III. IL DIBATTITO CRITICO IN ITALIA
4.4. Post-storia / post-umano
«Post-histoire è, avverte Angelo Trimarco, [...] un termine che in diversa misura, ha suggerito, da Arnold Gelhen a Arthur C.Danto […], un modo credibile per riflettere sulla questione della post-modernità. In maniera più specifica per analizzare i discorsi sull'arte e la critica».294
Del resto, la fine della storia, appunto il post-histoire, e la fine della modernità, post- modern, «non indicano il superamento della storia e della modernità ma il loro attraversamento»,295 pur segnando, «certo in maniera radicale, una discontinuità con la storia e la modernità intese, appunto, come spazio dominato dai processi lineari e dalla logica del superamento». In questo senso, «il “post” di Post-storia, di Post-moderno e di Post-human ha segnato, indicandone il compimento, una frattura e una discontinuità con il moderno e con l'umano e non semplicemente uno stile unitario, omogeneo e compatto, una sorta di spirito del tempo, appunto, di Zeitgeist».296 È questa una posizione ribadita con forza da Trimarco, ponendosi in antitesi rispetto ad una visione “apocalittica” della critica, da Baudrillard a Virilio, da Bauman a Michaud, che ha tracciato «una linea continua scandita dalla sequenza, perfino luttuosa, avanguardia- postmoderno-fine dell'arte».297 In opposizione a questa visione, Trimarco rivendica la vitalità dell'arte (è semmai la critica a non godere di buona salute), in quanto «modello di decostruzione e costruzione di altri linguaggi».298 Col Post-histoire l'arte si fa anzi «luogo di annessione della pratica critica, facendosi essa stessa pratica critica, è divenuta figura di modellazione dell'architettura e dell'antropologia del cyberspazio. Ha mantenuto, in qualche modo, il privilegio di un sapere decostruttivo e fondativo».299 È in questa temperie culturale, ancora dominata dal dibattito tra moderno e postmoderno che Trimarco, riproponendo il calambour dell'invito della mostra Post-Human, che esortava il “popolo dell'arte” a dirottare su Losanna disertando Kassel, mette a confronto due proposte antitetiche: quella della coeva Documenta IX (giugno 1992) che «si limita a ribadire con ingenuo continuismo la
294
A.Trimarco, Post-storia. Il sistema dell'arte, Editori, Riuniti, Roma, 2005, p.35
295 Ibidem
296A. Trimarco, Ornamento. Il sistema dell‟arte nell‟epoca della megalopoli, Mimesis, Milano-Udine, 2009., p.8 297Ivi, p.9
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Ivi, p.10
freccia del moderno dopo le svagatezze nomadi del postmoderno»300 e la proposta di Jeffrey Deitch, della quale Trimarco mette soprattutto in luce due nodi teorici fondamentali, ovvero l'intreccio di organico e artificiale e la «sollecitazione a una ricostruzione dell'io dopo l'eclissi del “grande racconto” della psicoanalisi»,301
una refigurazione (che Deitch definisce ottimisticamente “miglioramenti”) che i progressi della biotecnologia rende possibile.
