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Il tribunato della plebe di M. Livio Druso e le origini della Guerra Sociale

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INDICE

IL TRIBUNATO DI M. LIVIO DRUSO

1. Tradizioni letterarie sul tribunato di M. Livio Druso (91 a.C.)

1. Introduzione. p. 4

2. Cicerone e il Druso ottimate. p. 5

3. L'accostamento ai Gracchi e il Druso seditiosus. p. 7 4. La lex Varia e la dissoluzione del circolo di Crasso. p. 9

5. Sulpicio Rufo e la memoria di Druso. p. 12

6. La Rhetorica ad Herennium e il Druso popularis. p. 14

7. Conclusioni. p. 15

2. La riforma giudiziaria di M. Livio Druso

1. Appiano e il De Viris Illustribus. p. 16

2. Plausibilità della testimonianza di Appiano. p. 18 3. La riforma giudiziaria di Druso secondo Cicerone. p. 18 4. Tentativi di riconciliare la testimonianza di Appiano

e quella di Cicerone. p. 19

5. Portata circoscritta della lex iudiciaria di Druso. p. 23

6. Ispirazione della proposta di Druso. p. 25

3. La lex nummaria di Druso

1. La testimonianza di Plinio il Vecchio. p. 27

2. Differenti tesi sulla riduzione del fino del denario

negli anni '90. p. 27

3. Analisi dei dati. p. 29

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LE ORIGINI DELLA GUERRA SOCIALE

1. La popolazione dell'Italia Romana

1. Le teorie di Beloch sulla demografia repubblicana. p. 33 2. Lo Cascio e la riapertura del dibattito. p. 34

3. Critiche alla teoria di Lo Cascio. p. 36

4. Divergenti ricostruzioni dei trend demografici. p. 37 5. Influenza delle diverse teorie demografiche sulla storia

della repubblica romana. p. 38

6. Trend demografici e popoli italici. p. 42

7. Provvedimenti d'espulsione nel secondo secolo a.C. p. 42 8. Registrazione illecita e misure assistenziali. p. 45 9. Rapporto numerico tra romani e italici. p. 46

10. Il senso delle cifre di Polibio. p. 47

11. Demografia e archeologia. p. 51

12. La società dell'Italia nel secondo secolo a.C. p. 52

2. Le relazioni tra Roma e l'Italia

1. Episodi di vessazione degli alleati da parte di romani. p. 55 2. Cambiamento e continuità nei rapporti tra Roma e l'Italia

dopo la guerra annibalica. p. 56

3. Livelli d'ingerenza di Roma tra gli alleati. p. 57

4. Significato del termine Italia. p. 58

5. Relazioni personali tra membri delle elites. p. 62 6. Desiderio della cittadinanza romana da parte delle

elites italiche. p. 63

7. Carattere esclusivo della cittadinanza romana. p. 65 8. Composizione delle elites dei popoli italici. p. 66

9. Vantaggi della cittadinanza romana. p. 70

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tra Roma e gli alleati. p. 74 11. Eventuali discriminazioni degli alleati nelle perizie della

commissione triumvirale. p. 76

12. Vie legali per difendersi dalla commissione triumvirale. p. 77 13. Attitudine di Roma verso la concessione della cittadinanza. p. 79

14. La lex Licinia-Mucia. p. 81

3. Rivolte locali e Guerra Sociale

1. La portata reale delle leges de civitate. p. 84

2. Obiettivi della legislazione agraria. p. 85

3. Connessione tra le leggi agrarie e le leggi de civitate. p. 85

4. Rivolte popolari ed elites italiche. p. 90

5. Etruschi e Umbri nella guerra sociale. p. 94

CONCLUSIONI p. 96

BIBLIOGRAFIA p. 98

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IL TRIBUNATO DI M. LIVIO DRUSO*

1. Tradizioni letterarie sul tribunato di M. Livio Druso (91 a.C.)

1. Introduzione.

Diverse e numerose sono le ragioni che suscitano l'interesse dello studioso del mondo antico per una singola figura storica. L'arte dello scrittore che si è assunto il compito di renderne il ritratto, o riportarne le gesta, v'ha una parte non indifferente.

Vi sono personaggi, invece, che l'ignoranza del tempo ha mascherato ad attori di minor peso sul palco della Storia e che, sfuggendo allo storico, lo ammaliano. Una galassia di resoconti tardi, faziosi perdipiù, di riferimenti brevi e oscuri, consegna caratteri controversi e problematici al vaglio dello studioso. Se egli fosse costretto ad ammettere di tutti la veridicità, ne avrebbe caratteri patologici, quasi disturbati, tanto le notizie in nostro possesso sono contraddittorie.

All'indagine dello storico è quindi delegato il compito di sondare la torbida categoria cui si assegna il nome di fortuna per restaurare ritratti credibili, pur con il chiaro intendimento che l'obiettivo massimo al quale aspirare può essere solo soddisfare i criteri di verisimiglianza e plausibilità.

Il giudizio sulle capacità di M. Livio Druso era in antico pressocché unanime: egli, homo nobilissimus, rampollo di una tra le più nobili famiglie, era considerato il migliore tra i suoi coetanei, un giovane destinato a bruciare le tappe della carriera politica a Roma1. Velleio

                                                                                                               

* La presente tesi è frutto di un soggiorno Erasmus presso l'Università di Cambridge. Ringrazio il

Prof. Cesare Letta dell'Università di Pisa e il Dr. John R. Patterson dell'Università di Cambridge per aver seguito da vicino, sempre con vivo interesse, la stesura dell'elaborato.

1 Cic. Dom. 120: clarissimus vir; Mil. 16: nobilissimus vir; Diod. Sic. 37, 10, 1: κεκοσµηµένος δὲ

πᾶσι τοῖς πρωτείοις [...] λόγῳ µὲν δεινότατος τῶν ἡλικιωτῶν [...] µεγάλην ἀξιοπιστίαν ἔχων καὶ κατὰ τὰς ὑποσχέσεις ὢν βεβαιότατος, ἔτι δὲ πλήρης εὐγενοῦς φρονήµατος ; Vell. 2, 13, 1: vir

nobilissimus eloquentissimus sanctissimus; Sen. Dial. 6, 16, 4: clarissimum iuvenem inlustris ingenii; App. B. Civ. 1, 5, 35: ἀνὴρ ἐπιφανέστατος ἐκ γένους.

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mette in bocca a lui morente il giudizio sulla sua persona che era di Velleio medesimo: "ecquando ne, propinqui amicique, similem mei civem habebit res publica?"2.

Tuttavia, a queste considerazioni lusinghiere non s'accoppia unanime giudizio positivo dell'operato di Druso: a causa dell'ambizione del personaggio, il suo tribunato della plebe del 91 a.C. sarebbe stato nocivo per Roma. La descrizione delle virtù di Druso è confusa ad accuse d'immoralità: egli è a volte descritto come invidioso, facile all'ira contro gli avversari, scialacquatore, addirittura il principale responsabile della guerra sociale.

Anche l'orientamento politico di Druso appare ambiguo: come i Gracchi tribuno della plebe, per tradizione familiare a essi avverso.

Le fonti lo descrivono così a volte come campione della nobiltà senatoria contro ogni tentativo demagogico di alterare lo status quo; spesso tuttavia egli è accostato ai Gracchi e descritto come loro imitatore: bisogna dunque comprendere se il giudizio sulla figura di Druso sia politicamente orientato, se cioè il ritratto del personaggio che le fonti tramandano sia stato in qualche misura influenzato dalla considerazione più generale sui contrasti interni a Roma e le politiche che tradizionalmente si definiscono di parte popularis.

Si divideranno allora le fonti in quattro grandi gruppi, a seconda che il loro giudizio su Druso sia positivo oppure negativo e che rispetto alla storia politica del secondo secolo a.C. mostrino o meno simpatia alle aperture dei populares.

