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ENDOMETRIOSI, MENOPAUSA)

Laura Lauria (a), Rosa Papa (b), Serena Donati (a)

(a) Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma

(b) Già Direttore dell’Unità Operativa Complessa Tutela Salute della Donna, ASL Napoli 1 Centro L’approccio life-course alla salute della donna che caratterizza i Consultori Familiari (CF) si concretizza nell’offerta di attività e di percorsi a sostegno di una ampia gamma di problematiche, alcune delle quali sono oggetto di focus specifici presentati a parte in questo rapporto.

L’approfondimento di seguito proposto è dedicato prioritariamente alla prevenzione oncologica, attività di rilevanza strategica dei CF, e ad altre tematiche che rientrano nella mission dei Consultori, che riguardano la vita sessuale e riproduttiva della donna, come la fertilità, argomento complesso dalle molteplici motivazioni; patologie come l’endometriosi, condizione ad impatto considerevole sulla salute fisica, sessuale, psicologica e sociale delle donne e infine la menopausa, fase della vita che ha richiesto, negli ultimi decenni, una attenzione completamente diversa rispetto al passato. L’aumento dell’aspettativa di vita infatti ha fatto sì che siano sempre più numerose le donne che arrivano a questo traguardo e soprattutto che lo superano; si tratta, in larga maggioranza, di donne ancora attive nella vita sociale e lavorativa e non più solo familiare.

Prevenzione oncologica

La prevenzione oncologica, offerta tramite interventi organizzati di sanità pubblica quali sono i Programmi di Screening di Popolazione, riguarda specificatamente il cancro della cervice, quello della mammella e il cancro del colon-retto, per i quali è stata confermata scientificamente l’efficacia dei test di screening in termini di riduzione dell’incidenza della patologia oggetto dell’intervento e/o della mortalità.

Ricordiamo che: “Un programma di screening organizzato è un processo complesso, che agisce su una popolazione asintomatica invitata attivamente a sottoporsi al test” (1).

Per il tumore della cervice uterina, così come per quello del colon-retto, si può parlare di vera prevenzione, di mortalità “evitata”, in quanto i test di screening, rispettivamente il Pap-test e il SOF (Sangue Occulto Fecale), sono in grado di individuare lesioni pre-cancerose. Al momento la mammografia consente la diagnosi precoce di tumori invasivi della mammella, anche molto piccoli, al di sotto di 1 cm, ma non la loro prevenzione.

In Italia, è con il Piano Sanitario 1998-2000 che si pone un accento particolare sull’importanza della prevenzione oncologica, rafforzata, negli anni a seguire, da interventi finanziari e normativi finalizzati ad una diffusione dei programmi di screening su tutto il territorio nazionale. Nel 2006, il Ministero della Salute mette a punto le raccomandazioni per la pianificazione e l’esecuzione degli Screening di popolazione per la prevenzione di questi tre tipi di neoplasie (1). Lo screening del cancro della cervice prevede l’invito a mezzo lettera a tutte le donne di età compresa tra 25 e 64 anni; il test offerto gratuitamente è il Pap-test con cadenza triennale. È inoltre previsto il richiamo per le non rispondenti.

Alla luce delle nuove evidenze scientifiche, il Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018 (2) stabilisce che tutte le Regioni sostituiscano entro il 2018, in maniera progressiva e programmata, il Pap-test con il test HPV (Human Papilloma Virus), come test primario e con cadenza quinquennale. Si passa quindi da un esame citologico ad un esame molecolare di laboratorio, che consente di individuare la presenza del virus prima ancora che provochi alterazioni nelle cellule; quest’ultimo è rivolto alle donne di età compresa dai 30-35 anni fino ai 64. Al di sotto dei 30 anni è raccomandato il Pap-test tradizionale al fine di evitare sovra-diagnosi;

nelle donne più giovani, infatti, le infezioni da HPV sono molto frequenti, ma nella maggior parte dei casi regrediscono spontaneamente.

Il Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) (3) già nel 2000 aveva inserito la prevenzione oncologica tra i tre Programmi Strategici da attuarsi nei CF, oltre al Percorso Nascita e allo Spazio Adolescenti. Questa scelta confermava che l’offerta attiva di salute dovesse essere affidata prioritariamente ai CF che hanno come mission la “prevenzione e la promozione della salute”

nelle sue innumerevoli declinazioni. La prevenzione del tumore della cervice uterina, mediante esecuzione del Pap-test o dell’HPV-test, ha rappresentato un salto di qualità per i CF, abitualmente riconosciuti dalla popolazione quali servizi di riferimento per la salute riproduttiva piuttosto che come strutture dedicate, anche se per attività di primo livello, a una branca specialistica come l’oncologia.

