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A questo punto si possono incontrare alcune virtù che accompagnano in positivo la mitezza; virtù che Bobbio considera ad essa complementari in

Nel documento ISLL Papers Vol. 5 / 2012 (pagine 41-44)

Un weiliano inaspettato.

4. A questo punto si possono incontrare alcune virtù che accompagnano in positivo la mitezza; virtù che Bobbio considera ad essa complementari in

quanto la rafforzano, ricevendone a loro volta ulteriore incoraggiamento. Si tratta della semplicità e della compassione.

Stavolta, più che ad una progressione, ci troviamo di fronte ad una serie di propedeuticità. Nel senso che la mitezza ha bisogno della semplicità – senza la quale non potrebbe sussistere – ed è a sua volta condizione necessaria della compassione. Per giungere al gradino più alto, la compassione, bisogna essere semplici e miti.

La semplicità è definita da Bobbio come «il rifuggire intellettualmente dal- le astruserie inutili, praticamente dalle posizioni ambigue». Essa si unisce «alla limpidità, alla chiarezza, al rifiuto della simulazione»19. Aiutandoci con il bio-

grafo di Francesco d’Assisi – il «semplice» per eccellenza –, possiamo dire che dell’Università, della Ricerca e della Formazione», n. 9 (settembre 1997), pp. 16-20 (la citazione è a p. 19). Il testo dell’intervista è disponibile ora on-line grazie alla Bibliografia bobbiana ap- prontata dal Centro Studi Piero Gobetti, all’indirizzo www.erasmo.it/bobbio/.

16 M. Mauss, Saggio sul dono, in Id., Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, To- rino 2000, p. 153 ss.

17 A. Caillé, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri, Tori- no 1998, p. 9. Nella ormai vasta letteratura sull’argomento, si vedano anche i contributi di J.T. Godbout, a cominciare da Lo spirito del dono, con la collaborazione di A. Caillé, Bollati Boringhie- ri, Torino 2002.

18 Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, cit., p. 25. 19 Ivi, p. 28.

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la semplicità è qualità propria di chi lascia agli altri gli ornamenti e le sotti- gliezze «e cerca non la corteccia ma il midollo, non l’involucro ma il nucleo»20.

È un pensiero, quello del semplice, che va all’essenza delle cose; è il pensiero di chi sa vedere quali sono i veri valori in gioco e non si fa distrarre dalle stra- tegie di chi lo vuol confondere.

La semplicità, perciò, è una forma dell’andare verso l’altro; è spogliarsi di tutto ciò che può far rimanere l’altro dietro una barriera che separa. Sotto questo aspetto, si può forse attribuire il carattere della mitezza a tutta la pro- duzione scientifica di Bobbio: nessuno come il pensatore torinese ha saputo infatti tenere insieme la chiarezza, la semplicità e la linearità con l’individuazione dei nuclei essenziali delle questioni di cui si andava occupan- do, facendo di questo stile uno strumento di dialogo costante21. Si è trattato

davvero, almeno per questo aspetto, di quella che è stata felicemente chiamata «una filosofia delle linee orizzontali»22.

Quello della semplicità è un tema sul quale ci si può fruttuosamente servi- re di uno spunto letterario al fine di poter sviluppare ulteriormente il discorso di Bobbio nella direzione weiliana che stiamo seguendo in questo scritto. Cre- do infatti che la testimonianza più esemplare di un pensiero ‘semplice’ (o dei ‘semplici’) si trovi in un episodio raccontato nel romanzo Una manciata di mo-

re di Ignazio Silone. Il nome di Silone non è citato a caso: egli era un grande

ammiratore di Simone Weil, di cui aveva fatto il personaggio principale del suo ultimo romanzo incompiuto, Severina.

L’episodio è il seguente. Silone racconta di due contadini, i quali non rie- scono a capire il linguaggio di un carabiniere che viene prima a minacciare una sanzione e poi ad annunciare la concessione di una medaglia perché hanno da- to del pane a un uomo che aveva fame. La contadina aveva visto semplicemen- te «un figlio di madre», là dove il carabiniere e il potere di cui era mandatario vedevano prima un nemico e poi un alleato.

I due contadini non capiscono le costruzioni artificiose del carabiniere e ripetono continuamente: «era un pezzo di pane scuro, come usiamo noi conta- dini. Un pezzo di pane qualsiasi. L’uomo aveva fame. Anche lui era un figlio di

20 Fra Tommaso da Celano, Vita di San Francesco d’Assisi e Trattato dei Miracoli, Edizioni Porziuncola, Assisi 1993, pp. 364-5 (Vita seconda, cap. CXLII).

