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LE ORIGINI DELLA GUERRA SOCIALE

3. Rivolte locali e Guerra Sociale

1. La portata reale delle leges de civitate.

Appiano descrive la proposta di legge di Fulvio Flacco essenzialmente come il baratto della cittadinanza in cambio delle terre, affermando che gl'italici preferivano la cittadinanza alla proprietà della terra374. Narrando gli eventi del 91, poi, afferma con vaghezza che la legge agraria di Druso provocò le rimostranze degl'italici375.

Nonostante le affermazioni di Appiano, l'idea che a Roma davvero s'ipotizzasse di concedere la cittadinanza a tutti gl'italici, in cambio della rinuncia, da parte di questi, a opporsi alle distribuzioni agrarie, è difficilmente sostenibile.

Come sottolinea Mouritsen, proposte di respiro così ampio mai avrebbero potuto superare l'opposizione del Senato o dei comizi. Oltre alle difficoltà tecniche, poi, la sperequazione tra malanno e cura è evidente: come si è detto, le distribuzioni agrarie avrebbero danneggiato, tra gl'italici, solo i più ricchi dei latifondisti; concedere la cittadinanza a tutta l'Italia per superare le resistenze di pochi alleati sarebbe certo parso eccessivo e privo di senso.

È facile immaginare, quindi, che entrambe le leggi di cittadinanza, quella del 125 a.C. e quella del 91 a.C., avessero portata ben più limitata. Mouritsen ha elaborato la tesi che esse fossero rivolte solamente ai latini; quest'idea tuttavia è senza dubbio errata, fondata com'è sull'assunto sbagliato che la civitas per magistratum sarebbe stata concessa ai latini solo dopo la guerra sociale, ma soprattutto accorda alle fonti una precisione terminologica della quale esse sono in realtà prive. Così, secondo Mouritsen, prova della correttezza della propria idea sarebbero le frequenti menzioni, in fonti tarde e compendiose, di un coinvolgimento dei latini nella ribellione; egli non tiene però conto dell'imprecisa (o mancata) distinzione tra socii e Latini nelle fonti alle quali egli ricorre: così, ad esempio, lo stesso Valerio Massimo erroneamente definisce Q. Poppedio Silone, il capo marso, Latii princeps376.

                                                                                                                374 App. B. Civ. 1.21.

375 App. B. Civ. 1.36. Appiano collega erroneamente le rimostranze degli alleati al programma di

colonizzazione.

2. Obiettivi della legislazione agraria.

Sino a tempi recenti, le riforme agrarie dei Gracchi sono state considerate un tentativo di rinvigorire la forza militare di Roma, aumentando il capitale umano disponibile e riequilibrare così il rapporto con i contingenti alleati, che nelle armate superavano di gran lunga in numero quelli romani377.

Oggi, tuttavia, si ritiene che ad altri mezzi meno impegnativi e controversi si potesse far ricorso per ottenere lo stesso risultato di un riaggiustamento del potere militare in favore di Roma: al progressivo impoverimento degli adsidui rurali, i quali, divenendo proletarii, non erano più arruolabili, si fece del resto fronte con la progressiva riduzione del censo minimo della quinta classe. Che un rapporto diretto di causa-effetto tra il fenomeno e la legislazione agraria non sussistesse è d'altronde dimostrato dal fatto che le proposte di ulteriori distribuzioni proseguirono pure dopo l'ammissione dei proletarii nelle legioni. L'impoverimento della popolazione rurale, lungi dall'essere un problema solo per le ripercussioni sul potere militare di Roma, era un problema in sé ed era perdipiù sfruttato a fini propagandistici da uomini politici ambiziosi. Così come, per molti studiosi, l'acquisizione di eccessivo prestigio personale fu tra le cause della fine della stagione della colonizzazione repubblicana, così anche le distribuzioni agrarie finirono per diventare l'occasione per procacciarsi un bacino elettorale pressoché infinito e proprio per questa ragione furono contrastate dal Senato, interessato a mantenere l'equilibrio.

3. Connessione tra le leggi agrarie e le leggi de civitate.

Come si è detto, l'opposizione degl'italici alla legge agraria del 129 a.C. e l'impasse che ne derivò causarono profondo scontento nella popolazione urbana di Roma. Tutti i tentativi successivi di riforma agraria dovettero tenere in considerazione sia le ragioni degl'italici in modo tale da poter ricominciare le distribuzioni. Saturnino, ad esempio, tentò la via delle fondazioni coloniali per evitare di requisire terre possedute dagl'italici.

