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Poiché è stata riconosciuta a ll’Ente di cui trattasi la natura consortile, dobbiamo chiarire la nozione di consorzio, con specifico ri

ferimento alla materia tributaria. Indubbiamente tutti i Consorzi sono abilitati a riscuotere delle prestazioni obbligatorie, ed evidentemente tutte le cartiere non si sarebbero giudiziariamente mosse se non aves­ sero cercato di sbarazzarsi del pesante fardello. Ma — e ciò sembrami l ’elemento più interessante della costruzione — questo non è che un primo passo verso la ricerca della natura tributaria della prestazione: bisogna ulteriormente individuare la genesi di questa obbligatorietà, poiché è proprio il risultato di tale ricerca che potrà autorizzarci a ri­ conoscere (o a negare) al contributo consortile l ’indole tributaria.

Per aversi un contributo che sia tributo, la obbligatorietà deve ine­ rire alla irricusabilità del servizio prestato dall’ente pubblico e alla conseguente inderogabilità dell’obbligo che il cittadino ha di sopportare, mediante la prestazione che gli si chiede, il relativo peso. V i sono, cioè,

eventuali modifiche della misura di tutti i contributi previsti nel presente arti­ colo saranno stabilite con decreto del Ministro per le corporazioni di concerto con il Ministro per le finanze ». Giusta l ’assunto delle Cartiere attrici la legge fornirebbe all’Ente un mezzo finanziario senza stabilire l ’incidenza dell’onere; la legge sarebbe pertanto incompleta ed inapplicabile per mancanza della deter­ minazione del debitore del contributo, e per completarla non sarebbero suffi­ cienti mere norme di esecuzione e di attuazione, ma occorrerebbe una vera e pro­ pria integrazione della legge, integrazione da farsi con una nuova legge.

Il Collegio non ritiene di poter consentire in un siffatto ragionamento. La dizione del sopraricordato testo di legge infatti, pur nella sua imperfetta formu­ lazione, non può far sorgere dubbi sul fatto che il contributo del 5 % sull’im­ porto netto delle fatture emesse dalle cartiere gravi sulle cartiere stesse, cosi come il contributo di L. 5 per ogni quintale (e poi di L. 6 per ogni chilogrammo) di cellulosa importata o prodotta grava sugli importatori o i produttori. Non sarebbe neppure concepibile la possibilità pratica di contributo cui non fossero obbligati questi soggetti, ma invece coloro che in definitiva adopereranno la carta o la cellulosa.

Non va trascurato che, nella discussione del disegno di legge, ebbero parte preminente grandi industriali della carta (relatore in Senato della legge del 1935 fu il Miliani di Fabriano ; nel 1940 fu relatore il sen. Burgo) i quali non solleva­ rono mai dubbi su chi fossero gli obbligati al contributo; come appunto risulta

prestazioni che sono obbligatorie senza che perciò siano tributarie, pro­ prio perchè l ’obbligo di pagare non discende da un comando dell’ente pubblico, ma da una convenzione. Non esiste, in tal caso, la domanda

coatta del servizio prestato dal Consorzio, ed anzi non esiste addirit­ tura la legge che impone e giustifica la prestazione.

La situazione si chiarisce bene attingendo al Codice Civile, il quale distingue le persone giuridiche pubbliche (« le Provincie e i Comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche, godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico», art. 11), e le persone giuridiche private (« le associazioni, le fondazioni e le al­ tre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con Decreto reale », art. 12). In o l­ tre, è noto che lo stesso Codice considera consorzi le associazioni, co­ munque denominate, tra imprenditori ed esercenti una medesima at­ tività economica od attività economiche connesse, costituite volonta­ riamente o con provvedimento dell’autorità amministrativa (artt. 2602, 2616).

Mi sembra che queste norme abbiano una importanza fondamentale anche per il diritto tributario. A titolo di ulteriore dimostrazione e chia­ rificazione può richiamarsi la classificazione che il Cod. civ. fa dei con­ sorzi di bonifica, di miglioramento fondiario, e di altri sempre perti­ nenti la materia agraria, come ad es. quelli di irrigazione. I consorzi di bonifica sono costituiti con Decreto del Capo dello Stato, sono per­ sone giuridiche pubbliche e svolgono la loro attività secondo le norme

