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La “chiave tematica salvifica” e il tessuto delle citazioni biblico-liturgiche nelle miniature gertrudiane

4.1 L’immagine frontespizio del Codex Gertrudianus

4.1.1.2 Il primato petrino

Quando si parla di segni e immagini di committenti per la produzione libraria – come più in generale per tutta la produzione artistica bizantina – si intende che nell’opera siano presenti un ritratto o un “sigillo” di tipo aniconico che consentono di risalire al suo promotore e finanziatore. Grazie all’ausilio delle informazioni trasmesse dal corredo dei codici, siano esse sottoscrizioni, proemi, poemi dedicatori o le stesse immagini miniate che, in questa prospettiva d’indagine, costituiscono dei veri e propri documenti visuali, perfettamente equipollenti ai documenti scritti, è possibile mettere a fuoco le circostanze in cui una certa impresa fu realizzata.

Le immagini e i segni di possesso conservati all’interno della prima miniatura gertrudiana, ci consente di focalizzare il messaggio ideologico veicolato dal Codex, di puntualizzare il ruolo della donatrice e, infine, di valutare quanto esso si conformasse a modelli canonizzati o quanto se ne allontanasse sulla spinta di una specifica esigenza comunicativa.

La pagina-ritratto, così amo definirla, posta in apertura del Codex Gertrudianus, sembra sia stata progettata per essere compresa anche con l’ausilio delle preghiere che la circondano, vera e propria guida al significato dell’immagine. La figura di San Pietro, infatti, si lega indissolubilmente alle due orazioni trascrittegli accanto: n. 1 (f. 5vA) e n. 2 (5vB). Una soluzione compositiva tale può avere attinto, con opportuni adattamenti, da due importanti

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testimoni miniati costantinopolitani, noti molto probabilmente alla maestranza all’opera in questa prima miniatura: il Par. gr. 510 e il Vat. Reg. gr. 1.

Il manoscritto parigino con le Omelie di Gregorio Nazianzeno (Par. gr. 510), eseguito per Basilio I tra l’879 e l’883, è un vero e proprio manifesto per le immagini sacre279. Secondo l’ipotesi di Leslie Brubaker, il Par. gr. 510 non fu voluto in prima persona da Basilio, ma fu progettato per lui come un dono “di riconciliazione” dal patriarca Fozio280. Il codice era inteso come una sorta di libro-oggetto, un vero e proprio status symbol del suo possessore. Ad esso infatti, erano appositamente destinate le pagine-ritratto poste in apertura, che potevano essere assimilate anche con l’aiuto degli epigrammi scritti all’interno delle cornici (ff. Cv, Br.). Una guida alla comprensione delle sottigliezze del programma iconografico che accompagnava il testo delle Omelie gregoriane.

Circa quarant’anni più tardi, ritroviamo l’idea delle due miniature-ritratto a piena pagina incorniciate da epigrammi esplicativi, in un libro voluto da un funzionario di corte: la Bibbia di Leone sakellários (Vat. Reg. gr. 1)281. Sul f. 2v, a sinistra, vediamo la figura sbarbata e semi genuflessa di Leone, in clamide rossa bordata d’oro, nell’atto di donare il codice a Maria. Il destinatario finale del solenne gesto è il Pantokrator posto in alto a sinistra, ma tra la sfera celeste e quella terrena del committente non vi è contatto diretto. Assolve al ruolo di intermediazione e di intercessione la figura statuaria della Vergine: il movimento delle sue mani disposte in diagonale sottolinea efficacemente la traiettoria che il dono è destinato a percorrere e lungo la quale si svolge il palpitante dialogo tra il sakellários e le persone divine. Rispetto al Par. gr. 510, i testi scritti nel Vat. Reg. gr. 1 non si limitano agli epigrammi delle cornici (composti dallo stesso Leone), ma si moltiplicano ed invadono l’immagine con un’enfasi nuova, facendosi per così dire figura, parte integrante del discorso

279 La copia illustrata delle Omelie di Gregorio Nazianzeno, fu realizzata per l’imperatore Basilio I. La critica è propensa a considerare l’opera come un prodotto costantinopolitano: cfr. L. BRUBAKER, Politics, patronage and

art in Ninth-Century Byzantium: the 'homilies' of Gregory of Nazianzus in Paris (B. N. GR. 510), in “DOP”, 39,

1985, p. 1. In merito alle miniature raffigurate nel codice, cfr. S. DER NERSESSIAN, The illustrations of the

homilies of Gregory of Nazianzus, Paris gr. 510. A study of the connections between text and images, in “DOP”,

16, 1962, pp. 195 – 228.