2. Cicerone e il Druso ottimate.

La grande maggioranza delle fonti su Druso afferma che questi ritenne sempre di agire in difesa del Senato di Roma3. Come notava Ungern-Sternberg, va attribuito a Cicerone il                                                                                                                

2 Vell. 2.13.3.

3 Ps.-Sall. Rep. 2, 6, 3: M. Druso semper consilium fuit in tribunatu summa ope niti pro nobilitate neque ullam rem in principio agere intendit nisi illei auctores fuerant; Diod. Sic. 37, 10, 1: διὸ καὶ

µόνος ἔδοξεν ἔσεσθαι προστάτης τῆς συγκλήτου ; Vell. 2, 13, 2: qui cum senatui priscum

restituere cuperet decus et iudicia ab equitibus ad eum transferre ordinem; ibid. : in iis ipsis quae pro senatu moliebatur; Flor. Epit. 2, 5, 1: ipsius etiam senatus auctoritate; 2, 5, 4: senatum Livius Drusus adserere; Amp. 26, 1: quarta seditio fuit Livi Drusi et Quinti Caepionis cum ille senatum <hic> equestrem ordinem adsereret; Liv. Per. 70: Senatus, cum impotentiam equestris ordinis in iudiciis exercendis ferre nollet, omni ui eniti coepit ut ad se iudicia transferret, sustinente causam eius M. Liuio Druso trib. pleb., qui ut uires sibi adquireret, perniciosa spe largitionum plebem

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ruolo principale nella creazione di un Druso optimas, anzi questi rappresenta, per Cicerone, un esempio del suo ideale politico4.

Tuttavia, la testimonianza di Cicerone è l'unica, a ben vedere, del tutto favorevole a Druso. Druso era un oratore di primissimo piano e allievo di L. Licinio Crasso, del quale Cicerone ritiene aver trasmesso e migliorato lo stile. Il ritratto dei maestri di Cicerone e dei suoi modelli di eloquenza deve molto alle sue idee politiche ed è sulla base di esse idealizzato: come in una fotografia in bianco e nero, egli divide la generazione precedente tra i boni e i pericolosissimi seditiosi. Così, il nome di Druso compare nella lista dei principali oratori della generazione precedente, che ha forti implicazioni politiche5. Cicerone sacrifica la veridicità del ritratto degli uomini politici da lui presi a modello per farli aderire alla propria identificazione tra la virtù oratoria e la visione del bene in politica, che è ovviamente il bene della visione politica di Cicerone medesimo.

Bisogna dunque prestare attenzione al ritratto di Druso che Cicerone fornisce, poiché potrebbe rappresentare piuttosto le proiezioni dell'arpinate sul pupillo del proprio maestro. Un caso simile è quello di Marco Antonio, l'altro modello di eloquenza di Cicerone, il quale è rappresentato come il più nobile tra gli ottimati; Cicerone, pur certo conoscendole6, tralascia di menzionare le connessioni del personaggio con C. Mario, che è invece descritto come il peggiore dei seditiosi, avido di potere personale e pronto a sacrificare Roma per esso. Più in generale, l'utilizzo degli exempla storici da parte di Cicerone è solitamente tendenzioso7.

Perdipiù, nel caso specifico di Druso, su Cicerone certo avrà influito il fatto di risedere nella casa sul Palatino che da Druso era stata fatta costruire e nell'atrium della quale egli era stato assassinato8.

                                                                                                               

concitauit; Per. 71: M. Liuius Drusus trib. pleb., quo maioribus uiribus senatus causam susceptam tueretur. Sulle relazioni tra i personaggi del De Oratore di Cicerone si veda Brunt 1988, p. 459. 4 Ungern-Sternberg 1973, p. 155.

5 Cic. Brut. 222.

6 In De or. 2.198 è infatti costretto ad ammettere che la difesa di Norbano da parte di Antonio fu

"vix satis honeste". Si veda Badian 1957, p. 331.

7 Così M. Ottavio, che da Appiano e Plutarco sappiamo aver miseramente fallito nell'opporre il

proprio veto alle leggi di Ti. Gracco, è presentato nel Brutus come colui che persuase il popolo a votare contro le leggi graccane, grazie alla propria virtù oratoria (Brut. 222). Questa è un'evidente menzogna. Per altri esempi si veda Van der Blom 2010, p. 103 ss., concentrata sul ritratto dei Gracchi in Cicerone; Lintott 2008, passim.

8 Vell. 2, 14, 3; cf. LTUR 2, s.v. "Domus: M. Livius Drusus" and LTUR 4, s.v. "Palatium (età

repubblicana - 64 DC)". Secondo Hales 2003, p. 43, la storia narrata da Velleio, il quale " describes Drusus commanding his architect to maximise the visibility of his home", rivela l'interesse per la

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3. L'accostamento ai Gracchi e il Druso seditiosus.

Ungern-Sternberg ha mostrato come la memoria storica degli eventi politici a Roma si riducesse in epoca imperiale alle cosiddette quattuor seditiones, rispettivamente le due dei Gracchi, quella di Saturnino e quella di Druso9.

Il processo si dovette consolidare nel basso impero, come rivela il capitolo di Ampelio dedicato proprio alle quattuor seditiones10; ancora Quintiliano descriveva lo scontro tra Sulpicio e Cesare Strabone come seditio Sulpiciana11, ma con la formazione di un gruppo canonico di quattro tribuni della plebe questo fu messo da parte e dimenicato.

Lo schema dei quattro tribuni "malvagi" ha radici antiche: già nella letteratura della prima età imperiale i tribuni sono identificati come i colpevoli delle seditiones12.

Nella propria trattazione del tribunato di Saturnino, Appiano incidentalmente rivela di essere a conoscenza dello schema. Afferma infatti che "dopo le sedizioni dei Gracchi, quella di Saturnino fu la terza"13; poi dichiara che la guerra civile scoppiò mentre i romani erano impegnati in un contrasto interno, che sebbene non esplicitamente affermato dovette essere il quarto14.

Parrebbe pertanto che già al tempo degli Antonini tale schema fosse consolidato; la rapidità con la quale esso si diffuse e il successo duraturo solleva il dubbio che l'insegnamento scolastico vi fosse coinvolto, che ben si presta a categorizzazioni drastiche e al quale è in qualche misura legata l'opera di Ampelio, ove le quattuor seditiones sono menzionate.

Sebbene l'appiattimento della figura di Druso su quelle, in fondo più celebri, dei Gracchi, nacque solamente in seguito alla canonizzazione scolastica degli eventi del secondo secolo a.C., il giudizio negativo su Druso sembra poggiare su una tradizione precedente.

                                                                                                               

visibilità pubblica e la celebrità. In realtà essa prova solo l'auto-rappresentazione di Druso come uomo incorruttibile.

9 Ungern-Sternberg 1973, p. 157. 10 Amp. 26.1-4.

11 Quint. Inst. 6. 75.

12 Sen. Dial. 6, 16, 4; 10, 6, 1; Ben. 6, 34, 2; Plin. HN 25, 52; specificamente su Druso Luc. 6.793.

Secondo Ungern-Sternberg già nel discorso di C. Papiro Carbone menzionato da Cic. Orat. 213 sarebbe sottinteso l'accostamento di Druso ai Gracchi e Saturnino a fini denigratori. Tuttavia il discorso fu pronunciato durante i processi ai quali i nobiles che supportavano Druso furono sottoposti: non sembra che l'accostamento ai campioni populares sarebbe stato efficace nella circostanza.

13 App. B. Civ. 1.33: τρίτον µὲν ἔργον ἐµφύλιον ἦν τὸ Ἀπουληίου, µετὰ δύο τὰ Γράγχεια κτλ. 14 App. B. Civ. 1, 34: οὕτω δ' ἔχουσιν αὐτοῖς ὁ συµµαχικὸς καλούµενος πόλεµος ἐπιγίγνεται κτλ.

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Alcune fonti, in effetti, pur concordando con Cicerone nel descrivere Druso come difensore dell'interesse senatorio, allo stesso tempo ne condannano l'operato, adducendo il pretesto di un cambiamento di rotta che sarebbe avvenuto nell'ultima parte del tribunato di Druso15.

A volte questo è motivato dalla frustrazione di Druso per la miope opposizione del Senato. In Diodoro, Druso era, forse, persino presentato come eroe tragico, condannato a contravvenire alle decisioni del Senato pur essendo questo contario alla sua morale e ritenendolo inoltre funesto16.

A volte invece Druso non volta le spalle al Senato, ma sovrappone al sacro dovere di difenderlo la propria pedestre rivalità con Servilio Cepione. Per rancori personali i due avrebbero trascinato nella polvere i due gruppi di potere dei quali erano espressione e che difendevano, rispettivamente il Senato e gli equites17.