Trimarco rileva giustamente come ci sia uno iato tra la posizione teorica di Deitch, secca e controllata, e i lavori presentati: «in vero, il lavoro degli artisti messo in mostra non offre, se non marginalmente, esempi credibili di questi assunti»302 e nessuno di loro si avvicina minimamente ad interagire coi codici genetici, niente di simile, per intenderci, alla vertigine dell'Art Biotech. I territori battuti dalla mostra Post-Human sono anzi quelli della mostruosità e dell'oscenità estrema, termini utilizzati nella loro accezione etimologica originaria, ovvero monstrum-avvertimento e obscenum-oltre la scena, ovvero «la scena del modello identitario, che, evidentemente, non è solo freudiana».303 E non è un caso, che per dipanare le declinazioni estreme del Post-Human, legate alla critica del modello identitario, Trimarco si rifaccia al lavoro di ORLAN, artista che in quegli stessi anni riconfigura ambiti e territori delle poetiche corporali in una accezione estrema e che tuttavia non è presa in considerazione da Deitch per la sua mostra. Oltre la (inevitabile) spettacolarizzazione mediatica, Trimarco si sofferma sulle refigurazioni, chirurgiche e virtuali, di ORLAN, autoritratti «che mettono in gioco, vorrei dire con Derrida, l'autos dell'autoritratto: l'idea appunto che l'autos, il sé, è identità consegnata a una definita unità di senso».304
ORLAN come antropologa mutante, dunque, alfiera dell'ibrido, del dislocato, del deterritorializzato. Trimarco tuttavia mette anche in evidenza come ORLAN rivendichi costantemente la sua posizione di artista, il suo produrre opere, sempre e comunque: «è soprattutto un momento in sala operatoria, un momento che trasforma il blocco operatorio in un atelier d‟artista, in cui ho coscienza di fare delle opere, non solamente di dare ordini, per il video, per il film, ai fotografi che si trovano sul posto, dove posso decidere delle inquadrature […]. Ma anche dei Disegni fatti con le dita nel
300 A. Trimarco, Post-storia. Il sistema dell'arte, cit., p.55
301A. Trimarco, Galassia. Avanguardia e postmodernità, Editori Riuniti, Roma, 2006, p.56 302 A. Trimarco, Post-storia. Il sistema dell'arte, cit., p.56
303
Ibidem
sangue, ed anche fare dei Reliquari con la mia carne e dei Sudari con le bende mediche. Perciò ogni volta c‟è produzione d‟opera, e talvolta ciò è inteso male, perché queste opere da un lato sono molto vicine alla performance, e dall‟altro molto distanti. Sono opere completamente autonome».305 ORLAN compie, in questo modo, un‟operazione analoga a quella effettuata da Hermann Nitsch, che rappresenta, in un certo senso, il tentativo di rientrare in quel sistema dell‟arte dal quale entrambi si sono allontanati attraverso una serie di effrazioni. Una sorta di ripiegamento, per cui «nello spazio del Post-Human, in maniera più puntuale, la pratica critica è segnata, insieme all'arte stessa, dalla sorte comune di riflettere e lavorare sull'ottusità e l'opacità del reale, oltre ogni possibile mediazione simbolica. Così, l'arte e la critica, ancora insieme, sprofondano nel reale estremo»,306 in quello che Perniola chiama realismo psicotico. «In questo quadro teorico l'esempio di ORLAN è, allora, di grande interesse: è spia e sintomo di come si provi a mettere in problema il lì, duro e muto, del reale, la sua presenza ottusa, oltre ogni possibile mediazione. È una mossa per dire con radicalità come l'arte non può rinunciare a scegliere la via lunga dei linguaggi e dei processi di simbolizzazione, sottolineando che la pratica dell'arte è, essenzialmente, un lavoro preso nella trama e nell'intreccio di questi processi».307
Nel più recente Ornamento Trimarco intreccia i percorsi impervi del Post-Human e quelli inquieti dell'Art Biotech con le complesse problematiche legate, nell'epoca della megalopoli, all'arte e l'abitare: «i problemi del vivente e della sua manipolazione, i temi della biopolitica, e, insieme, della trasformazione della città […] sono le questioni, teoriche ed etiche, di maggiore rilevanza»308 allo schiudersi del nuovo millennio, caratterizzato dall'«irruzione del virtuale e dell'ingegneria genetica, delle biotecnologie e della biologia stessa come medium»309 che invera la precoce intuizione di Anders secondo la quale “l'uomo è antiquato”.310
305 Ivi, p.151
306 Ivi, p.60 307
A. Trimarco, Post-storia. Il sistema dell'arte, cit., p.60
308 A. Trimarco, Ornamento. Il sistema dell‟arte nell‟epoca della megalopoli, cit., p.11 309 Ivi, p.69
310 cfr. G.Anders, trad.it. L'uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino, 2003. Per una disamina dell'opera
