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Come premio per aver superato tutte le materie del secondo anno, mamma e papà posero fine al divieto di leggere romanzi, con l'unica condizione che li avrebbero scelti loro al posto mio, così non avrei provato emozioni spiacevoli. Di solito mi regalavano i più insipidi come, per esempio, gli Episodios Nacionales di Galdós, che mi facevano cadere le braccia, o altri che avevo già letto di nascosto. Per questo motivo o perché il sapore di ciò che è proibito è sempre più attraente, nell'estate del 1935 lessi meno rispetto al solito. Inoltre, in quel periodo conobbi le mie due migliori amiche, Luisa e Charo.

Charo fu la prima. Mamma era rimasta a casa con la piccola Olga e la nonna. Papà ci aveva portati in spiaggia e leggeva il giornale sotto l'ombrellone a righe ancora vestito con la camicia e i pantaloni rimboccati. I miei fratelli più piccoli costruivano castelli di sabbia che crollavano subito, Aure si era allontanato verso la scogliera con il suo amico Segundo in cerca di lombrichi per andare a pescare e io non sapevo come passare il tempo.

La mia attenzione fu attratta da una famiglia composta da una coppia e due figlie che era vicino a noi. Dai frammenti di dialogo che riuscivo a cogliere capii che erano forestieri. La sorella maggiore, bionda e slanciata, rideva fragorosamente mentre trascinava sulla sabbia la più piccola.

Mi sorrise e io ricambiai. Volevo diventare sua amica, ma la timidezza m'impediva di avvicinarmi e fu Charo, più decisa, che si limitò a chiedere:

– Vuoi che facciamo il bagno insieme?

Chiesi il permesso a papà e andammo per mano verso la riva. Quel mare non è docile e tranquillo come quello di Valencia e bisogna sempre prestare attenzione al colore della bandiera e ai cambiamenti di vento. Mentre ci inoltravamo in cerca di un posto più profondo per poter nuotare a nostro agio, mi disse che era molto contenta di avermi conosciuto perché a Gijón non aveva amiche. Viveva a Madrid, aveva appena terminato il terzo anno di liceo e sarebbe rimasta tutta l'estate.

Quando iniziammo a nuotare, mi accorsi che Charo restava indietro perché usava solo lo stile rana mentre io l'estate precedente avevo imparato lo stile libero, che è molto più rapido. Mi girai e la ressi per il ventre, così da insegnarle a estendere il corpo e portare le braccia in avanti. Tutto ad un tratto ci guardammo negli occhi e allo stesso tempo

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scoppiammo in una fragorosa risata, per poi starnutire e tossire perché ci era entrata acqua nel naso e nella bocca.

Ritornando verso la spiaggia mi chiese di uscire con lei e, felicissima, le risposi di sì. Era una ragazza diversa e molto più divertente delle mie compagne di scuola e per questo mi affascinò, anche se oggi so che era anche più frivola di loro.

La sera stessa andai a prenderla. La sua famiglia aveva preso in affitto un appartamento vicinissimo alla spiaggia, a fianco del lungomare El Muro. Girando per la città le mostrai le vie del centro e i giardini di Begoña e quando le raccontai che il nibbio resta fedele al proprio compagno per tutta la vita, mi rispose:

– Voglio che restiamo amiche per tutta la vita. Sembrava stessimo recitando la scena di un film.

Uno o due giorni dopo stavamo passeggiando sul lungomare verso il fiume Piles quando una pallina di gomma ci passò davanti e rimbalzando cadde ai nostri piedi.

– Qui, per favore! – gridavano da sotto.

Sulla spiaggia due ragazze scure di capelli, armate di racchette e con due costumi neri identici volevano evitare la salita, quindi raccolsi la pallina e gliela lanciai.

Vicino alla foce, contornata di rocce muscose, un banco di pesci argentati saltava fuori dall'acqua sotto il sole del pomeriggio. Io e Charo attraversammo il ponte del fiume Piles e arrivammo fino alla spiaggia del Tostadero, che è la zona più protetta dal vento.

Al ritorno, una delle giocatrici, che era rimasta da sola, ci invitò a giocare. Charo mi guardò e mi diede la mano. Di comune accordo, saltammo da El Muro alla spiaggia e cademmo con una flessione delle ginocchia, come se l'avessimo provato molte volte.

