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Questo capitolo rappresenta lo stato dell’arte in merito al design critico-speculativo emerso negli ultimi vent’anni attraverso pratiche progettuali che fanno riferimento al modello problem-posing (Blauvelt e Davis 1997) o problem-setting (Schön 1983) e che sono rivolte a produrre una forma di conoscenza critica, parziale e situata (Haraway 1988). Quelle che vengono chiamate critical-

speculative practices costituiscono oggi un'estensione riconosciuta nel mondo del design104. Tuttavia questi approcci sperimentali – in cui l'attività speculativa accompagna la pratica progettuale per articolare e ridefinire un determinato problema piuttosto che risolverlo attraverso la produzione di un prodotto, un artefatto, un dispositivo o un servizio – vengono descritti e raggruppati attraverso diverse etichette: critical design, fiction design, speculative design, conceptual design, adversarial design, discursive design. La varietà di questa nomenclatura, e il fatto che queste etichette condividano molti punti in comune senza però sovrapporsi completamente, è sintomo sia della complessità che

caratterizza queste tematiche, che della poca chiarezza con cui sono state affrontate, analizzate e discusse. All'interno di questa ricerca si è deciso di descrivere e ridefinire queste pratiche attraverso due concetti, quello di critica e quello di speculazione. Il primo capitolo è servito per argomentare e riconfigurare una nuova idea di critica progettuale attraverso cui un progetto di design – in particolare di design della comunicazione – può partecipare alla costruzione di nuove forme di conoscenza. Prima di passare all'analisi della casistica è però necessario un chiarimento in merito all'altro concetto con cui queste pratiche si presentano o vengono descritte, quello della speculazione.

Il concetto di speculazione, e la sperimentazione di approcci speculativi al progetto, non sono certamente delle novità nel campo del design. Come testimonia il legame tra pratiche progettuali e impulsi utopici che accompagna la disciplina fin dalle sue origini (Margolin 1997), il design è caratterizzato da una tensione dialettica tra reale e possibile, tra il mondo per come è e il mondo per come potrebbe essere105. In questo senso la speculazione – intesa in modo generico come la

formulazione e lo sviluppo di ipotesi che si allontanano dalla realtà dei fatti – è in qualche misura sempre presente nel design106. Proprio questa prossimità tra pratiche progettuali e speculazione è alla

104“You could say that design has been stretching in four different directions: it has extended toward strategic business innovation by ‘design thinking’ on one side; and toward more complex and constantly changing ecosystems by digital service ‘interaction design’ on a second side; while becoming a more established discipline at universities with ‘design research’ and ‘design studies’ on a third side. It would be no

exaggeration to say that a whole fourth side of extension has occurred as a result of what is variously called, following Dunne and Raby, ‘critical design’, ‘discursive design’ and now ‘speculative design’” (Tonkinwise 2014). O ancora: “Speculative design is a practice of creating imaginative projections of alternate presents and possible futures using design representations and objects. At times critical and at other times whimsical, it is a distinctive, if loose, grouping of projects. Using the term broadly, speculative design covers a range of work across disciplines, fields, and historical and contemporary movements” (DiSalvo 2012b, p. 109). 105“As creators of models, prototypes and propositions, designers occupy a dialectic space between the world

that is and the world that could be” (Margolin 2007).

radice della pluralità di significati che l'aggettivo “speculativo” assume nell'ambito del design. In sintesi, un progetto speculativo può essere inteso come una strategia retorica usata nell'ambito

commerciale o professionale (Lange 2012; Rydell 1990); come un servizio dove le pratiche progettuali vengono impiegate per creare possibili scenari e mediare diversi interessi all'interno di una rete di stekaholders (Manzini e Jégou 2000); come una metodologia di ricerca tecnologica-scientifica (Bleecker 2009; Dourish e Bell 2014; Kirby 2011). Nel graphic design l'aggettivo “speculativo” mantiene un significato vago: a volte viene usato per indicare quei lavori che nascono senza la commissione di un cliente (Sueda 2014), altre volte è impiegato dagli stessi designer per descrivere le proprie pratiche sperimentali (Metahaven 2010, 2011b; Sueda 2014). Verso la fine del XX secolo il tema della speculazione e del suo utilizzo all'interno dei progetti di design ha ricevuto un nuovo impulso – e anche un certo grado di popolarità – grazie al lavoro di Anthony Dunne e Fiona Raby nell'ambito dell'interaction design (Auger 2010, 2013; Dunne e Raby 2001, 2006, 2013; Malpass 2013).

