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LE ORIGINI DELLA GUERRA SOCIALE

2. Le relazioni tra Roma e l'Italia

1. Episodi di vessazione degli alleati da parte di romani.

Tradizionalmente, gli studiosi individuano uno spartiacque nelle relazioni tra Roma e gli alleati italici a un certo punto del secondo secolo a.C.

Il cambiamento nel sistema di relazioni di Roma con il resto dell'Italia è di solito ascritto non solo alla mera realtà politica, ma anche al piano psicologico, da riconoscersi cioè non soltanto nella diplomazia e nei contatti ufficiali, ma anche nel modo in cui i singoli cittadini romani, i magistrati in special maniera, si relazionavano agli alleati. Quest'idea poggia su solide basi: è lo stesso Velleio, autore, com'è noto, di stirpe italica, ad affermare che i Romani disprezzavano gl'Italici, ritenuti stranieri e barbari217.

Tra gli episodi solitamente citati a supporto, colpiscono l'arroganza di Postumio Albino e le sue malvessazioni ai danni dei prenestini nel 173 a.C., a detta di Livio l'esempio sul quale i magistrati romani, in seguito, modellarono il proprio comportamento218.

Nello stesso anno, il censore Fulvio Flacco saccheggiò il tempio di Giunone nel Bruttium delle sue tegole marmoree, da quegli trasferite a Roma, per essere reimpiegate in un tempio da lui votato.

In un frammento di un discorso di C. Gracco riportato da Gellio, un anonimo console fa fustigare un magistrato di Teano Sidicino perché i bagni pubblici non sarebbero puliti e accoglienti a sufficienza per la propria moglie. Gracco riporta altri esempi di tale iniqua condotta, avvenuti a Ferentino e Venusia (di quest'ultimo fa menzione in un frammento da altro discorso)219. Catone, dal canto suo, accusò il suo rivale Q. Minucio Termo di aver fatto frustare i decemviri di un'innominata città220.

Dopo che le leges Porciae ebbero proibito la fustigazione di tutti i cittadini romani, questa punizione esplicitamente stabiliva le distanze tra lo status di cittadino Romano e di straniero. Nel 51 a.C., ad esempio, proprio di questa condanna si servì M. Claudio Marcello per mostrare di non tenere in nessun conto l'estensione della cittadinanza alla                                                                                                                

217 Vell. 2.15.2. 218 Liv. 42.1. 219 Gell. 10.3.3-4.

220 Gell. 10.3.17. Astin 1978, pp. 326-327 nota che Catone è sconcertato dall'illegalità della

Cisalpina voluta da Cesare, facendo fustigare come uno straniero un cittadino di Novum Comum221.

D'altro canto, è legittimo il dubbio che gli episodi appena menzionati fossero noti proprio per il loro carattere straordinario e che possano aver dato adito a controversie all'interno del corpo civico romano. Questo è certo il caso per Fulvio Flacco e le sue tegole di marmo, la cui origine fu presto nota in città222, come anche per gli episodi che C. Gracco dovette inserire a fini polemici nei propri discorsi.

Sembra poi evidente che non tutti i membri della classe politica romana condividessero la considerazione degl'Italici quali subalterni da bistrattare. Se la considerazione dei romani nei loro confronti mai cambiò, probabilmente ciò produsse maggior riguardo per essi, in individui come Caio Gracco223.

2. Cambiamento e continuità nei rapporti tra Roma e l'Italia dopo la guerra annibalica. Secondo coloro che sostengono che i rapporti tra Roma e gli alleati peggiorarono nel secondo secolo a.C., le ritorsioni contro quanti tra questi ultimi avevano parteggiato per Annibale rientrano, dopo tutto, nei modi tradizionali di risolvere simili tradimenti, inasprite dal pericolo mortale che Roma aveva corso.