La rivalità tra i due divenne proverbiale, probabilmente perché sfruttata nelle scuole di retorica per esercizi declamatori: la storia dell'anello o quella dell'avvelenamento inscenato meriterebbero un posto al fianco delle Controversiae di Seneca padre18. Tuttavia abbellimento e invenzione sono faccende ben distinte; sotto tutte queste fantasie dovette esservi un nucleo autentico19.

Si può affermare che la tradizione che imputava la rivolta degli alleati alla personale lotta tra Druso e Cepione sia ben antica. Essa sarebbe infatti nota già a Cicerone, il quale nel De Officiis dice che la guerra sociale fu provocata dalla paura dei processi de pecuniis repetundis ( tantum bellum [scil. Italicum] propter iudiciorum metum excitatum)20: dal                                                                                                                

15 Vell. 2.13.3; App. B. Civ. 1.5.35.

16 Diod. Sic. 37.10.3: Druso afferma che può opporre il veto alla decisione del Senato di abrogare

le sue leggi, ma lo farebbe controvoglia, perché è ben conscio che chi arreca offesa sarà presto punito. Di solito la frase è ritenuta una minaccia non troppo velata ai senatori di rivoltare gl'italici contro di loro; in realtà la frase pare identica a quella pronunciata da Druso padre secondo Cic. Orat. 213: sacram esse rem publicam […] quicumque eam violavissent, ab omnibus esse ei poenas

persolutas): Druso starebbe quindi citando un detto del padre come premonizione della propria

rovina.

17 Flor. 2.5.4.

18 Plin. HN 33.20: la rivalità tra Druso e Cepione è dovuta alla vendita di un anello in auctione venali; Plin. HN 28.148: Druso beve sangue di capra per accusare Cepione d'avvelenamento. 19 Si può fare un confronto con la storia di T. Quinzio Flaminino in Sen. Contr. 9.2: essa non è

inventata a bella posta, ma è attestata anche in Cic. Sen. 42 e Val. Max. 2.9.3 e deriva da Valerio Anziate. La differente versione di Catone era nota a Liv. 39.42-43. Secondo Badian 1957, p. 326, la rivalità tra Druso e Cepione era reale e dovuta alla "shameful life" della moglie di Druso, sorella di Cepione.

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momento che erano gli equites a temere che Druso li rendesse soggetti alla quaestio de repetundis, l'affermazione può intendersi solo ipotizzando che Cicerone avesse in mente la tradizione secondo la quale Druso aveva provocato gli alleati a ribellarsi per opporli a Cepione, il quale aveva dalla sua gli equites preoccupati dalla riforma giudiziaria di Druso. L'idea che Druso provocasse gli alleati alla rivolta dovette esser formulata o quando questi era ancora in vita, per opporre la sua misura che concedeva la cittadinanza agl'italici, oppure dopo la sua morte, quando fu messa in piedi la quaestio Variana, che perseguiva quanti ritenuti colpevoli di aver aiutato gl'italici a sollevarsi contro Roma21.

4. La lex Varia e la dissoluzione del circolo di Crasso.

Nella circostanza dell'ultima apparizione pubblica di L. Licinio Crasso, Cicerone menziona tra gli amici di questo Q. Mucio Scevola, M. Antonio, C. Aurelio Cotta, P. Sulpicio Rufo22. Di altri membri della nobilitas romana è possibile ricostruire il legame con Druso e con Sulpicio, quindi indirettamente con Crasso: il giovane L. Cornelio Silla23, M. Porcio Catone (tribuno nel 100 a.C. e cognato di Druso), P. Rutilio Rufo24, Cesare Strabone25, L. Memmio, suocero di Scribonio Curione26. A questi va poi aggiunto M. Emilio Scauro, potente e riverito princeps senatus, forse non intimo al cenacolo di Crasso ma certo sostenitore di Druso27.

Finché Crasso fu vivo, il circolo si mantenne coeso nell'appoggiare le politiche di Druso, che di esso era espressione. Il De Oratore fornisce infatti delle indicazioni cronologiche precise: sino al canto del cigno di Crasso, l'ultimo discorso da questi tenuto in Senato il 13 Settembre del 91 a.C., Druso sembra aver goduto dell'appoggio della maggioranza dei

                                                                                                               

21 Asc. 79 Cl.: lex de iis quorum ope consiliove socii contra populum Romanum arma sumpsissent.

Sulla lex Varia si vedano Gruen 1965; Seager 1967; Badian 1969.

22 Cic. De or. 1.24-25.

23 Keaveney 1979; Gabba 1976, p. 34.

24 Anch'egli cognato di Druso: Gruen 1965, p. 62. 25 Cic. De Or. 2.12; Keaveney 1979, p. 454.

26 Sisenna apud Non. 393 L (= fr. 44 Peter); Cic. Brut. 304-305. Sull'identificazione del

personaggio si veda Gruen 1965, p. 66.

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senatori. A quella data la sua influenza era ancora tale da fare affermare al console Marcio Filippo, che di Druso era oppositore, che il Senato non gli consentiva di governare28. Cicerone ritiene che l'astro di Druso s'offuscasse già da tempo, mentre ancora Crasso era vivo29: il giudizio, se non fu formulato post eventum, testimonia piuttosto che il sovvertimento delle forze e l'isolamento di Druso furono graduali, dovuti alla disaffezione nei confronti delle sue leggi che le notizie del malcontento degli alleati provocavano nei senatori.

Come si proverà a dimostrare, la guerra sociale sarebbe stata preceduta da episodi di malcontento circoscritti localmente; Roma era abituata a trattare eventi simili, come la rivolta di Fregellae del 125 a.C.. Tuttavia, improvvisamente e in maniera inattesa le rivolte s'evolsero in una vera e propria guerra, che nel suo primo anno vide Roma patire gravi rovesci militari; in seguito a questi, verso la memoria di Druso montò un vero e proprio odio, del quale la quaestio Variana fu naturale conseguenza.

Questa infatti rispecchia il clima da caccia alle streghe che dovette respirarsi a Roma nel 90 a.C. (Badian ha parlato di "feeling of hysteria"30), quando il panico montò a livelli di paranoia tali che si diffondevano persino dicerie d'intrighi che coinvolgevano gl'italici e Mitridate, i nemici più pericolosi per Roma in quel momento, e persino il princeps senatus stesso.

Secondo Valerio Massimo, M. Emilio Scauro sarebbe stato accusato (dinanzi ai rostra dice Valerio, cioè in un'assemblea o in una contio) d'esser stato corrotto da Mitridate per tradire Roma31.

L'episodio è stato connesso da Gruen con l'accusa di corruzione che a Scauro aveva mosso Servilio Cepione secondo Asconio32. In realtà, esso va collegato a un'altra accusa mossa a Scauro e testimoniata dallo stesso Asconio; egli spiega le parole di Cicerone, secondo il quale Scauro era stato accusato di tradimento, proditionis, affermando che Scauro dovette subire un processo in virtù della lex Varia33. L'accusa è compatibile con le parole di Valerio Massimo, secondo il quale Scauro fu corrotto ob rem publicam prodendam; perdipiù, l'espediente retorico al quale Scauro sarebbe ricorso secondo Asconio è lo stesso                                                                                                                

28 Cic. De or. 3.2. 29 Cic. De or. 1.24. 30 Badian 1969, p. 463. 31 Val. Max. 3.7.8.

32 Gruen 1965, p. 62, n. 38; Gruen 1966, p. 56; la notizia si trova in Ascon. 21 Cl. 33 Ascon. 22 Cl.; Gabba 1976, p. 88.

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menzionato da Valerio: nessun dubbio dunque che entrambi gli autori si riferiscano allo stesso episodio.

Alle generiche accuse di tradimento testimoniate da Cicerone/Asconio, Valerio Massimo aggiunge però il dettaglio preciso della corruzione da parte di Mitridate: sulla faccenda egli sembra aver consultato fonti attendibili, dal momento che cita la città di Sucro, in Spagna, come luogo d'origine di Vario, un dettaglio altrimenti ignoto34.

