Capitolo IV: Gli effetti della politica economica ultraespansiva della Fed: il Quantitative Easing del 1932 e quello contemporaneo
IV.2 Prezzi delle azioni e tassi di interesse: il QE del 1932 e quello contemporaneo
Alcuni analisti (Rothbard, Temin) ritengono che il LSAP del ‘32 è stato inefficace, se non controproducente perché ha impedito che il mercato facesse giustizia degli inetti. Le cause del fallimento sono le crescenti aspettative di una svalutazione del dollaro e di deflussi d’oro, il panico generalizzato nei mercati, il crollo della fiducia nella capacità della Fed di mantenere il Gold Standard e nella capacità del governo di gestire il panico (motivi per cui il programma sarebbe terminato dopo solo cinque mesi). Gli analisti che appartengono a questa corrente di pensiero vedono nell’aumento dei prezzi degli asset dell’estate del ’32 come conseguenza della fine del programma: una volta calmato l’istinto “all’accaparramento” delle banche centrali straniere e dei privati, i mercati migliorarono.
Dalla parte opposta, i monetaristi Friedman e Schwartz ritengono non solo che il programma del ’32 sia stato efficace ma anche che, se la Fed avesse attuato già nel ’29 o ’30 forse la Depressione non avrebbe raggiunto livelli così gravi e preoccupanti. Romer e Hsieh (2001, 2004) attraverso modelli di valutazione delle aspettative del pubblico sulla possibile svalutazione del dollaro, dimostrano come i mercati non fossero di fatto spaventati da una svalutazione della moneta e che la fine del programma sia stata determinata da pressioni delle banche commerciali sulla Fed.
Quel che è certo, è che i mercati di registrarono realmente dei miglioramenti nell’estate del ’32.
L’impatto del breve programma di acquisti del ’32 fu moderato.
Considerando l’indice Dow Jones Industrial Average (figura 1a, 1b), è evidente che il periodo che va da aprile ’32 fino a luglio ’32 (esattamente la durata del programma di acquisti) fu il peggiore dell’intera Depressione. Sia i prezzi delle azioni che l’indice della produzione industriale a luglio ’32 raggiunsero il valore minimo dall’inizio della Depressione.
Tuttavia dopo la fine del programma di acquisti, ovvero nell’estate ’32, i prezzi degli asset ricominciarono a salire: Friedman e Schwartz (1963) considerano il picco dell’indice della produzione industriale dell’agosto 1932 come un successo del programma di acquisto di asset. Meltzer (2003), considerando l’aumento dei prezzi delle azioni nell’estate del ’32, molto ottimisticamente afferma che se gli acquisti fossero continuati, forse il collasso del sistema monetario avvenuto nell’inverno del ’33, poteva essere evitato.
Se il programma di acquisti sia servito e se il Gold Standard sia stato un vincolo per l’attuazione di (ulteriori) politiche espansive, è tema di dibattito acceso: in merito ci sono due posizioni contrastanti.
Nella figura 1b, vengono messi a confronto i due programmi: quello del ’32 e quello di acquisto dell’oro del ’33-’36. La combinazione dell’aumento dei prezzi delle azioni con vari eventi monetari, compresa l’uscita dal Gold Standard, la sospensione della convertibilità dollaro/oro (ufficiale il 30 gennaio 1934) ed il programma di acquisto di oro avviato dal Tesoro, determinarono un deciso miglioramento nei mercati99.
Figura 1a: QE0 e Dow Jones Industrial Average (‘32-‘33); 1b QE0 e acquisti di oro del ‘33
Fonte: Federal Reserve (2012), elaborazione
Nota: 6a asse di sinistra punti percentuali, asse di destra milioni di dollari; 6b milioni di dollari
L’andamento dell’indice S&P’s è analogo (Figura 2).
