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3.1. Quadri teorici di riferimento

Nel terzo capitolo si cerca di delineare una nuova formulazione delle pratiche critico-speculative nell’ambito del visual design, una definizione che tenga conto delle considerazioni maturate in seguito all'analisi dello stato dell'arte condotta nel capitolo precedente. Questo capitolo rappresenta quindi il nucleo centrale della ricerca.

Nella prima parte (3.1.1) vengono introdotti dei concetti teorici e delle categorie del pensiero presi a prestito da altri ambiti disciplinari – visual culture, sociologia, filosofia estetica, filosofia politica – ma utili per chiarire alcune questioni emerse nell'analisi della casistica del secondo capitolo e necessari quindi a una riformulazione del design critico-speculativo. In particolare, si ricorrerà alle ricerche maturate in seno alla cultura visuale introducendo la categoria della visibilità (Brighenti 2007). Il concetto di visibilità servirà infatti a comprendere e analizzare le attività del vedere e del rappresentare attraverso linguaggi, codici e costrutti visivi come attività situate in precise condizioni tecniche, sociali, politiche e culturali e attraversate da determinate agencies o intenzionalità. Questa idea trova un'ulteriore conferma nel concetto di regime di visibilità – o regime scopico (Jay 1988). A partire da queste riflessioni sarà possibile individuare un ambito di ricerca e un campo d'azione privilegiato entro cui si inseriscono e operano i progetti del design critico-speculativo, ovvero quello delle politiche della rappresentazione (Deutsche 1996). Attraverso il concetto di “articolazione” (Balsamo 2010; DiSalvo 2012a; Laclau e Mouffe 1985) verrà poi descritta la metodologia adottata da questi progetti per costruire nuove forme di visibilità intorno alle politiche della rappresentazione di un certo fenomeno o aspetto della realtà.

La seconda parte (3.1.2) sarà invece dedicata al concetto di conoscenza situata, situated knowledge, un'espressione coniata dalla filosofa statunitense Donna Haraway verso la fine degli anni ottanta, ma che ha trovato ampio spazio nelle sperimentazioni progettuali di inizio XXI secolo. Quello di situated knowledge rappresenta uno dei concetti più importanti dell'intera ricerca, dato che permette di

distinguere le pratiche critico-speculative all'interno dell'ambito della “research through design”. In questa parte, oltre a introdurre il concetto generale di situated knowledge, si cercherà quindi di mostrare in che modo l'idea di una conoscenza critica e situata influisce sulle pratiche progettuali del visual design.

A partire da questa ridefinizione dei campi teorici di riferimento, i progetti del design critico- speculativo verranno descritti e discussi come pratiche progettuali in grado di articolare una determinata problematica intervenendo sulle sue condizioni di visibilità e costruendo così una conoscenza critica e situata intorno a quella problematica.

3.1.1. Condizioni di visibilità e politiche della rappresentazione

All'interno delle scienze sociali, la percezione visiva, così come la rappresentazione e l'interazione attraverso linguaggi e codici visivi, vengono indagate come attività cognitive che partecipano ai processi di costruzione della realtà sociale192. In modo specifico, questi studi si concentrano sulle trasformazioni tecniche che, soprattutto a partire dall'era moderna, stravolgono l'attività del vedere e del rappresentare, chiedendosi in che modo queste trasformazioni cambino il rapporto con la realtà sociale in cui siamo immersi e con altri soggetti presenti dentro quella realtà. Queste trasformazioni infatti non sono mai neutrali, ma contribuiscono a potenziare e privilegiare specifiche modalità del vedere – specifici regimi di visibilità o regimi scopici193 – e quindi determinati processi con cui la realtà e i soggetti presenti in essa vengono conosciuti e messi in relazione con il soggetto che li guarda (Brighenti 2007, p. 325). Se considerata come modo di relazione tra uno o più soggetti, ci accorgiamo che la vista dà spesso luogo a delle situazioni di asimmetria: “In an ideal natural setting, the rule is that if I can see you, you can see me. But things are not that simple: the relation of visibility is often asymmetric; the concept of intervisibility, of reciprocity of vision, is always imperfect and limited” (Brighenti 2007, p. 326). Se in un ambiente “ideale” lo sguardo di un soggetto rivolto a un secondo soggetto viene sempre corrisposto da quest'ultimo, è vero anche che nel corso della storia l'uomo ha sviluppato diverse tecniche e pratiche del guardare che permettono di vedere senza essere visti194 – o diverse modalità del rappresentare tese a mostrare l'oggetto della rappresentazione in modo esaustivo e oggettivo195. Significativamente, queste tecniche e pratiche sono emerse soprattutto dall'ambito militare, per poi invadere altri ambiti più vicini alla quotidianità delle persone196 [fig. 3.1.a].

