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4. L’interazione tra sostanze chimiche, prodotti e la normativa sui rifiuti ed il

4.3. Il posizionamento Versalis

• Le informazioni sulla presenza di sostanze problematiche non sono facilmente accessibili a coloro che trattano i rifiuti e li preparano per il recupero

58 Il Database SCIP, che l’ECHA sta predisponendo, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2018/851/UE, rappresenta sicuramente un valido strumento che permetterà di migliorare l’accesso e la disponibilità di informazioni sulla presenza di substances of concern negli articoli/prodotti. Il Database permetterà ai riciclatori di avere accesso ad informazioni attendibili sulla composizione dei rifiuti che intendono recuperare ed ai consumatori di accedere ad informazioni inerenti la sicurezza dei prodotti utilizzati. Ciò nonostante, il Database, così come ipotizzato, non tiene conto della fase d’uso del prodotto. Considera ed individua soltanto quelle informazioni attinenti all’articolo al momento della sua messa in commercio. Per la fase di uso quindi non è possibile prevedere e/o escludere eventuali contaminazioni. Infatti, seppure le modalità di corretto utilizzo di un determinato articolo possano essere ben indicate e trasmesse lungo la catena del valore, non vi è certezza che l’articolo venga effettivamente utilizzato correttamente. Inoltre, è necessario tener conto anche dello stato di deterioramento e probabile contaminazione in cui i diversi flussi (forma/qualità) di rifiuti arrivano agli impianti di trattamento. Non sono certamente l’esatta riproposizione del prodotto/articolo di partenza. A titolo di esempio, si considerino i rifiuti da materiali di costruzioni e demolizioni, composti da numerose tipologie di materiali differenti difficilmente separabili in maniera efficiente.

Il Database infine dovrebbe evitare eventuali rischi di sovrapposizione, duplicando i doveri amministrativi per i produttori di articoli che già ricevono le Schede di Dati di Sicurezza dai loro fornitori (di sostanze e di miscele).

Trovare un sistema per utilizzare direttamente questi documenti potrebbe facilitare e non complicare il flusso di informazioni.

Ai sensi dell'articolo 31, paragrafo 1, del regolamento REACH, è infatti prescritto al fornitore di una sostanza o di una miscela di trasmettere una SDS compilata a norma dell'allegato II del REACH. La SDS fornisce informazioni che identificano: la sostanza o miscela; l’impresa produttrice; gli eventuali pericoli e la sua composizione; le misure di primo soccorso, antincendio e qualora si verifichi rilascio accidentale della sostanza; i metodi di manipolazione e immagazzinamento; le proprietà fisiche e chimiche; la stabilità e reattività della sostanza o miscela; le informazioni tossicologiche, ecologiche, sul trasporto e sulla regolamentazione; considerazioni sullo smaltimento ed, infine, qualora, la sostanza sia prodotta in quantitativi superiori alle 10 tonnellate, gli scenari d’esposizione, che specificano informazioni utili a contenere i rischi a cui sono sottoposti i lavoratori (predisposizione dei dispositivi di protezione individuale), i consumatori e l’ambiente durante l'uso. Le SDS a

59 disposizione dei produttori degli articoli contengono un considerevole numero di informazioni che potrebbero essere direttamente caricate su eventuali ulteriori sistemi informativi, così da semplificare l’onere documentale in capo alle imprese, ma garantire comunque la validità delle informazioni fornite.

Per garantire la tracciabilità delle sostanze sarebbe dunque utile, in aggiunta ad eventuali database e/o messa a disposizione delle informazioni già disponibili mediante le SDS, predisporre sistemi di tracciabilità specifici per settore.

