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Poesia, grammatica, testo: il Mirall de Trobar di Berenguer d’Anoia e il ms 239 della Biblioteca de Catalunya

1. Introduzione

Il legame fra la lirica dei trovatori e la poesia della Catalogna medievale è un luogo comune della storiografia letteraria.1 Catalani sono stati alcuni dei trovato-

ri del xII e xIII secolo: da Guillem de Berguedà a Cerverí de Girona. Catalano è un canzoniere dell’importanza del manoscritto 146 della Biblioteca de Catalunya di Barcellona, noto agli addetti ai lavori come Cançoner Gil o canzoniere Sg.2

Catalano è infine il manoscritto 239 della stessa Biblioteca de Catalunya (BC): un codice compilato entro la fine del xIV secolo che raccoglie buona parte della trattatistica sul trobar, cioè sulla lingua della poesia lirica, dall’inizio del Due- cento fino alla seconda metà del Trecento.3 Inoltre, secondo un postulato della

critica specializzata comunemente accettato, l’occitanico è la lingua della poesia lirica in Catalogna, nel periodo che va dal xIV sec. alla prima metà del xV sec.4

E i trattati del ms. 239 non sembrano mettere in discussione questo assioma.5

Rimane però il fatto che la mera esistenza di uno straordinario documento come il ms. 239 pone una “questione della lingua”. Non si tratta, come è ovvio, di un 1. La critica catalana degli ultimi anni ha rivisto e corretto questo cliché: vedi M. CAbRé

2013.

2. Vedi VentuRA 2006 e CAbRé-MARtí 2010.

3. Come detto, il ms. 239 è una raccolta esaustiva. Eccezioni sono i trattati raccolti nel ms. Ripoll 129 editi da Marshall (1972), il Donatz proensals di Uc Faidit (MARShAll 1969) e il Tor- cimany di Lluís d’Averçó (CASAS hoMS 1956). Il Donatz, composto in Italia, forse da Uc de Saint

Circ, sembra aver avuto una diffusione esclusivamente italiana. I trattati del cosiddetto Cançoneret

de Ripoll rientrano, con la Doctrina de compondre dictatz e il Mirall de trobar, nella tradizione «ex-

clusivament catalana». Il Torcimany, «un tractat inacabat on se sobreposen elements gramaticals i retòrics de la preceptiva tolosana amb materials procedents de la teoria gramatical llatina», è tràdito da un manoscritto autografo, «que reflecteix les fases successives del treball de l’autor i permet resseguir-ne el procés d’elaboració» (M. CAbRé 2013: 288).

4. Su questo è d’obbligo il rimando a RIqueR 1951 e 1964. Vedi anche, da ultimo, ZInellI

(2013: 111). Accanto a questo primo assioma, ne troviamo un altro, più controverso, quello secondo il quale la prassi scrittoria – “letterata” – catalana si articola su due livelli: il catalano per la prosa; l’occitanico per la poesia (vedi in proposito RIqueR 1951).

5. Il lemosin – categoria culturale, più che un “sistema” crono-geograficamente determinato – è la lingua cui i grammatici di questo codice, primo fra tutti Raimon Vidal de Besalú, si riferiscono.

problema da articolare nei termini del dibattito sul toscano letterario del Cinque- cento italiano. Non è in gioco una decisione “accademica”, dall’alto, sul modello da adottare per comporre. Tuttavia è difficile non vedere committenza e esecu- zione del ms. 239 come il sintomo di qualcosa: un segno dei tempi. Tanto più se, come già notava A. Pagès ormai più di un secolo fa,6 il ms. 239 fa “paradigma”

con la compilazione di altri trattati (il Torcimany di Lluís d’Averçó) e con l’alle- stimento di canzonieri come – ai due estremi dello spettro – Sg, da una parte, e