L'episodio al quale fa riferimento Gruen avvenne invece l'anno precedente, nel 91 a.C., quando Servilio Cepione accusò Scauro, ob legationis Asiaticae invidiam, d'aver ricevuto denaro contro la legge35. Dal testo d'Asconio parrebbe evincersi che fosse notorio che Scauro avesse ricevuto denaro e che l'accusa vertesse solo sulle modalità, considerate illegittime. Allo stesso modo, L. Cornelio Scipione non era stato trascinato in giudizio per aver ricevuto, com'era noto, 500 talenti da Antioco III, ma per aver abusato della propria posizione nel distribuirli36.

Se dunque, come pare, il resoconto di Valerio Massimo è attendibile, è possibile ricostruire le vicissitudini giudiziarie di Scauro nel modo seguente: nel 91 Cepione lo avrebbe accusato d'aver ricevuto denaro in modo illegale durante la sua ambasceria in Asia; l'anno successivo, Vario lo avrebbe trascinato in tribunale prendendo ancora a pretesto il denaro ricevuto, accusandolo di aver brigato con Mitridate per distruggere Roma.

Si va dunque delineando la storia, che dovette circolare a Roma, e che fu sfruttata da Vario medesimo, secondo la quale Scauro, in combutta con Mitridate, avrebbe spalleggiato Druso per far rivoltare gl'italici37. Storie di contatti tra i ribelli e Mitridate sopravvivono in Diodoro e in Posidonio38. Quest'ultimo caso è particolarmente d'aiuto per comprendere la psicologia della massa in simili circostanze: benché l'affermazione di Atenione che Mitridate aveva ricevuto ambascerie dagl'italici e dai cartaginesi sia una fanfaronata39, poiché di Cartagine restavano ormai solo le rovine, essa testimonia come simili storie                                                                                                                

34 Per una generale rivalutazione di Valerio Massimo si veda Bloomer 1992.

35 Ascon. 21 Cl. Alexander 1981 ritiene che Asconio non voglia dire che Scauro fu inviato come

legato in Asia, ma che il passo si riferisca invece a Rutilio Rufo; contra Kallet-Marx 1990, p. 125 e n. 10.

36 Bates 1986, p. 261.

37 Secondo Gabba 1976, p. 88, non sarebbe possibile che Vario accusasse Scauro di far rivoltare

gl'italici per conto di Mitridate perché le notizie di contatti tra i ribelli e Mitridate sarebbero successive alla lex Varia. L'obiezione non tiene conto che non di reali contatti si tratta, ma di sospetti e voci di complotto. Che in seguito, fino a Sertorio, si cercasse davvero di gettare ponti col monarca orientale non ha qui nessun rilievo.

38 Diod. Sic. 37.2.11; FGrHist 87 F 36 (apud Ath. 5.123 C). 39 Mastrocinque 1999, p. 82.

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avessero sicuro effetto sulla fantasia della gente; come gli ateniesi si sarebbero esaltati a sapere che gl'italici e i cartaginesi (sic!) erano schierati con Mitridate, a Roma la storia di un'alleanza tra questi e i ribelli avrebbe scatenato il panico.

Non si può quindi affermare che la lex Varia fosse usata come vera e propria arma per togliere di mezzo il circolo di potere che attorno a Crasso gravitava. In un clima nel quale a Druso veniva imputato lo scoppio della guerra, appare naturale che ostilità e sospetto si rivolgessero contro i suoi precedenti sostenitori: dal racconto appianeo è noto il processo subito in virtù della lex Varia da Cotta, il quale pronunciò una difesa sdegnata e andò in esilio senza neppure attendere il pronunciamento della corte40. Anche Marco Antonio fu imputato nella quaestio Variana, così come Scauro e Memmio41. Forse anche Sulpicio Rufo corse dei rischi42.

Da Appiano poi si conoscono altri personaggi che subirono i processi variani e andarono in esilio: Bestia, che con l'allontanamento volontario si sottrasse al processo; Mummio (questo è il nome riferito da Appiano, e Badian ha detto la sua sul perché ritenerlo corretto43), che restò a Roma, convinto dalla promessa della corte che sarebbe stato assolto, e fu condannato all'esilio. Poi forse vi furono alcuni altri processi dei quali non resta menzione.

5. Sulpicio Rufo e la memoria di Druso.

Si può solo speculare su come Sulpicio passò indenne attraverso la stagione dei processi variani: forse prima di divenire tribuno nell'88 a.C. egli era stato politicamente irrilevante. La sua attività come tribuno pare in ogni caso dimostrare che alla memoria di Druso egli si mantenne sempre fedele.

                                                                                                                40 App. B. Civ. 1.37.

41 Marco Antonio: Cic. Tusc. Disp. 2.57; Scauro: Ascon. 22 Cl.; Memmio: Sisenna apud Non. 393

L (= fr. 44 Peter); Cic. Brut. 304-305.

42 Secondo Keaveney 1979, p. 454, n. 12, Cicerone si riferirebbe a un rischio di subire un processo

(De or. 3.11): lo studioso probabilmente si riferisce alla seguente frase, troppo vaga: Sulpicius

autem, qui in eadem invidiae flamma fuisset.

43 Secondo Badian 1969, p. 469 Memmio e Mummio sono due personaggi distinti; così anche

Wiseman 1967, p. 165, pur dubbioso; contra Gruen 1965, pp. 66-67, che ritiene che Appiano si sia sbagliato.

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Secondo Cicerone, Sulpicio avrebbe avuto uno scontro politico intenso con C. Giulio Cesare Strabone: i due erano in precedenza legati da sincera amicizia, ma avendo Cesare Strabone presentato la propria candidatura al consolato pur non avendo ancora ricoperto la pretura, contravvenendo cioè alla lex annalis che regolava il cursus honorum, Sulpicio rifiutò di considerarla valida44.

Certo nell'episodio avrà avuto un peso il legalismo più stretto che pare caratterizzasse il personaggio, ma pure dovette agire l'astio nei confronti di un ex-amico che aveva rinnegato la memoria di Druso, sentimento testimoniato da Cicerone45.

La Retorica a Erennio afferma inoltre che Sulpicio si sarebbe dapprima opposto a un certo provvedimento di richiamo degli esuli, quindi avrebbe mutato parere46. Gli esuli in questione sono di solito identificati con coloro che avevano evitato con l'esilio la condanna nei processi variani; Gruen tuttavia ha notato che, poiché essi erano, come Sulpicio, affiliati a Druso, non si comprenderebbe perché Sulpicio s'opponesse al loro rientro47. Secondo Gruen, poi, se anche l'identificazione fosse corretta, il provvedimento avrebbe indiscriminatamente richiamato gli amici di Druso e i loro oppositori, intanto processati e condannati dopo che la lex Plautia iudiciaria aveva cambiato i rapporti di forza nei tribunali48.

Se si presta attenzione al testo appianeo si noterà però che esso specifica che il provvedimento aveva effetto sugli esuli che non avevano ricevuto possibilità di sottoporsi a giudizio. Badian ha affermato che "we have no reason whatever for thinking that there were a large number of such men or that they constituted a major problem"49; proprio per questa ragione, è possibile che il provvedimento di richiamo fosse concepito come misura ad hoc per il ritorno di Bestia, l'unico, tra gli esuli noti, a non aver subito processo e                                                                                                                

44 Cic. De Or. 2.12; Keaveney 1979, p. 454.

45 Cic. Har. Resp. 43. Nel passo, la connessione tra tutti gli esempi di Cicerone è il dolor (come

comprende Lintott 1971, pp. 447-448), nel caso di Sulpicio per il tradimento della causa di Druso.

46 Rhet. Her. 2. 45; Liv. Per. 77 non dice che Sulpicio cambiò idea.

47 Gruen 1965, p. 72-73; Badian 1969 pp. 487-488 afferma che "the ancient evidence does not

connect the exiles [...] with the lex Varia"; in effetti però le fonti non connettono gli esuli con nessun'altra legge. Altre identificazioni sono state proposte: Badian 1969, p. 489 ha proposto gli esiliati da Roma dalla lex Licinia-Mucia, ma si vedano le obiezioni di Lintott 1971, p. 453 e Tweedie 2012, p. 125; Lintott 1971, p. 453 propone gli oppositori di Saturnino in esilio, ma ammette che l'idea è "very speculative". Si veda anche Keaveney 1979, p. 457 e, per un utile riassunto di tutte le posizioni, Lewis 1998.