L’indice crollò a 4.77 (-85%) a giugno ’32 e si riprese nei mesi successivi, una volta terminato il round di acquisti. Nel marzo ’33, in concomitanza con il programma di
99 Il programma dell’acquisto/requisizione di oro iniziò nel 1933 ma, determinò i maggiori effetti nel 1934
quando l’oro raggiunse i $35 l’oncia e il Tesoro ebbe un profitto di più di $2 miliardi sull’oro comprato nel 1933. Gli acquisti di oro continuarono fino al 1936, in particolar modo il Tesoro acquistava oro ed emetteva certificati di oro, la Fed acquistava certificati contro cartamoneta, i provati scambiavano l’oro prima con i certificati, poi con la cartamoneta. In base a questo meccanismo, i privati detenevano moneta e la Fed ed il Tesoro detenevano le riserve auree.
acquisto/requisizione dell’oro l’indice registrò un +31% (6.23 punti) e guadagnò l’11% nei mesi seguenti100.
Figura2: S&P’s 1929-1942 (indice, 1928=100)
Fonte: Elaborazione personale dati S&P’s(2013)
Dal grafico risulta evidente che non vi è alcun effetto euforico nei mercati. Si registrò un piccolo aumento del prezzo delle azioni nell’estate del ’32 e durante il ’33, ma, il tutto fu piuttosto moderato.
Se si prende in esame l’esperienza più recente, si nota immediatamente la forte differenza tra quanto si é avuto in questi ultimi anni e quanto si ottenne negli anni Trenta.
Figura 3: Indice S&P’s 500 (2004-2013)
Fonte: Elaborazione personale dati S&P Dow Jones Indices LLC, Nota: linee verticali round di QE, linea rossa annuncio di tapering
L’aumento del prezzo degli asset sostiene il bilancio delle banche e dei fondi, ma non sostiene il livello della domanda reale per cui se, contemporaneamente allo stimolo monetario, la politica fiscale deprime la domanda reale, l’effetto del QE vero è solo quello sui prezzi delle attività. Il quantitative easing ha reso i bond più “attraenti”: gli acquisti di asset effettuati dalla banca centrale hanno alzato la domanda di tali asset e così i relativi prezzi, ridotto i rendimenti (tassi di interesse), e attratto gli investitori all’acquisto (questo anche dovuto alla relativa sicurezza dei bond durante una recessione). L’effetto di tale misura è l’assuefazione dei mercati azionari che impazziscono dopo l’ annuncio e il conseguente avvio dei programmi di acquisto. Si è determinato per i mercati azionari un equilibrio che deriva dalla liquidità e che è gonfiato dagli effetti del portfolio rebalance channel ovvero del ribilanciamento del portafoglio degli investitori. L’effetto “psicologico” alla fine scompare e proprio in quel momento arriva una nuovo round di acquisti (vedi Figura 3). L’evidente euforia dei mercati lascia spazio ad una altrettanto evidente dipendenza dei mercati dagli acquisti, ciò che crea non poche preoccupazioni in relazione alla cosiddetta exit strategy. Gli annunci di tapering di maggio 2013 hanno causato la rottura di tale equilibrio basato sulla liquidità; i tassi di interesse (rendimenti) salirono alle stelle (soprattutto quelli a lungo periodo), l’ondata di vendite fu ingente e così anche le perdite registrate, soprattutto nei paesi emergenti dove, il disimpegno degli investitori ha determinato cali delle attività locali, il precipitarsi degli indici azionari e il deprezzamento delle valute locali. Dopo le smentite di luglio e a maggior ragione dopo la recente decisione di rinvio dell’inizio del tapering (settembre 2013) i mercati hanno ripreso fiato (gli economisti no) e le quotazioni, alla fine, hanno recuperato le perdite dei mesi precedenti. Il prolungamento e ancor più il rinvio promesso e poi rientrato sono indizio di comunicazione imperfetta e fattore di moral hazard. Molti paventano maggiori difficoltà e rischi nell’uscire da una situazione che di per sé non è sostenibile all’infinito.
Oltre alla reale riduzione degli acquisti di asset, alla svalutazione degli asset, all’aumento dei tassi di interesse e alla restrizione di liquidità, vi sarà un effetto indotto per il fatto che, sicuramente, non vi sarà un QE4.