Nell’ambito della prevenzione oncologica, i Consultori fungono da Centri spoke, grazie alla loro distribuzione sul territorio. Lo Screening non è solo la esecuzione del Test, perché nei casi positivi è prevista la “presa in carico”, cioè l’offerta dell’intero percorso diagnostico-terapeutico.

Ciascuna Regione e ciascuna Azienda sanitaria, in base alla propria organizzazione locale, definiscono gli hub di riferimento, garantendo in tal modo qualità delle terapie e riducendo le disuguaglianze di salute legate, per lo più, alla difficoltà di accesso alle cure. Il percorso, nell’ambito della prevenzione del cancro della cervice, rappresenta un esempio concreto e virtuoso di integrazione territorio- ospedale.

Nell’aggiornamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), di cui al DPCM del 12 gennaio 2017 (4), l’offerta dello screening è infatti cosi descritta: “Chiamata attiva ed esecuzione dei test screening e dei percorsi di approfondimento e terapia per tutta la popolazione target residente e domiciliata”.

I risultati dello studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui CF per quanto riguarda le attività di prevenzione del tumore della cervice uterina possono essere integrati e valutati grazie a diverse fonti nazionali tra le quali ricordiamo l’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), il sistema di sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), i Registri Tumori (AIRTUM), il Report dell’AIOM (Associazione Italiana Oncologi Medici), il Cervical Cancer Prevention Policy Atlas, e la Fondazione GIMBE.

In estrema sintesi lo studio dell’ISS ha permesso di evidenziare che:

– La maggioranza dei CF in tutte le Regioni italiane offre attività nell’ambito della prevenzione oncologica.

– Il 96% dei CF offre attivamente informazioni sulla prevenzione del tumore della cervice uterina, il 74% fornisce informazioni sulla prevenzione del tumore della mammella e il 32% sulla prevenzione del tumore del colon retto.

– La maggioranza dei CF in tutte le Regioni organizza programmi di screening con offerta attiva di Pap-test/HPV-test ad eccezione dei Consultori del Veneto che non prevede il coinvolgimento dei CF nell’offerta del programma di screening organizzato affidandoli al Settore promozione e sviluppo igiene e sanità pubblica.

– Il prelievo colpocitologico viene eseguito nell’82% dall’ostetrica e nel 18% dal medico ginecologo, proporzione che al Sud sale al 32%.

– Il passaggio dal Pap-test all’HPV-test non sta avvenendo in modo omogeneo in tutte le Regioni. Il Pap-test ogni tre anni viene offerto dall’86% dei CF (77% al Nord e 90% al Centro e Sud), il test HPV ogni cinque anni dal 40% dei CF (54% al Nord, 48% al Centro e 22% al Sud). Circa il 10% dei test viene eseguito a richiesta o su indicazione clinica, al di fuori dei programmi di screening.

Il quadro che emerge dallo studio dell’ISS descrive un Paese che non presenta grandi differenze per area geografica per quanto riguarda l’offerta di informazioni e la disponibilità di programmi di screening, mentre si evidenzia forte variabilità per quanto riguarda le modalità dell’offerta degli screening con penalizzazione delle Regioni del Sud, sia per l’offerta di test HPV che per la disponibilità di ostetriche per eseguire i prelievi rispetto a Nord e Centro. Lo studio ISS non permette di valutare nel dettaglio la qualità di tutte le procedure cui, secondo le raccomandazioni, dovrebbero attenersi i programmi di screening per garantirne efficacia ed efficienza. Queste, oltre agli aspetti tecnici e organizzativi, riguardano anche la garanzia di continuità di finanziamento e gli aspetti relativi alla comunicazione e alla capacità di coinvolgere la popolazione target. I dati del Rapporto dell’ONS (5), relativi all’adesione allo screening da parte delle donne nelle età raccomandate, descrivono un Paese diviso in due con il Sud che mostra l’adesione più bassa. Alla luce degli indicatori di monitoraggio (adesione delle donne allo screening) e di quelli di output (numero di test eseguiti su numero di donne invitate) è evidente come non sia l’offerta “tout court” a determinare il successo di un programma di screening quanto piuttosto la qualità delle sue modalità di offerta. Probabilmente la capacità di controllo del processo di implementazione del programma e la sua continuità nel tempo concorrono a fare la differenza. La verifica dei determinanti delle criticità emerse dallo studio dell’ISS potrà contribuire a comprendere come ridurre questa variabilità geografica con l’obiettivo di garantire a tutte le donne la possibilità di accedere e fruire in maniera efficace dei programmi di screening, secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali.