Piuttosto, si deve affermare che è impossibile riconoscere qualsiasi cambiamento di sorta nelle relazioni con gli alleati dalla fine della guerra annibalica fino alla guerra sociale224. Sia la storia di Postumio Albino che le accuse di Catone a Minucio Termo rivelano che il maltrattamento degli alleati non conobbe discontinuità. Né si può tralasciare che gli Italici                                                                                                                

221 Cic. Att. 5.11.2; Plut. Caes. 29.2. Si veda Tweedie 2012, p. 136.

222 In questo caso tuttavia sia le lamentele degli alleati che l'opposizione dei Romani erano dovute

alla violazione della pietas nei confronti della divinità offesa, Giunone. Inoltre, Laffi 1990, p. 293, sottolinea che Flacco non ricevette alcuna punizione ma gli fu solo ordinato di restituire il maltolto.

223 La considerazione di Catone per i popoli italici è dibattuta. Letta 1984 è di certo nel giusto ad

affermare che Catone promosse l'idea di un'origine comune di tutti i popoli della penisola e rifiutasse l'idea di un'origine greca. Chassignet 1987 e Forsythe 2000 ritengono a torto che l'interesse per l'Italia volesse fornire ai Romani un elenco di risorse da sfruttare. L'analisi migliore è Letta 2008, secondo il quale Catone, alla fine della guerra annibalica, si sarebbe speso per rinsaldare i legami con gl'italici, indeboliti dalle defezioni. Jefferson 2012 ritiene che le Origines si rivolgessero a un pubblico non solo romano, ma anche italico, "to encourage […] to conceive a shared identity". L'idea non è provata.

224 Sulle relazioni tra Roma e gl'Italici durante e dopo la guerra annibalica si veda Laffi 1990, pp.

erano stati sconfitti in guerra; questo semplice fatto avrà in certa misura influenzato la considerazione dei Romani.

Sembra verisimile considerare le vessazioni patite dagli alleati come parte di una pratica ormai consueta225, ma dipendente dalla personale considerazione del magistrato di turno, che sempre più, nel corso del tempo, dovette suscitare lo sdegno di parte dell'opinione pubblica a Roma.

In realtà, l'idea di un deterioramento dei rapporti tra Roma e i popoli italici si oppone a un'altra teoria, di solito menzionata per spiegare le ragioni della guerra sociale: la creazione di stretti legami tra Roma e l'Italia. "Traditionally, the second century BC has been seen as characterised by increasingly close links between Rome and the communities of Italy, culminating in an Italian desire for Roman citizenship"226.

3. Livelli d'ingerenza di Roma tra gli alleati.

Lo stato romano in quanto tale attribuì sempre vitale importanza alla qualità delle relazioni con gli italici, per evitare che il proprio dominio apparisse tirannico.

Così, non abbiamo prova alcuna che Roma mai legiferasse per conto degli alleati. Di solito, Roma proponeva una legge agli alleati, che avevano formalmente il potere di accettarla o rifiutarla. Questa procedura era detta fundus fieri227; numerosi esempi sono menzionati da Cicerone nella Pro Balbo228.

Tra le leggi che si ritiene obbligassero anche gl'italici229, la lex Appuleia e la lex Furia sembrano essere inserite a torto nel novero230. La lex Sempronia s'applicava sì agl'italici, ma solo a quanti tra essi fossero creditori di un cittadino romano; essa piuttosto costringeva i romani che conducevano transazioni finanziarie con gl'italici a seguire la legge romana. Non era certo un'interferenza nella vita di una comunità straniera e sovrana.

                                                                                                               

225 Lomas 2012, p. 205, afferma che non c'è nessun indizio in favore di un cambiamento nei

rapporti tra le elites di Roma e della penisola.

226 Patterson 2012, p. 215. Per la visione tradizionale, si veda Brunt 1988, pp. 93-143. 227 Laffi 1990, p 291.

228 Cic. Balb. 8. 20-21.

229 Lista completa in Harris 1972, p. 639. 230 Gai. Inst. 3.121 ss.

Dubbi rimangono sulla lex Didia, che a dire di Macrobio estendeva l'azione della precedente lex Fannia, una legge suntuaria, all'intera Italia (universa Italia)231.