Tuttavia all'interno della ricerca, il concetto di speculazione si allontana da ciascuna di queste sfumature di significato – e dalle relative declinazioni sul piano delle pratiche progettuali – per avvicinarsi invece a un'immagine in cui l'approccio speculativo viene messo al servizio dell'istanza o dell'impulso critico di cui si fa portatore il progetto. In questo senso l'attività speculativa funziona da strumento critico d'indagine e di ricerca; serve cioè a sviluppare e articolare una conoscenza critica rispetto a un aspetto della realtà che viene preso in considerazione, cercando di costruire – proprio attraverso la speculazione – una rappresentazione diversa di quella realtà. Questa particolare accezione trova nel realismo speculativo e nella teoria critica due importanti quadri teorici di riferimento. Il realismo speculativo è una scuola di pensiero emersa nei primi anni del XXI secolo rappresentata soprattutto dai filosofi Ray Brassier, Iain Hamilton Grant, Graham Harman e Quentin Meillassoux. Ciò che la rende interessante per questa ricerca è il modo in cui la speculazione viene rivalutata come un'attività essenziale per la conoscenza che possiamo avere della realtà in cui viviamo. L'attività speculativa viene così riconsiderata alla luce dei limiti della conoscenza empirica e dei problemi che si celano dietro al tentativo di assumere l'uomo come misura sia del mondo fisico che della realtà sociale: “speculation is necessary precisely because of the limits of knowledge […] Reality is far weirder than we are able to imagine. Things never conform to the ideas that we have about them; there is always something more to them that we are able to grasp. The world does not fit into our own cognitive paradigms and narratives modes of explanation. ‘Man’ is not the measure of all things. This is why speculation is necessary. We must speculate, to escape from our inveterate anthropocentrism and take seriously the existence of a fundamentally alien, nonhuman world” (Shaviro 2014, p. 44). Appurata l'insufficienza dei moderni paradigmi cognitivi, costruiti “a misura d'uomo”, di fronte a una realtà che

information, involves intuition, and explores new areas, which means it also runs the risk of not always delivering what it promises” (Bil'ak in Sueda 2009).

oggi più che mai appare complessa e complicata soprattutto da agenti e fattori extra-umani107, la speculazione diventa una strategia per produrre una conoscenza critica rispetto alla realtà analizzata: “speculation bears the promise of not only critically addressing what is given, but also of thinking a possible, of catching up with the hypothetical. Understood in this manner, speculation and critique would complement each other in their rejection of merely accepting the status quo” (Avanessian et al. 2014 ). Ai fini di questa ricerca, il concetto di speculazione che si delinea dalla riflessione del realismo speculativo appare utile soprattutto in relazione a tre punti: a) la speculazione viene caratterizzata in modo generico come una reazione di fronte alla complessità e all'impenetrabilità della realtà fisica e sociale, e allo stesso tempo come un'attività in grado di produrre una differenza o un distanza rispetto alle immagini e rappresentazioni canoniche che abbiamo di quella realtà; b) l'attività speculativa viene messa direttamente in relazione con la produzione di una conoscenza critica; c) questa conoscenza critica è orientata verso una comprensione della realtà sociale capace di includere elementi, attori e fattori extra-umani come componenti attive nella costruzione di quella realtà.

