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Presenza ed assenza del corpo

Come abbiamo visto, quindi, la parola delinea un’immagine precisa, che a poco a poco conquista una forma visibile, che si definisce nella ‘pittura’ sacra dei quadri viventi che venivano portati in processione all’interno della città, o anche ‘rappresentati’ in occasione delle celebrazioni solenni. La sua forma è quindi attestata e diffusa, ma non è stabile, perché necessita del supporto della memoria dell’individuo per la propria esistenza: è da essa che parte, come evocazione di un passato mitico e archetipico, ed attorno ad essa si struttura nel tempo, non essendo ancora che una fugace apparizione nel mondo fisico. La non-permanenza del supporto visivo fa sì che l’immagine torni ad essere impalpabilmente verbale, relegando la sua esistenza all’interno di qualcosa di più resistente al passaggio del tempo: la memoria, appunto, dei partecipanti. O anche una lettera, e con essa, anche se i contorni si sfumano e si perdono, la ‘memoria indotta’ del lettore/ascoltatore, che non ha conoscenza diretta di quell’immagine specifica, ma ne possiede una costruita durante altre celebrazioni sicuramente simili, su cui può costruire un’approssimazione soddisfacente. L’idea evocata nell’immagine è apparsa fugacemente, lasciando solo il ricordo della propria verità, per dissolversi in seguito, inevitabilmente, nel suo tempo storico.

È difficile trovare, all’interno delle lettere della Compagnia di Gesù, riferimenti fisici diretti: alla fisicità, essendo legata al concetto di corruzione, si concede spazio limitato e solo in certe occasioni. Il corpo fa il suo ingresso nelle lettere quasi esclusivamente quando diviene testimone del proprio interno, ovvero, dell’anima: esso stesso si definisce in base ad un principio immateriale, attraverso le punizioni corporali ed il martirio glorioso, la corruzione della malattia, la morte.

Il corpo è in sé uno strumento, da utilizzare ed abbandonare degnamente, e solo rarissimamente viene nominato in forma diretta. Nella trattazione delle malattie, ad esempio, il corpo raramente appare come un tutto unico: si parla di sintomi, parti lese, piaghe ed ascessi, ma mai di esso come ‘intero’. Sembra quasi che l’essere umano sia un composto di varie parti assemblate e non un’entità specifica.

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In un unico caso si parla espressamente dell’unione tra le parti, ovvero quando il corpo è corpo collettivo, ovvero corpo politico, o mistico1. L’Ordine gesuita si struttura su una rigida gerarchia piramidale al cui vertice sta il Generale, discendendo via via verso i livelli più bassi dei ‘fratelli’, dei fedeli portoghesi nobili, di quelli non nobili, di quelli meticci, di quelli autoctoni nobili, di quelli autoctoni non nobili, degli infedeli, degli eretici. Così è composto il mondo con cui la Compagnia si relaziona in Oriente.

La questione principale è come poter governare – nel senso di imporre una direzione – un insieme così eterogeneo direttamente da Roma, ove risiedeva il Generale. Il problema si era già posto con Ignazio, e nelle Costituzioni sono previste delle modalità di comportamento specifiche per l’ottenimento di una forte coesione ed unione spirituale con la testa2 della Compagnia. Già ad una prima lettura dell’indice delle Costituzioni ci accorgiamo che la Compagnia considera e vede sé stessa come un’unità organica, che utilizza il corpo come metafora preferenziale:

[parte quinta] Admissão ou incorporação na Companhia; [sesta] A vida pessoal dos que foram admitidos ou incorporados na Companhia; [settima] As relações com o próximo daqueles que, depois de admitidos no corpo da Companhia, são distribuidos na vinha de Cristo Nosso Senhor; [ottava] Meios de unir com a cabeça e entre si aqueles que estão dispersos; [nona] A cabeça e o governo que della descende; [decima ed ultima] Conservação e desenvolvimento de todo o corpo da Companhia em seu bom estado.3

