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(Angela Zucconi)

Ruolo dell’ assistente sociale nella comunità

Da quanto precede ci pare che il primo punto programmatico da affrontare riguardi il ruolo dell’assistente sociale nella comunità. Secondo noi questo ruolo è distinto da tre diverse funzioni : la funzione di orga­ nizzatore di gruppi, quella di consulenza nei riguardi degli enti assi­ stenziali, quella di « osservatore sociale ».

La funzione di organizzatore di gruppo

L’assistente sociale dovrà reperire, collegare e sostenere la gente di buona volontà più o meno consapevolmente desiderosa di agire in modo solidale, tentando contemporaneamente di eliminare le cause indi­ viduali o collettive di non partecipazione e di non comunicazione (l’igno­ ranza, la diffidenza, la scarsa capacità di esprimersi, ecc.).

Come verrà più ampiamente illustrato, l’assistente sociale serve da stimolo, da tramite, da veicolo per ravvivare ogni forma di vita asso­ ciativa già esistente e sollecitare nuovi raggruppamenti, quando quelli già costituiti hanno perso ogni forza di attrazione e si sono cristallizzati in una difesa di interessi particolaristici. Si parte dal presupposto che lo sviluppo della comunità si possa realizzare solo mediante una generale mobilitazione che non lasci nessuno o quasi nessuno inoperoso. Le per­ sone che restano « a guardare », perché ignorate, dimenticate, soggette, diffidenti, ecc. rappresentano non soltanto un capitale di energie non utilizzate, ma un elemento patogeno che finisce per deteriorare tutta la vita della comunità.

La funzione di consulente

Un secondo compito riguarda i servizi sociali esistenti nei vari comuni e particolarmente i servizi assistenziali. Mentre nel primo caso 1 assistente sociale svolge un’attività autonoma, nel secondo caso l’assi­ stente sociale lavora in équipe: con il medico condotto, il collocatore comunale, il segretario dell’ECA, i maestri, ecc. Il suo piano partico­

lareggiato di lavoro non può essere formulato che d’intesa con queste persone. Riteniamo che da tutta una serie di modeste esperienze locali possano venire suggerimenti e sollecitazioni anche d’interesse nazionale per il coordinamento dei servizi assistenziali.

Quest’azione di sostegno degli istituti esistenti si potrà esplicale anche per quelli che non dispongono di una organizzazione sufficiente- mente capillare; in questo caso (si tratti del Tribunale per minorenni o dei Centri medico-psico-pedagogìci, ecc.) l’assistente sociale funzionerà come « corrispondente » di questi istituti.

Si potrà obiettare che i mezzi di cui l’ECA o il Patronato scolastico di Pescocostanzo e di Palena dispongono- sono tali che non vale neppure la pena di porsi il problema della loro migliore utilizzazione. Ma 1 obie­ zione non è valida perché in proporzione sono gli stessi mezzi di cui l’ECA di Roma, di Napoli o di Palermo dispongono; c’è al contrario da considerare come nei piccoli centri si possa ancora far leva sui senti­ menti di mutuo soccorso, sulla conoscenza diretta delle situazioni di bisogno, cosa che non è più possibile nelle grandi città, per la loro stessa dimensione e perché proprio nei grandi centri la comoda illusione dello Stato che provvede a tutto ha finito per dispensarci da ogni atto di soli­

darietà. _ .

Che comunità è quella che non sentisse o piuttosto che non impa­ rasse a sentire come problema sul quale impegnarsi solidalmente, ab­ bandono dei vecchi, la protezione dei bambini, l’aiuto dei malati, ecc.. Un’altra considerazione : c’é la possibilità di convogliare aiuti mate­ riali dall’esterno, e questa possibilità non va trascurata. La stessa UNRRA Casas ha avuto già la possibilità di ricevere viveri, vestiario e medicinali da distribuire nei paesi più bisognosi ; l’ente si adopererà perché quest’apporto generoso non venga a mancare, ma gli assistenti sociali faranno affluire questi aiuti all’ECA, al Patronato scolastico, all’ONMI, al comune, ecc., fornendo eventualmente la loro consulenza per una migliore distribuzione e, a lunga scadenza, per il ridimensio­ namento e ammodernamento degli enti che localmente si occupano di assistenza. Rifiuteranno ossia il ruolo di benefattori dei poveri e dei malati, per assumere quello di consulenti degli organismi tenuti per legge a provvedere al soddisfacimento dei bisogni più elementari.