Resta in ogni caso necessario e vantaggioso predisporre un set di analisi analitiche in carico ai riciclatori, da effettuarsi sul rifiuto e/o sulle materie prime seconde al fine di caratterizzarli e classificarli correttamente. Le analisi potrebbero esser fatte sia sui lotti di rifiuti in entrata, compresi anche i rifiuti importati, che sui materiali riciclati e/o recuperati in uscita. In questo modo, si comprenderebbe, innanzitutto, la precisa composizione del rifiuto e, quindi, anche i corretti metodi di manipolazione e le effettive possibilità di riciclo, ma sarebbe, inoltre, possibile comprendere se la materia prima seconda ottenuta rispetti effettivamente i requisiti richiesti dalle norme tecniche e dal regolamento REACH. Questo garantirebbe una maggiore sicurezza delle materie prime seconde e potrebbe essere un valido strumento per incentivarne il mercato.

In riferimento alla definizione di substances of concern, Versalis ritiene siano da includere esclusivamente le sostanze estremamente preoccupanti (SVHC), identificate ai sensi dell'articolo 59 del REACH e gli inquinanti organici persistenti (POPs) elencati nell'allegato I del regolamento UE n. 1021/2019.

Quanto detto in considerazione dei complessi sistemi che portano all’iscrizione delle sostanze in queste liste, con il coinvolgimento di diversi soggetti competenti.

Ad esempio, l’intenzione di candidare una sostanza come SVHC può essere sottomessa sia dalla Commissione europea, tramite l’ECHA, che dalle singole Autorità Competenti dei singoli Stati membri. Lo scopo è permettere alle parti interessate di presentare un fascicolo di richiesta di definizione SVHC (secondo l’Allegato XV del Regolamento REACH). Tale fascicolo deve essere sottomesso entro un anno dalla notifica di intenzione e fornisce i dati e la giustificazione per l’identificazione della sostanza come SVHC, oltre che comprendere informazioni concernenti i volumi immessi sul mercato dell’UE, gli usi e le possibili alternative all’uso della sostanza. A seguito poi della corretta presentazione dei fascicoli, viene avviata una consultazione pubblica della durata di 45 giorni, in cui le parti interessate sono invitate a

60 formulare osservazioni in merito alla proposta. In mancanza di osservazioni che possano rappresentare un ostacolo all’identificazione della sostanza come SVHC, essa viene inclusa nell’elenco delle sostanze candidate. Nel caso in cui pervengano osservazioni contenenti nuove informazioni o elementi contrari all’identificazione di una sostanza come SVHC, la proposta e le osservazioni vengono inviate al Comitato degli Stati membri (MSC) perché sia raggiunto un accordo sull’identificazione stessa. Se il Comitato giunge ad un accordo unanime, la sostanza viene aggiunta alla Candidate List. In caso contrario, la questione viene rinviata alla Commissione europea.

Se una sostanza viene classificata come cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione (CMR), di categoria 1A o 1B, ai sensi del punto 3.6 dell'Allegato I del regolamento (CE) n. 1272/2008, oppure rispetta i criteri di persistente, bioaccumulabile e tossica (PBT) o sostanza molto persistente e molto bioaccumulabile (vPvB), o ancora si tratta di sostanza, identificata “caso per caso”, per la quale esistono prove scientifiche di probabili effetti gravi per la salute umana o per l'ambiente, generando un livello di preoccupazione equivalente, sarà quindi identificata come SVHC e aggiunta all’elenco delle sostanze candidate per la definitiva inclusione nell’elenco delle sostanze soggette ad Autorizzazione. L'elenco delle sostanze candidate viene aggiornato ogni qualvolta una o più sostanze vengono identificate come SVHC. Se una sostanza si definisce SVHC, vige l’obbligo di comunicare tale informazione lungo tutta la catena d’approvvigionamento mediante la relativa SDS.

La complessità di questo sistema appare, dunque, innegabile, come appare innegabile la sicurezza e l’affidamento che garantisce ed è il motivo per cui individuare le substances of

concern con le SVHC o i POPs, che vengono determinati con una procedura simile, risulta

essere la migliore metodologia utilizzabile.

