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La popolazione dell'Italia Romana

LE ORIGINI DELLA GUERRA SOCIALE

1. La popolazione dell'Italia Romana

1. Le teorie di Beloch sulla demografia repubblicana.

Qualunque ricostruzione degli avvenimenti che ebbero luogo nella penisola italiana del secondo sec. a. C. è inesorabilmente connessa alla posizione assunta nel dibattito sulle dinamiche di popolamento della penisola durante il periodo repubblicano.

Il grande padre della Storia romana, K. J. Beloch, ha dedicato all'argomento un'intera opera, e per lungo tempo sulla questione ha dominato l'impressione della compiutezza dell'analisi svolta131.

Secondo Beloch, la rassegna delle forze di Roma e degli alleati Italici che Polibio premette alla propria narrazione della discesa dei Galli in Italia nel 225 a.C., dimostra che, a quella data, l'Italia meridionale contava su una popolazione libera di circa 2,7-3 milioni d'abitanti. Beloch inoltre ipotizzava che la popolazione della Gallia Cisalpina s'attestasse tra i 500.000 e il milione d'abitanti.

All'altro capo del ragionamento, le cifre dei censi eseguiti sotto Augusto, quadruple rispetto agli ultimi noti per la Repubblica132. Dal momento che un incremento della popolazione di tali proporzioni non potrebbe mai essere occorso in un periodo inferiore ai 40 anni, Beloch propose, in successione temporale, due diverse soluzioni.

Dapprima credette che in età repubblicana fossero inclusi nel censo solamente gli iuniores adsidui, quanti cioè tra i cittadini liberi avessero età inferiore ai 45 anni e fossero registrati nelle prime 5 classi censitarie. Secondo Beloch infatti erano questi gli unici cittadini dei quali lo Stato romano fosse interessato a conoscere il numero, dal momento che da questi erano composte le file delle legioni. Un cambiamento nelle pratiche di registrazione avrebbe in seguito incluso nel censo, in epoca augustea, tutti i maschi adulti.

                                                                                                                131 Beloch 1886.

132 L'ultimo censo noto per la Repubblica è quello del 70-69 a.C. : 910.000 abitanti secondo

Flegonte, FgrHist 257 F12; 900.000 secondo Liv. Per. 98. I censi augustei sono registrati dalle RGDA: 4.603.000 nel 28 a.C.; 4.233.000 nell'8 a.C.; 4.937.000 nel 14 d.C.

In seguito Beloch si persuase che era impossibile che il nesso civium capita, che compariva in formule verosimilmente ufficiali come civium capita censa tot, non si rivolgesse all'intera popolazione maschile libera. Di conseguenza cambiò idea sui censi di Augusto, che questa volta includevano anche donne e bambini, cioè tutta la popolazione libera133.

2. Lo Cascio e la riapertura del dibattito.

Questa l'ossatura del ragionamento, dalla quale mai, sino in tempi recenti, il dibattito pure intenso si è discostato. Poco meno di dieci anni fa, Lo Cascio ha ravvivato la questione con una serie di studi (da concludersi con un volume da lungo tempo annunciato), dal carattere quasi d'apostasia. Lo Cascio infatti ha insinuato il dubbio che le fondamenta stesse dell'impostazione di Beloch non reggano. Egli fa notare come, in effetti, che un cambio nelle pratiche del censo sia mai occorso è insinuazione fatta a bella posta e indimostrabile. Al contrario, il carattere di revival delle istituzioni repubblicane con il quale Augusto ammantò il proprio programma mal si concilia con l'idea che dal nulla s'includesse nel censo donne e bambini, tanto più che nelle Res Gestae si dà grande rilievo al collegamento tra census e lustrum, cerimonia tipicamente militare (maschile). All'impostazione di Beloch, Lo Cascio contrappone una vecchia tesi, propugnata da Frank e alla quale aderì Jones, cui gli argomenti di Lo Cascio reinfondono vigore. Secondo questa teoria, la ragione per la quale le cifre dei censi repubblicani sono tanto inferiori a quelle del principato è, quasi banalmente, un'alta percentuale d'evasione dal censo134. Lo Cascio ritiene che questa si sia drasticamente ridotta sotto Augusto grazie a un semplice cambiamento nelle pratiche di registrazione. La Tabula Heracleensis, documento d'età cesariana, prescrive in effetti che la procedura s'effettui alla presenza del più alto magistrato in ogni municipio, colonia o prefettura. Secondo Lo Cascio, l'epoca dell'iscrizione sarebbe anche l'epoca del cambiamento, implicando così che prima d'allora il censo avesse luogo a Roma soltanto e che i cittadini optimo iure che non risiedevano in