L'incertezza sull'esatta applicazione della lex Didia dipende, in ultima istanza, dall'incertezza legata all'esatto significato del termine Italia.

4. Significato del termine Italia.

L'Italia fu provincia consolare per tutto il secondo secolo a.C.232, sebbene Livio sembri spesso indicare, con il termine Italia, il settentrione più che l'intera penisola233. Già questo semplice fatto rivela un importante problema di metodo: sebbene Italia indicasse, nella sfera giuridica, la provincia consolare, le fonti sovente utilizzano il nome per indicare nel concreto l'area dove il console conduceva le operazioni di guerra, di solito nel Nord, Ager Picenus e Gallia Cisalpina inclusi. L'Italia come concetto geografico, comprendente l'intera penisola a sud delle Alpi o del Rubicone234, si sovrappone spesso alla terminologia giuridica.

Secondo Mouritsen, la terminologia ambigua della lex Didia, stando al resoconto di Macrobio, rivela solamente "an internal distinction between Rome and areas outside the city"235. In questo caso, dunque, Italia dovrebbe essere inteso nel suo senso giuridico. La stessa ambiguità si ritrova nel famoso passo di Polibio in cui si afferma che i crimini perpetrati in Italia che richiedevano pubblica inchiesta rientravano nella giurisdizione del Senato236. Secondo Mouritsen, in questo caso il termine Italia è utilizzato in contrasto alla pratica all'interno della città di Roma, dove la suprema autorità è dei consoli237. Tuttavia,

                                                                                                                231 Macr. Sat. 3.17.6.

232 Bispham 2007, p. 54. 233 Bispham 2007, p. 58.

234 De Libero 1994, pp. 304-305 per le occorrenze del termine Italia connotato dalla posizione a sud

delle Alpi. Per l'uso politico della nozione geografica e l'idea che la moderna difficoltà di stabilire confini precisi per il termine Italia rifletta un dibattito realmente in corso nel 2ndo secolo a.C. si veda Bispham 2007, pp. 57 ss.

235 Mouritsen 1998, p. 48. Contra Laffi 1990, p. 183, secondo il quale "che Roma […] non si

facesse scrupolo dall'imporre proprie leggi agli alleati è una realtà difficilmente contestabile". Tuttavia non vengono fornite prove a supporto dell'affermazione, fuorché la dichiarazione che

universa Italia in Macr. Sat. 3.17.6 non può indicare i territori romani.

236 Pol. 6.13.4-6. Bispham 2007, p. 59, nota che l'uso del termine Italia in Polibio rivela mancanza

d'interessi per le implicazioni ideologiche e mancanza di distinzione tra uso legale e geografico.

dacché non è possibile che il senato avesse potere giuridico pure sugli alleati238, si deve supporre che Polibio intendesse quelle parti dell'ager Romanus che si estendevano oltre i confini dell'Urbe239. Il passo è breve per approdare all'interpretazione già di Galsterer, secondo il quale l'uso giuridico di Italia si riferisce al solo ager Romanus240.

Casi nei quali "Italia" sembra includere anche gli alleati sono di solito dovuti all'utilizzo del termine nel suo senso geografico241. Così ad esempio va intesa la formula militare quei ceiuis Romanus nominisue Latini, quibus ex formula togatorum milites in terra Italia inperare solent ("qualunque cittadino Romano o membro del nomen Latino, da quanti essi sono soliti richiedere soldati sul suolo d'Italia, secondo la lista dei togati)242. Ancora, pare che nel senso geografico vada inteso il termine Italia nella descrizione di Livio della repressione dei culti bacchici, nel punto nel quale si dà conto della possibilità per i cittadini che si trovano oltremare di tornare a difendersi243.