192“[…] the domain of physical perception is inextricably intermixed with cognition. Perception entails a theoretical dimension, as the epistemological debate since the 1960s, and particularly the scholarship of Kuhn, Lakatos and Feyerabend, pointed out. For instance, in Feyerabend’s (1978) account, Galileo, with his telescope experiments, created a new, initially counterintuitive way of seeing that was functional to support his astronomical theory. In short, sensorial experience and theory go hand in hand” (Brighenti 2007, p. 324). Il carattere sociale dell'attività sensoriale della vista, e la sua relazione con i processi cognitivi, viene ribadito poco più avanti: “Visibility is a metaphor of knowledge, but it is not simply an image: it is a real social process in itself” (Brighenti 2007, p. 325).

193Il concetto di regime scopico, scopic regime (Jay 1988), viene introdotto da Martin Jay in un capitolo del libro Vision and Visuality, curato dal critico Hal Foster. Con questa locuzione, presa a prestito dal critico cinematografico Christian Metz, Jay vuole indicare una precisa declinazione del guardare, e più in generale del pensiero visivo, che è condivisa all'interno di una comunità, che si costituisce a partire da precise condizioni culturali e che agisce in modo normativo, influenzando cioè alcuni comportamenti e modalità di interazione sociale. L'aspetto più interessante introdotto da Jay sta nell'aver caratterizzato i regimi scopici come “terreni di scontro”: “the scopic regime of modernity may best be understood as a contested terrain, rather than a harmoniously integrated complex of visual theories and practices. It may, in fact, be

characterized by a differentiation of visual subcultures, whose separation has allowed us to understand the multiple implications of sight in ways that are now only beginning to be appreciated” (Jay 1988, p. 4). 194Le tecniche e le pratiche che permettono di vedere senza essere visti verranno approfondite nel capitolo

3.2.4, a proposito della strategia di visualizzazione del camouflage.

195La rappresentazione dello spazio fisico e urbano secondo la prospettiva “a volo d'uccello”, o secondo quello che in cartografia viene chiamato “God's eye view”, è un ottimo esempio di come una precisa modalità di visualizzazione venga impiegata come uno strumento per la produzione di una conoscenza oggettiva ed esaustiva in merito al territorio raffigurato. Come vedremo più avanti, questa considerazione viene più volte formulata anche al di fuori della cartografia.

Sperimentare e articolare diverse modalità del vedere diventa così una strategia per permettere a un soggetto A di acquisire una posizione privilegiata da cui è possibile esercitare una qualche forma di potere o di controllo su un soggetto B, rendendo A invisibile a B, e B perfettamente visibile ad A. In questo senso la percezione visiva, che ai nostri giorni viene spesso mediata da dispositivi e pratiche che si sovrappongono al senso della vista, è un'attività complessa e dai risvolti sociali e politici che necessita di uno sguardo critico: “When a transformation in reciprocal visibilities occurs, i.e. when something becomes more visible or less visible than before, we should ask ourselves who is acting on and reacting to the properties of the field, and which specific relationships are being shaped”

(Brighenti 2007, p. 326).

Le pratiche e le tecnologie legate alla vista non si limitano però a produrre delle posizioni privilegiate all'interno delle relazioni sociali tra soggetti, ma contribuiscono a definire e a distinguere delle condizioni di normalità e delle condizioni di eccezionalità. Diversi studi hanno riconosciuto nello “sguardo clinico” una delle basi su cui viene fondata la medicina moderna – intesa come conoscenza disciplinare, pratica sociale e dispositivo normativo197. Secondo questi autori, tra i fattori che rendono possibili una teoria e una pratica della medicina moderna, e che fondano quindi una conoscenza medica scientifica, vanno annoverate le nuove tecnologie e pratiche che potenziano lo sguardo clinico del curatore198 [fig. 3.1.b]. Queste pratiche e tecnologie a loro volta contribuiscono a definire uno “stato normale” (corrispondente alla condizione della salute) e uno “stato eccezionale” (corrispondente alla condizione della malattia), basati su un modello normativo e visivo: “Medical theory and practice, as well as the circulation of medical knowledge in popular culture, set up a visual normative model based on the opposition of health and illness, beauty and ugliness” (Brighenti 2007, p. 327).