È probabile, allora, che le leggi di cittadinanza proposte da Flacco e da Druso avessero lo scopo ben limitato di concedere la cittadinanza solamente a quanti tra gli alleati subissero requisizioni di terre. D'altronde, il resoconto di Appiano degli eventi del 129 a.C. sembra                                                                                                                

indicare che, più che voler evitare a tutti costi le requisizioni, i ricchi italici desiderassero più concretamente lo stesso trattamento riservato dalla commissione agraria ai ricchi romani.

In quest'ottica ristretta ha allora senso affermare che Roma stesse barattando la terra con la cittadinanza. Gl'italici concedevano alla commissione triumvirale di effettuare distribuzioni dell'ager publicus in loro possesso, ma in cambio ottenevano una protezione giuridica efficace contro decisioni a loro avverse e da essi ritenute ingiuste.

Dall'elogium epigrafico di Druso, oggi purtroppo andato perduto, è noto che egli fu realmente nominato Xvir a(gris) d(andis) a(dsignandis) in virtù della sua propria legge e di nuovo Vvir a.d.a. dalla legge dell'altro tribuno Saufeio378. Pare quindi certo che egli davvero abbia distribuito dei terreni. Conscio della paralisi in cui era incorsa la commissione graccana per via delle lamentele degl'italici, Druso avrà concepito la legge sulla cittadinanza come un buon compromesso.

Dal momento che due diverse commissioni agrarie furono istituite e che quindi almeno la prima avrà iniziato e concluso i propri lavori, la legge agraria di Druso dovette essere approvata nei primi mesi del 91 a.C.379 Il progetto di legge sulla cittadinanza, sebbene non fu mai portato a termine, era, stando alle Periochae liviane, parte del programma di Druso sin dall'inizio380. Altre fonti lo considerano invece uno sviluppo tardo del tribunato di Druso381, ma è possibile che questa cronologia alternativa sia dovuta al collegamento tra la legge di cittadinanza e lo scoppio della guerra sociale: la prima sarebbe stata spostata agli ultimi mesi del tribunato di Druso per connetterla con la ribellione degli alleati. È difficile dunque stabilire se Druso abbia concepito sin dall'inizio la legge agraria e quella sulla                                                                                                                

378 CIL 6.1312=ILS 49=InscrIt 13.3.74. Secondo Mommsen (CIL I2, p. 199), l'iscrizione

proverrebbe da un altare dedicato a Druso che si trovava dentro il palazzo di Augusto. L'ipotesi che a palazzo si coltivasse la memoria di Druso, dal quale Livia Drusilla e Tiberio discendevano attraverso Druso Claudiano (Braccesi 2007, p. 91), è purtroppo destinata a restare tale, ma al contrario fa specie che la sua eventuale esistenza non influenzò il giudizio negativo su Druso, prevalente in epoca imperiale.

379 Contra Sordi 1988, che ritiene che le leggi di Druso non erano ancora state votate il 13 di

Settembre del 91; la studiosa deriva però quest'idea dall'erroneo assunto che la promulgatio delle leggi, occasione nella quale gl'italici si recarono a Roma (App. B.Civ. 1.36), sia avvenuta nella stessa contio menzionata da Cic. De Or. 3.1.1. Al contrario, è improbabile che Marcio Filippo si sarebbe azzardato a pronunciare di fronte a una platea composta d'italici che sostenevano Druso un discorso tanto infervorato come testimonia Cicerone. Nell'occasione della promulgatio egli si sarà limitato a dire obnuntio.

380 Liv. Per. 71.

cittadinanza come parte dello stesso programma o se invece la proposta sulla cittadinanza sia stata un tentativo successivo di far fronte alle proteste degli alleati, provocate proprio dalla sua legge agraria. È ovvio che nel primo caso il ritratto di Druso come politico accorto e lungimirante parrebbe più legittimo.

Nelle fonti sopravvivono almeno due diverse motivazioni per l'annullamento subito dalle leggi di Druso382. Cicerone afferma che queste furono annullate per un vizio di procedura, poiché esse violavano la lex Caecilia Didia. Egli tuttavia, in due loci diversi dello stesso discorso fornisce due diverse giustificazioni dell'annullamento: dapprima afferma che le leggi erano state votate prima che un trinundinum fosse trascorso dalla loro pubblicazione, quindi dichiara che esse erano state votate per saturam383. Chiaramente la lex Caecilia

Didia doveva ritenere entrambe le violazioni sufficienti per l'annullamento, ma è difficile appurare quali ragioni fossero addotte nel 91 a.C. da Marcio Filippo e i senatori ostili a Druso per invalidare la sua legislazione, dal momento che la testimonianza di Cicerone è di dubbio valore: dopo l'umiliazione patita, Cicerone sfrutta ogni tipo d'argomento per delegittimare Clodio; è verisimile quindi che egli ascrivesse a Druso tutte le violazioni previste dalla lex Caecilia Didia, sebbene non tutte fossero da egli state realmente compiute.