La metafora corporea, attestata in politica come rappresentazione dello Stato – o Polis – già dall’antica Grecia e tramandata attraverso il suo uso medievale, è qui riscoperta con una nuova profondità dimensionale: la Compagnia non è uno Stato, ma si struttura e si relaziona con il suo interno secondo le stesse modalità, perché è come corpo unico che percepisce sé stessa. Ovviamente esiste un’utilità specifica e funzionale agli scopi evangelici: agendo come un unico organismo, la Compagnia si dota di ‘gambe’ e ‘braccia’ nelle missioni coloniali, lasciandone il controllo centrale alla ‘testa’ romana, che così – teoricamente – può gestire le proprie ‘membra’ perché il lavoro venga svolto secondo il suo progetto. Il ruolo del padre Visitatore era in fondo quello di garantire che le varie articolazioni funzionassero, così come gli arti ad esse collegati, attraverso la sua presenza

1

Sul corpo ed il suo uso quale metafora politica o filosofica, cfr. Adriana Cavarero, Corpo in figure. Filosofia e politica della corporeità, Milano, Feltrinelli, 2003.

2

Sottolineiamo che l’ottava parte delle Costituzioni della Compagnia, che reca il titolo “Meios de unir com a cabeça e entre si aqueles que estão dispersos”, si suddivide in sette capitoli di cui il primo, “Meios para a união dos espíritos”, è l’unico in cui non si parli della convocazione della Congregazione Generale.

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in loco quale diretto emissario della testa, o meglio del capo, parola che indica più correttamente il legame per immagini tra la forma-corpo e la forma-Stato.

Nel caso della Compagnia di Gesù, abbiamo a che fare con un corpo non propriamente politico – anche se nelle Costituzioni ci si riferisce ai subalterni come a dei “súbditos” – ma pur sempre statale: l’esercito. La Compagnia nasce con questo intento sulla scia di un richiamo alle crociate in Terra Santa, proponendosi un’azione semanticamente simile ad esse nell’evangelizzazione delle terre infedeli. Non si prevede l’uso di armi, se non quelle dello spirito, ma la missione viene affrontata come una battaglia, nella quale in effetti spesso si poteva anche perdere la vita.

Chi ten desiderio di andar’a India non è bisogno star’attacchato alla vita, stando sempre apparigliato per morire, essendo necessario grande confidanza in nostro Signor e grande desiderio de patire, essendo mortificato de tutti i suoi sensi, perché qui se conosce con la pratica mais che con la speculativa. E chi non ten’oratione con nostro Signor si trova molto desolato, essendo necessario nei travagli molto la sua familiarità et amicitia.4

Per garantire la propria funzionalità nonché il perdurare dell’azione, è fondamentale la ripartizione ‘corporea’ dell’esercito nella sua unità interna: tranne la testa, tutte le altre parti sono ricostituibili senza indebolimenti, perché non essendo riconosciute come individuali possono divenire semplici funzioni ripetibili5. Un corpo auto-rigenerante che prevede, nella sua immortalità, perfino la ricostituzione del proprio ‘capo’, attraverso una momentanea funzione sostitutiva operata dai più alti gradi della gerarchia, perché l’organismo periferico possa continuare il suo lavoro vitale.

Il segreto dunque, della vita eterna, risiede nella ripetibilità funzionale specializzata in pochi settori e periodicamente controllata: nei vari elenchi di operatori nelle missioni che venivano periodicamente inviati alla sede centrale6, si dà un accenno attitudinale e psicologico per ogni soggetto, con la descrizione del carattere – flemmatico, sanguigno – e la susseguente migliore applicazione del materiale umano disponibile. Le categorie non sono molte: insegnanti, predicatori, cuochi e inservienti. Per ognuna poi, ci sono invariabilmente infinite sottocategorie qualitative, che vanno dalle materie insegnate al luogo di predica, dall’abilitazione o meno di celebrare il rito alla capacità di trattare con i

4

[DI XI, 34, §13, p. XXXIV].

5

“Fue nuestro Señor servido de llevar para sí quatro Padres y cinco Hermanos, todas personas que ayudavan a llevar la carga desta Provincia. En su lugar nos embió V.P. treze, y acá se recibieron otros treze, de buenas partes y esperanças que servirán a la Compañia”[DI XII, 68, §6, p. LIII].

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politici e via dicendo. Ciò che per noi maggiormente conta è la mera esistenza di questi elenchi, che dimostrano che per ogni cellula del corpo, seppure ripetibile, viene studiato il modo di specializzarla per trarne il maggiore profitto nell’opera, ottenendo in questo modo un organismo, pressoché invulnerabile alle ferite, che riesce a svolgere contemporaneamente funzioni diversificate e a tutto campo.

