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La mattina seguente, molto presto, non resistetti più e scesi in strada senza che i miei genitori se ne accorgessero. Sapevo che mi avrebbero sgridato al ritorno, ma era quasi una settimana che non uscivo di casa ed ero molto annoiata. Avevo bisogno di respirare aria pura, sgranchirmi le gambe e vedere se il mare era ancora al suo posto, a pochi isolati da casa mia, ma se avessi saputo ciò che so adesso, non sarei stata così temeraria.

Papà, che una volta l'aveva provato sulla propria pelle, ci aveva raccontato che dei cecchini si appostavano sui tetti e sparavano ai passanti. Di conseguenza, mi accostai ai muri per non essere vista facilmente dall'alto e iniziai a camminare. Quando dovevo attraversare la strada, lo facevo correndo.

Trovai una barricata abbandonata vicino alla spiaggia fatta di travi, selci e sacchi di sabbia. Il mare era sempre lì, simile a un gigantesco pezzo di tessuto grigio coperto di pieghe in movimento che si succedevano e cavalcavano una sopra l'altra.

Quel giorno c'era la nebbia. Dopo aver sentito degli spari alla mia sinistra, vidi un gruppo di persone armate che correvano di fretta verso Cimadevilla, avvolte in una nube di fumo. Notai una bandiera rossa che ondeggiava nel Club delle Regate e, alla mia destra, nel belvedere della Escalerona, proprio di fronte al mare, giaceva supino un cadavere; il primo morto che vidi. Mentre mi avvicinavo, iniziarono a tremarmi le gambe.

Capii che era un rivoluzionario perché non indossava l'uniforme, ma un vestito da lavoro ricucito molte volte e portava un fazzoletto rosso al collo. Il ragazzo, all'incirca ventenne, era pallido in viso, aveva le labbra grigie come la cenere, le braccia distese e le mani irrigidite. Non vidi nessuna ferita, ma il suo corpo era in una pozza di sangue scuro, quasi nero.

Mi sarebbe piaciuto fare qualcosa per lui, ma cosa? Provai a memorizzare i suoi lineamenti prima che qualcuno lo portasse via. Le gambe continuarono a tremare anche quando m'inginocchiai al suo fianco, cercando di evitare la pozza densa. Lo guardai per un po’, voglio dire, mi fermai a guardare i suoi occhi fuori dalle orbite, finché sentii sparare di nuovo, così gli diedi un bacio fugace sulla fronte gelida, mi alzai e tornai a casa. Lungo la strada mi battevano i denti come se fossi bagnata fradicia.

Quando li informai che ero andata a vedere il mare, i miei genitori mi guardarono increduli e decisi di non raccontargli nulla del cadavere: doveva restare un segreto tra me e

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lui. Seduta in camera mia cercai di disegnare il suo viso, ma non ci riuscii perché, anche se erano passati solo venti minuti, mi ero già dimenticata dei suoi lineamenti principali a parte gli occhi, che sembravano roteare nel punto in cui posavo i miei.

Dopo quel fatto mi sentivo diversa, ero un'altra Amaya.

Quella notte feci un sogno: stavo passeggiando lungo la spiaggia deserta quando una barca da pesca pian piano giunse a riva. I pescatori che erano a bordo estrassero dal fondo della barca una rete piena di pesci e la depositarono sulla spiaggia. Volevo vedere la cattura ma un uomo, di cui non distinguevo il volto perché era di spalle, me lo impedì. Quando alla fine si fece da parte, scoprii che la rete non conteneva pesci, ma un cadavere. Dopo aver riconosciuto il morto della Escalerona, mi svegliai ansimando, con la bocca aperta, come se mi mancasse il respiro.

Le esperte truppe africane sbarcarono all'alba. Si sentirono spari per tutta la giornata, ma all'imbrunire cessarono. Era come se, con lo svanire della luce, terminasse anche la resistenza. La rivoluzione era finita a Gijón nello stesso modo brusco in cui era iniziata.

Presto, vedemmo passare per la piazza un camion in cui c'erano guardie e prigionieri ammanettati. Non aveva il tendone perché l'obiettivo era proprio quello di dare l'esempio. Papà disse alla mamma che li avrebbero portati al cimitero di Ceares, dove stavano fucilando. Un'ora più tardi, quando il camion passò di nuovo, c'erano solo le guardie.

Lo stato di guerra, che durò tre o quattro mesi, diede origine ai più grandi disordini. Solo più avanti ne conoscemmo i dettagli, ma correvano già le voci che i minatori venivano torturati davanti alle proprie famiglie, per sapere dove avevano nascosto le armi e il denaro rubato. Lasciavano che i prigionieri fuggissero per poi sparare contro di loro e in un ospedale avevano perfino fucilato i feriti.

Un giorno, la mamma tornò a casa infervorata perché una vicina le aveva detto che la morte di tutti i rossi non avrebbe vendicato quello che avevano fatto a un prete di Sama.

– E cosa gli hanno fatto? – le chiese la mamma.

– Come, non lo sa? L'hanno squartato e hanno appeso i suoi resti in una macelleria con la scritta «carne di maiale».

Mamma provò disgusto e le chiese come poteva credere a quelle sciocchezze.

– Su, signora Francisca, non crederà mica che in questa casa viva una famiglia rossa? – replicò la vicina. Le tremava la voce quando ce lo raccontò.

– Hai fatto bene a negare ciò che è successo al sacerdote, perché è una bugia – le disse papà con fermezza –, ma devi stare attenta. Anch'io devo sopportare molte impertinenze.

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Vedere che gli adulti non potevano sempre esprimere liberamente ciò che pensavano, fece sì che iniziassi a considerarli in modo diverso.

A Madrid si provarono a fare delle indagini sulla repressione, ma non ebbero nessun risultato. Un giornalista, Sirval, che aveva osato denunciare le atrocità, fu arrestato e ammazzato in carcere.

Signori guardie civili: la stessa storia di sempre.

Muoiono quattro romani e cinque cartaginesi.6

I miei genitori ne furono molto colpiti. Si rendevano conto che il repubblicanesimo in cui credevano aveva giocato un ruolo secondario. Le forze in campo erano ben altre: organizzazioni e partiti operai e la destra più reazionaria, la quale si serviva in modo arbitrario delle istituzioni della Repubblica per soddisfare i propri interessi.

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