VeAg, dall’altra.7 Se il legame fra Occitania e Catalogna è stretto e provato, e non

solo per la lirica,8 in che modo si coniughino identità e differenza linguistica fra

occitanico e catalano è problema che ha una lunga storia e che negli ultimi anni sta suscitando un rinnovato interesse.9 Ciò alla luce dei progressi fatti nell’ap-

plicazione alle lingue romanze medievali delle categorie della sociolinguistica e della linguistica di contatto.10 In questa cornice teorica e metodologica, e attra-

verso una verifica sul canzoniere occitanico-catalano (e francese) VeAg, uno dei testimoni più autorevoli dell’occitanico come lingua della lirica posttrobadorica, Fabio Zinelli ha cercato di spiegare il sistema polimorfico, aperto, osservabile nella lirica catalana fra i secoli xIV e xV (ZInellI 2013: 144).11 Una lingua ar-

tificiale costruita attraverso la scrittura, organizzata nel testo e realizzata mate- rialmente nel codice.12 In VeAg è possibile cogliere, come si trattattasse di una

serie incompleta di fotogrammi, un momento di quel processo di trasmissione del patrimonio – tradizione – che, attraverso la copia manoscritta, si cristallizza in un manoscritto-monumento. In questo quadro, il ms. 239, collocato cronolo- gicamente fra la compilazione dei canzonieri Sg e VeAg, è un testimone dalla du- plice natura. 1) Anzitutto è lo specchio “volgare” della tradizione metalinguistica latina e mediolatina: l’occitanico della lirica è visto dall’esterno come “oggetto” grammaticale e retorico. 2) In secondo luogo questo codice è, esso stesso, una 6. Giudizio di PAgèS (1912: 130): «Jamais on n’a composé plus de traités poétiques, plus de

grammaires, plus de dictionnaires de rimes qu’à cette époque. Alors qu’on n’en compte guère que trois, dont un écrit par un Catalan, pour la période classique de la littérature provençale, il en reste sept au moins pour le xIVe siècle. On n’invente plus, on inventorie. Les Catalans ont pris une grande

partie à l’élaboration de ces savants travaux».

7. Vedi in proposito ASPeRtI 1985, VentuRA 2006, AlbeRnI 2006 e 2010, M. CAbRé 2010,

CAbRé-MARtí 2010.

8. A giusto titolo ZInellI (2013: 111) ricorda anche la poesia narrativa: vedi anche a questo pro-

posito L. CAbRé 2010, e per la poesia religiosa, ASPeRtI 1990, CIngolAnI 1990, ZInellI 2009.

9. Vedi ZInellI 2013 per il punto sulla questione.

10. È fondamentale ZInellI 2013. Anche se diversi per ambito, sono metodologicamente rile-

vanti MIneRVInI 2010, sul francese d’oltremare, e 2013, sul giudeo-spagnolo.

11. Ancora ZInellI (2013: 142), parla di una lingua artificiale, «non esistente in natura ma

solo nella scrittura e che mai è stata parlata, ma che ha una vocazione composita ad accogliere for- me e “istituzioni retoriche” da entrambe le lingue [scil. catalano e occitanico]»

12. Il «code écrit» di holtuS-PFISteR 1977; una lingua oggi detta “ibrida”, in realtà una «llengua

poètica i prou»: L. CAbRé (2010: 74). Intervenendo sul presunto status di ibrido linguistico di Frai- re de joi, gAunt (2013: 47) ricorda come «literary Occitan itself was already “an artificial literary

idiom,” one that is notoriously impervious to the dialectical and regional variation we know existed in Occitania and one that had international currency from a very early stage».

copia di due entità testuali differenti, il corpus didattico, quasi solo in prosa,13 e

il corpus dei trovatori, manifesto nell’inserzione lirica.

Pur non senza significative sfumature, i grammatici del ms. 239 conside- rano la lingua del trobar come “lingua regulata”, come il latino. Lo insinuava già Raimon Vidal de Besalú: per imparare il lemosin è necessaria almeno una conoscenza di base della grammatica (MARShAll 1972: 7, l. 84-89). Ancora più esplicito Terramagnino da Pisa che, nella sua Doctrina d’Acort (redatta in versi e non in prosa), afferma che la lingua lemoyzina «se razona» (“si parla” o piuttosto “si articola in modo razionale”)14 come la «gramatica bona» – il latino, appunto

(Barcellona, BC, ms. 239, f. 56va-56vb, ed. MARShAll 1972: 29-30, v. 27-34): Tot enaysi con le rubis ||

Sobre totas peyras es fis E l’aurs sobre·ls metailz cars, Sobre totz razonatz parlars Parladura lemoyzina Es mays avinenz e fina, Quar il quays se razona Con la gramatica bona

[Così come il rubino è il più puro di tutte le pietre preziose, e l’oro il più pregiato dei metalli, il limosino è il più gradevole e sottile fra tutti i linguaggi razionali, perché si parla come la buona grammatica.]