280 L. BRUBAKER, Politics, Patronage, and Art in Ninth Century Byzantium: The Homilies of Gregory of

Nazianzus in Paris (B.N. Gr. 510)… cit.; Eadem, Vision and Meaning in Ninth Century Byzantium. Image as Exegesis in the Homilies of Gregory of Nazianzus, Cambridge 1999.

281 Sulla Bibbia di Leone sakelláriossi veda: T. F. MATHEWS, The Epigrams of Leo Sacellários and an Exegetical

Approach to the Miniatures of Vat. Reg. Gr. 1, in “OCP”, 43 (1967), pp. 94 – 133; C. MANGO, The Date of Cod.

Vat. Reg. Gr. 1 and the Macedonian Renaissance, in “Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia”, 4

(1969), pp. 121 – 126; P. CANART, S. DUFRENNE, Le Vaticanus Reginensis graecus 1 ou la province à

Constantinople, in Scritture, libri e testi nelle aree provinciali di Bisanzio, a cura di G. Cavallo, G. De Gregorio,

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visuale; sul muro della nicchia alle spalle di Leone (f. 2v), sono elencati – come in epigrafe – nome e lunga titolatura del committente, così come nel pavimento della pagina contigua dominata da S. Nicola (f. 3r), ai piedi del quale sono prostrati due personaggi di cui quelle iscrizioni ci svelano l’identità. Questa ostentata sovrabbondanza di testi non punta solo a costruire una guida alle immagini, ma consente a Leone anche di fornire al lettore dati aggiuntivi per una sorta di “piccola cronaca” delle imprese della sua famiglia. Con questo dono lussuoso Leone intese trasmetterne il ricordo ai membri di quel monastero di S. Nicola di cui proprio Costantino era stato il fondatore. In questo caso, dunque, il codice non era destinato all’uso personale del suo committente, ma alla dotazione libraria di un’istituzione di famiglia, il cui egumeno in carica, Macario, è la seconda figura ritratta in proskynesis davanti al santo titolare.

Nel nostro caso, per quanto i testi delle orazioni non invadano la scena, sono prossimi però ad inglobarla, seguendo scrupolosamente la linea di contorno di “quella strana forma”; costituiscono una sorta di fondale scenico il cui contenuto si rivela un supporto alle immagini unico nel suo genere.

La prima orazione, “Ad Sanctum Petrum”, vergata sulla colonna di sinistra282, sembrerebbe composta a nome di un gruppo di persone come afferma Smirnova (per l’utilizzo della prima persona plurale), quasi non fosse la sola Gertrude a pronunciarla, ma anche la sua famiglia, qui appunto raffigurata nella miniatura283. A mio avviso, invece, essendo l’orazione d’apertura del corpus gertrudiano, la principessa ha preferito l’uso del plurale maiestatis per attribuirvi un valore di carattere universale284, una sorta di preambolo all’intero Libro di preghiere; vi è, infatti, una manifestazione di profonda umiltà e sottomissione alla volontà divina, di contrizione e ammissione dei peccati, concetti che ritroveremo sino alla fine:

282 L’orazione n. 1 è contenuta nel secondo fascicolo (ff. 5-6), costituito da un bifoglio. Occupa l’intera colonna di sinistra del foglio 5v e si sviluppa per 23 righe. Il suo incipit, “Ad Sanctum Petrum”, occupa la prima riga, mentre la riga 2 principia con l’iniziale “D” di Deus vergata d’oro; anche la parola “Petru(m)”, sulla medesima riga, appare trascritta in caratteri dorati.

