• Non ci sono risultati.

Ci volle più di un mese per ricominciare la scuola e approfittammo del tempo a disposizione per trasferirci in un appartamento più grande, ma meno lussuoso del precedente, in via Marqués de Casa Valdés. Siccome c'erano altri bambini nello stesso palazzo, i miei fratelli non attiravano più di tanto l'attenzione.

Balbina era molto legata a noi e veniva a trovarci; criticava i nostri vecchi vicini, considerati da lei gente antipatica e conservatrice, e si lamentava del fatto che da quando ce ne eravamo andati l'edificio era troppo tranquillo.

Quando tornai a scuola, ebbi l'impressione che i rapporti tra gli studenti si fossero logorati. Da parte mia non era così, visto che continuavo a essere la solita scontrosa, ma vedevo che i miei compagni avevano perso il loro solito spirito. Forse fuori da lì erano successe troppe cose che ci avevano costretto a riflettere e ognuno di noi aveva bisogno di partire da zero per tornare a fidarsi degli altri. Certi professori sembravano distratti, ma molti di loro erano diventati più esigenti. La rivoluzione aveva scombinato il calendario e dovevamo mettercela tutta se volevamo restare al passo con il programma.

– Aure è più intelligente – diceva papà, quando non sapeva che li stavo ascoltando –, ma troppo pigro.

La verità è che io ero più volenterosa, mi sforzavo di più e avevo voti migliori. Spesso litigavamo, ci rubavamo le matite e le gomme da cancellare e nascondevamo i nostri libri. Ti ricordi, Aure? Non lo facevamo esclusivamente per importunarci a vicenda, era anche il nostro modo di gareggiare e imporci, di dirci che ci volevamo bene.

Mentre io ero la favorita del professor Pueyo, tu eri entrato nelle grazie della signora Márquez, la professoressa di letteratura, che rideva sempre quando ti chiamava perché uscivi alla lavagna serio in viso, con le mani in tasca, i larghi pantaloni alla zuava e gli scarponcini sporchi di terra dal tanto giocare a calcio. Era come se ti fossi appena svegliato e non riuscissi a ricordare come eri arrivato a scuola.

Durante le vacanze di Natale, la nonna materna, Justa, venne ad abitare con noi. Da giovane era stata molto bella e a Cenicero la chiamavano La Russa, per il suo atteggiamento altezzoso e misterioso. Mamma custodisce ancora una foto di quei tempi, nella quale si possono ammirare i grandi occhi seduttori della nonna, gli zigomi alti e le labbra carnose e ben disegnate. Con la vecchiaia il viso si asciugò e lo sguardo, che era

82

sempre stato penetrante, diventò freddo e distaccato. Sembrava guardare sempre lontano, oltre l'orizzonte; all'improvviso, però, in uno scatto d'energia, gli occhi s'illuminavano e rivelava la sua vera personalità: una donna di carattere, mordace e attaccabrighe, abituata ad averla sempre vinta.

Quando venne a Gijón, era già vedova e zoppicava un po’. Aveva trascorso gli ultimi anni a Barcellona con la zia Vicenta, la sorella di mamma. Aveva anche un figlio, lo zio Heliodoro, che non conobbi mai. Era l'eccentrico della famiglia. Portava i guanti senza dita sia d'inverno sia d'estate e un libro sotto il mento che, diceva, gli serviva per evitare che la testa si staccasse dal resto del corpo. Insegnava matematica in una scuola superiore di Badajoz e le sorelle non lo vedevano da molto tempo.

Di sera, con la voce allegra e melodiosa, la nonna ci cantava canzoni molto tristi sulle guerre carliste e le campagne in Marocco.

Sul Barranco del Lobo7 una donna piangeva per tutti gli spagnoli immolati alla patria. Povere quelle madri, quanto piangeranno pensando ai loro figli che in guerra vanno!8

Quando papà sentiva queste canzoni, si alzava dalla poltrona e usciva dalla stanza senza proferire parola. Forse gli venivano in mente immagini terribili, la presa di Nadir o Nador o qualche altro luogo, ma se ne stava zitto perché sapeva che ci piaceva ascoltare la nonna e, per di più, non osava interromperla. Quando lui usciva, la nonna alzava la voce, come se volesse seguirlo, e io mi chiedevo se in fondo non volesse importunarlo un po’.

Dall'altra parte della strada, nella casa di fronte alla nostra, viveva una scimmia. Era un macaco dal pelo grigio, il muso scuro e la coda corta; nei giorni di sole usciva sulla terrazza e tirava le bucce di arachidi ai passanti. Mi piaceva appoggiarmi sulla ringhiera di

7 [N.d.T.] Il disastro del Barranco del Lobo è una sconfitta subita dagli spagnoli il 27 luglio del 1909 nella

zona montagnosa del Rif, vicino a Melilla, città spagnola in territorio marocchino. Questa battaglia causò un elevato numero di vittime.

8

83

ferro e stare a osservarlo. Anche la scimmia mi guardava e mi faceva le moine attraverso le sbarre di ferro. Promisi a me stessa che un giorno, se avessi trovato un lavoro e guadagnato denaro, avrei attraversato la strada, l'avrei comprata e l'avrei liberata nei giardini di Begoña.

Nelle mie passeggiate questi giardini isolati avevano rimpiazzato la Escalerona, dove non andavo più per paura di sognare il giovane morto.

Nei giardini di Begoña c'era uno stagno con le anatre e una gabbia verde con un nibbio dalle lunghe ali appuntite. Mi sedevo su una panchina di fronte alla gabbia, chiudevo gli occhi e immaginavo che il rapace uscisse attraverso le fessure e sorvolasse la valle da un estremo all'altro, dal porto di El Musel al monte Infanzón. Con gli occhi chiusi mi sembrava di vedere ciò che scrutava dall'alto: gli edifici, gli alberi, il verde e l'azzurro del mare. Poi tornava in gabbia sbattendo le ali più lentamente. Quando aprivo gli occhi, il nibbio era sempre lì, che si affilava il becco con un paletto, facendo finta di non essersi mosso.

Mi pare che sia stata la mamma a raccontarmi che alcuni uccelli, come i nibbi, scelgono il proprio compagno e gli rimangono fedeli per tutta la vita. Secondo me l'idea era molto romantica: perché innamorarsi se non era per sempre?

Quando arrivò il bel tempo, tutta la famiglia, compresa la nonna, espresse il desiderio di andare in spiaggia. Ero così presa dai preparativi per la gita che non mi ricordai della Escalerona finché non me la trovai a fianco e siccome era l'accesso più vicino alla spiaggia, dovetti proseguire e passare, con mio fratello Lolo per mano, per il luogo dov'era morto il giovane con il fazzoletto rosso.

Arrivata al belvedere, guardai per terra, cercai le macchie di sangue che dovevano essere sparite mesi fa e, non vedendole, diventai triste.

84

VIII

Documenti correlati