L’organizzazione è dunque stretta e controllata, in modo che il ‘capo’ possa gestire le membra del proprio corpo secondo la propria volontà. Per facilitare ancora maggiormente l’azione, i vari organi ed arti sono a loro volta organizzati come una copia in piccolo del sistema generale: ogni singola sede delle missioni ha il suo ‘capo’, le sue membra e così via, in modo che la comunicazione dell’ordine si svolga direttamente dal centro principale verso i nodi nevralgici maggiori, da cui si dipartiranno per raggiungere anche la più piccola cellula attiva. Nel caso in cui questa accennasse ad un funzionamento in qualche modo disarmonico rispetto all’intero, era previsto il suo affiancamento ad un’altra che aveva la funzione di ispirare il comportamento ed indirizzarlo verso la funzione affidatale:

Os que das casas são enviados fora [...] devem, quanto possível, ser pessoas bem exercitadas na obediência. [...] E assim, quem não tivesse dado boas provas nela, deveria pelo menos ir em companhia de algum que fosse já bem experimentado na mesma obediência. [...] Mesmo independentemente deste fim, o Superior poderá dar um colateral, àquele que enviou em missão, se entender que assim se desempenhará melhor do encargo a ele confiado. 7

In un sistema così stretto ed organizzato, era di vitale importanza l’accurata scelta ed valutazione dei candidati all’ingresso nella Compagnia, che infatti non solo veniva concesso a pochi, ma per di più solo in seguito ad un periodo di ‘provazione’ di vari anni, che i novizi avrebbero affrontato all’interno di luoghi specifici chiamati, appunto, casas de provação. La separazione rituale prima dell’ingresso nel gruppo, oltre a scongiurare i pericoli di contaminazione ed impedire a colui che è ancora ‘profano’ di conoscere i segreti dei prescelti, ricalca il procedimento classico dei riti di iniziazione primitivi8. Considerati quasi novizi, per tutto il periodo della provazione i futuri gesuiti venivano osservati da sé stessi e dai propri superiori, al fine di comprendere sia le attitudini personali del soggetto che la sua vocazione che, come abbiamo visto, doveva essere assoluta. Chi entrava nella

7

Inácio de Loyola, Constituições... cit., p. 222.

8

Sui rituali iniziatici cfr. Mircea Eliade, La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Brescia, Morcelliana, 1974.

Compagnia non ne sarebbe più uscito se non come scomunicato9, ed era fondamentale al corpo non accettare in sé il germe di una possibile malattia nella persona di un indesiderabile:

Da parte dos súbditos, convirá não admitir para a Profissão uma grande multidão de gente [...] Porque um grande número de pessoas não bem mortificadas nos seus vícios, tornam impossível a boa ordem e a união, tão necessárias em Cristo Nosso Senhor, para que se mantenha o bom estado e modo de proceder da Companhia.10

Proprio per questa necessità di mettere l’uomo giusto nel posto giusto, gli archivi romani della Compagnia sono pieni di lettere indirizzate ai vari Generali con richieste di ammissione al viaggio verso le colonie che non furono mai soddisfatte11, perché non tutti venivano considerati in grado di sopportare non solo i travagli fisici del viaggio e del luogo, ma anche la definitiva separazione dalle proprie radici. Chi partiva non sarebbe mai più tornato, salvo quei pochissimi inviati in Europa provvisoriamente per una qualche missione diplomatica12. Una lettera personale inviata al Generale per richiedere una concessione di questo tipo finiva spesso per non ricevere risposta – dato anche forse il numero elevato di lettere di cui il vertice della Compagnia si occupava – nemmeno in casi di pietosa supplica per intercessione divina. Un esempio, all’interno della raccolta dei Documenta Indica, è offerto dalla commovente ed accorata supplica del fratello Pedro Camargo13, in cui si mostra, nel costante richiamo al possibile rientro come strumento per migliorare il proprio servizio alla Compagnia ed a Dio, la nudità spirituale dell’uomo, svestito dell’abito gesuitico e solo di fronte al dolore della malattia: il servizio a Dio, la missione e l’abnegazione alla causa divengono, in casi come questo, quasi esclusivamente dei topoi retorici.