Questa specifica agency che alcuni studi delle scienze sociali riconoscono ai processi di percezione e di rappresentazione visiva trova una significativa analogia nella storia della cartografia, e in particolare nella nascita e nello sviluppo delle mappe tematiche e statistiche durante il XIX secolo. Secondo Crampton “thematic or statistical maps were part of a more general effort to govern by means of

valley, I can easily track your movements for hundreds of metres around, but you can track my movements only in a much more limited way. Complex and less complex technological devices, from curtains to stone walls, from video cameras to satellites, enhance visibility asymmetries according to planned arrangements, liberating it from the spatial–temporal properties of the here and now” (Brighenti 2007, p. 326). La stessa considerazione è valida per le pratiche della rappresentazione visiva. Lo sguardo onnisciente del cartografo, che simula la visione da un punto di vista privilegiato al di sopra di tutti e di tutto, è funzionale all'agenda del potere assoluto e alle mire espansionistiche di regni, imperi e governi (Harley 1988a).

197Nel saggio Visibility. A Category for the Social Sciences (2007), il sociologo Andrea Brighenti cita a questo proposito il lavoro di Sander Gilman (Health and Illness: Images of Difference, 1995, London: Reaktion Books), Susan Sontag (Davanti al dolore degli altri, 2003, Milano: Mondadori) e ovviamente di Michel Foucault (Nascita della clinica. Un'archeologia dello sguardo clinico, 1969, Torino: Einaudi).

198Tra queste pratiche spicca quella dell'autopsia: “Foucault placed a visibility mechanism at the genesis of what he called the regard médicale. The medical gaze was understood by Foucault not as a personal, but as an impersonal, disciplinary gaze. Modern medicine has its main ground in the ‘triumph of vision’ that can be reached in the autopsy – literally, ‘to see with your own eyes’ – of the corpse. The individual living body, on the contrary, presents itself as invisible, both because of its organic depth, its impenetrability to sight, and because of the intricate interweaving of symptoms it exhibits. Accordingly, the task of modern medicine became that of bringing the invisible back to visibility” (Brighenti 2007, p. 327).

statistical analysis. It was only with the development of descriptive and probabilistic statistics, and the formulation of society in terms of likelihoods and norms, that thematic maps could emerge. Thematic statistical maps appeared at precisely the same moment that society came to understand itself in statistical terms for purposes of regulation (policing in the larger sense) and management” (Crampton 2003, p. 138) [fig. 3.1.c]. La nascita delle mappe statistiche e tematiche come strumento necessario al monitoraggio e al controllo della popolazione di uno stato dipende quindi dalla possibilità di

comprendere e rappresentare quella stessa popolazione in termini di norma ed eccezione. Così come nella cartografia la scienza statistica risultò fondamentale nell'introdurre il concetto di norma e nel riformulare l'idea stessa di società attraverso un processo di standardizzazione, così in altri ambiti disciplinari – come appunto la medicina – le nuove tecnologie di potenziamento della vista hanno fondato la distinzione tra soggetti normali e soggetti eccezionali sulla base della percezione visiva e di precisi regimi di visibilità. Gli esempi più significativi e più radicali a sostegno di questa ipotesi provengono dalla fisiognomica, dall'antropologia criminale e dall'eugenetica – che non a caso trovano il loro periodo di splendore a cavallo tra il XIX e il XX secolo [fig. 3.1.d]. È interessante notare come queste pseudoscienze, seppur nel corso del XX secolo siano state aspramente criticate, di fatto hanno anticipato alcune discipline, come la biometria o l'antropometria, che oggi vengono utilizzate in diversi settori, dall'industria della sicurezza all'ergonomia fino alla moda.