21 In più punti ricorda questo aspetto Pietro Polito (cui va riconosciuto il merito di aver favorito la pubblicazione di molti degli scritti che stiamo analizzando, a cominciare proprio da quello sulla mitezza) nel dialogo Il mestiere di vivere, il mestiere di insegnare, il mestiere di scri- vere, in «Nuova Antologia», fasc. 2211 (lug.-sett. 1999), pp. 5-47. A favore di una considerazione della mitezza quale cifra rappresentativa di tutti gli ideali di Bobbio argomenta W. Magnoni, Persona e società: linee di etica sociale a partire da alcune provocazioni di Norberto Bobbio, Edi- zioni Glossa, Milano 2011, p. 206 ss.

22 S. Amato, Una filosofia delle linee orizzontali, in Aa.Vv., Metodo Linguaggio Scienza del

diritto. Omaggio a Norberto Bobbio (1909-2004), a cura di A. Punzi, Quaderni della Rivista Inter- nazionale di Filosofia del diritto, Giuffrè, Milano 2007, p. 33.

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madre». Essi non riescono a capire come possa cambiare questo fatto la consi- derazione che «in città» le cose sono cambiate; non riescono soprattutto a ca- pire come possa essere cambiato «il modo di decidere se un fatto è bene o ma- le». Per loro, il bene e il male non possono cambiare, allo stesso modo in cui «le pietre sono rimaste dure e la pioggia è sempre umida»23.

Ora, non è un caso che questo episodio abbia al centro un pezzo di pane. Il pane è il cibo più semplice ed è per antonomasia il cibo dei semplici. Ma è an- che il cibo più essenziale. Quando manca il pane, manca tutto. Inoltre, il pane è per definizione qualcosa che si condivide; spezzare il pane è la via per molti- plicarlo24. Nell’immagine stessa del pane si esprime perciò quella “misura

umana” che uno scrittore come Jean Giono attribuiva propriamente ai conta- dini. Eccoci all’incontro con un altro compagno di viaggio sulle strade della mi- tezza. Jean Giono è l’autore di una splendida Lettera ai contadini sulla povertà

e la pace che è un inno alla mitezza ed è un attacco radicale alla logica della

forza che si esprime attraverso lo Stato, il denaro, la guerra. Per Giono, «c’è una misura dell’uomo alla quale bisogna costantemente rispondere»25. Il sem-

plice è colui che non smarrisce questa misura; che non si perde per le strade del mondo (del consumo, dell’apparire, del travisare, del costruire nemici, ecc.).

La semplicità di Bobbio può essere perciò accostata alla ‘misura’, una virtù (e una parola) alla quale Simone Weil assegnava valenze positive contro il ne- gativo della dismisura. Poiché senza misura sono la forza e il potere, cercare di stare dentro una misura – avere consapevolezza del limite – fa parte della strategia di contenimento della forza e del suo dominio, alla quale altrimenti non si può che soggiacere. È un punto sul quale, significativamente, le analisi di Bobbio e della Weil coincidono perfettamente: la forza per sua natura non conosce equilibri, e anzi la stessa ricerca di un equilibrio tra le forze assomi- glia spesso a «un principio di guerra» poiché essere più forti dell’altro è l’unica maniera che si ha per non soccombere26.

23 I. Silone, Una manciata di more, parte terza, cap. 5, Mondadori, Milano 1990, p. 250 ss. 24 Rinvio qui alle belle e sempre intense pagine di E. Bianchi, Il pane di ieri, Einaudi, Tori- no 2008, in particolare p. 39 ss.

25 J. Giono, Lettera ai contadini sulla povertà e la pace, a cura di M.G. Gini, Ponte alle Gra- zie, Firenze 1997, p. 92.

26 Cfr. le considerazioni di Bobbio relative all’equilibrio del terrore contenute ad esempio in Il terzo assente. Saggi e discorsi sulla pace e la guerra, a cura di P. Polito, Sonda, Torino, 1989, p. 63 ss e quelle di S. Weil relative all’equilibrio europeo nel periodo tra le due guerre in Sulla guerra, a cura di D. Zazzi, Pratiche, Milano 1998, p. 77 e 90. «Il presunto equilibrio del terrore – scrive Bobbio in Etica della potenza ed etica del dialogo – si è continuamente squilibrato e si è riequilibrato sempre, ripeto, sempre, a un livello superiore, in un processo che non può condur- re […] se non all’invenzione dell’arma assoluta» (in Etica e politica. Scritti di impegno civile, a cura di M. Revelli, Mondadori, Milano 2009, p. 1029); «è evidente – scrive la Weil nell’articolo L’Europa in guerra per la Cecoslovacchia? – che il grande principio dell’ “equilibrio europeo” è, se vi si riflette, un principio di guerra. In base a tale principio, un paese si sente privo di sicurez-

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Da questo punto di vista, la mitezza assurge davvero ad una scelta metafi- sica, come dice Bobbio, in quanto «affonda le radici in una concezione del mondo»; ma si tratta di una scelta metafisica che si traduce immediatamente in storia, in quanto realizza «una reazione alla società violenta in cui siamo co- stretti a vivere».

5. Ora, è forse nell’ultima parola che Bobbio ci presenta che possiamo tro-

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