Secondo Mouritsen, tutte le occorrenze di Italia in Livio vanno derubricate al senso geografico, includendo pertanto gli alleati244. In due sole istanze Italia avrebbe invece senso strettamente giuridico. L'uso del termine con due significati differenti da parte del medesimo autore appare ovviamente peculiare: ipotizzare che gli autori antichi avessero chiara coscienza dei due distinti usi "presupposes a common terminological accuracy and consciousness in all our sources", secondo Mouritsen difficilmente credibile245.

Mouritsen ritiene piuttosto che, poiché al tempo di Livio e delle altre fonti246 (con l'eccezione delle occorrenze in Polibio di cui si è già discusso) la distinzione originaria tra uso giuridico e geografico era ormai da lungo tempo divenuta obsoleta, non ci si debba                                                                                                                

238 Badian 1958b, p. 142, 145. Gli alleati mantenevano potere giudiziario, mentre i municipi

dipendevano da prefetti iure dicundo. Tuttavia non è chiaro fino a che punto il parere dei prefetti fosse vincolante per i magistrati locali: a Caere, per esempio, CIL XI 3614=ILS 5918a, datato al 113 a.C., rivela l'esistenza di un aedilis iure dicundo (si veda Letta 1979, p. 36). Sui prefetti si veda Laffi 1973, p. 41; Laffi 1981, p. 64.

239 Mouritsen 1998, p. 47, n. 30 trova ulteriore conferma in Pol. 6.17.2: "the Roman censors

oversaw construction works all over Italy. Obviously, their sphere of jurisdiction did not extend beyond ager Romanus".

240 Galsterer 1976, pp. 37-41. Questa interpretazione è accolta da De Ligt 2012, p. 111 e n. 133. 241 Contra De Libero 1994, secondo la quale Italia, in senso politico, si riferisce sempre a Romani e

alleati che abitano nella penisola.

242 RS 2 (lex agraria), l. 21; l. 50 (in entrambi i casi il testo non è integro). 243 Liv. 39.15.6, secondo l'interpretazione di Mouritsen 1998, pp. 50-51.

244 Oltre alla già menzionata Liv. 39.15.6, anche Liv. 39.17.4, dove la distinzione è tra urbs, fines Romani e tota Italia.

245 Mouritsen 1998, p. 45, n. 25.

aspettare nessun'accuratezza nella terminologia247. Questo è probabilmente vero, seppur paia piuttosto da scartare l'altra giustificazione di Mouritsen, che Livio e gli altri scrittori imperiali abbiano trovato nelle fonti l'ager Romanus descritto come Italia e abbiano male interpretato248. Infatti non si spiegherebbe come un termine giuridico come ager Romanus possa esser stato interpretato nella maggioranza dei casi non come Italia in senso giuridico ma, paradossalmente, in senso geografico. È preferibile ritenere, al contrario, che i due significati siano sempre co-esistiti, causando una certa ambiguità.

A ulteriore smentita della seconda idea di Mouritsen va l'uso accuratissimo dell'espressione per fora et conciliabula da parte di Livio: afferma lo storico che la tassa sul sale del 204 a.C. era d'importo differente a Roma piuttosto che in foris et conciliabulis249 e che tra il

184 e il 180 le indagini sui veneficia furono condotte distinguendo due distretti, l'Urbs e, ancora, fora et conciliabula. Ne segue che una qualche sorta di divisione amministrativa esisteva, che distinguesse la città di Roma dal resto dell'ager Romanus (dal decimo miglio in poi, come spiega Livio).

Secondo De Ligt fora et conciliabula indica quelle parti dell'ager Romanus che non erano amministrate da colonie o municipi dotati di determinazione giuridica, mentre l'altra formula, tota Italia, è complementare alla prima, indica cioè l'ager Romanus inclusivo di colonie e municipi250. Agl'indizi che De Ligt porta a proprio favore, si può aggiungere che nella lex repetundarum epigrafica le parole in oppedeis foreis conciliaboleis si spiegano meglio come una proposizione incidentale, che limita il campo d'applicazione al precedente in terra Italia, piuttosto che essere a questo legato per asindeto. Ne deriverebbe che oppida, fora e conciliabola sarebbero parte della tota Italia251.