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dalla relazione senatoria e dalla risposta del Governo nella seduta del 13 mag­ gio 1935. Nella discussione poi della legge del 1940 un parlamentare industriale della carta, il Farini Cini, faceva presente che, attraverso il consumo, il con­ tributo del 5 % sarebbe stato riversato sulla massa del pubblico e proponeva per­ ciò che si aggiungesse la menzione del diritto di rivalsa; menzione che il sotto- segretario Amicucci riteneva superflua. Orbene la rivalsa presuppone un primo e principale obbligato, ed è noto che la necessità di una norma di legge per potersi ri valere soccorre solo allorquando si sia in regime di prezzi bloccati. Nelle discussioni parlamentari si prese in esame ciò che si sarebbe dovuto fissare con la norma di attuazione (carta consumata nelle singole cartiere per altri articoli, carta che una cartiera acquistava da altre cartiere e rispetto alla quale occorreva evitare la possibilità di duplicazione del contributo); ma nes­ suno ritenne di avanzare nemmeno un dubbio su chi fosse il debitore del con­ tributo, tanto la cosa appariva a tutti evidente (leg. XXX, Camera dei fasci e delle corporazioni, Commissione dell’industria 18 maggio 1940).

È d’altronde appena il caso di ripetere che l’Ente per la cellulosa e per la carta (come le parti stesse concordano nel ritenere) era ed è un consorzio obbligatorio, sorto nel clima corporativo e considerato raggruppamento impo­ sto di categorie interessate per fini che dovevano in definitiva avvantaggiare la collettività, ma anzitutto assicurare la assistenza e lo sviluppo delle cate­ gorie interessate (cfr. art. 3 dello statuto approvato con R.D. 26 settembre 1935, n. 1932); ciò che spiegava ancor meglio come il contributo non potesse

dettate dalle leggi (art. 862). I consorzi di miglioramento fondiario, per quanto istituiti nelle forme, e con le agevolazioni relative ai consorzi di bonifica, importano un decreto costitutivo che non è voluto spontanea­ mente e direttamente dallo Stato, ma è richiesto dagli interessati, e perciò essi sono persone giuridiche private (art. 863), anche se v i’ si possa vedere una specie di ponte di passaggio fra gli enti pubblici e quelli privati. A confermare questa impressione contribuisce l ’art. 864, pei il quale i contributi degli uni e degli altri « sono esigibili con le norme e i privilegi stabiliti per l ’imposta fondiaria ». Sostanzialmente analoghi a quelli di miglioramento sono i consorzi di irrigazione, che tuttavia godono di questo art. del Codice e, a differenza di quelli, sono costretti dallo Stato a pagare l ’IG E sui contributi che essi riscuotono dai soci.

^>er ^ nostro Ente è stata messa in evidenza la natura di consorzio obbligatorio, e tale deve intendersi ogni Consorzio che sia voluto ed anzi imposto dallo Stato, ed è proprio da ciò che discende la natura di ente pubblico. A i consorzi obbligatori si contrappongono quelli volon- ta n , epperò la distinzione deve essere riferita alla genesi dell’atto co­ stitutivo, perchè in un certo senso anche i consorzi privati e volontari ,,ÌViln^a3Ì0 obbligatomi quando la volontà della maggioranza ne deliberi 1 istituzione e chieda allo Stato di estenderla a tutti coloro che rien- rano in quelle condizioni (un comprensorio, una categoria professio­ ne e, ecc.). I privati interessati che siano la maggioranza del gruppo ( erritoriale, sindacale, ecc). si riuniscono, si accordano, approvano uno

gravare che sulle categorie, pure ammettendosi che, come è normale per ogni nuovo onere, fosse in definitiva riversato sui consumatori; e volendosi perciò esente dall’onere la carta destinata a consumi (dello Stato e dei giornali) per i quali non si voleva l ’aumento dei prezzi.

Concludendo quindi su questo punto, appare evidente che il legislatore non ha affatto inteso di formulare una norma programmatica, senza l ’indica­ zione di quell’elemento essenziale che è il soggetto obbligato; ed ha pensato alla necessità di norme di attuazione solo in relazione a problemi secondari, e non aifatto a questo essenziale.