Inoltre, molti studiosi interpretano le accuse mosse a Druso di aver fatto votare le proprie leggi con la forza384 come se questa fosse la causa del loro successivo annullamento. L'opinione è errata: sebbene sia Floro che Valerio Massimo e il De Viris Illustribus testimonino scontri fisici con Marcio Filippo al momento del voto385, nessun autore antico afferma che le leggi siano state annullate in quanto approvate per vim.

Cicerone menziona anche altrove l'annullamento della legislazione di Druso386; il passo è stato spiegato da Asconio come se vi si affermi che le leggi di Druso furono votate contra auspicia; questa opinione è poi stata mutuata da molti studiosi moderni387. Cicerone però                                                                                                                

382 Mouritsen 1998, p. 121.

383 Violazione del trinundinum: Cic. Dom. 41; violazione del divieto di presentare leggi per saturam: Cic. Dom. 50.

384 Liv. Per. 71; Flor. Epit. 2.5.9.

385 Flor. 3.17.7; Val. Max. 9.5.2; Vir. Ill. 66.9. Ci si potrebbe domandare perché Druso non fu

perseguito secondo la lex Appuleia de maiestate, come Norbano nel 95 a.C.

386 Cic. Leg. 2, 31.

387 Asc. 69 Cl. Lintott 1968, p. 133, accetta la spiegazione di Asconio e afferma che dal momento

afferma soltanto che Marcio Filippo fece annullare le leggi per via di un vizio procedurale388. Il malinteso deriva dal fatto che nel passo in questione Cicerone tratta dei poteri degli auguri, che includono l'interpretazione degli auspici; tuttavia, inserendo i due esempi della lex Titia e delle leges Liviae, annullate la prima da un decreto del collegio degli auguri, le seconde, come si è detto, dietro suggerimento di Marcio Filippo, augure lui stesso, Cicerone non vuole dire che queste furono abrogate per essere contra auspicia, ma vuole mostrare che agli auguri spettava l'ultima parola sugli aspetti procedurali, anche differenti dagli auspici389. Non è dunque vero quanto da alcuni ritenuto, che l'unico modo per conciliare tra loro le menzioni della lex Caecilia Didia in Cicerone sarebbe ipotizzare che essa trattasse anche degli auspici390.

La legislazione di Druso fu dunque certamente abrogata prendendo a pretesto dei vizi di forma. Non si può allora convenire con quanti ritengono che, nella pratica, simili aspetti tecnici fossero ritenuti quisquilie e non portassero mai all'abrogazione di atti legislativi391. Lintott ha correttamente notato che, qualora emergesse un vizio di procedura, l'ultima parola spettava al collegio degli auguri392. Plausibilmente gli auguri si saranno pronunciati anche sull'abrogazione delle leggi di Druso; è pertanto improbabile, a differenza di quanto alcuni ritengono, che M. Emilio Scauro, alleato politico di Druso, appartenesse al collegio o persino lo presiedesse.

Sebbene Asconio affermi che Scauro avrebbe rifiutato di cooptare Domizio tra gli auguri per rimpiazzare il padre di costui, intanto deceduto393, secondo altre fonti lo scontro sarebbe piuttosto avvenuto per un seggio tra i pontefici394.

L'altro patrono politico di Druso, L. Licinio Crasso, era davvero membro del collegio degli auguri; data la sua straordinaria preminenza politica, si può allora con buon margine di certezza affermare che mai il collegio si sarebbe pronunciato contro gli interessi di un                                                                                                                

tra loro, dovrebbero essere considerati insieme. Linderski 1983, p. 454, identifica l'occasione delle violenze e degli auspici sfavorevoli con il tentativo di Marcio Filippo di opporre a Druso l'obnuntiatio (Flor. Epit. 2.5.8).

388 leges non iure rogatas tollere, ut Titiam decreto conlegii, ut Liuias consilio Philippi consulis et auguris?