Nella precettistica occitanico-catalana è presupposta un’idea di lingua come artefatto, le cui regole di funzionamento possono essere studiate, apprese e appli- cate. La compilazione del ms. 239 (come pure quella di un canzoniere come Sg) denota, certo, vivo interesse per la poesia dei trovatori, nonché un senso di orgo- gliosa continuità con i maestri di un passato non percepito come trascorso. Ma il trobar della precettistica, che si voleva «d’arrel trobadoresca», è una nozione incerta, sia rispetto a una certa idea di lingua sia nei confronti di una certa idea dell’arte poetica. La stessa idea del limosino come lingua “grammaticale” pare erigersi a barriera contro tendenze centrifughe, vitali proprio all’altezza cronolo- gica della compilazione del ms. 239 (fine xIV secolo), ma sentite come improprie del codice grammaticale e retorico.15

L’interesse per questo codice si è finora concentrato in due ambiti: 1) la ri- cerca filologica sul testo dei singoli trattati con l’obiettivo di ricostruirne il testo

13. Due eccezioni di rilievo: la Doctrina d’Acort di Terramagnino da Pisa e, soprattutto, le

Flors del gay saber – redazione in versi delle Leys.

14. Interpreto razonar sulla scorta di quanto suggerito da kAy (2013: 27): «The word razos

has many meanings, including ‘explanation’, ‘theme’, ‘speech’, ‘proportion’, as well as ‘reason’; but I believe we should take the reference to ‘reason’ seriously and understand his title to mean ‘Rational principles of poetic composition’».

15. Cfr. Razos de trobar in MARShAll 1972. Vedi anche la frequenza delle voci appartenenti

originale;16 2) l’analisi, nella prospettiva della storia della grammaticografia roman-

za, delle idee linguistiche tràdite dalle opere contenute nel manoscritto.17 Entrambi

questi approcci presuppongono che l’attenzione vada alle singole opere. Non però al manoscritto, che è così ridotto a mero supporto, se non a ostacolo da sormontare nella ricostruzione editoriale degli originali (Razos de trobar, Flors del gay saber, ecc.), ovvero nel giudizio sulla più o meno spiccata originalità di questo o quel trattato nei confronti della storia della grammatica e della retorica tardoantica e medievale. In quanto segue considero invece il ms. 239 come un libro di poetica volgare: raccolta composita, certo, ma coerente. Nella prima parte di quest’articolo (§ 2) propongo una riflessione sul ms. 239 come libro materialmente unitario. In quanto libro coerente e non solo assemblaggio di unità discrete ricopiate in fascicoli tenuti insieme da una legatura, il ms. 239 è il frutto di un’operazione editoriale che si fondamenta su una chiara idea di tipologia testuale. Committente, editor e copista – non importa se tre soggetti distinti o meno – hanno selezionato, riunito, edito un gruppo di testi aventi caratteristiche e finilità omogenee e complementari.

La seconda parte dell’articolo consiste in un’analisi del Mirall de trobar di Berenguer d’Anoia, di cui si valuta quel particolare tipo d’“esecuzione” del testo stesso che è la copia. Da questa angolatura, il testo è studiato a due livelli. A un primo livello, “esplicito” (§ 3), il dettato è considerato dal punto di vista della riflessione metalinguistica. L’interesse sarà allora soprattutto per come sono de- finite alcune nozioni chiave: lingua e linguaggio, arte e uso, parole del comporre e della poesia. A un secondo livello, “implicito” (§ 4), il problema affrontato è quello di come lo scriba ha codificato e organizzato nel testo l’informazione lin- guistica a disposizione.