                                                                                                                133 Lo Cascio 1994, pp. 29-30.

134 Lo Cascio 1994, p. 30. Secondo Lo Cascio, ai censori non era richiesto tenere conto dei cives sine suffragio o dei legionari che in quel momento prestassero servizio lontano da Roma. Per una

critica all'idea che ingenti percentuali di cittadini, oltre ai proletarii, sfuggissero al censo, De Ligt 2012, pp. 81-105.

città dovessero recarvisi per essere registrati135. Lo Cascio ritiene quindi che il tasso di registrazione che ipotizza per le proprie stime, non superiore al 30%, giustifichi, fino al censo del 70-69 a.C., delle cifre tanto inferiori a quelle dei censi successivi a Cesare136.

Lo Cascio e Malanima hanno ripreso in esame il significato del numero degli uomini disponibili che Polibio fornisce. Secondo loro, se s'ipotizza che questo rappresentasse circa il 75% della numero complessivo di maschi adulti, e che questi ultimi fossero il 30% della popolazione totale, questa, nelle aree dalle quali, secondo Polibio, provengono gli uomini di cui egli riporta il numero, sarebbe intorno ai 3.400.000, con una densità di popolazione di poco superiore ai 30 abitanti km2. Applicando quindi la stessa densità di popolazione al resto dell'Italia (inclusa la Cisalpina ma non le isole), i due studiosi ottengono una popolazione di circa 8.000.000, quasi il triplo rispetto ai calcoli di Beloch. Anche ipotizzando una densità di popolazione inferiore per l'Italia fuori dal controllo romano, è impossibile scendere di molto al di sotto della soglia dei 6.000.000, pur sempre il doppio di quanto ritenesse Beloch137. Includendo donne e bambini, dunque, i due studiosi ipotizzano una popolazione compresa tra i 13.500.000 abitanti e i 14.500.000138.

Stime tanto divergenti significano e rispecchiano a un tempo due diverse maniere d'intendere le dinamiche della popolazione e dell'economia in Italia nella "longue durée". Beloch sapeva che nel 1881 la popolazione della penisola era di 25 milioni, ma secondo i suoi calcoli nel Rinascimento era ancora di circa 4 milioni139. Il suo rifiuto che la popolazione dell'Italia augustea potesse essere sensibilmente maggiore di quella rinascimentale era certo influenzato almeno in parte dalla sua idea che la popolazione sia sempre più densa nelle aree in cui l'industria prevale rispetto all'agricoltura140. Lo Cascio, di contro, ritiene che l'Italia raggiungesse, alle soglie dell'Impero, un livello di sviluppo economico e di popolazione mai eguagliato prima della Rivoluzione Industriale.

                                                                                                               

135 Lo Cascio-Malanima 2005, p. 11. Per una critica di quest'idea si veda De Ligt 2012, pp. 106-

120: egli ritiene che il censo delle comunità sparse per la penisola avvenisse da sempre in loco e che non sussiste ragione per la quale la procedura descritta nella Tabula Heracleensis fosse un'innovazione, piuttosto che consuetudinaria.