Nonostante tutte queste precauzioni, però, l’essere umano rimane pur sempre fallibile e a volte, forse costretto dalla scarsezza degli operatori nelle colonie, si punta su un cavallo zoppo: nel 1578 si verifica in India un caso che sconvolge i piani e ferisce il corpo gerarchico della Compagnia in modo profondo. Tra il 23 ed il 24 agosto, padre

9

Secondo la Bolla di Pio V, del 17 gennaio 1566, “Aequum reputamus”, consultabile in: Institutum Societatis Iesu, Florentiae, ex Typographia a SS. Conceptione, 1892-93, vol. I, 38-42.

10

Inácio de Loyola, Constituições... cit., pp. 221-222.

11

Sull’argomento, cfr. Gian Carlo Roscioni, Il desiderio delle Indie. Storie, sogni e fughe di giovani gesuiti italiani, Torino, Einaudi, 2001.

12

Sui viaggi e sulle relative relazioni, sempre in ambito gesuitico, cfr. Joseph Wicky SJ, “As relações de viagens dos jesuítas na carreira das naus da Índia de 1541 a 1598”, in Luís de Albuquerque, Inácio Guerreiro, II seminário internacional de história Indo-protuguesa. Actas, Lisboa, Instituto de Investigação científica tropical, 1985.

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Francisco Dionisio, superiore del collegio di Cochim, fugge nottetempo per mai più tornare, almeno secondo le sue intenzioni, alla Compagnia di Gesù. La storia, riportata da Padre Wicky in calce alla lettera in cui lo stesso Dionisio dà al Visitatore delegato – padre Nuno Rodrigues – le proprie spiegazioni sull’accaduto14, inizia due anni prima, con la richiesta al Papa, da parte di Dionisio, dell’autorizzazione a lasciare la Compagnia per l’Ordine della “Cartuxa”, un ordine monacale e di clausura che sembra fosse l’unico capace di accogliere i dissidenti di altri ordini religiosi. L’autorizzazione arriva, appunto, nell’agosto del 1578. Invece di chiedere formalmente alla Compagnia il permesso di ritirarsi, Dionisio sceglie la fuga notturna, rifugiandosi la prima notte presso dei ‘secolari’, ed in seguito presso il convento dei frati domenicani e quello dei francescani. La notizia giunge immediatamente al provveditore alla diocesi che il giorno 31 dello stesso mese scomunica Dionisio al quale, però, in seguito alle pressioni esercitate dal priore dei francescani e da quello dei domenicani, la scomunica viene revocata in capo a quattro giorni. Tre giorni dopo, la scomunica viene revocata anche dal Vescovo di Cochim15, sollevando un vero ‘polverone’ tra trattative e recriminazioni ecclesiastiche: per sedare gli animi ed i toni accesi con cui la Compagnia difendeva il proprio privilegio di poter scomunicare chiunque uscisse volontariamente dalle sue fila nonché tutti coloro che lo accogliessero – e che quindi in questo caso avrebbe colpito altri ordini religiosi importantissimi per la stabilità della colonia – il Vescovo scrive una lettera aperta in cui ritratta il suo operato e si ritira dal caso in questione16. Il 30 settembre Dionisio torna presso la Compagnia dopo un’assenza di poco più che un mese; il sufficiente per causare uno scandalo alquanto scomodo. Nel 1579 abbiamo ancora notizia di Dionisio presso la sede goana della Compagnia, dapprima rinchiuso nella zona adibita al noviziato ed in seguito nella torre del collegio. Nel 1580 è finalmente inviato in Europa; in marzo lo scandalo già non fa più notizia in India e nel 1581 Dionisio, ora a Toledo conduce una vita che soddisfa i suoi superiori. “Dein fontes silent”17.

14

P. Franciscus Dionysius P. Nonnio Rodrigues S.I., Visitatori delegato, Cocini 23 Augusti 1578, in: WICKY, Joseph, (a cura di), “Documenta Indica”, vol. XI, in Monumenta Historica Societatis Iesu, vol. 103, Roma, IHSI, 1970, doc. n. 20.

15

Henrique de Távora.

16

[DI XI, 30, §1, p. XXIX]. Lo stesso Dionisio scriverà un documento sulla non validità della propria scomunica, in virtù della bolla pontificia “Não caý na excomunhão, porque o Sumo Pontifice diz na bulla: « Si quis animo indurato praesumit etc. » onde daa a entender que se com animo soberbo resistir, e o que se guoverna e rege por rezões e fundamentos como eu tenho apontados não presume com animo endurecido, logo nem caý na excomunhão nem pequei peccado algum nesta parte” [DI XI, 22, §1, p. XXIX].