Per migliorare la gestione ed i controlli delle merci importate è fondamentale invece il tempestivo utilizzo delle restrizioni REACH oltre che l’applicazione di tutte le altre normative specifiche sui prodotti, così da garantire che le sostanze e/o gli articoli prodotti extra UE ed importati in territorio europeo siano soggetti alle stesse norme. Un maggiore coinvolgimento delle Autorità doganali aiuterebbe, ad esempio, attraverso uno scambio tempestivo di informazioni su potenziali casi di non conformità. È sicuramente necessario in primis armonizzare i sistemi di controllo doganale in tutti gli Stati membri dell’UE, così da garantire che in tutte le frontiere europee siano condotti gli stessi controlli in grado di garantire il rispetto delle disposizioni REACH.

61 Questa problematica della mancanza di armonizzazione nei controlli doganali è stata anche riconosciuta dalla Commissione nella COM(2013) 74: “Prodotti più sicuri e una migliore

vigilanza nel mercato unico dei prodotti”. Infatti, viene sostenuta la necessità di facilitare la

restrizione all’accesso dei prodotti non sicuri nei mercati europei, con un potenziamento della tracciabilità e rintracciabilità nel mondo delle catene di fornitura globalizzate e miglioramento della vigilanza del mercato. Obiettivo è anche di riformare il sistema di allarme rapido europeo per prodotti pericolosi non alimentari (RAPEX), così che la procedura di segnalazione dei prodotti potenzialmente non sicuri possa esser semplificata e accelerata. È stata anche formulata una proposta di modifiche normative, il cosiddetto “pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato”, che deve ancora esser adottato e che si spera possa riuscire a risolvere questa problematica.

• I rifiuti possono contenere sostanze la cui presenza in prodotti nuovi non è più autorizzata

La decisione su cosa fare con i rifiuti contenenti legacy substances dovrebbe esser presa tramite l’applicazione di un approccio “caso per caso” e “basato sul rischio” nell’ambito dell’attuale quadro giuridico chimico. Infatti, così facendo si salvaguarderebbero sia le esigenze di riciclo che quelle di sicurezza della salute umana e tutela dell’ambiente. Il riciclo andrebbe considerato un’opportunità valida fino a quando è garantita la sicurezza sia nel recupero dei flussi di materiale che nell'uso dei materiali riciclati.

Oltre al principio generale di Safety First che rappresenta la linea guida nella determinazione della decisione sul riciclare o meno, dovrebbero essere presi in considerazione ulteriori criteri nello sviluppo di un quadro normativo efficace per il riciclo. Ad esempio, potrebbe essere d’interesse, eseguire un’effettiva valutazione approfondita sulla fattibilità economica delle operazioni di riciclo, il valore dei materiali riciclati e l’effettivo risparmio energetico.

Inoltre, in virtù dell’utilizzo di questa valutazione basata sul rischio e su un approccio differenziato “caso per caso”, potrebbe risultare necessario introdurre, rispetto alle norme sui prodotti, deroghe specifiche, per le materie prime secondarie recuperate da rifiuti contenenti

legacy substances, sottoponendole comunque a revisioni periodiche. Per questi motivi,

andrebbe sviluppata una metodologia concordata che preveda, appunto, un approccio specifico per sostanza e tenga conto dei costi e dei benefici complessivi per la Società. Questa metodologia dovrebbe considerare il rischio, i fattori socioeconomici e i risultati ambientali

62 globali, al netto di un’analisi del ciclo di vita dei materiali. In base poi ai risultati ottenuti, si potrebbero apportare deroghe alle normative e permettere utilizzi a “ciclo chiuso e controllato” o altre restrizioni d'uso specifiche.