A causa delle incertezze sin qui esposte, è inevitabile che l'evidenza principale da esaminare dev'essere l'iscrizione proveniente da Tiriolo, contenente il testo del s.c. De

                                                                                                                247 Mouritsen 1998, p. 45, n. 25. 248 Mouritsen 1998, p. 47. 249 Liv. 29.37.3-4.

250 De Ligt 2012, p. 110, basato su Galsterer 1976. Su fora et conciliabula si veda Bispham 2007,

pp. 87-91.

251 RS 1 (lex repetundarum), l. 31: [--- iubetoque] conquaeri in terra Italia in oppedeis foreis conciliab[oleis --- in oppedeis foreis con]ciliaboleis, ubei ioure deicundo praesse solent. Gli editori

di RS ipoteticamente traducono integrando un "except" nella seconda delle sezioni di testo mancanti: [--- and he is to order] search to be made in the land of ltaly in the towns, fora and conciliabula, [?except? in those towns, fora] and conciliabula, where there are accustomed to be men in charge of jurisdiction.

Bacchanalibus252. In quanto documento originale, non filtrato dall'interpretazione degli storici, esso può aiutare a risolvere il quesito se la legislazione romana avesse validità anche tra gli alleati.

Nell'iscrizione bronzea, alla linea 2, ricorre il termine foederati, da molti inteso come menzione degli alleati di Roma, sui quali si starebbe imponendo un provvedimento giuridico, cioè il senatoconsulto253. Tuttavia, il termine ricorre una seconda volta alla lina 7 e in questa seconda occorrenza si specifica che tra i foederati vi sono cittadini Romani, Latini e alleati254. È logico dunque che in entrambi i casi il termine si riferisca agli affiliati alle comunità che praticavano i culti bacchici e pertanto abbia significato prossimo a coniurati255. Ad esso corrisponderebbe quindi, nel testo liviano, qui Bacchis initiatus esset.

La menzione degli alleati alla linea 7, poi, può ben essere intesa come limitata agli stranieri che risiedevano in territorio romano256.

In conclusione, nonostante la tesi di Galsterer e, più di recente, di Mouritsen sia ben lungi dall'essere peregrina, non riesce tuttavia a smentire la tesi tradizionale, secondo la quale Roma interferì ripetutamente nella vita politica delle comunità alleate257; a questa viene soltanto affiancata un'alternativa decisamente plausibile.

Un confronto è possibile coi modi tenuti da Roma nel trattare gli alleati che erano passati ai Cartaginesi nella seconda guerra punica. In quel caso, le comunità alleate furono di solito private di porzioni dei loro territori, destinate a divenire ager publicus, quindi territorio romano. Tuttavia, a causa delle difficoltà pratiche, solitamente Roma non prese mai davvero possesso di esse258. È possibile che, di fronte all'effettiva difficoltà di fare applicare tra gli alleati provvedimenti che pure i Romani ritenessero in principio vincolare anch'essi, mai (o raramente) questa strada sia stata intrapresa e che i Romani, pur sentendosi perfettamente intitolati a legiferare per gli alleati, abbiano piuttosto optato per la procedura del fundus.

                                                                                                                252 ILLRP 511.

253 ll. 2-3: De Bacanalibus quei foideratei | esent, ita exdeicendum censuere etc.

254 ll. 7-9: Bacas uir nequis adiese uelet ceiuis Romanus neue nominus Latini neue socium | quisquam, nisei pr(aitorem) urbanum adiesent isque de senatuos sententiad, dum ne | minus senatoribus C adesent, quom ea res cosoletur, iousisent.

255 Mouritsen 1998, pp. 53-54, con ulteriore bibliografia a n. 48; Rich 2008, pp. 65-66. 256 Mouritsen 1998, p. 55.

257 Come spiega Laffi 1990, "che questi interventi dell'autorità romana avessero una qualche

legittimazione in termini di diritto internazionale è assai dubbio".