Un altro punto di riferimento teorico utile per ridefinire il ruolo e il significato che la speculazione assume nei progetti e nelle pratiche critiche del design è la teoria critica. Oltre a rappresentare un passaggio obbligato per qualsiasi riflessione sulle possibilità della critica oggi all'interno del design, la teoria critica offre alcuni spunti interessanti per ridefinire l'attività speculativa in relazione alle

pratiche progettuali del designer. Secondo i ricercatori Jeffrey e Shaowen Bardzell una delle caratteristiche che contraddistingue la teoria critica che da Marx, Freud e Nietzscheè andata sviluppandosi per tutto il XX secolo, è il modo in cui le attività riflessive e analitiche vengono interpretate in relazione allo stato di cose presenti. Il compito della teoria critica non è tanto quello di descrivere la realtà che si trova davanti, ma piuttosto di esercitare una pressione su di essa, nella speranza di produrre un cambiamento, proprio attraverso un uso speculativo della teoria: “the role of theory in this tradition is speculative: not to explain what is known but to challenge us to see in new ways, to generate new modes of engagement or ideas” (Bardzell e Bardzell 2013, p 3302). I concetti teorici che vengono prodotti all'interno della teoria critica hanno quindi il compito di analizzare e decostruire le tradizionali forme di sapere con cui interpretiamo il mondo e attraverso cui lo

viviamo108, per poi aprire la strada all'attività speculativa. All'interno di queste correnti di pensiero la speculazione viene quindi compresa e praticata come un'attività necessaria alla produzione di una conoscenza critica, il cui obiettivo non è tanto quello di giungere alla più accurata o corretta

descrizione possibile della realtà, ma di produrre una differenza o una distanza rispetto alla conoscenza

107Il concetto di Internet of Things descrive una realtà in cui le interazioni tra dispositivi e apparecchi

elettronici, software, sensori, ecc. avvengono ormai senza l'ausilio o la presenza di un essere umano. In altre parole un certo numero di attività vengono delegate a dispositivi e macchine che necessitano solo in piccola misura della presenza dell'uomo. Si veda anche la Actor-Network Theory descritta da Latour (Latour 2005) e ripresa recentemente da Peter Hall nell'articolo Changes in Design Criticism (Hall 2013).

108“Theory is introduced speculatively to pierce through and destroy ideological constructs” (Bardzell e Bardzell 2013, p 3301).

tradizionale che si ha della realtà, nella speranza di esercitare, attraverso quella differenza, una pressione e quindi un cambiamento nello stato di cose presenti.

Declinato nel contesto del design, questo nuovo concetto di speculazione va a ridefinire l'idea stessa di design speculativo, soprattutto in quella che è la sua funzione e il suo valore critico. Questo concetto è reso molto bene dalla storica del graphic design Emily McVarish, che riassume così il valore e il ruolo di un progetto speculativo: “Abstract, theoretical, contemplative, and conjectural work all entails at least a momentary distance from the real, and I think the space made by that distance is key to the contributions that distinguish this work. […] But to say that such work doesn't touch reality would be a mistake, since, even if only by comparison with 'real' or practical work, it enters our sense of the real: what is and is not possible within the confines or definitions of the real, what would have to change in order for something different to be possible, and so on. This more elastic sense of the real is

speculative work's great gift to us, since it reminds us that reality, at least social reality, is a construct – a construct in which design participates” (McVarish 2014, p. 29).

Come vedremo più avanti, soprattutto in relazione all'idea di speculazione che si forma nell'esperienza e nei progetti della cartografia critica e radicale, le critical practices del design contemporaneo si configurano come un'operazione di scansione e mappatura delle condizioni di possibilità che determinano e costruiscono una specifica forma di conoscenza; mentre gli approcci speculativi che accompagnano queste pratiche orientano il progetto verso la visualizzazione di quegli aspetti della realtà che normalmente ne vengono esclusi109.

Queste pratiche sono rappresentate dai seguenti casi: il visual journalism di Jan Van Toorn (capitolo 2.1), la critical e radical cartography (capitolo 2.2), il Critical Design anglosassone di Anthony Dunn e Fiona Raby (capitolo 2.3), gli approcci critici e umanistici al design dell’informazione (capitolo 2.4), e il design think tank di Metahaven (capitolo 2.5).