Facendo affluire questi aiuti agli ECA, ai comuni, ecc. a condizione che il solo criterio del bisogno, opportunamente accertato, ne decida la distribuzione, anche il lontano donatore avrà quelle garanzie che ti oppo spesso sono venute meno per mancanza di ogni forma di controllo.

Rispetto ad un altro tipo di richiesta, lo svolgimento di pratiche assistenziali, previdenziali, amministrative, gli assistenti sociali si com­ porteranno analogamente, mettendo in comunicazione le persone che richiedono questo tipo di aiuto e di informazione (soprattutto si tiatta di informazione) con le persone che sono tenute a fornirle e a prestale l’aiuto richiesto.

La mancanza di questo tipo di informazione è una delle cause piu gravi del disagio in cui versano queste popolazioni. Ciò vale non solo per i singoli individui, ma per le stesse amministrazioni comunali che troppo spesso ignorano o trascurano le provvidenze di cui potrebbero usufruire. Basti a questo proposito considerare un dato recentemente pubblicato dalla SVIMEZ : in relazione all’applicazione della legge del

29 luglio 1957, n. 635, che prevede tra l’altro esenzioni fiscali alle nuove imprese artigiane e alle piccole industrie nelle località economicamente depresse, solo trentotto comuni hanno chiesto il riconoscimento di « loca­ lità economicamente depresse » !

La funzione di osservatore sociale

Un terzo compito è quello di funzionare da obiettiva fonte di infor­ mazione per gli altri operatori sociali. La documentazione dell’assistente sociale dovrà essere utile al medico, al tecnico agrario, al maestro, ecc. Opportunamente organizzata, costituirà col tempo una « collana di studi » utile soprattutto per il miglioramento dei servizi e del generale tenore di vita della popolazione del nostro comprensorio o, nel peggiore dei casi, per richiamare l’attenzione delle autorità centrali e dell’opinione pubblica sulle situazioni di bisogno denunciate e le relative proposte di intervento.

Queste tre funzioni sono strettamente connesse e si svolgono con­ temporaneamente.

In pratica, molto spesso l’assistente sociale si chiederà, nello svol­ gere alcune attività, se esse effettivamente rispondono al ruolo profes­ sionale.

Ci pare opportuno per il momento che l’assistente sociale, nel- rintraprenderle, si chieda semplicemente se queste attività : a) sono effettivamente richieste dalla popolazione, b) se ci sono altre persone che possono svolgerle, c) se l’assistente sociale ha competenza per assu­ mersi l’impegno relativo.

Soltanto una continua analisi e valutazione di ciò che si sta facendo porterà a chiarire maggiormente il ruolo dell’assistente sociale in una comunità.

Ci pare comunque che la considerazione di un intero comprensorio, nonché un continuo scambio di esperienze tra gli assistenti sociali dei dodici comuni, ponga l’assistente sociale in una situazione più favore­ vole rispetto al passato : gli offre dei termini di confronto che sono finora mancati e la possibilità di soluzioni più complesse, ma senza dubbio più interessanti e durature, come potranno essere quelle di carattere intercomunale.

Atteggiam ento dell’ assistente sociale nei riguardi della comunità

Chiarito il ruolo dell’assistente sociale, passiamo ora a considerare il suo atteggiamento nei riguardi della comunità nella quale opera.

Ci pare che il modo migliore di illustrare questo atteggiamento sia quello di citare alcuni passi relativi al lavoro che svolge la Divisione per l’Educazione della Comunità a Portorico, passi più convincenti di qualsiasi astratta enunciazione.

« .... avere un profondo rispetto per l’ individuo, la convinzione che ogni uomo ha il diritto e la responsabilità di partecipare a tutto ciò che riguarda il benessere della com unità; che mai si deve prendere in sua vece una decisione che tocca alla comunità e presentargliela perché l’approvi ; che, sotto qualsiasi

condizione si presenti, ogni comunità ed ogni membro di essa possiede un potenziale margine di crescita e di sviluppo, purché il nutrimento per questui

crescila gli venga dall’interno della comunità stessa e non dal di fuori ».