2. Barcellona, BC, ms. 239: un libro di poetica volgare

L’esaustività è un tratto saliente del ms. 239. Il compilatore ha raccolto praticamente tutto ciò che sul trobar era stato scritto fra gli inizi del xIII secolo e la seconda metà del xIV. Poche le eccezioni. Oltre ai trattatelli copiati nel co- siddetto Cançoneret de Ripoll, due trattati maggiori non sono presenti nel ms. 239: il Donatz proensals di Uc Faidit (forse Uc de Saint Circ), compilato in Italia e di circolazion esclusivamente italiana, e il Torcimany di Lluís d’Averçó, conservato da un solo manoscritto (forse manoscritto da autore su cui sono os- servabili le diverse fasi di composizone).18 La Tav. 1 mostra come il ventaglio di

16. Questo lavoro è stato portato a termine, fra gli altri, da John H. Marshall per le Razos de

trobar e da Joseph Anglade per le Flors del gay saber.

17. Particolare riguardo è stato dato alle Razos de trobar di Raimon Vidal de Besalú – opera comunemente considerata la più antica grammatica di una lingua romanza – e ai trattati derivati (SWIggeRS 2001).

18. Una recente tesi/edizione critica sul Torcimany, recentemente discussa a Pescara da Virna Pascasi, promette di gettare nuova luce su quest’importante opera: Lluís d’Averçó, Torcimany. Edizione critica di un trattato retorico-grammaticale antico catalano, Tesi di Dottorato, Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, 2015.

opere che contiene il ms. 239 vadano dal testo fondatore della poetica volgare occitana, le Razos de trobar di Raimon Vidal de Besalú, redatto agli inizi del xIII secolo, fino al Libre di Jaume March, composto nel 1371. Si tratta di un testimone eccezionale dell’interesse catalano per la precettistica.19

Tav. 1. Contenuti di Barcellona, Biblioteca de Catalunya, ms. 239 1 [ff. 1r-11r] Berenguer d’Anoia, Mirall de trobar – 1300? 2 [ff. 12r-23r] Jofre de Foixà, Regles de trobar – fine xIII sec.

3 [ff. 24r-29r] Raimon Vidal de Besalú, Razos de trobar – inizi xIII sec.

4 [ff. 29r-31r] Anonimo, Doctrina de compondre dictatz – fine xIII sec.

5 [ff. 32r-56r] Joan de Castellnou, Compendi – metà xIV sec.

6 [ff. 57v-64v] Terramagnino da Pisa, Doctrina d’Acort – fine xIII sec.

7 [ff. 65r-82v] Joan de Castellnou, Glosari – metà xIV sec.

8 [ff. 83r-158v] Flors del gay saber (= redazione in versi delle Leys d’Amors) –

metà xIV sec.

Il compilatore del ms. 239 mette insieme la sua raccolta di trattati di pro- venienza diversa (Catalogna, Tolosa, Sardegna/Pisa), conferendo loro un’im- paginazione omogenea, in cui l’apparato di rubriche, lettere capitali e spazi è funzionale a consolidarne la coerenza.20 Anche se il sistema interpuntivo di

questo manoscritto si limita al comma (barra obliqua: /) e al punto in alto, l’or- ganizzazione dei contenuti avviene attraverso un ricco paratesto. Come è noto, gli strumenti di articolazione del testo a disposizione di un copista compren- dono vari elementi, fra cui ricordiamo le capitali (decorate o meno), le lettere maiuscole, gli a capo, i bianchi, i segni d’interpunzione propriamente detti. Si prenda, come campione illustrativo, l’inizio del capitolo dedicato all’epentesi nel Mirall de trobar (fig. 1).

L’inizio del capitolo dedicato all’«epentesis» (Mirall: 98), terza figura del «metaplasme», è marcato da una rubrica (in rosso), incorniciata fra un grande

pied-de-mouche di tre righe d’altezza a sinistra, e da una serpentina a destra.