109Questa considerazione sembra condivisa anche da DiSalvo: “The most distinctive quality of this line of research [speculative design] is that it provokes issues that are unconscious and hidden in people's everyday lives. It means that the design does not aim for a specific solution to a problem, but rather an open-ended discussion that is less predetermined and more unanticipated” (Kim e DiSalvo 2010).

2.1. Jan Van Toorn e il visual journalism

La contrapposizione tra l'anima modernista e la nuova onda del graphic design che tra gli anni '80 e '90 segna la discussione e il dibattito della disciplina, di fatto non esaurisce la ricchezza delle posizioni teoriche e delle pratiche sperimentali emerse negli ultimi decenni del XX secolo. Il lavoro del graphic designer olandese Jan van Toorn, non solo in veste di progettista, ma anche come autore, teorico e insegnante, rappresenta una delle voci fuori dal coro di questo dibattito. Anche se da un punto di vista storico non può essere incluso nelle pratiche critico-speculative che sono oggetto di questa ricerca, il caso di van Toorn viene qui proposto e analizzato come esempio di una pratica progettuale in cui gli strumenti del graphic designer sono indirizzati verso un'idea di comunicazione critica. Si cercherà perciò di far emergere quegli aspetti caratteristici del lavoro del graphic designer olandese che informeranno le pratiche critico-speculative del nuovo millennio.

Fin dagli inizi della sua carriera van Toorn si è distinto rispetto alla generazione di graphic designer a lui contemporanea, proponendo un approccio alla comunicazione visiva che lui stesso ha definito dialogico e riflessivo (van Toorn 2006, 2010; Poynor 2008a). Al centro di questa pratica progettuale troviamo il tentativo di costruire forme di comunicazione in grado di affiancare alla semplice trasmissione di un messaggio un secondo livello di significati, in cui viene mostrata la natura “costruita” di quello stesso messaggio, il ruolo svolto dal designer in questa opera di costruzione e soprattutto la necessità di coinvolgere il fruitore in un'attività interpretativa110.

In termini pratici l'approccio dialogico si traduce in composizioni caratterizzate da diversi livelli di lettura, dalla commistione di differenti registri e linguaggi visivi, dall'utilizzo delle tecniche del collage e del montaggio, dalla citazione e da altre strategie tese a mettere in evidenza la mano del designer dietro alla costruzione del messaggio. Anticipando molti dei cliché del graphic design postmoderno (a cui peraltro van Toorn non risparmia una feroce critica111) il designer olandese sarà impegnato per parecchi anni nel tentativo di tradurre la teoria critica in una pratica progettuale – tentativi che daranno luce sia a degli ottimi risultati, come i calendari realizzati negli anni '70 per la

110“Unlike the classic form of visual communication, the dialogic approach is a connective model of visual rhetoric with a polemic nature and polyphonic visual form. A story telling structure that seek to reveal the opposing elements of the message and opts for active interpretation by the spectator” (van Toorn 2006). 111Il designer olandese ha infatti più volte liquidato la contrapposizione tra l'approccio modernista e

postmodernista come una falsa opposizione. Entrambe queste derive faticano a riconoscere il ruolo culturale e sociale del design all'interno del contesto contemporaneo: “Individual designers and the discipline as a whole are seldom more than superficially aware of their role in the staging of the cultural environment. Caught in the binary oppositions of subjective power of persuasion and an objective rational approach, solutions for changing the communicative reality are sought mainly at the level of form: in innovating the syntax. Rooted in the modernist tradition, they still make use of the value and organisation of the image as such in their attempts to help create the conditions under which the consumer can be 'liberated'. Based on a postmodernist adaptation of the mediating concept to the developments in the consumer and media society, this leads to messages with an endless variety of forms and an utterly conventional content” (van Toorn 2006, p. 29).

tipografia Mart.Spruijt [fig. 2.1.a] o la serie di poster prodotti per il Van Abbemuseum, che a lavori più discutibili, come la serie di poster Mens en Omgeving (1981-1987).

