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Sarà lo Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300) a cambiare profondamente la disciplina originaria delle mansioni. La legge infatti stabilì l’abrogazione completa della vecchia disciplina dell’art. 2103 c.c. e la sua sostituzione con una nuova contenuta nell’art. 13 dello Statuto, articolo che chiude il titolo primo dello statuto e che si colloca in maniera significativa fra le norme a tutela della libertà e dignità del lavoratore.

L’art. 13 dello Statuto23

riprende l’art. 2103 c.c. nella parte in cui prevede che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è

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“ Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non

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stato assunto, disciplina poi la modifica in orizzontale a mansioni equivalenti e in verticale a mansioni superiori, con l’implicita esclusione della modifica verso il basso, cioè a mansioni inferiori.

Si stabilisce infatti la nullità delle vicende modificative contrarie alla disciplina indicata, anche nei casi in cui è presente il consenso del lavoratore. Proprio quest’ultima previsione mostra l’obiettivo principale della modifica legislativa ovvero la riduzione del potere del datore di lavoro garantendo l’immutabilità in pejus delle mansioni anche nell’ipotesi di un consenso del lavoratore.24

Le novità dell’articolo trovano la loro ratio nella volontà di eliminare le debolezze della vecchia disciplina.

La modifica del 1970 ha introdotto grandi novità nella materia e ha provocato incertezze applicative dovute alla forte contrapposizione di interessi, si colloca infatti in bilico fra il primo comma dell’art. 41 Cost. che prevede la libertà di iniziativa economica privata e il secondo comma che stabilisce che tale libertà non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità della persona del lavoratore.

L’articolo non trascura poi quello che è la continua evoluzione del mondo del lavoro per cui prevede che il lavoratore deve essere adibito non soltanto alle mansioni di assunzione ma anche a quelle equivalenti alle ultime effettivamente svolte e a quelle superiori. Questo riferimento alle ultime mansioni effettivamente svolte ha creato in realtà problemi interpretativi in quanto si fa riferimento sia alle mansioni di assunzione (quindi tutelando il profilo della contrattualità delle mansioni) sia alle ultime effettivamente svolte, facendo riferimento così a una situazione di fatto. L’apparente contraddittorietà trova origine nel fatto che nella determinazione dell’oggetto della prestazione di lavoro si indicano varie

superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.”

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attività del prestatore, le quali comunque rientrano nella sua qualifica; trattandosi di varie attività queste non saranno esigibili tutte contemporaneamente e sarà dunque il datore di lavoro a stabilire quali richiedere nel dato momento. Col riferimento alle “mansioni ultime effettivamente svolte” ci si dovrà riferire a quelle che il lavoratore sta prestando al momento dell’esercizio del potere di mutamento delle mansioni da parte del datore di lavoro.

Prima della modifica del 1970 in caso di conflitto la norma subordinava l’interesse del lavoratore a quello dell’impresa, il lavoratore infatti si trovava in una posizione di disparità, essendo esposto al potere di licenziamento ad nutum. Con l’introduzione dello Statuto dei lavoratori la situazione è completamente modificata, poiché la norma è diretta non più a garantire in via prioritaria il datore di lavoro ma a contemperare i contrapposti interessi del lavoratore e del datore. Da un lato infatti vi è l’interesse dei primi a vedere tutelata la loro professionalità, da collegarsi con alcuni principi costituzionali quali l’art. 4 e l’art. 35 della Costituzione i quali delineano una tutela del lavoro inteso non solo come fonte di sostentamento ma soprattutto come strumento che garantisce la dignità e la personalità del lavoratore. È necessaria infatti una lettura “costituzionale” dell’articolo 2103 c.c. che permetta di coglierne nel profondo il suo significato: il diritto alla mansione convenuta al momento dell’assunzione o a mansioni compatibili con la qualifica e la categoria di appartenenza consente di garantire una efficace tutela del patrimonio professionale del lavoratore. Il lavoratore è poi tutelato nella seconda parte dell’articolo in cui si prevede che l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva dopo un periodo fissato dalla contrattazione collettiva e comunque non superiore a tre mesi sempre che l’assegnazione non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. Dall’altro lato comunque il legislatore ha tenuto anche in considerazione gli interessi

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dell’impresa (da collegarsi all’art. 41 della Costituzione) a un impiego elastico in funzione dell’organizzazione produttiva.

In riferimento al fatto che l’assegnazione a mansioni superiori diventa definitiva dopo un periodo non superiore a tre mesi ed avviene automaticamente sembra che venga meno il principio di contrattualità delle mansioni poiché il lavoratore potrebbe subire uno spostamento a mansioni superiori pur non esprimendo il consenso (il lavoratore per esempio potrebbe essere contrario alla promozione in quanto comporterebbe maggiori responsabilità).

In realtà occorre analizzare la disposizione riferendosi a quella che è la sua ratio e quella dell’intero Statuto dei lavoratori che è volto a tutelare i lavoratori limitando i forti poteri datoriali che venivano esercitati prima della l. 300/1970.

La ratio di questa disposizione è infatti indirizzata a impedire che il lavoratore venga sfruttato dal datore di lavoro nell’adempimento di mansioni superiori a quelle previste dal contratto senza che ne consegua una promozione, la previsione dei tre mesi massimi trascorsi i quali si ha la promozione ha proprio lo scopo di limitare questo comportamento dei datori di lavoro e tutela quindi il lavoratore e il suo interesse a un avanzamento di carriera. La norma opera nel senso di rendere automatica la promozione a prescindere dalla volontà del datore di lavoro mentre il lavoratore potrebbe manifestare il suo dissenso e opporsi così a questo meccanismo automatico.