48 Gruen 1965, p. 72. 49 Badian 1969, p. 488.

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perdipiù, se Badian è nel giusto a ritenere che Marco Antonio fu assolto50, il più alto in rango (sebbene non si possa purtroppo stabilire quanto, del passato prestigio e potere di Bestia, fosse sopravvissuto al processo subito dalla quaestio Mamilia).

Dunque, se davvero il richiamo degli esuli era concepito ad hoc per Bestia, l'opposizione di Sulpicio pure andrà spiegata come opposizione a un altro dei vecchi sostenitori di Druso che, in seguito alla guerra sociale, aveva cercato di soffocare il ricordo di ogni suo legame con il tribuno.

6. La Rhetorica ad Herennium e il Druso popularis.

Un passo della Retorica a Erennio, il quale, come Ungern-Sternberg ha dimostrato, è una citazione, menziona Druso a fianco dei grandi tribuni della plebe del secondo secolo: i due Gracchi, Saturnino e Sulpicio Rufo51. La presenza del nome di quest'ultimo permette di datare la fonte dalla quale la citazione è tratta, certamente un discorso pubblico, tra la morte di Sulpicio nell'88 a.C. e la data verisimile di composizione della Retorica, tra l'86 e l'82 a.C.52. Pertanto, alla data in cui il discorso fu pronunciato, si poteva già sperare di provocare la benevolenza dell'uditorio conzionale o assembleare accostando tra loro i tribuni sopra menzionati. Se si vuole dunque circoscrivere un tempo, ovviamente successivo alla morte di Druso alla fine del 91 e precedente la citazione qui esaminata, nel quale può essere sorta la rappresentazione di Druso come difensore del popolo, questo può corrispondere solo al tribunato di P. Sulpicio Rufo nell'88 a.C53.

Il giudizio della fonte su Druso è infatti positivo54; inoltre deve avere avuto interesse a tenere alta la memoria di Druso, altrimenti non si spiegherebbe come un pubblico discorso pronunciato così a ridosso della morte di Druso potesse difenderne la memoria, intanto compromessa dalla guerra sociale. È evidente come entrambe le qualità possano reperirsi solamente in un fedelissimo di Druso come Sulpicio.

                                                                                                                50 Badian 1969, p. 457.

51 Rhet. Her. 4, 22, 31. Si noti che Saturnino qui non è esempio negativo, bensì vittima di

malriposta fede: Saturninum fide captum malorum perfidia per scelus vita privavit.

52 Per la data di composizione dell'opera si veda Calboli 1969, pp. 12-17.

53 Sul tribunato di Sulpicio si veda: Lintott 1971; Mitchell 1975; Keaveney 1979; Keaveney 1983;

Chapman 1979; Powell 1990.

54 Il dato da sé smentisce l'idea di Ungern-Sternberg 1973, p. 155, che Druso fosse rappresentato

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7. Conclusioni.

Il gruppo di potere che gravitava intorno a Crasso è stato da alcuni percepito come un circolo d'illuminati, persuasi che l'unico modo per risolvere le difficoltà dello stato romano che essi percepivano fosse un piano di riforme sostanziali55.

In ultima istanza tuttavia questa ricostruzione si basa solo sul programma di riforme di Druso, perdipiù sulla particolare versione tramandata da Appiano, secondo il quale Druso avrebbe avuto come principale obiettivo l'estensione della cittadinanza agl'italici: questo primo punto del programma di Druso viene quindi ascritto più in generale al circolo di Crasso e assunto a sintomo di progressista apertura sul tema della cittadinanza. Fiducia viene inoltre accordata alla descrizione di Appiano dei contenuti precisi della legge giudiziaria, che secondo alcuni rivelerebbero il tentativo di superare e porre fine alle discordie intestine alla società romana, raggiungendo il compromesso di corti giudiziarie ripartite equamente tra il Senato e gli equites56.

Quando tuttavia viene esaminata nel dettaglio, la narrazione appianea appare confusa e contraddittoria. Mouritsen ha proposto una ricostruzione alternativa, disposta a concedere ad Appiano meno credibilità.

Secondo Mouritsen, Appiano avrebbe apportato delle correzioni agli eventi del 91 a.C. perché s'amalgamassero meglio alla sua narrazione delle guerre civili. Lo studioso ritiene che la legge sulla cittadinanza sia stata ingigantita, per poter meglio collegare il tema del desiderio della cittadinanza da parte degli alleati alle tensioni politiche interne a Roma che sfociarono nelle guerre civili57.

Nei prossimi capitoli saranno dunque analizzati singolarmente i provvedimenti legislativi che la tradizione su Druso ricorda, per comprenderne il senso e provare quindi a formulare un giudizio su Druso stesso e più in generale sul circolo di Crasso.

                                                                                                               

55 Così, secondo Gabba 1976, p. 131, "Drusus' complex scheme seems to be directed by a precise

and shrewd awareness of the historical situation, the political forces at work, and the needs and interests which these forces represented and conveyed. It reveals a political capacity which matched that of Caius Gracchus. Livius Drusus' solutions [...] were conceived in a political climate which is - to use a modern term - usually and properly called «reformist»".

56 La stessa descrizione di Appiano della legge giudiziaria di Druso è in Vir. Ill. 66 (si veda oltre

per l'analisi del brano). Liv. Per. 70, sebbene (come notava Gabba 1973) possa essere compatibile con Appiano, preso nel suo significato più immediato afferma solo che Druso voleva trasferire il controllo delle corti al Senato. Accettano la descrizione appianea della legge Gabba 1958, p. 119; Weinrib 1970, p. 416 n. 10; Brunt 1988, p. 207.

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2. La riforma giudiziaria di M. Livio Druso.

1. Appiano e il De Viris Illustribus.

Secondo Appiano, Druso avrebbe tentato di porre fine alla contesa tra il Senato e gli equites sulla composizione delle corti giudiziarie proponendo di raddoppiare il numero di senatori portandolo a 600, aggiungendo ai 300 già esistenti 300 nuovi senatori scelti tra i membri del censo equestre58. Tuttavia Appiano non presenta mai il nostro come un riformatore super partes: afferma infatti che scopo ultimo della proposta di Druso sarebbe stato restituire al Senato il controllo dei tribunali, ingannando gli equites59.

La stessa descrizione della riforma giudiziaria di Druso, seppur molto più breve, è nel De Viris Illustribus; secondo quest'opera, Druso si sarebbe spinto troppo oltre nel concedere la cittadinanza agli alleati, la terra al popolo minuto, i tribunali al Senato, il Senato ai cavalieri60.

L'allargamento del Senato è connesso dall'autore al difetto di Druso d'una larghezza eccessiva (nimia liberalitas), che lo avrebbe condotto alla morte e alla rovina. Questa avrebbe influenzato non solo la vita privata di Druso, caratterizzata da spese eccessive e il rischio d'indigenza affrontato ricorrendo a illeciti d'ogni tipo, ma anche la sua pubblica condotta. Così ogni largitio di Druso si rivela esagerata e controproducente: la legge agraria avrebbe causato il malcontento di coloro che possedevano le terre sequestrate e distribuite; quella giudiziaria le proteste degli equites non ammessi in Senato e dei Senatori che non volevano sedere nelle corti giudiziarie a fianco dei neo-senatori61.

                                                                                                               

58 App. B. Civ. 1.35: ἐπὶ κοινῷ νόµῳ συναγαγεῖν ἐπειρᾶτο. Mendelssohn emendava in ἐπικοίνῳ

νόµῳ. La corretta traduzione pare essere "per mezzo d'una legge che s'applicasse a entrambi" e si riferisce chiaramente al crimine de repetundis. Strachan-Davidson 1902 traduce: "on the terms of carrying a law which was to share the court between the two orders"; Gabba 1958 "con una legge imparziale"; White 1913 "by an agreement".

59 τήν τε βουλὴν καὶ τοὺς ἱππέας, οἵ µάλιστα δὴ τότε διὰ τὰ δικαστήρια διεφέροντο, ἐπὶ κοινῷ

νόµῳ συναγαγεῖν ἐπειρᾶτο, σαφῶς µὲν οὐ δυνάµενος ἐς τὴν βουλὴν ἐπανενεγκεῖν τὰ δικαστήρια, τεχνάζων δ' ἐς ἑκατέρους ὧδε κτλ.