E d altra parte canone pacifico di interpretazione che debba compiersi ogni sforzo prima di abbandonarsi alla interpretatio abrogans (che d’interpreta­ zione non ha che il nome), e debbasi così ricercare di attuare la volontà del le­ gislatore. Leggi programmatiche sono quelle che gli autori hanno concepito e voluto o voluto come tali ; ma non può l’interprete retrocedere a leggi program­ matiche quelle che, nel pensiero del legislatore, dovevano essere leggi aventi immediata attuazione e che pacifica attuazione hanno in effetti avuto per oltre un decennio. Invero le sole leggi che non possono ricevere attuazione senza previa emanazione di un regolamento sono quelle che prevedono organi da creare o che lasciano indeterminati, rinviando al regolamento, punti essenziali come l ’aliquota di una imposta. Di regola invece la legge è vincolativa e ob­ bligatoria, anche se contenga la promessa non attuata di un regolamento esecu­ tivo (Cass. pen, 12 gennaio 1925, Foro It. 1925, II, 263; Cons. Stato, IV sez.,

Statuto che, fra l ’altro, impone i contributi, e poscia chiedono il decreto di ì iconoscimento, il quale associa, impegna ed obbliga anche coloro che non hanno partecipato a ll’iniziativa e che, nelle forme di legge, avrebbero potuto contrastarla.

In questo caso, così come l ’ente non è tramutato in persona giuri­ dica pubblica dal decreto di riconoscimento, le prestazioni che può richie­ dere ai suoi membri non sono tributi, sia per difetto di tale estremo e sia perchè esse procedono dalla volontà associativa dei privati, che crea l ’ente ed obbliga a termini di legge anche i nolenti.

Pertanto, deve essere considerata un mero accorgimento difensivo l ’affermazione in comparsa di Bonesclii e Calamandrei, i quali, pur am­ mettendo che « non ha avuto seguito la tesi che ravvisa anche nei con­ sorzi obbligatorii un insopprimibile contenuto contrattuale», sosten­ gono che, ove si prescinda dal fatto costitutivo (il libero accordo con­ trattuale, nei consorzi volontarii; l ’atto legislativo, nei consorzi obbli­ gatorii), « resta nella struttura delle due categorie di consorzi una identità sostanziale di contenuto». In verità, da quel fatto costitutivo si genera l ’indole non tributaria (consorzi volontarii) o tributaria (consorzi obbligatorii, per i quali ricorrano tutti gli altri elementi in­ tegranti il tributo) della prestazione.

Se così non fosse, non si saprebbe più come fare a distinguere, nel caso delle associazioni e dei consorzi, quando la prestazione è un tri­ buto e quando è una mera quota associativa. Se così non fosse, tutte le associazioni private riconosciute riscuoterebbero tributi, e ciò è assurdo,

25 giugno 1926 n. 339, id. Rep., 1926, voce Legge, n. 22; e 15 luglio 1927, id. Rep., 1927, voce cit-, n. 27), ed entra subito in vigore indipendentemente dall’emana­ zione del regolamento (Cass., 1 agosto 1942, n. 2349, id. Rep., 1942, voce cit., n. 11).

Stabilito così che la legge 194(1 n. 868 determina la persona del debitore del contributo e non richiede pertanto alcuna integrazione, resta da accertare la

natura del decreto ministeriale che ha precisato la misura dei contributi.

Ritiene al riguardo il Collegio di potere con sicurezza affermare come, fatta eccezione del decreto ministeriale 3 luglio 1940 che ha contenuto rego­ lamentare, gli altri decreti siano atti amministrativi e non atti a contenuto nor mativo. Infatti, nell’ultimo comma dell’art. 1 della legge del 1940, occorre distin guere la facoltà di « stabilire le modalità per ('applicazione e la riscossione dei contributi di cui alle lettere 6) e d) », dal potere di modificare la misura de­ gli anzidetti contributi nonché di quello a carico dello Stato. Con la prima parte della norma si attribuì a due Ministri (delle corporazioni e delle finanze) una potestà regolamentare ; con la seconda parte una competenza di carattere amministrativo speciale, della quale vi sono esempi numerosi nella nostra le­ gislazione in materia di finanza locale o di università o di camere di commer­ cio, dove la misura dei contributi, e talvolta di veri e propri tributi, viene di volta in volta stabilita con atti dell’autorità amministrativa.

Diversa cosa é la norma che autorizza il contributo, diversa la determina­ zione concreta della misura di esso; una cifra, sia pure di contributo, non è

perchè il tributo è soprattutto esercizio della potestà di comando e questa non può essere attribuita che all’ente pubblico massimo (Stato), ed anche, per sua volontà e delega, agli enti pubblici minori, siano essi enti pubblici in senso stretto, o lo siano nel senso di enti voluti, creati e controllati dallo Stato per il raggiungimento delle sue finalità.