Non dovrebbe quindi sorprendere il fatto che molti dei progetti critico-speculativi sorti nell'ultima decade si occupino proprio di questioni legate ai processi di normalizzazione e standardizzazione di alcuni aspetti della realtà sociale, nel tentativo di produrre una conoscenza critica in merito alle condizioni di possibilità e di visibilità su cui fanno affidamento tali processi e cercando anche di costruire nuove forme di visibilità e nuovi strumenti per articolare e rappresentare quelle prospettive e punti di vista che normalmente rimangono nascosti. Uno di questi progetti mostra in modo chiaro come le nuove tecnologie impiegate in materia di sorveglianza e sicurezza – nonostante vengano guidate da complessi algoritmi e facciano affidamento sulla disponibilità di un'enorme quantità di dati – funzionino attraverso un sistema di classificazione dei comportamenti sociali che ricorda le premesse epistemologiche della fisiognomica e dell'antropologia criminale199. False Positives (2015) della designer e fotografa olandese Esther Hovers, consiste in una serie di fotografie e di illustrazioni in cui vengono visualizzati i comportamenti considerati anomali (“deviant behavior”) da un nuovo sistema di videosorveglianza in via di sperimentazione, ma già utilizzato in alcuni aeroporti statunitensi ed europei200 [fig. 3.1.e]. Rispetto a un normale sistema CCTV quello analizzato da Hovers è infatti dotato di un software in grado di individuare determinati comportamenti e riconoscerli come

199Un altro progetto che mette in discussione le agencies della standardizzazione e della normalizzazione all'opera in molti dei dispositivi e dei sistemi di sorveglianza è Facial Weaponization Suite (2011-2014) di Zach Blas, che verrà discusso nel capitolo 3.2.4.

200“[…] their adoption is expanding. They’ve been installed in Boston, Chicago, and Washington D.C., and in Atlanta’s transit system. Authorities also have tested them at Schiphol airport in Amsterdam and in cities like Tilburg and Eindhoven” (https://www.wired.com/2016/02/esther-hovers-false-positives/). Le fotografie di Hovers sono invece state realizzate nel distretto finanziario di Bruxelles.

potenziali minacce alla sicurezza pubblica. Nello specifico i comportamenti anomali individuati dalle telecamere comprendono “loitering too long, moving too fast, standing on a corner, looking over your shoulder, going against the flow of foot traffic, abandoning something, clusters of people suddenly breaking apart and synchronized movements between people”201. Come è facilmente immaginabile, questi comportamenti non sono immediatamente riconducibili a intenzioni criminali; tuttavia l'algoritmo che guida i dispositivi di sorveglianza è stato progettato attraverso un sistema di

classificazione che assegna un valore normale o deviante sulla base della sola percezione visiva dei pattern di movimenti delle persone riprese dalle videocamere. Il progetto di Hovers cerca quindi di visualizzare questo meccanismo di classificazione – e le regole interne con cui vengono valutati e previsti i movimenti e le intenzioni dei passanti – individuando otto comportamenti anomali. È interessante vedere come le fotografie prodotte da Hovers non rappresentino questi otto

comportamenti rendendoli immediatamente espliciti e riconoscibili; in molti casi l'osservatore farà infatti fatica a riconoscere il comportamento sospetto, e sarà quindi portato a interrogarsi sul concetto stesso di “deviant behavior”202.

In questo senso False Positives è un progetto di ricerca che analizza ed esplicita le condizioni di visibilità con cui un determinato fenomeno (i comportamenti anomali negli spazi pubblici) viene individuato, rappresentato e valutato. Allo stesso tempo il progetto restituisce un'immagine che ci spinge a problematizzare il modo con cui quel fenomeno viene normalmente compreso – a

problematizzare cioè il ruolo svolto dalle rappresentazioni visive nel costruire e diffondere una certa conoscenza di quel fenomeno.