60 Tribunus plebis Latinis civitatem, plebi agros, equitibus curiam, senatui iudicia permisit.

61 Nam plebs acceptis agris gaudebat, expuisi dolebant, equites in senatum lecti laetabantur, sed praeteriti querebantur; senatus permissis iudiciis exaltabat, sed societatem cum equitibus aegre ferebat.

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Non si può a questo riguardo trascurare la straordinaria vicinanza tra il De Viris Illustribus e Appiano, il quale adduce gli stessi identici motivi di malcontento come motivazione del fallimento del progetto di Druso62.

Del De Viris Illustribus è evidente il carattere fantasioso delle sue affermazioni, che paiono aderenti alla rappresentazione di Druso secondo il paradigma del tribuno malvagio: Druso era ambizioso e arrogante; da edile avrebbe speso eccessivamente per dare splendore al proprio nome tramite sontuosi edifici pubblici; da questore, si recò in Asia rifiutando d'esibire le insegne del proprio rango, perché fosse piuttosto riconosciuto come privatus; da tribuno, voleva il controllo dello stato e non accettava i consigli degli altri tribuni63. Nel capitolo precedente, si è visto come la creazione del "tipo" paradigmatico del tribuno della plebe malvagio sovvertitore dell'ordine fosse connessa allo schema delle quattuor seditiones, del quale si è proposta un'origine "tra i banchi di scuola", e che si è detto come fosse probabilmente noto ad Appiano.

Non si può dunque accettare a priori la veridicità del resoconto appianeo senza prendere in esame la possibilità che in esso si trovino mescolate notizie tratte da fonti diverse e di diversa qualità e che attraverso alcune di esse (o forse Appiano avrà persino attinto ai ricordi della propria educazione) sia penetrato nel testo qualche dettaglio inventato per obbedire a principi diversi dalla veridicità storica, quale la corrispondenza tra un ethos votato alla liberalità eccessiva e le azioni del personaggio, da questa caratterizzate.

Appiano del resto non è esente da errore: afferma ad esempio che prima della riforma i senatori erano rimasti in 300 perché molti erano stati uccisi negli scontri partigiani avvenuti a Roma64.

La conseguenza più eclatante di questo ragionamento è che si dovrebbe negare veridicità a ben tre paragrafi interi del testo di Appiano65. Non è però facile respingere il resoconto più                                                                                                                

62 Come nel De Viris Illustribus il Senato societatem cum equitibus aegre ferebat, così in Appiano

si dice che ἥ τε γὰρ βουλὴ χαλεπῶς ἔφερεν ἀθρόως αὑτῇ τοσούσδε προσκαταλεγῆναι καὶ ἐξ ἱππέων ἐς τὸ µέγιστον ἀξίωµα µεταβῆνα. Come per il De Viris Illustribus afferma che equites in

senatum lecti laetabantur, sed praeteriti querebantur, Appiano dice che τό τε πλῆθος αὐτῶν ἐν

ἀπορίᾳ σφᾶς ἐποίει καὶ ὑποψίᾳ πρὸς ἀλλήλους, τίνες ἀξιώτεροι δοκοῦσιν ἐς τοὺς τριακοσίους καταλεγῆναι: καὶ τοῖς λοιποῖς φθόνος ἐς τοὺς κρείττονας ἐσῄει.

63 Marshall 1987 ha dimostrato che Druso non fu mai edile né questore. Le storie su un suo ruolo

nelle contese dinastiche di Mauretania e Numidia sono palesi invenzioni; che facesse poi bancarotta è contraddetto dalle menzioni della sua immensa ricchezza privata: Plin. HN 33, 50, 141 ; Dio Cass. 28, 96, 1.

64 App. B. Civ. 1.35: τῶν βουλευτῶν διὰ τὰς στάσεις τότε ὄντων µόλις ἀµφὶ τοὺς τριακοσίους. 65 Gabba 1958 §§ 159-161.

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esteso e dettagliato della riforma giudiziaria di Druso che sia sopravvissuto. Urge pertanto sottoporre ad attenta analisi la descrizione della riforma giudiziaria di Druso fornita da Appiano, per comprendere se essa sia almeno verisimile.

2. Plausibilità della testimonianza di Appiano.

Secondo Weinrib, la descrizione di Appiano della riforma dei tribunali sarebbe essenzialmente corretta. Lo studioso ritiene che essa, in accordo con le affermazioni di Appiano, davvero consentisse al Senato di prendere il controllo delle corti; un Senato raddoppiato in numero avrebbe inoltre ovviato al problema di reperire abbastanza giudici per far fronte al numero sempre in aumento di processi che essi dovevano sostenere66. Già la legislazione graccana prevedeva infatti 450 giudici per i tribunali de repetundis67; da allora, poi, il numero di corti permanenti era aumentato, tanto da rendere necessario che "the manpower of the Senate should be enlarged".

Evidentemente, tale ricostruzione deve assumere di necessità una precisa relazione causale tra ogni variazione del numero di giudici e l'aumento delle corti permanenti e del volume dei processi. Al contrario, la lex Plautia iudiciaria dell'89, che variava numero e composizione dell'albo dei giudici, si ritiene avesse effetto sulla sola quaestio Variana (che forse era l'unica operante in quell'anno)68.

3. La riforma giudiziaria di Druso secondo Cicerone.

Della legge giudiziaria di Druso sopravvivono due menzioni in Cicerone69. Nel passo in questione dell'orazione in difesa di Cluenzio, l'arpinate è impegnato a sconfessare l'affermazione dell'accusatore, Accio, secondo il quale è ingiusto che non tutti gli uomini                                                                                                                

66 Weinrib 1970, p. 416. Concorda con questa tesi Brunt 1988, p. 207: "a senate of 300 members

was too small to provide all the iudices".

67 lex repetundarum, RS 1 pp. 65-74, passim.

68 Brunt 1988, p. 206. Per il numero di corti operanti nell'89 a.C. si veda Seager 1967, p. 39 e n. 12:

"Cic. Brut. 304 implies that the courts were suspended during 90 and 89; Ascon. 79 states, if the plural iudiciis is to be taken at its face value, that they were functioning again before the passing of the lex Plautia, some time in 89. The suspension must therefore have been lifted at some point in that year".

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siano soggetti alle stesse leggi70; afferma invece il nostro che è giusto che i senatori siano soggetti a più leggi che il resto della popolazione, perché in cambio essi ricevono maggiori vantaggi. A questo proposito, Cicerone menziona la legge di Tiberio Gracco contro le condanne a morte comminate ingiustamente e la legge di Silla de sicariis et veneficis (proprio quella legge, cioè, in virtù della quale Cluenzio sta subendo il processo): entrambe non si applicherebbero al ceto equestre, del quale Cluenzio fa parte. Segue quindi una lode sperticata degli equites che si opposero alla legge giudiziaria di Druso: Cicerone afferma che Druso voleva che potessero essere sottoposti a processo i giudici corrotti di quelle corti permanenti che, come le altre due menzionate, giudicavano crimini dei quali erano imputabili solamente i senatori (huiusce modi quaestionibus).

Nell'orazione in difesa di Rabirio Postumo, Cicerone di nuovo afferma che il suo cliente, in quanto eques, non è perseguibile dalla legge in virtù della quale il processo è stato istruito71. Aggiunge quindi degli esempi storici di opposizione a nuove leggi da parte di quanti ne sarebbero stati affetti: tra essi Cicerone cita gli equites, che si sarebbero opposti alla creazione, proposta da Druso, di una nuova corte permanente per perseguire i casi di corruzione giudiziaria72.

4. Tentativi di riconciliare la testimonianza di Appiano e quella di Cicerone.

Da Cicerone si apprende dunque che Druso, nella propria legge giudiziaria, perseguisse i giudici colpevoli di lasciarsi corrompere; gli equites, che in precedenza godevano dell'immunità dal reato di corruzione, si sarebbero opposti. Dal momento che in entrambi i casi Cicerone afferma chiaramente che la legge intendeva perseguire i giudici corrotti, non vi è ragione di ritenere che essa avesse applicazione più ampia e colpisse tutto il ceto equestre73.