Un’iniziale contornata in rosso, seguita da una lettera maiuscola, segna l’inizio del capitolo. Nel passaggio riprodotto in Fig. 1, il comma (che indico con il segno /) ha le seguenti funzioni:

separa la dittologia: «figura / o Specia» (riga 1) 1.

separa (come un inciso) il complemento circostanziale dal verbo: «vol 2.

ay||tant dir Com ajustar / en mig de diccio letra o sillaba||» (righe 3-4)

19. «[C]al destacar el recull que es conserva al manuscrit 239 de la Biblioteca de Catalunya, en el qual s’intenta aplegar un cànon de la tradició preceptiva amb una impaginació comuna» (M. CAbRé 2013: 288).

separa membri sintattici della frase o introduce una nuova proposizione: 3.

«be ·e que en mig loch de aq(ue)lla||diccio que es dita borna be||metes aytal silla(ba) que es dita fo||/E que dixes boforna be /E||de aquestes semblants a aq(ue)stes||» (righe 14-15)

segnala l’inizio dell’esempio poetico: «/On en Gaucelm faydits dix||en vna 4.

sua canço qui come(n)ça||pel joy del t(e)mps ques floritz||» (righe 16-18) Si noti inoltre che ai nn. 3 e 4, il comma è seguito da un letterina maiscula toccata di rosso. Come si vede dall Fig. 1, la sequenza comma + letterina può comparire a inizio di rigo (vedi r. 14 e trascrizione al punto 3.). Si noti infine l’uso della maiuscula in «Epentesi», con funzione di marcatore dell’enfasi dopo

verbum dicendi:

LAltra figura /o specia es||dita Epentesis que vo ay||tant dir Com ajustar /en||mjg de

diccio letra o sillaba||

Sarà necessario uno studio sistematico di tutto il codice per precisarne le ca- ratteristiche e le funzioni, ma già quest’esempio basta a mostrare l’uso calibrato del paratesto e dell’interpunzione.21

Un altro esempio interessante di accuratezza dell’impaginazione nel ms. 239 è quello del Glosari (o ‘commento’), di Joan de Castellnou. Qui il passaggio dal testo del Doctrinal de trobar di Raimon de Cornet alla glossa di Joan de Castel- lnou è messo in evidenza dal differente modulo dei due testi: più grande per il

Doctrinal, più piccolo per la glossa (fig. 2).

L’organizzazione dei contenuti del ms. 239 secondo un sistema paratestuale omogeneo indica che il codice è stato concepito come libro, non solo come col- lettore di unità discrete tenute fisicamente insieme. Del resto anche un’iscrizione in spagnolo, forse databile al xVIII secolo (periodo cui risale anche il descriptus madrileno del ms. 239: Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 13405 – s. xVIII), che troviamo sul recto della prima guardia del manoscritto, attribuisce a un unico

editor, Joan Castellnou de Gayá, la responsabilità di aver «recopilado» le «artes»

del ms. 239 (vedi fig. 3).

L’iscrizione della guardia è interessante per diverse ragioni. In primo luogo il libro manoscritto è detto «arte de trobar». L’etichetta mette sullo stesso piano i trattati della raccolta di Barcellona e le artes poetriae della tradizione latina medievale (FARAl 1924). In secondo luogo osserviamo che sono elencati i pri- mi tre autori dalla parte “antica” della raccolta in un ordine che, se non riflette quello delle opere nel codice, sembra però cronologico: il più antico trattato, le

Razos di Raimon Vidal, è posto all’inizio della sequenza; seguono i più recenti: Regles de trobar di Jofre de Foixà e il Mirall de trobar di Berenguer d’Anoia.

Sono dunque esclusi dall’iscrizione i trattati derivati o legati alle Leys d’Amors di Guilhem Molinier, i quali d’altra parte rappresentano, in termini quantitativi, oltre il sessanta per cento della raccolta. In terzo luogo, la rilevanza attribuita a 21. Per questo approccio al manoscritto romanzo medievale sono largamente debitore di alcu- ni recenti contributi: buSby 2002, CAReRI 2008, lAVRenteV 2009.