« .... non. è possibile starsene seduti in ufficio a preparare i piani per la comunità, dichiarando al tempo stesso di avere un rispetto illimitato per i componenti di essa. Sapevamo di non poter proclamare il nostro rispetto per l’opinione di un vicinato e insieme segnare a dito, sia pure col maggior tatto e con la maggiore discrezione, le persone che noi- volevamo fossero scelte come leaders ».

« Non risponde al concetto di rispetto decidere per la comunità se la strada che si desidera costruire è troppo lunga, o se l’affitto del locale di cui la cooperativa ha bisogno è troppo caro .... I princìpi della democrazia si attuano quando si stimola l’ individuo a scoprire le sue risorse più nascoste ed a ricorrere ad esse; se la nostra esperienza non ci avesse ripetutamente confermato, attraverso prove coronate da successo, la verità di questi nostri presupposti, ci saremmo lasciati scoraggiare da coloro che preferiscono credere che questo modo di pensare è utopistico se non imprudente ed a stratto».

« Dovemmo lottare contro la facilità con la quale l’organizzatore di gruppo si mostrava in posizione di maestro.... a poco a poco gli organizzatori si ren­ devano conto delle ragioni per cui non avevano diritto di divenire leaders in nessuna delle comunità nelle quali lavoravano, delle ragioni per le quali non spettava all’organizzatore di gruppo, come uomo del mestiere, scegliere nuovi leaders per la comunità o spodestare quelli che non gli fossero graditi. La sua funzione poteva essere definita chiaramente: offrire alla gente quelle pos­ sibilità che l’avrebbero condotta a form arsi da sola il proprio avvenire....

Evitammo di mettere in mano all’organizzatore di gruppo un elenco di regole da applicarsi meccanicamente, perché pensavamo che il convincimento interiore fosse più importante e dovesse venire prima di una procedura per l’azione pra­ tica; era più importante rafforzare la fiducia in se stessi e nella gente, che inibire mediante una serie di regole e di divieti ».

« .... il programma che l’organizzatore di gruppo segue non viene messo in scatola in un ufficio centrale e poi consegnato perché lo distribuisca alla comunità seguendo un foglio di istruzioni per l’uso. Egli rispetta le conoscenze scientifiche degli esperti che l’hanno preparato per il lavoro nelle comunità rurali, ma pensa, cosa che un pianificatore può qualche volta dimenticare, che il processo di esplicare questo lavoro in termini di sviluppo della comunità sia molto più importante che non un’opera di puro incoraggiamento dell azione».

« .... l’organizzatore di gruppo non può lavorare né a fianco della leader­ ship esistente né contro di essa, né rafforzarla né indebolirla, poiché il diritto e la responsabilità di condurre questa azione spettano esclusivamente alla gente.

Sa che deve agire consapevolmente, perché ogni suo minimo gesto, ogni parola detta verrà riportata di casa in casa e per tutto il paese si discute­ ranno le ragioni della sua presenza » (1).

Le citazioni riportate sono abbastanza indicative per il diverso atteggiamento degli assistenti sociali nei riguardi della comunità ; alla figura dell’operatore sociale che cerca di migliorare le condizioni di vita delle comunità nelle quali lavora con il sua programma e la sua

(1) C. Isales e F. Wale, The Field Program. In « The Journal of Social Issues »,

voi. IX, 1953, n. 2, dedicato a « Community Change: An Action Program in Puerto Rico ».

La piazza principale di Pesco- costanzo, dove ha sede la di­ rezione del Progetto Pilota.

Sotto: il massiccio della Ma-

jella; in primo piano Falla­ scoso, frazione del comune di Torricella Peligna.

Portorico : un gruppo di lettura collettiva tra gli abitanti di un villaggio dove operano gli organizzatori di gruppo della Divisione per la Educazione della Comunità, dipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione.

interpretazione dei bisogni, si sostituisce la figura di un organizzatore di gruppo che si tiene disponibile per fornire solo l’aiuto che gli viene richiesto, via via che la comunità prende coscienza dei suoi problemi e prospetta le sue soluzioni.