Luisa viveva tutto l'anno vicino alla spiaggia. Nonostante fosse minuta, era fatta per gli sport e tra le tre era la più veloce a correre e a nuotare. Non andava a scuola, né lei né la sua famiglia lo ritenevano necessario, ma aveva letto tanti romanzi quanti ne avevo letti io, o forse di più, visto che aveva tanto tempo libero. Mi meravigliavo di non averla conosciuta prima.

Noi tre diventammo inseparabili. La mattina andavamo insieme in spiaggia e di pomeriggio passeggiavamo lungo El Muro, attraversavamo il ponte e salivamo per la strada di Somió. Mentre ammiravamo gli chalet colorati degli indiani e accarezzavamo le mucche che si avvicinavano ai recinti, Charo ci parlava dei luoghi di moda madrileni e di vita morte e miracoli di alcuni personaggi della capitale, di cui non avevo mai sentito parlare.

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Altre volte andavamo in uno di quei cinema fastosi, con lampadari e palchi molto grandi, come il María Cristina o l'Arango e all'uscita commentavamo i meriti dei nostri artisti preferiti. Oggi mi rendo conto che, come molta gente, confondevamo gli attori con i ruoli che interpretavano. A me piaceva il Leslie Howard di La strana realtà di Peter

Standish, ma Charo lo trovava troppo pacchiano e preferiva il paffuto Clark Gable in

canottiera di Accadde una notte.

Luisa ci trascinava a vedere i film di Tarzan, voglio dire, di Johnny Weissmuller, ma lei stessa prendeva in giro i propri gusti atletici e non appena appariva sullo schermo, faceva un sospiro ironico. Noi facevamo lo stesso, per simpatia, finché la maschera o qualche spettatore irascibile ci diceva di fare silenzio.

Ci divertivamo anche a saltare varie volte di seguito da El Muro alla spiaggia. Era una distanza considerevole e potevamo farci male, ma c'era gente che si fermava a guardarci e questo era per noi un incitamento. Inoltre, cercavamo di cadere in un'area in cui la sabbia sembrava più fina e soffice.

La ragazza che giocava a racchettoni con Luisa era Sandra, sua sorella maggiore. Spesso saltava con noi, ma quando i passanti si fermavano, si vergognava e si allontanava, facendo finta di non conoscerci.

Il giorno successivo le gambe erano sempre doloranti. Sandra diceva che ci stava bene e che ci comportavamo come bambine, ma non appena gli spettatori si allontanavano, si metteva a saltare di nuovo.

Charo era consapevole dell'effetto che aveva sui ragazzi e le piaceva civettare con loro. Un giorno ci disse che le interessava molto un giovane che di solito, nel pomeriggio, andava al Náutico con gli amici e ci chiese di passare davanti al suo tavolo tutte le volte necessarie, finché non si fosse accorto di lei. Ci sembrava il colmo della sfacciataggine, ma quando le dicemmo di no, si arrabbiò:

– Se questo è quello che pensate dell'amicizia...– Aspettò un momento per vedere se ci saremmo pentite –. Non importa, ci vado da sola, non ho per niente bisogno di voi. Doveva aver preparato bene la sua trappola perché per un po’ non la vedemmo più. Alla fine, il giorno prima del suo rientro a Madrid, ci raccontò tutta agitata che Daniel, il giovane del Náutico, si era innamorato di lei.

Il problema era che lui viveva a Gijón. Potevamo essere sue intermediarie e scriverle a Madrid, inserendo nelle buste le lettere che Daniel ci avrebbe consegnato? Così i suoi

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genitori non avrebbero sospettato nulla. A sua volta lei ci avrebbe scritto e spedito le lettere destinate a lui e noi gliele avremmo consegnate.

Non potemmo dire di no. D'altro canto, per noi era un divertimento e un'avventura. Dopo essersi tranquillizzata, Charo ci disse che non avrebbe mai dimenticato quel favore.

Ben presto ricevemmo la prima lettera e ci mettemmo d'accordo con Daniel per consegnargliela.