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Joseph Wicky, P. Dionisii argumenta contra excommunicationis validitatem, [Cocini CA. 4 Septembris 1578], in WICKY, Joseph, (a cura di), “Documenta Indica”, vol. XI, in Monumenta Historica Societatis Iesu, vol. 103, Roma, IHSI, 1970, doc. n. 22, p.211.

Come tra genitori discordi, le differenze di opinione tra Vescovo e Compagnia causano confusione tra i cristiani, che iniziano a pensare che il pugno duro delle scomuniche non sia poi così assoluto, mettendo in pericolo oltre al buon nome della Compagnia ed alla sua aura di santità, la sua credibilità nel distribuire punizioni. In pratica veniva messa in discussione la capacità e la legittimità della Compagnia a svolgere quel ruolo di arbiter iustitiae su cui essa basava la propria azione missionaria. Certo, dopo qualche tempo si risanano anche le ferite peggiori, apprendendo la lezione di essere molto più accurati nella scelta del ‘capo’ poiché da essa, se ne ha la riprova ora, dipende l’intero corpo che ne riflette l’immagine attraverso le azioni:

Ho que se offrece escrever a V. Paternidade deste collegio de Cochim, em que fui este anno de 78 consultor e adomonitor, hé o seguinte. Como a cabeça delle, que era o P. Francisco Dyonisio reitor, chegou a sahir-se da Companhia sendo actualmente reitor, bem poderà V.Paternidade entender que tal andaria o collegio. [...] Nesta partes não se deve confiar de un homem tãoto antes de ser muito provado na virtude; e ainda que aos muito provados faltem outras partes, podião ser ayudados de collateraeis que as tenhão. E porque na China e Malaqua pode acontecer caso semelhante ao de aqui, e não ter resposta do P. Provincial menos de anno e meio, e daqui em oito mezes, seria bom prover Vosa Paternidade a esta tão grande necessidade, suppondo que todas as miserias que podem acontecer a hum secular, podem tambem achar-se em hum superior da Companhia.18

La scelta di Dionisio è errata in partenza. Di padre spagnolo e madre africana, egli è geneticamente un diverso e quindi potenzialmente pericoloso:

Dionisio depois que soube que em Cochim Pinheiro e eu descobriamos suas siladas disse que Pinheiro era revelador de confissões e que eu o cometera pera fugir com elle. Isto não sabia eu e, se soubera, tivera por honrra dizer mal tão pestilencial homem, a quem eu por amor da Companhia perseguia,e fiz que porventura em suas artes não perturbasse muitos inocentes com suas invenções diabolicas. [...] fez sospeitar ao Padre que eu deixaria a Deus e o primor divino e me sayria com hum mulato, convidando-me muitos homens de muito tomo a eu deixar a Companhia e que me averião do Papa licença.19

La giustificazione che Padre Fernão de Meneses presenta, offeso, per discolparsi dall’accusa di connivenza con Dionisio è legata al concetto di purezza razziale: lui non si sarebbe mai mischiato con un mulatto che, per di più, ha anche dei parenti che sono saliti al patibolo per essere cristiani nuovi. Anche se Fernão de Meneses non ritiene, in fede, che lo stesso Dionisio possa essere personalmente accusato di appartenere a questa classe di

18

[DI XI, 43, §1, p. XLI].

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persone, la sua parentela con esse avrebbe dovuto suscitare una provvida diffidenza in chi lo scelse come capo del collegio di Cochim: in Oriente come nel mondo intero, uno dei maggiori pericoli del momento erano proprio i cristiani nuovi.

L’origine storica ce la racconta Alexandre Herculano, nella sua storia dell’Inquisizione portoghese20. L’Inquisizione, come tendenza concettuale nasce nel XII secolo durante il pontificato di Alessandro III. Fino ad allora il giudizio sugli eretici era stato di competenza dei sinodi – una sorta di tribunali religiosi distrettuali, presenti in ogni diocesi, che dipendevano direttamente dal Vescovo – che normalmente si limitavano a giudicarli tali e a scomunicarli di conseguenza, lasciando il resto, ovvero la decisione sulle possibili pene corporali, ai tribunali secolari. Nei sinodi raramente si comminavano pene maggiori alla confisca dei beni, unica ammenda possibile secondo la legislazione in vigore all’epoca.

Durante il III Concilio Lateranense (1179), si decretarono provvedimenti più

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