283 Smirnova riporta le preghiere secondo la numerazione proposta da Walerian Meysztowicz nel 1955, il quale attribuisce il numero 1 al Kalendarium (ff. 2r – 4v). Lo studioso polacco inserisce nel conteggio generale anche le miniature gertrudiane, pertanto l’orazione «Ad Sanctum Petrum» (che stabiliamo essere la prima) per lui è la n. 2, come riporta anche Smirnova. Così come la miniatura nel medesimo foglio (5v) è considerata la n. 3 e la preghiera «Sancte Petre princeps apostolorum» è la n. 4. Cfr. E. S. SMIRNOVA,Le miniature del libro di preghiere della principessa Gertrude, in Facsimile… cit., p. 94.

284 La funzione del plurale maiestatico è, secondo l’interpretazione comune, quella di “moltiplicare” l’emittente del discorso, per accrescerne l’importanza o il rilievo dinanzi ai suoi destinatari. A tale proposito si veda: R.

BROWN, A. GILMAN, The Pronouns of Power and Solidarity, in Style in Language, edited by T.A. Sebeok,

Cambridge (Mass.) 1960, pp. 252 – 281 (trad. it. Pronomi del potere e della solidarietà, in Linguaggio e contesto

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«[…] venia lacrimas nobis elide penitentie […] nostre peticionis perveniat affectus, atque per eum nobis remissionem sperare liceat […]»285.

Tuttavia, credo che nella costruzione latina scelta da Gertrude non vi fosse tanto l’intento di esibire il proprio prestigio sociale o ruolo istituzionale, proprio del plurale maiestatico; al contrario, ritengo sia da attribuire alla volontà dell’autrice per mantenersi su un piano subordinato rispetto alla stesura delle orazioni, ella stessa, infatti, si definisce “indignam famulam Christi”. Non trattandosi di un’affermazione d’autorità, quanto piuttosto di un’affettazione d’umiltà, si parla per tali usi di pluralis modestiae286.

Fin dal principio Gertrude ha voluto limitare, dunque, il peso della propria autorità, contenendo l’individualità di quanto scritto attraverso una dignitosa subordinazione; da subito chiarisce la propria posizione presentandosi come un’umile peccatrice (ruolo che conserverà sino alla fine), scegliendo di mescolarsi alla folla dell’intero genere umano reo di peccato. In questo senso si può affermare che ella abbia avuto una qualche forma di controllo sulla stesura delle preghiere: una supervisione che non si limitava pertanto alla scelta iconografica dell’apparato decorativo del codice.

Nonostante l’orazione n. 1 sia offerta a Pietro, come indica l’incipit, la supplica è indirizzata a Dio «[…] qui beatum Petrum apostolum tuum pietatis tue respexisti intuitu ut negationis trine peccatum amarissimis dilueret lacrimis[…]». Nella preghiera v’è un richiamo delicato e discreto alla fragilità dell’apostolo, alla sua triplice negazione (ἄρνησις) nel momento della passione, argomento questo spesso trattato nella liturgia bizantina della settimana santa.287. È l’attimo in cui Pietro si rifugia nella menzogna, rinnega il suo Signore (e sé stesso), smentisce le sue ardenti dichiarazioni di fedeltà assoluta288.

Perché Gertrude sceglie di rievocare, ad principium del Libro di Preghiere, il momento di debolezza dell’apostolo tanto osannato nella miniatura?

Dopo la terza negazione «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E, uscito, pianse amaramente».289. Lo sguardo del Padre «lento all'ira e grande nell'amore. […] Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le

285 Orazione n. 1.

286 Circa il plurale di modestia si cfr. L. SERIANNI,Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino 1988, p. 245.

287 Mt. 26, 69-75; Lc. 22, 54-62; Mc. 14, 66-72; Gv. 18, 15-18, 25-27.

288 Lc 22, 31; Mt 26, 31-35.

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nostre colpe»290, induce Pietro al pentimento, ma le sue lacrime amare sono addolcite dal ricordo delle parole di Gesù: «Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo»291. Gesù sapeva che Pietro sarebbe stato fortemente tentato e sarebbe caduto, ma ha pregato per lui, «[…] io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede […]»292. Per questo l’apostolo tanto amato ha ricevuto la grazia di piangere abbondantemente sul suo peccato e ricevere così il perdono da parte del Cristo; un perdono che dà speranza a tutti i peccatori pentiti. La stessa speranza che andava cercando Gertrude.