136 De Ligt 2012, p. 81.

137 Lo Cascio-Malanima 2005, p. 9. 138 Lo Cascio-Malanima 2005, p. 11.

139 Lo Cascio 1994, p. 31. Il calcolo di Beloch della popolazione Italiana nel Rinascimento è

tacitamente accolto da Lo Cascio-Malanima 2005, p. 14 (7,5 milioni di abitanti verso il 1450, isole incluse; Beloch calcolava un massimo di 9 milioni comprese le isole).

3. Critiche alla teoria di Lo Cascio.

Come detto, Lo Cascio ha ravvivato la discussione: confutarlo, o dichiarare adesione al suo partito con buoni argomenti, ha permesso che nel confronto fossero ammesse altre discipline e le idee più aggiornate.

Scheidel, tra i più critici della ricostruzione di Lo Cascio141, ha evidenziato numerosi problemi che questa comporta. Egli ha notato che, se l'Italia fosse stata l'unica regione tanto densamente popolata, una differenza tale nelle dinamiche di popolamento all'interno del bacino del Mediterraneo rimarrebbe impossibile da spiegare. Al contrario, se tutto l'Impero romano avesse avuto una simile storia demografica, vi dovrebbero aver vissuto allo stesso momento circa 150 milioni di abitanti, un numero mai raggiunto prima della metà del 19esimo secolo e persino più tardi in certe aree: il solo Egitto, ad esempio, avrebbe avuto 13 milioni di abitanti, come negli anni '20 dello scorso secolo. Inoltre, va da sé che una simile ricostruzione consegnerebbe agli storici del Medioevo un crollo demografico quasi apocalittico da collocare e giustificare nella Tarda Antichità142.

Scheidel confronta inoltre le stime di Lo Cascio con i dati della popolazione di altri luoghi ed epoche, rimarcando come quelle ipotizzino per l'Italia augustea circa un terzo della popolazione della Cina nel periodo Han, un'area più di 15 volte più vasta. Sarebbero inoltre quadruple rispetto alle stime della popolazione dell'Egitto romano e pari alla popolazione della Francia del 1600 e dell'Italia del 1840143.

Simili esercizi rammentano che ipotizzare un tasso demografico pari a quello di aree molto più vaste o di epoche successive alla Rivoluzione Industriale necessita la spiegazione dei modi di approvvigionamento della penisola italiana. Si noti inoltre che simili idee richiedono, nel dibattito sul rapporto tra crescita demografica e sviluppo economico, adesione alle tesi antimalthusiane di Boserup, secondo la quale la crescita demografica stimola l'innovazione e le migliorie nel settore produttivo, alimentando così la crescita economica144.

Tra gli studiosi, Kron in particolare ha cercato di fornire risposte al problema dell'approvvigionamento della popolazione italiana. Secondo il pensiero di Boserup, egli                                                                                                                

141 Ad esempio, Scheidel 2004, p. 5, afferma che non c'è ragione per cui un cambio di pratica in età

augustea non sia possibile. Si noti del resto che Lo Cascio altro non fa che postulare un cambio di pratica di diverso tipo e in altra data.

142 Scheidel 2004, p. 8. 143 Scheidel 2004, p. 7. 144 De Ligt 2012, pp. 22-23.

immagina che l'accrescimento demografico abbia spinto all'adozione di tecniche sofisticate, quali la rotazione delle colture, nella quale egli include anche il pascolo, responsabile di una produzione abbondante di letame e di conseguenza della maggiore fertilità del terreno145.

Lo Cascio, invece, ritiene che l'Italia dipendesse per la maggior parte dalle importazioni di enormi quantità di grano dalle province, sia sotto controllo statale, come forma di pagamento delle tasse, sia per iniziativa privata, quale merce di scambio per vino e altri prodotti146. Secondo Lo Cascio, il grano delle province sostentava l'intera popolazione di Roma e di molte città costiere.