La fam iglia e lo sviluppo della comunità

Non ci siamo fin qui preoccupati di dichiararci per una delle infi­ nite definizioni di « comunità ». Trattandosi di comuni rurali di media grandezza (tutti al di sotto dei 4.000 abitanti e solo due con una popo­ lazione inferiore ai 1.000 abitanti) e di antica tradizione storica, ci è parso comodo usare la parola « comune » o « comunità » indifferentemente. In realtà è bene chiarire a questo punto, pure senza tentare alcuna defi­ nizione, che il termine « comunità » sta a denotare per noi un punto di arrivo e non un punto di partenza, che non abbiamo, ossia, alcuna illu­ sione sulla effettiva coesione interna di questi paesi, condividendo in pieno la opinione di illustri sociologi che hanno recentemente criticato un certo modo idilliaco di considerare il mondo rurale (2). Tuttavia siamo certi (e potremo dimostrarlo col tempo) che non si tratta di vere tensioni sociali, ma di « beghe locali », per minimizzare le quali gioverà, nel processo educativo, sia il graduale allargamento dell’orizzonte troppo ristretto, sia la valorizzazione di quegli elementi culturali che il feno­ meno emigratorio ha introdotto.

Esprimiamo la fiducia che quella « capacità di agire in maniera sociale nei momenti di crisi » di cui si è fatta parola all’inizio, possa diventare col tempo un comportamento costante e normale.

Ciò non cancella quanto abbiamo detto sulla « comunità » come meta. Nella realtà presente una sola vera comunità esiste ed è la fami­ glia e sulla famiglia intendiamo fondare la nostra azione per lo sviluppo della comunità. Osiamo dire che questo punto, ovvio in apparenza, costi­ tuisce uno degli aspetti originali del nostro programma di lavoro.

E’ noto come in Italia si faccia un gran parlare della famiglia, se ne lodi la santità, si proclami la sua intangibilità, si arrivi ad esaltare gli egoismi familiari e ad indulgere ad ogni genere di sopraffazioni in nome della famiglia, e non ci si accorge come spesso si parli di un organismo ridotto all’osso del puro istituto giuridico.

Lo stesso lavoro sociale in questi anni quasi non ne ha tenuto conto, ha scarsamente operato per arginarne lo sfaldamento e non ha suggerito nel campo strettamente assistenziale iniziative che mobilitassero l’isti­ tuto familiare a favore di quanti potrebbero essere recuperati solo mediante un « clima familiare ».

Si preferisce moltiplicare i ricoveri in istituto, smembrare, per semplici motivi economici, i nuclei familiari, si tollera che l’emigrazione corroda l’unità della famiglia, senza compiere alcuno sforzo creativo che tenti di conciliare l’angustia delle disposizioni legislative con la varietà dei bisogni umani.

(2) Basti citare per es. la relazione del prof. R. König nell’ultima Conferenza della Federazione Internazionale dei Centri Sociali (Berlino, 1956) : Die Selbstanalyse

Nei nostri dodici comuni non si tratta certo di adoperarsi per sal­ vare l’istituto familiare, il quale, contrariamente a quanto avviene in altre regioni, resiste saldamente e resisterà a lungo, con o senza il nostro intervento, ma si tratta di utilizzare la famiglia come pietra angolare del lavoro per lo sviluppo della comunità.

Questo progetto ci impone di riconsiderare il così detto lavoro di gruppo. Per la lettura di un libro, per la proiezione di un film, per la discussione di un problema, gli assistenti sociali continueranno a trovarsi di fronte a dei gruppi (padri, madri, genitori, figli, vicini, assegnatari e non assegnatari), ma saranno tenuti a considerare ogni persona non tanto come membro del gruppo, quanto come componente di un nucleo familiare e quindi come centro di una naturale sfera di influenza.

Ne consegue che non interessa tanto studiare il comportamento, la dinamica di gruppo, l’interazione, quanto sapere se chi ha partecipato ad una lettura collettiva o alla proiezione di un film, andando a casa la sera, racconta alla moglie o ai figli il libro o il film e attira o distoglie altri membri della famiglia da queste attività collettive.