Grazie al sistema di sorveglianza PASSI (6) è possibile monitorare nel tempo l’adesione allo screening del tumore della cervice uterina in Italia. Complessivamente il 79% delle donne fra i 25 e i 64 anni di età si sottopone allo screening mediante Pap-test o HPV-test a scopo preventivo all’interno di programmi organizzati o per iniziativa personale. Lo studio rileva anche la differenza tra il numero di donne che si sottopone ad un Pap-test all’interno dello screening organizzato e il numero di quelle che invece si sottopone spontaneamente al test, al di fuori dei programmi di screening. Nel 2017-2020, anche questa fonte conferma una differenza significativa nell’adesione a discapito delle regioni meridionali. La copertura dello screening cervicale presenta un netto gradiente geografico Nord-Sud con coperture mediamente pari all’87% nelle Regioni del Nord Italia (90% nella Provincia autonoma di Bolzano) e al 69% nelle Regioni del Sud, con valori minimi in Calabria pari al 62%.

L’offerta attiva di programmi di screening organizzati si è dimostrata sorprendentemente efficace nel ridurre le disuguaglianze sociali abitualmente associate a minore partecipazione agli interventi di prevenzione anche in ambito oncologico. L’ONS ha, infatti, dimostrato che le differenze per titolo di studio e per condizione economica nell’adesione allo screening organizzato sono significativamente minori rispetto a quelle rilevabili tra le donne che si sottopongono spontaneamente allo screening del tumore della cervice uterina; in altre parole lo screening organizzato facilita la partecipazione delle donne in condizione di deprivazione sociale che altrimenti rimarrebbero escluse da questa opportunità di salute. I programmi di screening hanno infatti la capacità di ridurre le disuguaglianze offrendo a tutte le donne lo stesso standard per l’intero percorso di cura, a fronte della nota “limitazione alle cure appropriate” associata ai fattori di rischio sociale (7).

Il sistema di sorveglianza PASSI riporta inoltre che l’11% delle donne italiane non si è mai sottoposta al Pap-test ritenendo di “non averne bisogno”, un dato che impone una riflessione sulla

qualità dell’offerta sanitaria destinata alle donne in età riproduttiva le quali sono, paradossalmente, la parte della popolazione che ha maggiori contatti con la sanità pubblica. Il tema dell’empowerment, della autodeterminazione basata sull’informazione, competenza e consapevolezza delle donne quali protagoniste delle loro scelte di salute, trova in quell’11% un segnale di allarme che impone urgentemente appropriate misure correttive.

Nel Mezzogiorno il rischio di mortalità per tumore della cervice è maggiore. Oltre a disuguaglianze all’interno della propria Regione di residenza, esiste infatti una disuguaglianza nazionale che vede le Regioni del Centro-Nord in una situazione di estremo vantaggio rispetto a quelle meridionali per quanto riguarda l’aspettativa di vita, i giorni di vita perduti e conseguentemente la mortalità evitabile, e quasi tutti i determinanti di salute sociali dalla scolarità al lavoro, dalla abitazione al reddito dipendente (8). L’Atlante italiano delle disuguaglianze di mortalità conferma tali osservazioni:

“[…] in Italia le disuguaglianze sociali nella mortalità, pur presenti in tutte le Regioni, producono effetti ancor più negativi nelle regioni meridionali. Nel Paese, la percezione delle ricadute sulla salute e sui costi sanitari delle disuguaglianze sociali è ancora modesta e l’obiettivo di riduzione delle disuguaglianze di salute non è ancora inserito organicamente in un piano di sviluppo del settore sanitario” (9).

A seguito della pandemia si è verificata la sospensione degli screening oncologici sia per disposizioni del Ministero (10), sia per la paura del contagio che ha limitato l’accesso ai servizi sanitari da parte dei cittadini. Un’indagine condotta dall’ONS (11) ha quantificato il ritardo accumulato nel 2020 rispetto al 2019 in termini di inviti, test e mesi standard. La riduzione degli inviti è stata pari al 33% per lo screening cervicale, al 31,8% per quello colon-rettale e al 26,6%

per quello mammografico. La riduzione degli esami è stata pari al 45,5% per lo screening colon-rettale (-1.110.414 test), al 43,4% per quello cervicale (-669.742 test) e al 26,6% per quello mammografico. Ciò impone un piano straordinario di recupero in questo periodo, a fronte di una situazione economica ulteriormente peggiorata con aumento delle fasce della popolazione in stato di povertà. I Consultori sono pertanto chiamati ad una nuova sfida, quella di raggiungere “gli irraggiungibili”, che oggi sono aumentati mentre il numero dei Consultori nonché degli operatori è purtroppo diminuito.