Leggiamo sempre all’orazione n. 1: «[…] per infusionem Sancti Spiritus pro peccatorum nostrorum venia lacrimas nobis elide penitentie ut amare defleamus que inique gessimus, quatenus fructuosus in conspectum tue pietatis[…]».

A seguire: «[…] atque per eum nobis remissionem sperare liceat qui traditus est pro delictis nostris ut nos redimere sanguine suo Ihesus Christus dominus noster[…]».

Il peccato del rinnegamento di Pietro è così accostato alle colpe degli uomini (e Gertrude si include nella moltitudine), per le quali il Signore fu costretto a riscattarle con il suo sangue e sacrificio; egli ha espiato gli errori commessi dal genere umano, caricandosi l’immenso peso del peccato dell’umanità.

Anche nella successiva orazione n. 2, in questo caso rivolta direttamente al princeps apostolorum, ritroviamo il riferimento alla negazione di Pietro, ma qui Gertrude si rivela divenedo artefice della preghiera (parlando in prima persona): ella invoca che lo sguardo d’indulgenza del Signore (quello che indusse Pietro al pentimento e a cui lei aspira), attraverso l’amore e la sua dolcissima misericordia, si posi su di lei, sua serva indegna: «[…] et per suavissimam misericordiam tuam qua te Deus per trinam negationem amare flentem misericorditer respexit in me indignam famulam Christi, clementer respice cunctorum que scelerum[…]»293.

Quel «amare flentem» permise a Pietro di purificarsi dal peccato294, come ci ha tramandato una considerevole parte della tradizione liturgica e letteraria bizantina che ha

290 Sal. 103, 8-10.

291 Gv. 12, 47.

292 Lc. 22, 32.

293 L’orazione n. 2, anch’essa appartenente al secondo fascicolo (ff. 5-6), ha inizio nella colonna di destra (9 righe) del foglio 5v e prosegue per 5 righe nel foglio 6r. Le uniche lettere vergate d’oro sono la “S” e la “P” di “Sancte Petre”, nella prima riga.

294 Considerata la lunga tradizione liturgica e letteraria relativa al tema della negazione petrina, non ci stupisce che una delle reliquie più venerate, esposte nella chiesa dei SS. Apostoli a Costantinopoli, sia la pietra che l’apostolo bagnò con le sue lacrime amare dopo il tradimento. Questa pietra è menzionata spesso nelle relazioni dei pellegrini russi del Trecento e Quattrocento, che la ricordano con un’altra reliquia della passione di Cristo, la

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affrontato diffusamente proprio la tematica relativa alla negazione di Pietro; Fozio nelle sue omelie ed epistole tornerà ripetutamente su tale argomento 295. Negli Amphilochia, ad esempio, si sofferma ulteriormente su questo tema nel tentativo di rispondere alla domanda: «Cur apostolorum princeps incidit in negationem?»296. Secondo Fozio, dato che a Pietro sarebbe stata affidata la guida dell’Ecclesia, il peccato della negazione e il successivo pentimento avrebbero dovuto renderlo più indulgente nei confronti dei peccatori pentiti297.

Sempre nella sua omiletica quaresimale presenta Davide e San Pietro come esempi di peccatori pentiti che erano stati perdonati: «[…] Benché colpevole di tradimento, Pietro con le sue lacrime si è lavato completamente del peccato della sua negazione. Perciò egli non venne privato della sua posizione di principe degli apostoli; al contrario, egli fu eletto pietra di fondamento della chiesa e proclamato portatore delle chiavi del regno del cielo[…]»298.