– Che cosa facciamo se piace anche a una di noi? – mi chiese Luisa prima di conoscerlo–. Glielo portiamo via? In fin dei conti abitiamo più vicine.

Tuttavia, non c'era alcun pericolo, perché Daniel non assomigliava a Leslie Howard e nemmeno a Johnny Weissmuller, ma aveva qualche tratto di Clark Gable e né a me né a Luisa piacevano gli uomini con i baffi. Ci sembrava che indossassero una maschera.

All'inizio eseguimmo il nostro compito con entusiasmo. Speravamo che Charo ci tenesse al corrente dei suoi sentimenti e di come procedeva la relazione, ma ci sbagliammo. Quando aprivamo le sue lettere, trovavamo all'interno una piccola busta ben piegata, indirizzata a Daniel. Non si prese nemmeno la briga di scriverci qualche riga, mentre Daniel, più accorto, ci affidava le sue lettere aperte e, a volte, senza busta.

Ci sentivamo così offese che decidemmo di vendicarci e leggere quello che aveva scritto lui. Tutto sommato, dovevamo solamente spiegare il foglio di carta. Per di più, Charo se lo meritava e, per quanto riguarda Daniel, eravamo sicure che non gliene importasse nulla visto che ci consegnava le lettere aperte.

Mentre facevamo queste riflessioni, ci sedemmo su una panchina e iniziammo a leggere con le teste molto vicine. Eravamo assorte e in silenzio, ma quando arrivammo alla parte in cui paragonava il viso di Charo a un giglio di delicato biancore incorniciato dal giardino dei suoi capelli, ci guardammo e scoppiammo a ridere fragorosamente. E Charo diceva che Leslie Howard era pacchiano! Raccontammo tutto a Sandra e ridemmo insieme finché le mandibole non ci fecero male: ci considerammo sufficientemente vendicate.

Poco dopo non ricevemmo più lettere da Charo. Forse scriveva direttamente a Daniel o non si sentivano proprio più. Probabilmente "il giardino dei suoi capelli" era troppo anche per lei. Ciò che so è che non si preoccupò di darci una spiegazione.

A quel tempo, io ero al terzo anno e uscivo con Luisa tutte le domeniche e qualche giorno durante la settimana, al tramonto. Anche se lei non andava a scuola, eravamo molto in sintonia e avevamo gli stessi gusti letterari. Se i libri erano troppo cari e separatamente non avevamo abbastanza denaro, andavamo insieme al mercato delle pulci e dividevamo a

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metà il costo. In questo modo riuscimmo ad acquistare, per esempio, Delitto e castigo e La

montagna incantata, oltre ad altri oggetti come un carillon che si apriva sulle note de Il lago dei cigni e che dovemmo condividere perché da sole non avevamo denaro sufficiente.

Lo tenevamo una settimana a testa e lo scambio era per noi una faccenda molto seria. Generalmente di domenica facevamo merenda sugli scogli. Scendevamo scalze per le rocce e giocavamo ad alzare lentamente le pietre per vedere i granchi prima che fuggissero. A volte, non ci rendevamo conto che la marea si era alzata finché l'acqua non iniziava a bagnarci tutti i vestiti e trovavamo qualche difficoltà a uscire da lì. Guardavamo il tramonto dalla collina di Santa Catalina, ma quando i soldati della caserma iniziavano a scocciarci, chiedendoci di mostrare loro i polpacci, tornavamo a casa mano nella mano, come in trance, emozionate perché eravamo giovani e ci volevamo bene.

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IX I fascisti

Un giorno, mi sembra verso la fine del 1935, nella vetrina di una cartoleria, vidi un'agenda azzurra, con l'anno 1936 stampato sulla copertina. Quando entrai per chiedere il prezzo, il commesso stava parlando con una cliente.

– Si ricorda quanto orribile è stato il 1934? – La cliente fece di sì con la testa e i lunghi orecchini che portava le ballonzolarono sulle guance –. Non si può nemmeno dire che quest'anno sia stato positivo. – La cliente annuì di nuovo –. Ebbene, presti attenzione a ciò che le dico, il 1936 sarà il peggiore. – Si girò verso di me –. In cosa posso esserti utile, cara?