Così non ci interessa tanto il reperimento dei leaders, quanto di interi nuclei familiari, in grado di servire di esempio e di guida ad altre famiglie; questo reperimento delle famiglie-pilota risulterà utile non solo per le iniziative di carattere educativo, ma anche per quelle di carattere economico, in paesi in cui l’azienda agricola ha tuttora carattere familiare.

Ci si potrà obiettare : che strani assistenti sociali sono questi che si occupano del dépistage di coloro « che stanno bene » ?

Anzitutto non intendiamo dire che si debba cominciare a lavorare con le famiglie migliori o peggiori, ma con quelle che chiedono o accet­ tano di lavorare con noi, di sperimentare il nuovo, di prendere delle iniziative. Secondariamente ci si richiama a quella necessità di cui si è parlato : incoraggiare il mutuo soccorso e trasformare in un problema della intera comunità quello dei poveri o dei bisognosi, sollecitando lo spirito di solidarietà ed al tempo stesso l’interesse per la gestione del- l’ECA o per il funzionamento del Patronato scolastico. Questo aiuto evidentemente può essere fornito da coloro che « stanno bene ».

Il lavoro degli assistenti sociali consisterà quindi, per molto tempo, nel conoscere casa per casa le famiglie di ogni comune, e nelle riunioni che si terranno la sera per la lettura o per la proiezione di un film l’assistente sociale si troverà di fronte tanti singoli componenti di diffe­ renti famiglie, di cui conosce più o meno la situazione economica, la storia, la casa, i problemi particolari, l’atteggiamento verso le autorità, i rapporti con la collettività, le aspettative, ecc.

Le occasioni di conoscere queste famiglie nelle loro case possono essere molteplici : l’invito a partecipare ad una riunione, uno studio da effettuare, la valutazione di un film proiettato la settimana prima, la opportunità di riprendere un argomento particolarmente delicato emerso durante una riunione, la offerta di un incarico, ecc.

In mezzo ad una popolazione notoriamente ospitale non sarebbe giusto ricorrere a pretesti per questi incontri; le difficoltà prevedibili sono da attribuirsi esclusivamente a quell’assistente sociale che non sapesse

rinunciare al ruolo di benefattore od a quello di « buon consigliere » delle famiglie e della comunità.

L’assistente sociale, anche per invitare la gente a una riunione, si servirà esclusivamente di questo rapporto diretto e orale con le fami­ glie o della collaborazione dei vicini disposti a passarsi la voce.

Il centro sociale, le fasi del lavoro, il programma

Questa impostazione esige una inconsueta elasticità nella condotta delle riunioni, nella formulazione dei programmi e nella scelta della sede. Abbiamo fatto in questi anni l’errore di distribuire in alcuni di questi paesi dei centri sociali prefabbricati, col risultato che vi afflui­ vano da anni più o meno le stesse persone e il centro ha inciso scarsa­ mente sulla vita dell’intero paese. Per correggere questo errore non basta certo proclamare che il centro sociale è aperto a tutti e che la gente deve sentirsi a casa sua. Ci pare che la sola cosa da fare sia tentare a questo punto altre sedi : le riunioni si potranno tenere nei locali della scuola, in quelli della parrocchia, nella sede di una associa­ zione; perfino in quella dei vari partiti, nel cinema locale, ma soprattutto, dato il tipo di lavoro, « a casa di qualcuno ».

Quanto più varia sarà la disponibilità di queste sedi, tanto più potremo dire di svolgere un’azione richiesta o per lo meno accettata dall’intera comunità.

Questa varietà di sedi consente una penetrazione capillare e previene il pericolo, già presente, che le riunioni che si tengono nei centri sociali restino separate dalla vita del paese. Il centro sociale può essere considerato dalla gente qualcosa a parte e suggerire di con­ seguenza ai frequentanti un comportamento non abituale; può attrarre per lo stesso motivo solo determinate persone emerse probabilmente dai due poli opposti, animatori e disanimati, senza riuscire ad interessare la grande maggioranza della popolazione.

Le riunioni alle quali noi pensiamo possono essere più « informali » di quelle che di solito ospitano i centri sociali (un gruppo che si

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