389 Anche Marshall 1985, pp. 71-74 ritiene che Asconio si sia sbagliato. 390 Ryan 1994, p. 106.

391 Così Heikkilä 1993, p. 136, che sottolinea che gli aspetti tecnici sollevati da Cicerone non

compromisero l'adozione di Clodio e che anche Antonio sembra aver trascurato la lex Caecilia

Didia (Cic. Phil. 5.8). 392 Lintott 1968, p. 137 n. 3. 393 Asc. 21 Cl.

proprio membro così influente e che pertanto si deve datare l'annullamento delle leggi di Druso dopo la morte di Crasso, avvenuta alla fine di Settembre del 91 a.C.

Altro elemento d'interesse che emerge dalla vicenda dell'annullamento delle leggi di Druso è che, se pure esse furono abrogate per non aver rispettato il trinundinum, si può comunque inferire che esse furono davvero votate per saturam: sarebbe stato ben strano infatti se lo stesso errore tecnico, il mancato rispetto del trinundinum, fosse commesso tre volte. Le fonti, perdipiù, sembrano dare per scontato che le leggi di Druso furono annullate tutte insieme, a causa dello stesso vizio di forma.

Appare dunque molto più che una mera possibilità che le leges Liviae includessero nello stesso pacchetto, votato nella medesima occasione, sia la legge agraria che la legge di cittadinanza: sarebbe questo un indizio in favore dell'idea che davvero Druso concepisse le due misure come organiche componenti di un piano di vasta portata.

Lintott ritiene che le leggi non siano state proposte per saturam in senso stretto, ma che si sia tenuta solo una sortitio, il sorteggio cioè della tribù che avrebbe espresso il proprio voto per prima. Questa deviazione rispetto alla procedura standard avrebbe avuto lo scopo, secondo lo studioso, di stabilire con certezza, una volta per tutte, come avrebbero votato i nuovi cittadini395. L'interpretazione è sottile, ma sperare in una conferma nelle fonti è vano: la Periocha 71 di Livio potrebbe persino indicare che davvero le leggi furono votate in successione, una alla volta, ma la concisione estrema non permette di fare affermazioni decise396.

Comunque si siano svolte le votazioni, è probabile che davvero la legge sulla cittadinanza sia stata votata e approvata insieme alla legge agraria; tuttavia, la registrazione dei nuovi cittadini non avrà mai avuto luogo. La legge di cittadinanza doveva essere ancora inapplicata quando fu ritirata nell'autunno del 91.

                                                                                                               

395 Lintott 1968, p. 142 e n. 4 rimarca che un'unica sortitio avrebbe avuto per Druso anche altri

vantaggi, poiché un eventuale veto, secondo la procedura, doveva essere avanzato prima di essa.

396 M. Livius Drusus trib. pleb. [...]socios et Italicos populos spe ciuitatis Romanae sollicitauit, iisque adiuuantibus per uim legibus agrariis frumentariisque latis iudiciariam quoque pertulit ut aequa parte iudicia penes senatum et equestrem ordinem essent.

4. Rivolte popolari ed elites italiche.

La rivolta di Ausculum, secondo le fonti, fu una reazione immediata all'omicidio di Druso. Mouritsen ha tuttavia addotto buoni argomenti in favore della sua idea che la connessione causale tra l'assassinio e la rivolta sia solo apparente e sia dovuta alla coincidenza cronologica397.

A Roma erano già circolate voci di malcontento tra gli alleati e di una situazione potenzialmente esplosiva. Furono allora inviati pretori per condurre indagini tra gli alleati. Allo stesso tempo, Roma deve aver spiegato le proprie truppe nella penisola, in funzione preventiva: i 2.000 soldati romani che caddero prigionieri dei sanniti a Nola non possono essere entrati in città dopo l'inizio della ribellione, ma dovettero esservi inviati in precedenza398.

Sembra al contrario che le elites italiche appoggiassero Druso fino agli ultimi suoi giorni e confidassero che la legge di cittadinanza avesse ottime possibilità di essere approvata prima, attuata poi399. Secondo Diodoro, il capo marso Ποµπαίδιος, da identificarsi con certezza assoluta con Q. Poppedio Silone, amico personale di Druso, avrebbe intrapreso una marcia verso Roma insieme a migliaia di persone da lui radunate tra quanti temessero le εὔθυναι; loro scopo era constringere il Senato, con la violenza se necessario, a sbloccare le concessioni della cittadinanza. La colonna in cammino fu intercettata da un certo Domizio, verosimilmente uno dei pretori inviati a reperire informazioni tra gli alleati400. Costui sarebbe riuscito a persuadere Poppedio e i suoi a desistere dal proposito e tornare indietro401.