Ed è proprio nell’orazione n. 2 che Gertrude si rivolge all’apostolo come «Sancte Petre princeps apostolorum qui tenes claves regni celorum […]», stabilendo in questo modo

colonna della Flagellazione, anch’essa conservata nella chiesa dei SS. Apostoli. Cfr. G. MAJESKA, Russian Travelers to Constantinople in the Fourteenth and Fifteenth Centuries, Dumbarton Oaks Studies 19, Washington

D. C. 1984, pp. 42 e ss., 92 – 95, 148 – 151, 184 e ss., 301. In una fonte del 1150 ca. questa pietra è chiamata semplicemente “Passus S. Petri in marmore Pario” ed è menzionata con “Sepultura S. Constantini imperatoris

et Sancte Elene, matrius eius”, cfr. P. E.DIDIER RIANT COMTE DE RIANT, Exuviae sacrae Constantinopolitanae,

vol. II, Geneve 1878, p. 212; come tale la considera anche Antonio da Novgorod nel 1200, cfr. Kniga Palomnik.

Skazanie mest svjatych vo Caregrade Antonija Archiepiskopa Novgorodskago v 1200 godu (= Il Libro del Pellegrino. La leggenda dei luoghi santi a Costantinopoli dell’Arcivescovo Antonio da Novgorod nel 1200), a

cura di Ch. M. Loparev, vol. XVII, 3, S. Peterburg 1899, pp. 24, 62, 84. Dunque solo nel XIII e XIV secolo questa reliquia da semplice impronta di san Pietro venne associata alla fase cruciale della vita dell’apostolo, che ebbe inizio con la negazione e si concluse con il perdono divino.

295 Se ne discute in diverse omelie di S. Giovanni Crisostomo, dello Pseudo-Crisostomo e di Efrem il Siro. Quest’ultimo, padre della Chiesa siriaca, era a capo di una tradizione innografica che si sviluppò autonomamente nelle chiese orientali e i tòpoi poetici da lui introdotti negli inni liturgici ebbero notevole fortuna, in modo particolare nella produzione di Romano il Melode. Romano compose, infatti, un inno drammatico proprio sul tema della negazione di Pietro, che segue la narrazione del Vangelo di Matteo dal momento in cui Cristo predice a Pietro la sua successiva negazione fino al canto del gallo. Romano affronta proprio la disperazione di Pietro dopo il tradimento, le sue lacrime e il suo pentimento. Cfr. EPHREM SYRUS,Hymnes pascales. Ephrem de Nisibe,

édité par F. Cassingena-Trévedy O. S. B., Sources Chrétiennes, 502, Paris 2006; ROMANOS LE MÉLODE,Hymnes. Introduction, texte critique, traduction et notes, édité par J. Grosdidier de Matons, IV, Sources Chrétiennes, 128,

Paris 1967, pp. 99 – 141. Lo stesso tema viene esposto anche in molti testi letterari, nel romanzo di Barlaam e

Ioasaph di Giovanni Damasceno, nelle poesie di Manuele File e ripetutamente nella omiletica quaresimale di

Fozio. Al riguardo si veda: JOHANNES DAMASCENUS,Barlaam and Ioasaph. St. John Damascene, editing and

translation by G. R. Woodward e H. Mattingly, London-Cambridge (Mass.) 1953, pp. 162 – 164; MANUELIS PHILAE,Carmina: ex codicibus Escurialensibus, Florentinis, Parisinis et Vaticanis 1, edidit E. Miller, Parisiis

1855.

296 «Quandoquidem Petrus universalem totius mundi curam erat suscepturus commissi ipsius fidelitati, idcirco

permittebatur lapsu circumagi; quo suo commonefactus ipsius exemplo humanum se et facilem erga lapsos sed poenitentes ferret.». Cfr. PHOTIUS CONSTANTINOPOLITANUS PATRIARCHA,Amphilochia sive In sacras litteras et quaestiones diatribae, PG, CI, Paris 1860, col. 607.

297M. JUGIE, Photius et la primauté de Saint Pierre et du pape, in “Bessarione”, 35, 1919, p. 124.

298 PHOTIUS CONSTANTINOPOLITANUS, The Homilies of Photius Patriarch of Constantinople, edited by C. Mango, Cambridge (Mass.),1958, p. 50, n. 1.