Nell'ultima fase della sua carriera, che coincide con l'esperienza di direttore della Jan Van Eyck Academie e con l'attività di insegnamento presso Rhode Island School of Design112, van Toorn si è dedicato alla scrittura di saggi e articoli nel tentativo di teorizzare la sua attività pratica. È in questi scritti critici e polemici che troviamo l'idea del “giornalismo visivo” (visual journalism), in cui il progettista assume le vesti di un reporter freelance continuando a utilizzare gli strumenti del graphic design attraverso un approccio critico e riflessivo.

Nel corso di questo capitolo verranno quindi prese in esame le posizioni teoriche di van Toorn e soprattutto la sua capacità – e i suoi limiti – nel tradurle in pratiche e strategie progettuali in grado di trasformare l'artefatto comunicativo in un dispositivo di mediazione e in una forma di argomentazione visiva. Come vedremo, sia l'idea di una comunicazione dialogica e riflessiva, che la descrizione del graphic designer come visual journalist, saranno al centro di molte pratiche critico-speculative emerse nel XXI secolo.

2.1.1. Forme dialogiche e riflessive nel design della comunicazione

Il lavoro di van Toorn dimostra come l'attività del graphic designer possa essere compresa e praticata secondo l'immagine retorica, normativa e culturale della disciplina, che è stata descritta nel capitolo precedente. Già nei primi lavori degli anni '60 – come il Stedelijk Jaarverslag Amsterdam, il report annuale della capitale olandese – si percepisce la volontà di rendere visibile la presenza del progettista e la sua capacità di intervenire attivamente nella produzione di senso e significato attraverso gli strumenti offerti dalla composizione tipografica e dal trattamento delle immagini. Secondo Rick Poynor ci troviamo di fronte alle prime sperimentazioni grafiche che vanno nella direzione del saggio visivo, o visual essay (Poynor 2008a, p. 86). Questi primi lavori costituiscono perciò il banco di prova delle pratiche dialogiche e riflessive che emergeranno con maggiore forza nei lavori degli anni '70 – e in particolare nell'attività di graphic designer per il Van Abbemuseum di Eindhoven. Allo stesso tempo l'attività di grafico di van Toorn inizia a prendere le distanze dallo stile e dall'estetica modernista, che in Olanda trovava la migliore espressione nel Total Design di Wim Crouwel113.

112Non va infatti dimenticato che il contributo di van Toorn per lo sviluppo di una dimensione critica insita nella pratica progettuale non si è manifestato solamente nella sua attività professionale o in quella di scrittore, ma anche e soprattutto nel suo impegno come educatore e docente. Ad esempio, nel periodo in cui fu direttore della Jan Van Eyck Academie – dal 1991 al 1998 – van Toorn aggiunse ai due corsi già esistenti – arte e design – quello di teoria, e fu decisivo nel fornire all'istituto un chiaro orientamento verso la ricerca sociale e l'investigazione critica.

113Negli stessi anni in cui van Toorn lavora per il Van Abbemuseum, Wim Crouwel si occupa della comunicazione dello Stedelijk Museum di Amsterdam. Tra van Toorn e Crouwel nasce una disputa che inizialmente verte sulle caratteristiche formali con cui la comunicazione di un museo deve presentarsi, ma che ben presto dilaga verso i fondamenti teorici e filosofici della comunicazione visiva. La discussione fra i due designer, che secondo Poynor è uno dei dibattiti decisivi nella storia del graphic design olandese,

La sperimentazione che van Toorn conduce sul piano delle pratiche progettuali viene accompagnata da un'attività di ricerca teorica e dall'interesse per autori come Gramsci, Habermas, Marcuse, Foucault, Bourdieu, Deleuze e Guattari, Debord, Eco, Illich, Mattelart, Chomsky, Said, Godard (Poynor 2008a, p. 80). È facile immaginare come la lettura di questi autori abbia avvicinato il giovane designer olandese verso le posizioni del nuovo marxismo che si confrontava con la società dello spettacolo e rifletteva sulla relazione tra ideologia e produzione culturale, e in genere di quella teoria critica che,

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