Sebbene il dettaglio delle armi nascoste sotto i mantelli pare essere pura invenzione, forse connessa alle vicende dei processi sotto la lex Varia, la storia sembra essere genuina. Keaveney afferma che le εὔθυναι non possono essere null'altro che le inchieste sulla legittimità della cittadinanza condotte in virtù della lex Licinia-Mucia402. Il termine in sé non è molto frequente in Diodoro (solo 7 occorrenze) e si riferisce di solito                                                                                                                

397 Mouritsen 1998, p. 129, data entrambi gli eventi all'Ottobre del 91 a.C. 398 Mouritsen 1998, pp. 129-132.

399 Questa ricostruzione non è in contrasto con le affermazioni di Liv. Per. 71: cum deinde promissa sociis ciuitas praestari non posset, irati Italici defectionem agitare coeperunt. Eorum coetus coniurationesque et orationes in consiliis principum referuntur. Propter quae Liuius Drusus inuisus etiam senatui factus uelut socialis belli auctor, incertum a quo domi occisus est.

400 Mouritsen 1998, p. 130. 401 Diod. 37.13.

all'investigazione delle azioni di un magistrato durante lil periodo in cui egli ha ricoperto una carica. Di certo questo non è il caso nel passo in questione: la parola ha il significato più ampio di "indagine" e pertanto non sussiste motivo alcuno perché le εὔθυναι di Diodoro non possano essere le perizie della commissione agraria sui limiti dell'ager publicus da distribuire. Le parole di Domizio paiono collocare l'evento tra l'approvazione della legge di cittadinanza e il suo annullamento, dal momento che suggeriscono che la ragione dell'ira degl'italici era il continuo rinvio della registrazione dei nuovi cittadini.

La relazione tra il malcontento degl'italici e le ragioni delle elites sembra essere tenue. Mentre infatti i ricchi italici, più o meno speranzosi a seconda dell'inclinazione personale, ancora attendevano d'essere inclusi nel censo, il malcontento nella penisola cresceva. Si deve allora ammettere che i principali attori dei sommovimenti fossero quanti tra gl'italici non avessero ricevuto alcuna promessa riguardo la cittadinanza romana, eppure per qualche ragione la desiderassero fortemente.

La storiografia sulla guerra sociale dà compatta per scontato che i promotori della ribellione fossero i membri delle classi sociali superiori. Così unanimi si sono espressi Gabba, Salmon e Brunt403. Salmon si perde persino in appassionate riflessioni sulla necessità da parte delle classi sociali inferiori di ricevere organizzazione e direzione da parte delle elites404.

Al contrario, nelle pagine successive si argomenterà in favore di una successione di eventi più articolata, secondo la quale la guerra sociale sarebbe nata come rivolta (o piuttosto, serie di rivolte locali) spontanea dal basso, solo in seguito organizzata e diretta centralmente, con la formazione di una vera e propria lega dei popoli ribelli.

Le uniche rivolte sulle quali siamo informati sono quella di Ascoli, con la storia dell'attore Saunio e il massacro di Servilio, e quella di Grumentum, dove Ser. Galba sfuggì alla morte grazie al provvidenziale aiuto di una donna; come si è detto, tuttavia, il malcontento era diffuso. Ad Ascoli la rivolta ha le caratteristiche di una sommossa popolare405 e non vi è ragione di ritenere che altrove le cose fossero diverse.

                                                                                                               

403 Gabba 1976, p. 75; Brunt 1988, pp. 93-94, nota introduttiva. 404 Salmon 1962, pp. 108-109.

405 In Diod. 37.12.1 la correzione Ῥωµαῖον al posto di Ῥωµαίων è sicuramente giusta: il teatro non

poteva essere pieno di romani arrabbiati e pronti alla violenza, ma era bensì l'attore massacrato a essere romano.

Lo storico marxista E. P. Thompson ha introdotto il concetto di "moral economy", secondo il quale una massa di rivoltosi ritiene di essere nel giusto e che la ragione per la quale essa ritiene legittimo il ricorso alla violenza è la convinzione di aver subito un grave torto e la privazione dei suoi propri diritti406. Nel caso della ribellione di Ascoli, questo modello implica che la folla era in effetti convinta di esser stata privata di qualcosa che le spettava secondo diritto. Ciò altro non può essere che la partecipazione alle distribuzioni agrarie. La comune militanza in Oriente, oltre alla fiera opposizione a Cimbri e Teutoni, più che plasmare un sentimento di comune appartenenza (sentimento che, come si è detto, non sembra essere mai esistito407), aveva al contrario rafforzato la convinzione che il potere di Roma poggiasse sulle armate degli alleati italici. La terra che veniva distribuita era stata

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