In ultima analisi, nei consorzi sorti non dalla legge ma dalla p ri­ vata convenzione (pur resa attuosa dall’intervento del potere esecutivo), il contributo non è imposto dall’ente pubblico, e i servizi che essi ren­ dono agli associati sono in funzione dei loro interessi privati e non de­ gli interessi della collettività. Anche il Tribunale di Torino aveva ri­ conosciuto in sentenza che trattavasi di « consorzio obbligatorio, sorto nel clima corporativo e considerato raggruppamento imposto di cate­ gorie interessate, per fini che dovevano in definitiva avvantaggiare la

collettività », e sorprende che abbia dedotto male da queste pur chiara­ mente affermate circostanze, fulcro della natura tributaria della pre­ stazione.

Evidentemente la questione non era stata messa bene a fuoco, e prova ne sia che, lamentando l ’altro gruppo di cartiere ricorrenti al T ri­ bunale di Milano l ’alto livello dei contributi, aggiungeva in comparsa; « In tal modo, quel che dovrebbe essere un contributo consortile, da ero­ gare solo in relazione a scopi particolari pi'opri dei consorziati, si sna­ tura e si trasforma in un’imposta indiretta sulla produzione e il con­ sumo della carta, a favore di un Ente pubblico e in relazione a scopi generali e non più in relazione a scopi di interesse particolare dei

con-una norma; come nessuno vedrebbe la manifestazione di un potere legislativo e regolamentare nell’atto del Ministro dell’industria e commercio, cbe in sede di approvazione del bilancio preventivo delle camere di commercio, fissa an­ nualmente la misura dell’imposta cbe ciascuna Camera può riscuotere nell’ anno successivo (art. 54, comma 2“ T.tT. 20 settembre 1934, n. 2011), allo stesso modo il decreto interministeriale cbe varia la misura del contributo per le vendite di carta e cartoni, o, addirittura, la misura del contributo a carico dello Stato, non è un atto a contenuto normativo. Del resto la stessa autorità amministra­ tiva, col suo comportamento, si è adeguata a questa distinzione, emanando se­ paratamente le norme regolamentari per l ’ applicazione e la riscossione dei contributi, e i provvedimenti specifici per la variazione della misura di essi.

Da quanto esposto risulta cbe erroneamente gli attori impugnano la le­ gittimità dei decreti, perché i decreti stessi, esercizio di una competenza am­ ministrativa speciale, non possono valutarsi alla stregua delle norme cbe even­ tualmente vietino non l ’esercizio di attività amministrativa, ma l ’esplicazione di deleghe legislative.

Ciò si osserva a prescindere da un ulteriore rilievo e cioè che anche qua­ lora, per ipotesi, si dovesse ammettere resistenza di una delega da parte del legislatore, questa sarebbe valida sia sotto l ’impero dell’ordinamento costitu­ zionale vigente al momento della delega, sia sotto l’impero dell’ordinamento vigente al momento dell’emanazione del decreto 15 gennaio 1951. Non devesi invero dimenticare cbe l’ art. 6 dello Statuto albertino attribuiva bensì al Re

sorziati ». Ecco balzare da queste parole i tre elementi della tributarietà : ente pubblico, prestazione obbligatoria imposta per legge, scopi generali da raggiungere! Comunque si rivoltino gli argomenti, l ’indole tributaria spunta sempre.

E calza il richiamo ad un altro interessante brano della sentenza in commento, sempre in sostegno della tesi tributaria. L ’imposizione dei contributi all’Ente de quo — essa dice — « non agisce solo nell’ambito interno fra l ’ente pubblico e i vari consorziati obbligatoriamente, il che si verificherebbe ove si trattasse di contributi di carattere associativo o consortile la cui misura e le cui modalità di riscossione sono di regola stabiliti dagli associati o da chi ne abbia da essi, in base allo statuto dell’ente, ricevuto mandato...; essa opera anche a ll’esterno, giacché mentre colpisce tutti indistintamente i produttori della Repubblica di fibre tessili artificiali, colpisce gli atti economici di scambio oggettiva­ mente in se considerati...; ed è ammessa financo la rivalsa del contributo applicato su fatture o documenti equipollenti ».