                                                                                                               

70 Cic. Clu. 150: iniquum tibi videtur, Acci, esse non isdem legibus omnes teneri.

71 Cic. Rab. Post. 11: qua lege? Qua non tenetur; Rab. Post. 12: qua lege? Iulia de pecuniis repetundis. Quo de reo? De equite Romano. At iste ordo lege ea non tenetur. [...] Reus igitur Postumus est ea lege, qua non modo ipse, sed totus etiam ordo solutus ac liber est.

72 Cic. Rab. Post. 16: Potentissimo et nobilissimo tribuno plebis, M. Druso, novam in equestrem ordinem quaestionem ferenti si quis ob rem iudicandam (Patricius : iudicatam mss.) pecuniam cepisset, aperte equites Romani restiterunt.

73 Gabba 1973, pp. 377-378, ritiene che la nuova quaestio perseguisse sia i giudici corrotti che i

corruttori; in tal senso era quindi un'estensione all'intera popolazione romana, equites inclusi, della

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Secondo Weinrib, la norma contro la corruzione dei giudici proposta da Druso era solo un comma di una legge più vasta; Brunt invece ritiene che essa fosse una legge a sé stante, diversa dalla legge giudiziaria che riformava la composizione delle corti74.

Molto dipende dal grado di precisione che si è disposti ad accordare ad Appiano: il verbo προσέγραφεν significa "scrivere in aggiunta, aggiungere" e il suo utilizzo farebbe quindi propendere per l'idea di Weinrib, ma in questo caso può semplicemente rivelare, come afferma Hands, "the attitude of an abbreviator, whether Appian or his source, who simply chose to see two measures, similar in genre, in this way"75. Tuttavia non si può tralasciare che tutte le altre fonti si riferiscono sempre a una singola legge giudiziaria di Druso76; questo basta a smentire la tesi di Brunt.

Se si prova a combinare le affermazioni di Cicerone con quelle di Appiano, il risultato assume contorni paradossali. Secondo Appiano, infatti, i giudici delle quaestiones, in seguito alla riforma, sarebbero stati tutti senatori (300 vecchi senatori più 300 nuovi tratti dai ranghi del ceto equestre); gli equites dunque non ne avrebbero più fatto parte. Cicerone, al contrario, testimonia che Druso volesse estendere la perseguibilità dei giudici corrotti anche a quelli di rango equestre. "The contradiction is patent and intolerable"77. L'unica soluzione logica parrebbe quella tentata da Brunt, secondo il quale la norma contro la corruzione dei giudici aveva carattere retroattivo.

Il secondo dei loci ciceroniani qui analizzati, dall'orazione per Rabirio Postumo, è di solito emendato (ob rem iudicandam anziché ob rem iudicatam), poiché, per come è tramandato, implicherebbe che i giudici corrotti ricevevano il loro prezzo solo dopo aver pronunciato la sentenza78. Brunt rifiuta la correzione e interpreta il brano come se indicasse che la norma sulla perseguibilità dei giudici avesse valore retroattivo79. Secondo lo studioso, insomma,                                                                                                                

pp. 269-270, il quale nota che plausibilmente Druso voleva punire anche i verdetti di assoluzione pronunciati da giudici corrotti, verso i quali la lex Sempronia era ovviamente "a useless tool".

74 Weinrib 1970, p. 419; Brunt 1988, p. 208. 75 Hands 1972, p. 269.

76 e.g. Liv. Per. 71: legibus agrariis frumentariisque latis iudiciariam quoque pertulit. Si veda

Griffin 1973, p. 116.

77 Weinrib 1970, p. 427.

78 Per una discussione del problema testuale si veda Weinrib 1970, pp. 427-429.

79 Brunt 1988, p. 208: "of the two texts in which Cicero refers to its applicability to Equites, one

permits and the other requires us to believe that it was retroactive. The second text has been unwarrantably emended, with no linguistic justification, to remove this implication, on the premise that retroactive legislation was contrary to the spirit of Roman law". Contra Fuks-Geiger 1971, p. 425, i quali accettano la lezione iudicatam dei mss. ma "see no indication that it [scil. la legge] should be understood retroactively".

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Druso avrebbe voluto espellere gli equites dalle corti permanenti e al tempo stesso consentire che fossero processati per crimini passati.

Nel diritto romano, non era fatta distinzione tra leggi retroattive e non; come afferma Cicerone, la retroattività dipendeva solo dalla gravità del crimine in questione80. La corruzione era certo considerata un reato grave e come tale è possibile che la legge di Druso si prestasse, senza bisogno d'ulteriori specifiche, a essere applicata retroattivamente. Al contrario, di una legge che fosse solo retroattiva, come Brunt ipotizza fosse quella di Druso, nel diritto romano non v'è traccia, fuorché qualora s'istituisse una quaestio extraordinaria per perseguire un crimine ben preciso.

Brunt è pertanto costretto a ritenere che Druso realmente istituisse una quaestio extraordinaria per combattere i casi di passata corruzione giudiziaria81.

L'istituzione di una quaestio extraordinaria non era però una faccenda di poco conto. Quando la prima era stata creata, nel 141 a.C., essa aveva l'obiettivo ben circoscritto di processare L. Ostilio Tubulo, il quale l'anno precedente era stato pretore della quaestio inter sicarios e si era notoriamente lasciato corrompere82. Dalla quaestio Mamilia in poi, tuttavia, fu ben chiaro il potere spaventoso delle corti straordinarie. Non è un caso che, dopo la quaestio Mamilia stessa, creata in seguito allo sdegno suscitato dai rovesci subiti nella lontana Numidia, la successiva quaestio extraordinaria di cui si abbia notizia sia quella di Vario, giustificata dall'improvvisa sollevazione degl'italici.

Secondo Brunt, l'istituzione di una quaestio extraordinaria da parte di Druso sarebbe stata permessa dal profondissimo sdegno suscitato dalla condanna di un uomo giusto come P. Rutilio Rufo83.

Tuttavia, Kallet-Marx ha abilmente dimostrato che la tradizione antica che descrive Rutilio Rufo come uomo incorruttibile e la sua condanna suscitare a Roma lo sdegno dei più debba molto, troppo, a Rutilio medesimo e alla sua opera autobiografica84. Secondo un'altra

                                                                                                               

80 Cic. Verr. 2.1.108: nisi eius rei quae sua sponte tam scelerata et nefaria est ut, etiamsi lex non esset, magnopere vitanda fuerit.

81 Brunt 1988, p. 208. Questa non è altro che la classica tesi di Mommsen, sulla quale si vedano le

obiezioni di Weinrib 1970, pp. 427-432. Gabba 1973, p. 377 ritiene che Druso istituì una nuova

quaestio perpetua che perseguisse sia corruttori che corrotti. 82 Cic. Fin. 2, 54. See Weinrib 1970, p. 431; Brunt 1988, p. 208.

83 Sebbene lo stesso Brunt 1988, p. 209, non escluda che, più in generale, la corruzione giudiziaria

fosse divenuta una piaga intollerabile: "there is nothing to exclude the possibility […] that other cases of corruption were alleged".

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tradizione, che sopravvive in Tacito, il personaggio non doveva poi essere uno stinco di santo85.

Secondo Kallet-Marx, poi, il processo da questi subito andrebbe datato al 94 a.C., rendendo pertanto improbabile che ancora tre anni dopo lo sdegno fosse tale da lasciar facilmente approvare la creazione di una quaestio extraordinaria; la datazione del processo è però dibattuta ed è prudente non trarre conclusioni da essa86. In ogni caso, Kallet-Marx ha ragione ad affermare che a nessuno importasse abbastanza di Rutilio da prenderne le difese contro i publicani d'Asia; sembra dunque improbabile che all'indifferenza mostrata dai politici romani durante il processo si sostituisse, dopo la condanna di Rutilio, sdegno profondo e volontà di rimediare al torto da questi patito.

Perdipiù, secondo Asconio, sarebbe stato il processo subito da Scauro nel 92 a.C. a indurre Druso a presentare la propria legge giudiziaria, non il processo di Rutilio; del resto, il legame di parentela che univa i due era tutto sommato debole (Rutilio aveva sposato la zia di Druso)87. Non sembra dunque che questo evento possa giustificare la creazione di una quaestio extraordinaria.