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una chiara connessione con l’immagine miniata al centro della pagina. Come illustra chiaramente Popova: «[…] Tekst nagljadno illjustrirovan izobraženijem, kotoroje dochodčivo prokommentirovano tekstom, sozdajetsja ich smyslovoje i zritel'noje jedinstvo[…]»299. Pietro, infatti, è qui specificato dai classici attributi del rotolo e delle chiavi, quest’ultimo una peculiarità petrina a partire dal secolo V300. Per la prima volta Gertrude rivolge per sé la sua preghiera a Pietro, affinchè «cunctorum que scelerum et criminum vincula meorum absolve», manifestando così il vero potere delle chiavi celesti, quello spirituale di legare e sciogliere, di aprire e chiudere il cielo.

«[…] Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam; et portae inferi non praevalebunt adversum eam. Tibi dabo claves regni caelorum; et quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum in caelis, et quodcumque solveris super terram, erit solutum in caelis[…]»301. Così enunciava la voce di Cristo trasmessaci da Matteo. In questo si manifesta il primatus Petri, l’immensa autorità di cui Cristo investì il principe degli apostoli e primo pontefice san Pietro, come fondamento e capo della Chiesa universale302. A lui Cristo avrebbe concesso l’autorità di vietare e di permettere, di condannare e di assolvere – cioè di giudicare – in terra, nel regno dei Giudei retto dal messia nella sua gloria303, e in cielo, nel regno di Dio. Origene (Alessandria, 185 – Tiro 251)304, uno dei primi commentatori di Matteo 16, 18-19, interpreta il logion come la risposta di Gesù alla confessione di Pietro: egli diventa la “pietra” su cui è fondata la chiesa perché ha espresso la vera fede nella divinità di Cristo. Prosegue Origene, «[…] se avremo detto anche noi come Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio

299O. POPOVA,Miniatjury kodeksa Gertrudy…cit. p. 178.

300 Data l’ampia bibliografia dedicata al significato dell’attributo petrino, mi limito a citare l’imponente opera di

FR. FRANCISCO DE SANTO AGOSTINHO MACEDO, De clavibus Petri. Opus in IV libros divisum etc., Romae 1660. In generale si veda anche G. MORONI,s. v. Chiavi Pontificie,in DESE, vol. X, Venezia 1841, pp. 172 – 179, che

fornisce degli interessanti rimandi bibliografici; C. COZZA LUZI,Le chiavi di san Pietro, in “Gli Studi in Italia”,

7(1884), pp. 701 – 713; D. L. GALBREATH,Papal Heraldry. A Treatise on Ecclesiastical Heraldry, Cambridge

1930, pp. 6 – 16; F.CABROL,H.LECLERCQ,s. v. Clé, in DACL, Paris 1907, pp. 1859 – 1867.

301 Cfr. Mt. 16, 18 – 19.

302 O. CULLMANN, San Pietro: Discepolo, Apostolo, Martire, in Il primato di Pietro nel pensiero cristiano contemporaneo, a cura di O. Cullmann, C. Journet, N. Afanassieff, Bologna 1965, pp. 5 – 334; J. MEYENDORFF,

San Pietro, il suo primato e la sua successione nella teologia bizantina, in ibid., pp. 595 – 609.

303 Cfr. Mt. 19, 28: «Iesus autem dixit illis: Amen dico vobis quod vos, qui secuti estis me, in regeneratione, cum

sederit Filius hominis in throno gloriae suae, sedebitis et vos super thronos duodecim, iudicantes duodecim tribus Israel.».

304 Origene, teologo ed esegeta greco, responsabile del Didascaleion di Alessandria, entrò in conflitto con il vescovo dovendosi rifugiare a Cesarea, in Palestina, intorno al 230. Gli studiosi concordano nel ritenere che le sue Omelie siano state pronunciate proprio a Cesarea, durante il quinto decennio del III secolo, come parrebbe confermato da EUSEBIUS CAESARIENSIS, Historiae Ecclesiasticae, VI, 36, 1, Lipsiae 1890. Secondo la tradizione

fu uno scrittore decisamente prolifico e influente, ma durante il II Concilio di Costantinopoli (553), presieduto dall’imperatore Giustiniano, venne dichiarato eretico, cosa che portò alla distruzione di gran parte dei suoi scritti.

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vivente”, […] diventeremo Pietro, […] perché chiunque si assimila a Cristo diventa “pietra” […]» E ancora: «[…] Dunque le chiavi del regno dei cieli sono consegnate da Cristo al solo

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