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Post scrittum: Leonardo Corona a San Zulian, e poi?

PARTE II LEONARDO CORONA E LA CHIESA DI SAN ZULIAN

C) I dipinti

V. LE STORIE DELLA PASSIONE DI CRISTO PER LA CHIESA DI SAN ZULIAN:

V.3 Post scrittum: Leonardo Corona a San Zulian, e poi?

L'intervento di Leonardo Corona a San Zulian si iscrive in un contesto molto complesso, cui partecipano da una parte il pievano Mattio de' Ferrari e i sacerdoti a servizio della parrocchia e magari qualche predicatore, dall'altra i procuratori di chiesa e in particolare il benefattore Gerolamo Vignola, e i rappresentanti di spicco della più potente e numerosa confraternita della parrocchia: la scuola del Santissimo. Se nella cappella del Sacramento il pittore dimostra indiscutibili qualità pittoriche e inventive, nei teleri per il ciclo della Passione di Cristo si piega alle esigenze di un'operazione di propaganda di chiara matrice controriformata che non lascia spazio all'estro, costringendo le rappresentazioni entro formule narrative non sempre riuscitissime. Ma che l'artista possieda il talento necessario per farsi strada altrove, e autonomamente (ricordiamo che San Zulian è un cantiere corale, dove il rischio più

510 A. Gentili, La bilancia dell'arcangelo. Vedere i dettagli della pittura veneziana del Cinquecento, Roma, Bulzoni,

grande era proprio quello di perdere in un certo senso l'identità), è un fatto che i suoi contemporanei non possono negare. Cominciano così ad arrivare le commissioni, numerose, e quasi tutte per luoghi extraveneziani. Delle opere giunte sino a noi e con una datazione indicativa piuttosto verosimile, dovrebbero collocarsi intorno al 1585 la Madonna con bambino e san Giovannino sulle nubi e i santi Girolamo,

Sebastiano, Maria Maddalena, Caterina e il ritratto del cardinal Giovan Francesco Commendone per la chiesa dei Cappuccini di Padova511 (ora chiesa di Sant'Anna,

frazione di Sant'Anna Morosina, San Giorgio in Bosco, PD) e il Supplizio di

Sant'Agata ai Musei civici di Padova (fig. 102; già chiesa di Sant'Agata, Padova)512.

A dar retta alle fonti poi, egli avrebbe eseguito per la stessa chiesa dei Cappuccini di Padova due dipinti posti sui muri laterali della cappella maggiore con figure di sante di cui si sono ormai perse le tracce, che affiancavano la grande pala di Dario Varotari con la Trasfigurazione. Ancora: per quanto poco affidabile, Federici ricorda nella chiesa dei Cappuccini di Treviso un trittico opera di Leonardo Corona,

rappresentante nell'affollatissima tavola centrale la Santissima Trinità e i santi

Giovanni Battista, Francesco, Bonaventura, Ludovico, Chiara, Elisabetta Regina d’Ungaria, Marta e Cristina, e nei due pannelli laterali i Santi Pietro e Paolo a

511 La pala col ritratto di Giovan Francesco Commendone decorava l'altare dell'antica chiesa cappuccina dedicata alla

Trasfigurazione di Cristo, presso cui il cardinale viene sepolto nel gennaio(?) 1584. Sappiamo inoltre che i frati Cappuccini si insediano a Padova intorno al 1554 nel borgo di Santa Croce, e precisamente nello stesso luogo presso cui le monache benedettine della chiesa di Sant'Agata (e quelle di Santa Cecilia) detengono alcuni stabili con tanto di orto. Il cardinale, ormai caduto in disgrazia e ritiratosi a Padova, potrebbe aver fatto ricorso a Corona dopo averne ammirato il Supplizio di Sant'Agata nell'omonima chiesa, o forse le monache essersi rivolte al pittore dopo che questi aveva realizzato la pala Commendone. Sulla pala Commendone è intervenuta in una scheda

assolutamente scorretta G. Ericani, “Leonardo Corona, La Madonna della Cintola, santa Caterina, santa Maria Maddalena, san Girolamo, san Sebastiano e committente", in Dall’Adige alle Alpi. Tesori ritrovati della Chiesa di Padova, a cura di Andrea Nante, cat., Padova, Museo Diocesano, 15 marzo – 1 giugno 2003, Padova, Museo diocesano, 2003, scheda n. 10, pp. 74-75. Si veda anche G. Rossetti, Descrizione delle pitture sculture ed

architetture di Padova. Con alcune Osservazioni intorno ad esse, ed altre curiose Notizie di Giambattista Rossetti. Parte prima Edizione terza accresciuta, e migliorata, Padova, nella Stamperia del Seminario, 1780, p. 109; P. Brandolese, Pitture sculture architetture ed altre cose notabili di Padova nuovamente descritte da Pietro