Resta ancora la possibilità che la legge, semplicemente, non specificasse a quali categorie di cittadini s'applicasse. Così essa avrebbe potuto includere sia i senatori, che componevano il nuovo album iudicum previsto da Druso, sia gli equites che ne avevano fatto parte sino ad allora. Tuttavia, Cicerone sembra piuttosto affermare che la legge esplicitamente specificasse la sua applicazione agli equites; che le categorie di cittadini cui s'applicavano le leggi fossero sempre esplicitate parrebbe poi evincersi dal caso della lex repetundarum epigrafica88.

                                                                                                               

85 Tac. Ann. 3.66. Mam. Scauro non avrebbe citato il processo di Rutilio "if the view that Rutilius'

condemnation was absurd and frivolous, so prevalent in our preserved sources, had been universal in AD 22" (Kallet-Marx 1990, p. 124). Secondo Badian 1958, p. 219, Tacito si basa su acta

Senatus. Su M. Emilio Scauro come accusatore di Rutilio si veda Badian 1958, il quale ritiene la

notizia errore o menzogna non di Tacito ma di Mam. Scauro.

86 Badian in OCD3, s.v., si pronuncia ancora a favore della datazione tradizionale.

87 Asc. 21 Cl. : M. quoque Drusum tribunum plebis cohortatus sit, ut iudicia commutaret.

88 lex repetundarum, l. 2 (RS 1, p. 65). Si veda l'ulteriore esempio della lex Cornelia de sicariis et veneficiis in Cic. Clu. 148-149.

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5. Portata circoscritta della lex iudiciaria di Druso.

Non si può dunque conciliare in alcun modo le testimonianze di Cicerone e di Appiano; piuttosto, essendo queste contrastanti, si rende necessaria una scelta, che a causa dei sospetti già emersi sull'attendibilità del resoconto di Appiano favorirà allora quello di Cicerone. Gli equites avrebbero continuato anche dopo la riforma a sedere nei tribunali. Da Cicerone è inoltre chiaro che essi non sarebbero stati ammessi in Senato. Per giustificare la propria opposizione alla legge, gli equites affermano infatti di non aver scelto la carriera senatoria poiché preferiscono i vantaggi di una vita tranquilla e che la nuova legge è ingiusta poiché li costringe a correre gli stessi rischi dei senatori (essere cioè accusati d'esser corrotti) senza conceder loro gli stessi vantaggi che il rango senatorio garantisce89.

Secondo Brunt, la riforma della composizione dell'albo dei giudici s'applicava a tutte le corti: a suo avviso una portata circoscritta solo ad alcune quaestiones perpetuae mal s'accorderebbe con l'obiettivo di riportare i tribunali sotto il controllo senatorio che Druso, in quanto campione del Senato, certo dovette perseguire90. In tale direzione puntano del resto le affermazioni di Cicerone, così come l'Epitome di Livio91.

Brunt stesso nota tuttavia, qualche pagina prima, che espressioni quali iudicia transferre e simili, che indicano la modificazione del controllo delle corti giudiziarie, sono fortemente ambigue92. Ad esempio, sia Cicerone che Plutarco, l'Epitome di Livio e lo Pseudo-Asconio

                                                                                                               

89 Cic. Clu. 153-154: se potuisse iudicio populi Romani in amplissimum locum pervenire, si sua studia ad honores petendos conferre voluissent [...] sed ordine suo patrumque suorum contentos fuisse et vitam illam tranquillam et quietam remotam a procellis invidiarum et huiusce modi iudiciorum sequi maluisse. Cic. Clu. 154: iniquum esse eos, qui honorum ornamenta propter periculorum multitudinem praetermisissent, populi beneficiis esse privatos, iudiciorum novorum periculis non carere etc. ; Cic. Rab. Post. 16: ac tamen ita disputabant, eos teneri legibus eis oportere, qui suo iudicio essent illam condicionem vitae secuti. Te delectat amplissimus civitatis gradus, sella curulis, fasces, imperia, provinciae, sacerdotia, triumphi, denique imago ipsa ad posteritatis memoriam prodita: sit simul etiam sollicitudo aliqua et legum et iudiciorum maior quidam metus.

90 Secondo Brunt 1988, p. 208, Druso avrebbe di certo voluto abolire la quaestio de maiestate. Non

si vede però perché mai proprio Druso volesse abolire tale corte, la quale non solo era sopravvissuta all'abrogazione di tutte le altre misure di Saturnino, ma era accettata e usata come arma di lotta politica.

91 Liv. Per. 97. 92 Brunt 1988, p. 201.

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utilizzano espressioni simili per descrivere la lex Aurelia, che però istituiva soltanto un albo misto di senatori ed equites93.

Ancora, Tacito afferma che la lex Servilia Caepionis restituiva le corti giudiziarie al Senato94, quando invece essa introduceva un albo misto per la quaestio de repetundis. Appiano, Varrone e Floro affermano che Caio Gracco trasferì il controllo delle corti agli equites; anche Plutarco fa la stessa affermazione, nonostante spieghi che in realtà C. Gracco avrebbe istituito un albo di giudici misto, aggiungendo 300 equites ai 300 senatori già presenti in esso95.

La creazione di giurie miste, rispetto a una precedente situazione nella quale esse erano appannaggio di un unico ordo, poteva dunque a buon diritto esser definita come il trasferimento del potere giudiziario all'ordo che ne era in precedenza privo e che veniva in quel momento incluso nelle corti giudiziarie. In questo senso, dunque, non sono in contraddizione tra loro le affermazioni dell'Epitome di Livio nei riassunti dei libri 70 e 71, ove si afferma dapprima che il Senato con l'aiuto di Druso cercò di appropriarsi del potere giudiziario, quindi che Druso divise quest'ultimo equamente tra senatori e cavalieri96. Piuttosto che accogliere la proposta di Weinrib, secondo il quale Druso avrebbe trasferito sotto il controllo dei soli senatori quelle quaestiones in precedenza equamente ripartite tra senatori e cavalieri e avrebbe ripartito tra essi quelle corti ancora sotto il controllo dei soli equites97, parrebbe piuttosto doversi intendere che Druso volesse istituire giurie miste di senatori ed equites.

O meglio, piuttosto che di giurie, di una singola giuria si dovrebbe parlare. Infatti, da Caio Gracco in poi tutte le quaestiones perpetuae fuorché la quaestio de repetundis erano

                                                                                                               

93 Cic. Verr. 2.3.223: quod si ita est, quid possumus contra illum praetorem dicere qui cotidie templum tenet, qui rem publicam sistere negat posse nisi ad equestrem ordinem iudicia referantur?; Plu. Pomp. 22: καὶ ἐν µὲν τῇ βουλῇ µᾶλλον ἴσχυεν ὁ Κράσσος, ἐν δὲ τῷ δήµῳ µέγα τὸ

Ποµπηΐου κράτος ἦν. καὶ γὰρ ἀπέδωκε τὴν δηµαρχίαν αὐτῷ, καὶ τὰς δίκας περιεῖδεν αὖθις εἰς τοὺς ἱππέας νόµῳ µεταφεροµένας. ; Liv. Per. 97: Iudicia quoque per M. Aurelium Cottam praetorem ad

equites Romanis translata sunt; Ps.-Asc. 206 St. Sulla lex Aurelia si veda Badian-Lintott, OCD3

s.v. quaestio.

94 Tac. Ann. 12.60.4.

95 App. B. Civ. 1.22; Varrone apud Non. 728 L; Fl. Epit. 2.1.6; Plu. CG 5.1-2. Secondo Brunt

1988, pp. 196-204, la legge giudiziaria di C. Gracco creava giurie miste per tutte le corti tranne quella de repetundis, che sarebbe invece stata composta unicamente da equites.

96 Liv. Per. 70: senatus cum inpotentiam equestris ordinis in iudiciis exercendis ferre nollet, omni vi eniti coepit, ut ad se iudicia transferret, sustinente causam eius M. Livio Druso trib. pleb.; Liv. Per. 71: iudiciariam quoque pertulit ut aequa parte iudicia penes senatum et equestrem ordinem essent.

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