5. Relazioni personali tra membri delle elites.

Si è detto che, di solito, si ritiene che i contatti personali tra membri delle elites romana e alleate si siano fatti più frequenti e saldi nel corso del secondo secolo a.C.259. Secondo alcuni, tuttavia, questi al contrario avrebbero risentito del clima di ostilità nei loro confronti che montava a Roma e del sentimento di superiorità dei Romani260. Come reazione, le elites alleate sarebbero divenute sempre più inquiete al giogo, ormai ritenendo i romani alla stregua di padroni261.

Irreconciliabili a questa visione paiono casi come Sesto Roscio, il padre del cliente e amico di Cicerone, del quale si conosce il rapporto saldo con famiglie importanti come i Metelli, gli Scipioni e ancora i Servilii262. È vero che questi non era propriamente un alleato, bensì proveniva dal municipio di Ameria, ma la situazione non sembra esser stata diversa per quei foederati che provenivano dalle aree meno urbanizzate della penisola. Noti sono, ad esempio, i rapporti strettissimi tra Druso e Q. Poppedio Silone, che sarebbe divenuto uno dei leader della rivolta263. Pur volendo dubitare della notizia, ritenendola parte della tradizione su Druso che gli attribuisce un ruolo ambiguo negli eventi che condussero alla guerra sociale, si sono rinvenute in varie località tesserae hospitales che rivelano, grazie ai nomi su esse iscritti, legami personali e amicizie tra membri dell'elite romana e di quelle locali264.

Le relazioni tra Roma e gl'italici sembrano esser divenute più strette e migliori nel secondo secolo. Tuttavia, non si ha l'impressione che a questo fenomeno sia mai corrisposta la nascita di un sentimento di comune ascendenza e fratellanza.

A detta di molti studiosi, un sentimento di comune appartenenza dev'essere scaturito dalla comune opposizione alle invasioni della penisola, da parte dei Galli nel 225 a.C., quindi da parte di Cimbri e Teutoni. Keaveney cita un passo di Polibio che a suo dire testimonia un                                                                                                                

259 Patterson 2006; Patterson 2012; Lomas 2012. 260 Wiseman 1971, pp. 37-46.

261 Patterson 2006, p. 152: "increasing level of hostility to Rome on the part of the Italians in the

last decades of the second century BC". È innegabile che la fredda accoglienza riservata ad Albinio durante il suo primo soggiorno a Preneste come privato cittadino riveli una certa disaffezione verso Roma da parte dei prenestini.

262 Lomas 2004, p. 105.

263 Cic. Fam. 16. 22; Val. Max. 3. 12; Plut. Cat. mi. 2. 1-4; Vir. ill. 80. 1. Patterson 2006, pp. 139-

140.

264 Patterson 2006, pp. 140-142; Patterson 2012, pp. 218-219. Mennella 2006 ha annunciato il

simile sentire comune265. Il passo tuttavia afferma l'esatto opposto: Polibio dice solamente che gli alleati non combattevano per dovere, per adempire i trattati con Roma, ma perché la loro terra era in pericolo. Polibio testimonia proprio che Roma e l'Italia erano ancora sentite come differenti. Gl'italici, come è chiaro anche in altri passi, volevano proteggere il proprio territorio e non vi è ragione alcuna di credere che le sorti dell'ager Romanus stessero loro troppo a cuore266.

Persino le elites, di solito più sensibili all'influenza della cultura e dello stile di vita romani per via degli stretti contatti con i ceti dominanti a Roma, non sembrano aver desiderato di diventare romane.

Nel tardo secondo secolo a.C., le famiglie nobili di Signia e Praeneste, ben inserite a Roma, come ha dimostrato Zevi267, intrapresero dispendiosi piani di rinnovamento urbano268, rivelando così di essere ancora principalmente concentrate sulle proprie

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