8. In conclusione: vi sono nella specie tutti gli estremi necessari ad integrare la figura del tributo. V i è, anzitutto, il carattere pubblico dell’ente, tanta vero che nella complessa causa esso è stato qua e là chia­ mato ente parastatale. Secondo M. S. Giannini, quello per la cellulosa e la carta « è un ente pubblico che ha la struttura di un’associazione ob­ bligatoria tra produttori di cellulosa, ma non ha natura giuridica di con­ sorzio, in senso proprio, contrariamente a quanto si legge in scritti di

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-il potere regolamentare, ma questa norma non fu mai interpretata nel senso che i decreti ministeriali non potessero a loro volta avere un contenuto regolamen­ tare (v. Cass., S.U., 25 aprile 1927, Foro It., Rep., 1927, voce Legge, n. 30; 5 dicembre 1927 n. 301, id., v. Guerra, n. 121). Comunque era pacifico che la Co­ stituzione del 1948 aveva un carattere flessibile e quindi ogni legge di delega, che anche eventualmente si discostasse dai criteri ispiratori della Costituzione stessa, doveva considerarsi valida .

Nè il sistema fu sostanzialmente modificato dal combinato disposto delle leggi 31 gennaio 1926, n. 100 e 9 dicembre 1928, n. 2693, sul Gran consiglio. In­ fatti quando quest’ultima legge costituzionalizzò la materia della facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche, intese alludere non alle singole norme di delega (che non vennero costituzionalizzate), ma al complesso sistema delle facoltà normative del jiotere esecutivo unitariamente considerate, che vennero poste sotto la salvaguardia del Gran consiglio del fascismo. Analo­ gamente ad es. quando la stessa legge costituzionalizzò l ’ordinamento sindacale e corporativo non intese certo stabilire che per ogni minima norma sui sinda­ cati o sulle corporazioni dovesse sentirsi il parere del Gran consiglio del fa­ scismo. In questo senso è una prassi costituzionale sicurissima. D’ altro canto la salvaguardia del parere del Gran consiglio aveva un carattere più politico che giuridico, giacché esulò dall’ordinamento costituzionale del tempo un si­ stema di controllo di costituzionalità. È appena necessario aggiungere che un simile sindacato relativo alla mancata audizione del Gran consiglio sarebbe inammissibile nell’attuale ordinamento, che trae proprio la sua origine, con efficacia di norma di ordine pubblico, dalla soppressione di quel consesso.

Ad analogo risultato occorre giungere per il vigente ordinamento. È vero che l’ art. 76 Cost. stabilisce determinate norme e determinati limiti per le de­ leghe legislative; ma, anche a voler tutto concedere e ad ammettere che nella

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economisti — ed anche nella cit. sent. del Trib. di Torino — essendo stato istituito piuttosto come ente reggente di un ordinamento di settore, e quindi con funzioni di disciplina economica di settore» (v. Provvedi­

menti amministrativi generali e regolamenti ministeriali, in F oro

it., 1953, I I I , 9).

Questa precisazione mi persuade e ribadisce l ’indole tributaria dei contributi. Ma, anche se l'ente avesse natura consortile, si tratterebbe di un consorzio obbligatorio, cioè di un ente costituito, voluto, finanziato, controllato dallo Stato, in virtù di una legge emanata per la realizza­ zione di un fine statale, consistente nel soddisfacimento di un pubblico bisogno. In ogni caso, le prestazioni che a ll’uopo la legge dello Stato impone ai cittadini costituiscono un’ovvia estrinsecazione del ju s impervi

di questo e vengono concepite come la partecipazione alla copertura di una spesa che lo Stato ritiene di non potere addossare interamente al gruppo di cittadini direttamente avvantaggiati, proprio perchè il servi­ zio pubblico inerente all azione dell’Ente e ai suoi risultati propulsivi presenta, oltre tutto, un’utilità collettiva e indiscriminata, la quale esige che una certa parte del costo di produzione del servizio sia caricata alla collettività nazionale tutta quanta.

l ’art. 76 non dispone che per l ’avvenire. Esso non può in mancanza di espressa disposizione, agire retroattivamente, facendo venir meno le deleghe già esi­ stenti.

Si può qui tenere presente un parallelo privatistico: ove una nuova legge richieda particolari requisiti per il rilascio di un mandato è chiaro che essa non potrà operare sui mandati rilasciati anteriormente alla sua en­

trata in vigore. Restando nel campo del diritto pubblico, non è superfluo ri­ cordare che tutta la legislazione sugli scambi e valute si ricollega ad una de­ lega data al Ministro competente (commercio estero) con una legge del 1934 : e anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione il ministro del commercio estero ha continuato pacificamente a esercitare i suoi poteri. Ciò risponde non solo a necessità pratiche, ma ad un canone fondamentale dell’ermeneutica giu­