggiore iperattività e deficit dell’impulso anticipatore, oltre a danni della capacità di apprendimento e della memoria di alcuni esercizi, tipici nelle malattie di schizzofrenia e nella malattia di Alzheimer.

4.6.2.

Esercizio Fisico.

Osservazioni effettuate con la risonanza magnetica funzionale su gruppi di volontari dopo tre mesi di attività aerobica e su prelievi istologici da cervelli animali, hanno evidenziato come una decina di settimane di esercizio fisico siano sufficienti per determinare nel cervello umano un aumento considerevole di funzionalità e di formazioni di nuovi neuroni del circuito cruciale per la memoria, rappresentato dal giro dentato dell’ippocampo. Un riscontro importante durante esperimenti è avvenuto nella differenziazione tra esercizio volontario e involontario; solo con l’esercizio

volontario, nell’ippocampo e specie nello strato dei granuli del giro dentato, incrementa la proliferazione cellulare nervosa. L’esercizio volontario ha dimostrato che provocherebbe anche l’aumento della complessità dendritica e la densità di spine dei neuroni ippocampali; provoca anche l’aumento dell’espressione genica della neurotrofina BDNF e di fattori trofici associati con la differenziazione nervosa delle cellule progenitrici e la sopravvivenza neuronale sulla cognizione e sul comportamento, per esempio il miglioramento di prestazioni in test per la memoria già dopo 3- 4 settimane di training.

In letteratura ricerche hanno confermato numerosi fattori responsabili dell’aumento della neurogenesi ippocampale indotta da questo tipo di esercizio fisico.

Questi fattori sono molecole i cui livelli sarebbero influenzati dall’attività fisica, agenti direttamente sulla crescita dei nuovi neuroni nell’ippocampo, come la β-endorfna, gli endocannabinoidi, il BDNF (fattore neurotrofico di derivazione cerebrale), il VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare) e la 5-HT (serotonina).

Studi scientifici hanno evidenziato che una contrazione muscolare di 45 minuti di camminata a passo veloce, stimola la liberazione locale di endorfine, dell’endocannabinoide anandamide e dellIGF-1 (fattore insulino-simile di tipo1), i quali tramite la circolazione ematica, raggiungono il cervello. Qui l’IGF-1 aumenta il catabolismo della proteina β-amiloide (responsabile dei danni neurologici caratteristici della malattia di Alzheimer) e la sintesi del BDNF.

Da questi studi deduciamo che la relazione tra attività fisica e benessere neuropsichico, alla luce non solo delle caratteristiche antalgiche delle endorfine o degli endocannabinoidi, ma anche dalle caratteristiche neurotrofiche e neuroprotettive del BDNF, il quale promuove la differenziazione e l’estensione del neurite nonché la sopravvivenza di una varietà di cellule neuronali; è inoltre in grado di aumentare la trasmissione sinaptica, che è fondamentale per il verificarsi di eventi plastici e proteggere il tessuto nervoso in caso di attacchi tossici; il suo deficit, per la conseguente diminuzione di serotonina, può comportare diminuzione del tono dell’umore.

Studi scientifici hanno evidenziato che una significativa contrazione muscolare aumenta in maniera esponenziale l’attività dei neuroni serotoninergici e che la semplice programmazione del movimento, oltre ad attivare le aree prefrontali e le cortecce motorie, stimola altre strutture più profonde, come i gangli della base, il cervelletto e il mesencefalo, dalle quali le ultime due è in grado di provocare la liberazione oltre che dell’acetilcolina anche della serotonina.

L’apprendimento inteso come acquisizione di nuove capacità cognitive, di nuovi concetti di informazione e di nuove abilità motorie, è di per se uno dei fattori principali coinvolti nel cambiamento morfologico e funzionale della cellula nervosa, proprio in funzione della sua richiesta di nuove connessioni sinaptiche e di nuovi circuiti neuronali.

Capitolo 5