4. Divergenti ricostruzioni dei trend demografici.

La divergenza d'opinioni che coinvolge da un lato Beloch e i cosiddetti "low-counters" (quegli studiosi cioè, quali Brunt e Hopkins, che accettano l'impostazione di Beloch e apportano ai suoi calcoli modifiche solo parziali), dall'altro Lo Cascio e gli "high- counters", investe, com'è naturale, non solo le cifre della popolazione in sé, ma anche la ricostruzione dei trend demografici e dei cambiamenti di tendenza avvenuti durante la Repubblica.

La conclusione dell'opera di Beloch era che il trend demografico della popolazione libera tra il 225 a.C. e l'epoca di Augusto fosse negativo. Come notano Lo Cascio e Malanima, Beloch tutto sommato descrive un vero e proprio crollo demografico. Infatti, ipotizzando che la popolazione maschile adulta fosse il 30% del totale, essa sarebbe stata di 975.000 individui nel 28 a.C., solo di poco inferiore alle cifre del censo del 70-69 a.C.; se nell'interpretazione delle nude cifre si tiene però presente che il censo del 28 a.C. includeva ormai la Gallia Cisalpina, queste si trasformano nella testimonianza di una consistente riduzione della popolazione.

Beloch, perdipiù, dubitava che l'emigrazione verso le province permettesse di ammettere, per l'Italia, una popolazione superiore ai 3.250.000 abitanti. Questo, notano ancora Lo Cascio e Malanima, suggerisce un trend demografico negativo anche nel lungo periodo, in                                                                                                                

145 De Ligt 2012, pp. 23-35.

146 De Ligt 2012, p. 30, nota che in realtà la parte dei privati nel commercio del grano era esigua. È

vero, ad esempio, che si esportava vino dall'Italia verso la Gallia, ma questo era scambiato perlopiù con schiavi e metallo, non cereali.

confronto alle stime di Beloch della popolazione italiana nel 225 a.C. e ai censi di epoca repubblicana147.

Lo Cascio, all'opposto, ritiene che il trend demografico si sia mantenuto positivo dalla fine della guerra annibalica sino alla cosiddetta "peste antonina".

5. Influenza delle diverse teorie demografiche sulla storia della repubblica romana.

In base a quanto detto, va da sé che la comprensione degli ultimi due secoli della Repubblica romana dipende dalla posizione assunta nel dibattito sulla demografia della penisola, in modo particolare lo scenario sul quale si proiettano le riforme agrarie dei Gracchi148.

I "low-counters" intendono il programma graccano come un tentativo d'arrestare il declino demografico. Quest'idea è del resto ben radicata nelle fonti. Appiano, ad esempio, afferma che Tiberio Gracco concepì la sua riforma come una soluzione a ὀλιγότης καὶ δυσανδρία, che affliggevano le genti dell'Italia149. Plutarco fa menzione di un pamphlet di Caio Gracco, nel quale egli affermava che il suo fratello e predecessore aveva notato con rammarico, mentre si recava a Numantia, l' ἐρηµία dell'Etruria meridionale e il massiccio impiego di schiavi di stirpe straniera150.

Brunt accettò il resoconto della tradizione e rimarcò inoltre che, come era manifesto nel racconto di Plutarco, la crisi demografica era senza dubbio collegata alla mancanza di terre, conseguenza questa dell'espansione della schiavitù agricola. Confrontando il caso romano con altre realtà, era secondo lui plausibile e ben documentato per altri luoghi ed epoche che i contadini tendessero a non sposarsi prima di poter garantire il benessere al futuro nucleo familiare151. Altri, ad esempio Hopkins, hanno preferito non dare rilievo a spiegazioni sociologiche del basso tasso di matrimoni e, in conseguenza, di natalità, ma hanno invece ritenuto che, con l'espansione dei latifondi, si sia generato un vero e proprio                                                                                                                

147 Lo Cascio-Malanima 2005, pp. 10-11. Si tenga presente che di solito i "low-counters" riducono

le cifre tradizionali dei censi del 125-124 e del 115-114 a.C. espungendo una delle C iniziali dal numerale. Presi per come sono tramandati, i numeri rivelano una crescita improvvisa. Sulla questione si veda De Ligt 2012, p. 160 e n. 87.