andersiana cfr. E.Pulcini, L' “homo creator” e la perdita del mondo, in M.Fimiani, V.G. Kurotschka, E.Pulcini (a cura di), “Umano Post-Umano. Potere, sapere, etica nell'età globale”, Editori Riuniti, Roma, 2004
Alle osservazioni sul corpo post-organico, che diviene «corpo multicodico, scorrimento, intreccio, contaminazione di codici plurali»311 Trimarco collegandosi alle speculazioni dell'antropologia filosofica, che nel nome di Foucault incentra la domanda sul dopo-uomo sul «vuoto dato dallo sradicamento dell'antropologia»312 rileva, a mo' di antidoto, le esperienze legate alla “ri-materializzazione” dell'Art Biotech, che è ben diversa, come avverte Jens Hauser, da un mero ritorno all'oggetto né a un improbabile rtorno dell'arte a luogo della rappresentazione, anche se, avverte Trimarco, non è un caso che nel Post-Human e nelle sue estreme propaggini dell'Art Biotech grande importanza sia data al tema del ritratto, cui «almeno in Occidente, è legata la nascita stessa della pittura».313 È questo il caso di ORLAN, ma anche di artisti come Marc Quinn, il cui modus operandi sfiora la temperie biotech o del duo Art Orienté Objet che col loro progetto Cultures de peaux d'artistes varano, come per certi versi fa anche Marta de Menezes, un nuovo tipo di autoritratto, biotecnologico. Ricerche che dal campo estetico si insinuano in quello etico, riannodando, in un'epoca di disimpegno generato dal caos mediatico globalizzato, le fila di arte vita, reinverano la tradizione del Gesamtkunstwerk. «Da questo punto di vista, il Post-Human, nei suoi difficili e articolati itinerari, contribuisce, oltre le rovine dell'antropologia, a mantenere desta la domanda sul dopo uomo e la riflessione su questioni etiche irrinunciabili, quali la responsabilità, la cura del vivente, uomo o animale, i rischi connessi alle strategie biopolitiche di dominio».314 In questo senso il “post-post- human”, rappresentato dalla vertigine dell'Art Biotech, «segna la parabola di un processo iniziato con il “miracolo” di Lascaux che dice, appunto, della “nascita dell'arte: miracolo che, secondo i pensieri di Bataille, suggerisce il paradosso stesso dell'umano».315 In questo senso, rileva infine Trimarco, L'Art Biotech «si affida, nuovamente, a un'idea dell'arte come pratica ed
311
A. Trimarco, Ornamento. Il sistema dell‟arte nell‟epoca della megalopoli, cit., p.70
312 M.Fimiani, Antropologia Filosofica, Editor Riuniti, Roma, 2005, p.95 «Mi sembra, in questo disegno
critico,che la lettura delle esperienze del Post-Human -, in particolare, di alcuni protagonisti di queste inquiete stagioni dell'arte – come “antropologia mutante” sia ancora, riduttivamente, tributaria del pregiudizio antropologico»
313 A. Trimarco, Ornamento. Il sistema dell‟arte nell‟epoca della megalopoli, cit., p.71. Sulla storia del ritratto,
si veda almeno Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, libri XXXV-XXXVI, testo critico, introduzione e commento di S.Ferri, introd.di M.Harari, BUR, Milano, 2000, p.253; E.H.Gombrich, Ombre, trad.it. Einaudi, Torio, 1996; E.Pommier, Il ritratto. Storie e teorie dal Rinascimento all'Età dei Lumi, trad.it. , Einaudi, Torino, 2003; J.-L.Nancy, Il ritratto e il suo sguardo, ed. it. A cura di R. Kyrchmayr, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2002
314A. Trimarco, Ornamento. Il sistema dell‟arte nell‟epoca della megalopoli, cit., p.74 315
Ibidem, cfr. G.Bataille, trad.it L' al di là del serio e altri saggi, a cura di F.C.Papparo, Guida Editore, Napoli, 2000, p.362
esercizio sociale, con la convinzione, propria dell'avanguardia storica e della neoavanguardia, che l'arte deve contribuire alla trasformazione della vita e del mondo».316 La medesima funzione etica è detenuta dall'arte pubblica - del resto ethos, sottolinea Trimarco, significa anche dimora - ed è per questo motivo che Post-Human e arte pubblica, in maniera quasi sorprendente, «si pongono come “laboratorio” e “campo di battaglia” per lottare contro la violenza della manipolazione del vivente e del governo della vita, contro l'ossessione degli “spazi preclusi”, radicalmente, della città come spazio riservato e coperto».317
Per quanto possa sembrare singolare dunque, Post-Human e arte pubblica stringono un'alleanza nel nome dell'ethos, inteso come dimora e cura del vivente a un tempo, espressione di un'etica dell'ospitalità (Derrida), come apertura a reciproci processi di soggettivazione.
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Ivi, p.75