Dunque, per quanto riguarda la riciclabilità dei rifiuti contenenti legacy substances e/o

substances of concern, dovrebbe considerarsi il riciclo un’opportunità sempre percorribile se

effettivamente sia verificata l’esistenza di tecnologie economicamente vantaggiose di recupero di materie che, per determinati usi, riescano a contenerne il rischio a livelli accettabili. Questo resta un elemento fondamentale per raggiungere gli sfidanti obiettivi di riciclo prefissati dalla nuova direttiva rifiuti 2018/851/UE, oltre che l’obiettivo proposto con la Circular Plastic

Alliance di riciclare, per reimmettere sul mercato, 10 milioni di tonnellate di plastica entro il

2025.

Un esempio di rifiuto contenente sostanze legacy ma per il quale esistono già tecnologie di riciclo, riguarda il riciclo dei pannelli di polistirene utilizzati per l’isolamento termico delle abitazioni (cappotti) che contengono ancora ritardanti di fiamma a base di esabromociclododecano (HBCD), dal 2016 inserito nell’elenco POPs e soggetto ad autorizzazione REACH. A conferma di quanto detto, si porta l’esempio della fondazione no- profit PolyStyreneLoop che, con la sua tecnologia CreaSolv®, riesce a riciclare i cappotti termici in polistirene contenenti HBCD.

• Le norme dell'UE che stabiliscono quando un rifiuto cessa di essere tale non sono completamente armonizzate e risulta pertanto difficile determinare in che modo un rifiuto diviene un nuovo materiale e un prodotto

È ovviamente fondamentale armonizzare a livello europeo l’applicazione e l’attuazione delle norme che stabiliscono la cessazione della qualifica di rifiuto. Sono necessari criteri e linee guida univoci a livello di UE, che garantiscano l’uniforme applicazione delle norme end

of waste in tutti gli Stati membri. Questo faciliterebbe di parecchio il raggiungimento degli

obiettivi europei di riciclo, in particolare per quanto riguarda determinati flussi di rifiuti quali: materie plastiche post – consumo, pneumatici post – consumo, biomasse e garantirebbe una equivalente competitività.

• Le norme per stabilire quali rifiuti e sostanze chimiche siano pericolosi non sono ben allineate e ciò influisce sull'utilizzo delle materie prime secondarie

63 La classificazione della pericolosità dei rifiuti oggi si basa sui criteri del regolamento CLP. Ciò nonostante, Versalis ritiene che non debba essere allineata completamente ad essa. È infatti necessario tenere in considerazione la diversa natura intrinseca del rifiuto rispetto al prodotto. Il prodotto è immesso sul mercato e viene a contatto con i consumatori, il rifiuto no. Sono infatti previste soglie di concentrazione delle sostanze consentite differenti tra i prodotti ed i rifiuti. I rifiuti sono maneggiati esclusivamente da operatori professionali che adottano tutte le precauzioni del caso per limitare al minimo i rischi derivanti dalla loro esposizione e manipolazione. Nella determinazione del metodo di classificazione dovrebbe tenersi anche conto di questo, infatti, un allineamento completo con la classificazione CLP comporterebbe limiti di concentrazione di sostanze molto più stringenti che potrebbero inibire il riciclo anche quando lo stesso sarebbe tranquillamente possibile.

Quindi, il campionamento e le analisi chimiche da svolgere sui rifiuti devono essere pianificati tenendo conto delle sostanze che si può ragionevolmente presumere siano presenti nei prodotti che sono diventati rifiuti, partendo da considerazioni sui processi di produzione che li hanno generati e/o sugli usi specifici dei prodotti. Ovviamente non è così semplice come sembra, infatti, bisogna tenere conto dello stato in cui sono i rifiuti che arrivano agli impianti di trattamento, oltre al fatto che spesso si tratta di volumi eterogenei di diversi tipi di materiali. Pertanto, per proteggere l’ambiente e la salute umana, caratterizzare il prodotto in uscita, ossia la materia prima seconda recuperata, verificando che rispetti le norme di prodotto esistenti potrebbe essere risolutivo, tenendo anche conto delle difficoltà nel caratterizzare dettagliatamente i rifiuti in entrata.