148 Hin 2008 ha proposto una "terza via", da lei definita "middle-count". Pur affascinante, la teoria

incorre in difficoltà insormontabili, riassunte in De Ligt 2012, pp. 126-128.

149 App. B. Civ. 1.7-8. 150 Plut. TG 8.7.

flusso migratorio di contadini impoveriti verso le città, che avrebbe sempre ingrandito le fila del proletariato urbano. Altri hanno infine spiegato la crisi demografica come conseguenza dell'alto costo in vite umane delle guerre del 3 e 2ndo secolo a.C152.

Di recente, De Ligt ha proposto una ricostruzione innovativa dei trend demografici dell'Italia repubblicana. Egli concorda nella sostanza coi "low-counters" per quanto riguarda le cifre della popolazione, ma ritiene anche, come gli "high-counters", che la penisola abbia recuperato le perdite umane della guerra annibalica in 30-35 anni e abbia conosciuto una crescita demografica ininterrotta fino alla peste antonina. Lo studioso ritiene inoltre che l'evasione dalla registrazione fosse pratica comunissima, nonostante a suo avviso questa avesse ragioni differenti da quelle addotte dagli "high-counters" e soprattutto riguardasse diversi gruppi sociali.

Per De Ligt, poi, la riduzione dell'impegno militare di Roma dopo il 163 a.C. ha grande importanza153. Secondo le stime, le guerre in Grecia e Spagna del periodo 200-168 a.C. sarebbero responsabili della morte di circa 130.000 soldati (sia Romani che Italici)154; nel periodo successivo il numero di perdite in guerra si sarebbe drasticamente ridotto.

De Ligt ritiene che il fenomeno della villa a conduzione servile abbia assunto dimensioni drammatiche solo nel primo secolo a.C. e che pertanto esso non possa spiegare, almeno non senza concause, l'espulsione dei contadini dalle terre durante il secolo precedente. In questo periodo, infatti, le tenute agricole avrebbero ancora avuto dimensioni ridotte e poca manodopera155; il sistema di produzione della villa si diffondeva con lentezza, in risposta alla crescita dei mercati urbani, Roma in primis. Tuttavia, secondo De Ligt, la diffusione, lenta ma implacabile, del latifondo (non soltanto a manodopera schiavile), in coincidenza con la crescita demografica, avrebbe prodotto una discrepanza sempre più evidente tra popolazione e risorse agricole. Semplicemente, non c'era abbastanza terra per tutti. La diffusione della schiavitù agricola e la competizione sempre più accesa per la proprietà della terra sarebbero responsabili della proletarizzazione di larghe sezioni della popolazione rurale.

                                                                                                               

152 Per una critica di quest'ultima teoria si veda De Ligt 2012, pp. 166-167, dove si nota che

l'impegno militare di Roma sia diminuito dopo il 163 a.C., senza che a ciò abbia corrisposto, stando alle cifre del censo, alcuna crescita demografica.

153 De Ligt 2012, pp. 166-167.

154 Rosenstein 2004, p. 136; De Ligt 2012, p. 141 azzarda una dimostrazione aritmetica che i

Romani potessero far fronte rapidamente a tali perdite.

De Ligt è incline a ritenere che le fonti si riferiscano piuttosto alla diminuzione degli adsidui disponibili, il loro interesse rivolto in primo luogo alle questioni militari. Nondimeno, ammette che sia Appiano che Plutarco intendano piuttosto una riduzione della popolazione complessiva. Dal momento che entrambi dipendono da fonti filo-Graccane, in un caso persino dagli scritti del medesimo C. Gracco, De Ligt avanza due ipotesi per spiegare il tragico affresco delle fonti. Da un lato egli ammette un buon grado di esagerazione e d'abbellimenti retorici, dall'altro ipotizza che dietro di essi giaccia un dato di verità, ma che questo altro non sia che un errore degli antichi: Tiberio Gracco avrebbe frainteso il significato del declino demografico testimoniato dalle cifre dei censi successivi al 163 a.C.156. Le field-surveys condotte sul territorio italiano suggeriscono in effetti che paesaggi desolati e massiccio impiego di manodopera servile siano stati una realtà soltanto di aree circoscritte della penisola, tra cui l'Etruria costiera157. Il fraintendimento di Tiberio Gracco potrebbe pertanto essere dovuto all'aver voluto interpretare le cifre dei censi a lui note alla luce della sua personale, parziale esperienza.