Dopo averlo ascoltato, non ebbi il coraggio di chiedergli dell'agenda e comprai una matita.

Se il tempo si fosse fermato in quel momento… Ma il 1936 sopraggiunse prima che ce ne rendessimo conto.

Come membri di Izquierda Republicana9, il partito di Azaña, i miei genitori, che si sentivano sempre più impegnati, parteciparono attivamente alla campagna elettorale di febbraio a Gijón. Vinse il Fronte Popolare, cioè la coalizione di sinistra, e fu concessa l'amnistia per coloro che erano stati coinvolti nella rivoluzione del 1934, molti dei quali erano ancora in carcere.

Il giorno in cui Azaña fu eletto Presidente della Repubblica, sentimmo dei tumulti lungo la strada e ci affacciammo alla finestra: era la gente che si recava a Plaza Mayor per festeggiare la sua vittoria. La nonna restò a casa con i più piccoli e noi ci avviammo verso la piazza, già colma di gente al nostro arrivo.

Furono proclamati dei discorsi dal balcone del municipio, ma ora mi ricordo solo della folla esaltata, felice, desiderosa di vedersi e toccarsi e dei nostri genitori seduti uno vicino all'altro nel caffè Dindurra, dove andammo in seguito, ed eravamo contenti per loro e perché, tra le risate, cercavamo di indovinare chi avrebbe finito prima il bicchiere di leche

merengada10.

9 [N.d.T.] Partito politico di sinistra, membro del Fronte Popolare. 10

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Poco dopo iniziarono a giungere notizie inquietanti da Madrid. Nessuno immaginava che sarebbe scoppiata la guerra, ma girava la voce dell'imminente colpo di stato dell'esercito contro il governo. Per di più, la destra non voleva ammettere la sconfitta.

Papà ci assicurava che, in caso di rivolta, il governo avrebbe adottato le misure necessarie per reprimerla.

Una sera, Aure affermò che aspettare il colpo di stato con le mani in mano era una cattiva strategia e che, secondo lui, il governo stava sbagliando. In quel modo, era il nemico che aveva sempre l'iniziativa e che poteva scegliere il momento più favorevole ai propri interessi.

– Un governo legalmente costituito – gli rispose papà – non deve anticipare una presunta rivolta. Questa è la differenza tra noi e loro. Per di più, Azaña non è stupido. Si è già occupato dei generali più pericolosi, che saranno mandati lontano da Madrid.

– Doveva destituirli.

– Sarebbero diventati ancora più pericolosi. – No, perché non avrebbero comandato nessuno.

La discussione salì di tono, poi mamma intervenne e disse loro che avrebbero svegliato i bambini.

Quando Aure andò a dormire, papà mi chiese se, per me, mio fratello era diventato troppo radicale e se l'avevo visto con amici anarchici o comunisti. Gli risposi che non mi sembrava tanto radicale e che Segundo, il suo migliore amico, faceva parte di una famiglia di destra.

– Mi è sempre risultata strana quest'amicizia – disse papà.

– Forse fanno come me, che non parlo di politica per non litigare con le mie amiche. – E tu, cosa pensi di tutto questo?

– Io sono di sinistra e basta. Non potrebbe essere diversamente.

Papà mi tese la mano, come per farmi le congratulazioni. Non aveva mai fatto nulla di simile con me.

Credevo che la lotta tra partiti affini fosse ridicola e fuori luogo, come la rivalità tra i Capuleti e i Montecchi. Com'era possibile che le persone che avrebbero dovuto essere più unite, si affrontassero per motivi politici, ossia, per teorie e opinioni la cui validità poteva essere dimostrata solo con la pratica? – Che grattacapo! – diceva sempre mamma. Non c'erano forse cose più importanti nella vita? Sicuramente per me sì, visto che dovevo studiare per le verifiche di fine anno.

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Fui promossa di nuovo con bei voti, come sempre, ma in cambio passai notti in bianco e sbadigliavo tutto il giorno. Aure, invece, venne rimandato in due materie.

Mi si prospettavano delle vacanze fantastiche. Alla fine, Charo ci scrisse per dirci che sarebbe arrivata a Gijón a giugno e che aveva molta voglia di divertirsi.