64 Conclusioni

Il posizionamento è stato stilato tenendo in considerazione, come linee guida, i principi fondamentali perseguiti dalle normative coinvolte. Dunque, prefissandosi come fine primario la tutela dell’ambiente, la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori, la necessità di assicurare una corretta informazione sui rischi dovuti all’uso dei prodotti e, in seconda istanza, garantire la competitività economica. Inoltre, si è tenuto conto anche dei diversi obiettivi che la Commissione e l’Unione europea si sono proposte di raggiungere in ambito ambientale e per lo sviluppo dell’economia circolare. Si è, infatti, considerato che il proposito principale sia incentivare il riciclo e favorire lo sviluppo del mercato delle materie prime secondarie, così da garantire un effettivo slancio alla transizione economica che è iniziata. Si è provato a dare una risposta valida a tutte le sfide poste dalla Commissione, evidenziando anche aspetti critici e fornendo spunti ritenuti utili. Si consideri, ad esempio, la proposta di adottare un approccio “caso per caso” basato sulla valutazione del rischio per stabilire l’effettiva riciclabilità dei rifiuti contenenti legacy substances, un’ipotesi che anche gli intervistati hanno confermato come attendibile e valida. Si tenga anche in conto la volontà di non allineare la classificazione dei rifiuti a quella dei prodotti, ipotesi che è stata anche parzialmente confermata dal rappresentante del MATTM, il quale ha sottolineato come siano da considerare i diversi scopi delle due normative di riferimento (tutela dell’ambiente la normativa rifiuti, informativo il CLP). Inoltre, sono stati evidenziati alcuni gap nelle normative coinvolte e principalmente la necessità di:

• applicare repentinamente le restrizioni REACH snellendone l’iter di definizione; • riuscire a migliorare e standardizzare i sistemi di controllo doganali sulle merci

importate;

• armonizzare l’applicazione delle normative end of waste in tutti gli Stati membri dell’UE.

Dunque, gli spunti forniti nel posizionamento Versalis sono numerosi e sarà interessante vedere quanti di questi, insieme ai molti altri convogliati dai partecipanti alla consultazione pubblica, troveranno effettivamente attuazione negli sviluppi futuri che la Commissione deciderà di dare a questa tematica.

In considerazione del passaggio di consegne tra vecchia e nuova Commissione, non sembrano previste a breve novità inerenti l’interazione tra le normative sostanze chimiche – prodotti – rifiuti. In ogni caso, come ricordato, nel programma della nuova Commissione le politiche ambientali hanno un ruolo centrale e prioritario ed è noto che una delle azioni che

65 sicuramente sarà realizzata quanto prima è la No – Toxic Environment Strategy, di cui tanto si è parlato e al cui interno saranno sicuramente previsti interventi anche sulla tematica interface. Inoltre, in futuro, non è da escludere l’ipotesi che le quattro macroploblematiche vengano affrontate separatamente, in specifici interventi normativi, e non con un unico provvedimento che le comprenda tutte. Questa possibilità, presumibilmente, potrebbe esser presa in considerazione vista l’alta tecnicità e complessità rappresentata da ognuna di queste problematiche che, quindi, richiedono interventi specifici e mirati.

L’obiettivo che la Commissione si è prefissata di raggiungere per risolvere il problema dell’interazione tra le sostanze chimiche, i prodotti ed i rifiuti, per la sua complessità intrinseca, richiede senza alcun dubbio l’apporto di tutti i soggetti coinvolti. Fondamentale risulta il ruolo dell’industria, considerando che è il soggetto maggiormente coinvolto. Sono infatti le imprese stesse a dover poi operativamente adempiere agli obblighi normativi imposti. Soltanto con la cooperazione di tutte le parti interessate sarà possibile identificare la corretta armonizzazione tra tutte le normative coinvolte nella tematica per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’Europa.

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