Brandolese con alcune brevi notizie intorno gli artefici mentovati nell’opera, Padova, a spese di Pietro Brandolese libraio, 1795 [rist. anastatica, Bologna, Forni, 1974], pp. 114-115; A. Moschetti, "La prima revisione delle pitture in Padova e nel territorio (1772-1793)", in Bollettino del Museo Civico di Padova, VIII (gen.-febbr. 1905), n. 1, pp. 90-91; D. Tosato, “Riflessioni sulla mostra Dall'Adige alle Alpi. Tesori ritrovati della chiesa di Padova, in Venezia Arti, 2003-2004, 17-18, pp. 156-157. Sul cardinal Giovan Francesco Commendone: D. Caccamo, “Commendone, Giovanni Francesco”, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Treccani, 1982, XXVII, pp. 606-613; G. F. Commendone, Discorso sopra la Corte di Roma e altri scritti, a cura di D. Rota, Bergamo 1983; D. Rota, “Giovan Francesco Commendone fra storiografia, cultura e tradizione nel quarto centenario della morte (1584-1984), in Atti dell'Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Bergamo, XLV, 1984-85. Sul Supplizio di Sant'Agata si veda S. Mason Rinaldi, “Leonardo Corona. Martirio di Sant'Agata”, in A. Ballarin, D. Banzato (a cura di), Da Bellini a Tintoretto. Dipinti dei Musei Civici di Padova dalla metà del Quattrocento ai primi del Seicento, cat., Padova, Musei Civici, 19 maggio 1991- 17 maggio 1992, Roma, Leonardo De Luca Editore, 1991, scheda 169, p. 244 (con bibl.).

destra e le Sante Cecilia e Agata a destra. Saremmo dunque ancora in un luogo extraveneziano e per di più in un'altra chiesa cappuccina.

Dalla terraferma Leonardo torna a interessare i committenti veneziani intorno alla fine degli anni Ottanta513, quando una concentrazione assolutamente

straordinaria di commissioni piovono letteralmente dall'alto. Arriva così il fatidico anno 1590, data iscritta sulla Raccolta della manna (fig. 24) per la confraternita del Santissimo Sacramento di San Giovanni Elemosinario e sulla Crocifissione di

Sant'Andrea (fig. 25) per l'arte dei cimadori della stessa parrocchia. Nello stesso anno

- ci torneremo - Leonardo dovette ultimare anche l'enorme Crocifissione (fig. 59) per la Scuola del Santissimo Sacramento di San Fantin. Il 1590 è infine la data

tradizionalmente riferita alla Crocifissione per l'altare di Marco Querini a Santa Maria Formosa (fig. 103; ora Gallerie dell'Accademia, depositi di San Gregorio) e alla straordinaria Madonna della cintura con i Santi Agostino, Monica, Stefano,

Nicola da Tolentino e Guglielmo di Malavalle (fig.52) della chiesa di Santo Stefano

di Venezia.

Sarà allora il caso di indagare nel dettaglio questo momento cruciale, per tentare di capire attraverso quali canali Leonardo si sia fatto strada fuori e dentro Venezia, quale tipo di committenza si rivolga a lui e per quali ragioni, attraverso quali mezzi

513 È senza dubbio da scartare l'attribuzione a Leonardo Corona dell'Ecce homo, conservato presso la Galleria

Nazionale delle Puglie di Bitonto, e resta pure dubbia l'autografia della Deposizione, datata 1588, proveniente dalla chiesa di San Francesco di Bitonto e ora a Palazzo Sylos Calò. Purtroppo non ho potuto vedere il dipinto di persona e lo conosco solo attraverso una riproduzione fotografica, gentilmente fornitami da Nuccia Barbone della

Soprintendenza delle Puglie. Non posso dunque pronunciarmi in maniera definitiva. Intanto però si potrà dire che si tratta certamente di un artista veneto che ricorda per certi versi alcune delle tele di San Zulian: si veda in particolare l'assonanza tra la figura di Giovanni (Battista? Gli "abiti" non possono essere che i suoi. Ma che ci fa in una Deposizione?) alle spalle di Cristo e il Profeta Isaia, e ancora del volto della Vergine, vecchissima, con quello della stessa figura nella Deposizione. Che l'autore sia da identificarsi proprio col misterioso pittore attivo a San Zulian? Quanto all'attribuzione a Corona, Maria Luisa Rienzo nella recente scheda dedicata al dipinto in occasione della mostra L’Eucaristia nell’arte in Puglia (a cura di R. Gnisci, M. Milella, F. Russo, s.l., Edizioni romane, 2005, n. 14, p. 65) descrive Corona come "pittore veneziano del Cinquecento ma attivo nell'Italia meridionale", lasciando supporre al lettore un soggiorno al sud di Leonardo o rapporti di qualche tipo con i committenti locali. Tutte asserzioni assolutamente prive di documenzione. Mi pare invece che la ragione principale per cui questo dipinto è finito ad arricchire il catalogo di Leonardo Corona sia l'abbraccio di una delle Marie alla Vergine svenuta, che riprende identico quello del dipinto dello stesso soggetto presso la sala terrena della Scuola de' Picai. Ma al di là di questo particolare che sembra quasi ricavato da un cartone (a opera di un collaboratore di Corona per esempio?), la distanza tra queste due tele è enorme. Non c'è neppure una figura che possa definirsi autenticamente coronesca. I tipi femminili possono apparentarsi eventualmente a quelli di Andrea Vicentino, e fortissima è l'assonanza di certe figure con il linguaggio del pittore cappuccino Paolo Piazza: si veda in particolare la figura di Cristo che rievoca quella del Compianto di Cristo con i santi Caterina e Francesco (Innsbruck, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum o della Pietà di ubicazione ignota. Su Paolo Piazza: S. Marinelli e A. Mazza (a cura di), Paolo Piazza. Pittore cappuccino nell'età della Controriforma tra conventi e corti d'Europa, Verona, Editoriale Bortolazzi, 2002, per i dipinti citati in particolare pp. 99-100, 138-139. Ringrazio molto Nuccia Barbone per la gentilezza e la rapidità con cui è venuta incontro alle mie varie richieste.

egli divenga nello spazio di appena otto anni il più temuto concorrente di Palma e una promessa per la pittura veneziana dell'ultimo decennio del Cinquecento. Promessa purtroppo stroncata dalla morte prematura.