In altre parti d'Italia, i resti archeologici rivelano un continuo aumento del numero d'insediamenti rurali. Dato ancor più sconcertante per quanti prestano cieca fiducia nelle fonti è che in tal numero sono presenti in egual misura villae e fattorie: i due sistemi di produzione, latifondo e piccola proprietà, non sembrano concorrenziali ma si sviluppano in parallelo. Non vi sarebbe quindi ragione di giustificare la tesi tradizionale secondo la quale all'aumento della manodopera servile corrisponderebbe l'estinzione della medio-piccola proprietà terriera158.

Le riduzioni dei requisiti minimi per accedere alla quinta classe di censo che si succedettero tra gli anni '10 del terzo secolo a.C. e gli anni '30 del secondo si spiegherebbero dunque non in termini di un'effettiva riduzione di capitale umano, ma di uomini arruolabili secondo il sistema censitario vigente.

Secondo la ricostruzione di De Ligt, la legislazione agraria dei Gracchi s'inserisce nel quadro di una crisi di sovrappopolamento parzialmente Malthusiana. Mentre secondo Malthus le crisi demografiche deriverebbero dalla crescita demografica endogena, nel caso                                                                                                                

156 De Ligt 2012, pp. 169-170.

157 Un'altra area spopolata era forse l'Apulia: Cic. Att. 8.3 la definisce Apulia inanissima pars Italiae. Si veda Launaro 2011, pp. 158-164, 170.

158 È verosimile che parte delle fattorie fossero in effetti occupate dai contadini che prendevano in

affitto le terre dai latifondisti. Si veda Launaro 2011, pp. 171 (e n. 18 per la bibliografia precedente), secondo cui le surveys rivelano che l'affitto dei terreni era un fenomeno già diffuso nel 2ndo secolo a.C.

presente la crisi sarebbe, almeno parzialmente, risultato dell'espansione della schiavitù agricola159.

Particolarmente intriganti riescono le giustificazioni addotte da De Ligt a favore del rifiuto di ogni correzione alle cifre del censo del 124 a.C.. A meno che, come pure è stato ipotizzato, il requisito minimo per rientrare almeno nella quinta classe di censo sia stato ulteriormente ridotto160, l'aumento del numero dei cittadini può essere spiegato con la maggior propensione all'arruolamento da parte del proletariato. De Ligt ipotizza che questa inversione di tendenza nell'attitudine dei proletari nei confronti del censimento sia dovuta alla possibilità di essere coinvolti nelle distribuzioni agrarie promosse dai Gracchi, per le quali il riconoscimento dello status di cittadino era necessario161.

Quest'ipotesi solleva due difficoltà. La prima in fondo è facilmente superabile. La tesi di De Ligt obbliga infatti a credere che addirittura 75.000 cittadini, appartenenti al proletariato o alla quinta classe di censo (quelli cioè in precedenza meno stimolati a registrarsi e sui quali meno si concentrava l'interesse statale), decidessero improvvisamente di farsi riconoscere quali cittadini romani. Per quanto la cifra sia certo impressionante, non sussiste principio per il quale essa debba esser ritenuta inverisimile.

La seconda obiezione è di maggior rilievo. Le cifre del censo del 131, pur successive alle distribuzioni di Tiberio Gracco, non rivelano alcun aumento della popolazione; non

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