Questioni simili attraversano il libro Evictions. Art and Spatial Politics (1996), della docente di arte moderna e contemporanea Rosalyn Deutsche (Columbia University). Riallacciandosi a una linea di ricerca più volte proposta in questa tesi, la professoressa statunitense afferma che “what is commonly called reality – social meanings, relations, values, identities – is constituted in a complex of

representations” (Deutsche 1996, p. 230)203. Al pari di molti ricercatori e teorici dell'iconic turn anche Deutsche riconosce nelle rappresentazioni – e in particolar modo nelle rappresentazioni visive – un medium necessario per conoscere, analizzare, comunicare e modificare la realtà sociale. Ma anche in questo caso le attività di percezione e rappresentazione visiva non sono mai neutrali. Per dimostrare questo punto la docente statunitense mette a confronto due modalità di guardare e rappresentare lo

201https://www.wired.com/2016/02/esther-hovers-false-positives

202“Each photo contains at least one example of deviant behavior. But while intelligent surveillance cameras typically frame suspects within a box, Hovers lets hers blend more subtly into the crowd, challenging viewers to figure out what’s sketchy in the frame. In some cases, like the suitcase abandoned on a street corner, it’s easy. But for the most part, it’s pretty hard. That’s the point. 'What strikes me is that they [deviant behaviors] are so close to what you would consider to be normal' Hovers says” (https://www.wired.com/2016/02/esther- hovers-false-positives).

203Poco prima questo concetto veniva anticipato da un'altra considerazione: “Neither autonomous in the aestheticist sense – embodiments of eternal aesthetic properties – nor social because produced by an external society, representations are not discrete objects at all but social relations, themselves productive of meaning and subjectivity” (Deutsche 1996, p. 224).

spazio urbano – a cui corrispondono due forme di pensiero divergenti: quella del geografo David Harvey e quella del sociologo Michel De Certeau. Sia Harvey che De Certeau riconoscono due differenti modi di vedere e di rappresentare lo spazio urbano – la città vista dall'alto (panorama city) e la città osservata dal punto di vista di un pedone (street-level) – che a loro volta generano due diversi tipi di conoscenza intorno al fenomeno urbano. Ed è proprio sul valore e sull'utilità di queste due forme di conoscenza che il pensiero dei due teorici diverge: “Both perspectives, Harvey asserts, are 'real enough', although unequal: the voyeuristic perspective offers a superior – because total – view of social reality. […] Harvey is confident that from the elevated vantage point 'we' can see 'the city as a whole', but de Certeau thinks that the coherent image of the city is more like an optical illusion. De Certeau supports practices that resist the levelling rationalities of established systems by forcing a recognition of particularities. He emphatically rejects the impulse to mastery implicit in aerial perspectives. Disembodied viewpoints, says de Certeau, yield 'imaginary totalizations' such as the 'panorama-city' and correspond to objectifying epistemologies that produce a 'fiction of knowledge'. […] For de Certeau, forms of imagination and knowledge are never neutral but, instead, have social functions” (Deutsche 1996, p. 209). In altre parole la “città-panorama” e la città del pedone

corrispondono a due modalità del vedere e a due tecniche della rappresentazione visiva che

costruiscono due diversi regimi di visibilità. A loro volta questi due regimi di visibilità favoriscono la produzione di una conoscenza che pretende di essere oggettiva, neutrale e totalizzante e una

conoscenza che fin da subito dichiara la propria soggettività, incompletezza e parzialità. Ma secondo Deutsche, “Harvey's is not a neutral method of perceiving reality exercised by an autonomous viewer. It is a specifically modernist model of vision, a social visuality, with a function: establishing a binary opposition between subject and object, it makes the subject transcendent and the object inert, thus underpinning an entire regime of knowledge as mastery” (Deutsche 1996, p. 211). Le rappresentazioni prodotte dal “God's eye view” si fondano quindi su di una dominazione visiva del soggetto che guarda sull'oggetto guardato – così come un cecchino, grazie alla sua posizione elevata e defilata, è in grado di sottrarsi alla vista del suo bersaglio, acquisendo una posizione di potere. Inoltre questa “finzione di conoscenza” prodotta dallo sguardo onnisciente e invisibile rende possibile la costituzione di uno stato normale e di uno stato eccezionale (sia a livello estetico che ontologico): “Such a representation produces universal knowledge, independent objects of knowledge, and all-seeing subjects of knowledge. This subject position – the total vantage point – created by relegating different perspectives to subordinate or competing positions, claims the power to harmonize conflicts by ordering them hierarchically and reducing them to a predetermined norm” (Deutsche 1996, p. 225). Anche nelle riflessioni di Deutsche emerge una forte relazione tra i processi e le tecniche dello sguardo, la produzione di una conoscenza oggettiva e universale e la costruzione di una condizione

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