Quando la incontrammo, Luisa e io restammo di stucco. Anche se aveva solo un anno più di noi, sembrava molto più grande ed era cambiata completamente: aveva il rossetto e camminava lungo la spiaggia con un costume da bagno molto carino e i tacchi di sughero altissimi, ma lo smalto sulle unghie dei piedi la rendeva veramente troppo sofisticata.

Non parlava più in modo naturale, ma aprendo molto la bocca, come facevano certe attrici, e rideva portando la testa all'indietro, come se volesse mostrare il collo.

La storia con Daniel era finita e a Madrid aveva un fidanzato fascista che studiava Medicina. Ci raccontò anche che alcuni suoi amici falangisti organizzavano gli scioperi all'università di Madrid e c'erano stati dei morti durante gli scontri con le milizie della Gioventù Socialista.

– Una volta mi hanno dato una rivoltella – ci disse – da portare in borsa, se per caso avessi dovuto sparare.

Nella sua scuola tutti avevano perso la testa per lei ed era arrivata a Gijón disposta a spezzare molti cuori.

Stavamo guardando da casa sua la gente che passeggiava sul lungomare quando Charo ci disse con certa ammirazione, indicando un gruppo di giovani:

– Vedete quei ragazzi?– Sono tutti fascisti.

Sembravano solo dei villeggianti, tranquilli e senza preoccupazioni. Uno di loro stava rubando per gioco il berretto a un altro. Fu proprio quello che mi preoccupò: non c'era modo di distinguerli. Il fratello di Charo andava con loro verso il fiume Piles.

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X La rivolta

A metà luglio, pochi giorni prima dell'inizio della rivolta in Marocco, un militare fascista parlò con mio fratello Lito, vicino alla caserma di Simancas:

– Piccolo, se gridi "Arriba España"11

ti do una monetina.

Quando Lito ce lo raccontò, papà gli chiese che cosa aveva risposto.

– Gli ho detto che se la tenesse pure e che io mi vergognavo a gridare. Che gridasse lui, così avrebbe risparmiato la moneta.

A casa venimmo a sapere della rivolta solo sabato 18 luglio. Risplendeva un sole estivo, di quelli che si godono solo in spiaggia e non si percepiva nulla di strano per strada. La radio cercava di tranquillizzarci, dicendo che il governo aveva la situazione sotto controllo nelle città principali.

– Nelle Asturie non c'è pericolo che l'esercito si ribelli finché Aranda è al comando – disse papà in modo deciso –. È un liberale, con idee repubblicane. Dicono perfino che appartenga alla massoneria.

– Io non mi fiderei – commentò Aure; papà si arrabbiò e gli rispose che era sempre pessimista.

Aranda era il comandante militare di Oviedo.

Preoccupava ciò che sarebbe potuto succedere a Madrid e si stavano organizzando spedizioni di minatori per difendere la capitale.

Andai in spiaggia ma Luisa e Charo non erano al solito posto. Sapevo già che erano entrambe di destra perché avevo visto come tracciavano con il piede sulla sabbia i simboli della Falange. Non mi ero mai fatta problemi per quelle cose, ma pensai che non fosse il momento giusto per andare a trovarle. Non ero neanche in vena di restare lì a prendere il sole, così nuotai un po’ e tornai a casa.

Il pomeriggio stesso, il governo divulgò un secondo comunicato, secondo il quale era stato smembrato «un ampio movimento di aggressione alla Repubblica, promosso dall'armata d'Africa». La mamma propose di stappare una bottiglia di vino per festeggiare. Non eravamo abituati al sidro, tipico del nord, forse perché venivamo da La Rioja, famosa per il vino.

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All'imbrunire, la radio confessò la dura realtà. Non solo non era stato smembrato un bel niente, ma il generale Queipo de Llano aveva dato inizio alla rivolta di Siviglia. E lo aveva fatto perfino in nome della Repubblica, con il pretesto di mantenere la legalità! Ormai erano rimasti pochi dubbi sulla grandezza dell'operazione. La guerra stava iniziando, ma per il momento era ancora distante.

La domenica arrivò ricca di notizie contraddittorie. Mamma e papà entravano e

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