Fig. 1. Barcellona, BC ms. 239, f. 5ra, Berenguer d’Anoia, Mirall de trobar: incipit cap. sull’epen- tesi (Mirall: 98-100, l. 183-197). Si noti che nella terzultima riga della colonna è introdotta la cita- zione di Gaucelm Faidit, Pel joi del temps qu’es floritz, BdT 167,45, cit. # 5 del trattato.

Fig. 2. Barcellona, BC ms. 239, f. 79v. Joan de Castellnou, Glosari al Doctrinal di Raimon de Cornet.

Fig. 3. Barcellona, BC ms. 239, foglio di guardia: «El arte de trobar de Raimon Vidal de | Besalu Junto con la Jofre de Foxa | y la de Berenguer de Noya y otros reco-|pilados por Joan Castellnou de Gayá».

Joan de Castellnou è confermata da tre altre glosse.22 La prima, in catalano, si

può solo intravedere a f. 1r, sotto la rubrica iniziale del Mirall de trobar: «Lo Autor de esta Obra fon [oppure: fo’n] Johan de Castellnou» (fig. 4).

La seconda e la terza, in spagnolo, si trovano rispettivamente all’inizio del

Compendi, f. 33r, e all’inizio del Glosari, f. 65r (fig. 5).

È vero che i trattati vincolati alle Leys non sono considerati nell’iscrizione iniziale, ma con l’attribuzione a Joan de Castellnou del ruolo di editor, l’impor- tanza di questa seconda parte (composta dalle Flors e da trattati derivanti dalla tradizione facente capo alle Leys d’Amors) è ammessa per sineddoche, se si può dire così: l’autore per il tutto.

Dal punto di vista codicologico, il ms. 239 è suddivisibile in due parti: 1) i primi dieci otterni, copiati da una stessa mano, raccolgono i trattati dal Mirall alle Flors; 2) il Libre de concordances di Jaume March è stato trascritto da una mano diversa negli ultimi due sesterni. All’interno della prima parte del codice osserviamo che Razos de trobar, Regles de trobar e Mirall de trobar occupano una sottosezione costituita dai primi due otterni del manoscritto 239. La Doctri-

na de compondre dictatz, non nominata nell’iscrizione (logicamente: la rubrica

non ne indica l’autore), conclude il fasciolo II, con funzione di “appendice” alle Razos de trobar (vedi sotto). Nei fascicoli dal III al VI troviamo le opere di Joan de Castellnou: Compendi e Glosari al Doctrinal de trobar di Raimon de Cornet. La sequenza è interrotta dalla Doctrina d’Acort di Terramagnino da Pisa, trattatello in versi derivato dalle Razos de trobar. Giunta forse nelle mani 22. Anche se non sono in grado di spiegarne la genesi, l’aggiunta di un toponimo, de Gayà, a

Castellnou, con <ll>, ne rinforza l’identità catalana. Anche se è molto difficile da stabilire, le note

aggiuntive non sembrano corrispondere a una stessa mano. In ogni caso abbiamo tre versioni diffe- renti del nome: 1) Joan Castellnou de Gayà; 2) Johan de Castellnou; 3) Juan de Castelnou. Fig. 4. Barcellona, BC ms. 239, f. 1r (inc. del Mirall de trobar).

del copista a lavoro iniziato, la Doctrina d’Acort potrebbe riempire le ultime carte del IV fascicolo (f. 57v-64v).23 L’inizio di un nuovo fascicolo sarebbe stato

quindi riservato al Compendi, a conferma della rilevanza data a Joan de Castel- lnou. Infine le Flors del gay saber, redazione in versi delle Leys d’Amors, sono state copiate nei restanti quattro dei dieci otterni in cui è organizzata la prima parte del ms. 239.24

Se dalla codicologia veniamo ai contenuti del manoscritto, questi si possono dividere in due gruppi dalla consistenza diseguale (VentuRA 2013: 154-158): a) i trattati della cosiddetta Vidal tradition (MARShAll 1972: xcvi-xcviii): Razos de tro-

bar, Regles de trobar, Doctrina d’Acort; b) la serie di opere derivate o a vario titolo